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L'insoddisfazione

Aperto da Sariputra, 26 Luglio 2017, 10:04:20 AM

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Apeiron

baylham/Phil (in particolare ma non solo), come ho detto è possibile che tu sia più saggio di me: può darsi che voi abbiate ragione e che la "visione cosmica" (non sapevo che nome darle, è uscita 'sta cosa  ;D ) sia un delirio. Per essere sincero nemmeno io concordo con Schopenhauer, Cioran o Buddha. Semplicemente credo che le loro filosofie siano un ottimo sguardo al mondo che dovrebbe aiutarci a "smuoverci". Per esempio quando vedo la "bhavacakra" (la rappresentazione tipicamente tibetana [in realtà è implicita in ogni tradizione] del samsara) non posso che: (1) genuflettermi, ossia capire quanto i miei "sforzi" siano "piccoli" nella "ruota dell'esistenza" (2) "sentirmi vicino" agli altri esseri, vedendo che siamo "compagni anche nella sofferenza". La "visione cosmica" che ottengo da questa meditazione è che: io, la mia famiglia, chi scrive in questo forum, tutta l'umanità e anche tutti gli animali (no non credo [dovrei dire "non so" ma sono più propenso al non credere] ai devas, asuras, nirayas, preta ecc) siamo per così dire esposti alla sofferenza. Ognuno con le sue azioni può dare un contributo (non a caso preferisco la dottrina del Bodhisattva anche se il buddismo originario probabilmente contemplava più che altro la liberazione individuale) a livello cosmico. Sapere che le mie azioni hanno valenza "mondiale" mi crea certamente un peso ma mi fa stare più attento, mi fa capire per esempio che ad esempio che non tutto quello che sembra buono è buono. La mia filosofia però si ferma qui: vede il mondo con NIENTE di incondizionato, ossia vede la vita come "tragedia" che non è una demonizzazione ma anzi mi rende ancora più "vicino" agli esseri, per quanto uno che è un po' fuori di testa possa esserlo  ;D  Tu dici che la tua attuale visione ti sembra matura ecc.. Niente nessun problema (forse l'ho fatto passare così) :) ci sono un SACCO di persone che la pensano come te e che sono molto più virtuose di me, quindi per quanto mi riguarda puoi anche avere una filosofia in disaccordo con la mia ma non è per me davvero importante.

TUTTAVIA... non posso che tornare a contemplare la Bhavachacra, la ruota dell'essere e dire: c'è qualcosa di vero. E ciò mi rende ancora più consapevole che ogni mia azione può avere conseguenze impreviste e imprevedibili. Questa prospettiva cosmica mi da il senso del "mono no aware", lo "shock estetico". Vedo la vita di ogni uomo come una tragedia (e l'uomo virtuoso è un eroe in tutto ciò, quindi nuovamente mi pare di dare un giudizio non negativo alla vita) e ciò non può che muovermi dall'interno. Vedo ad esempio il tifo violento, il vandalismo, quelli che vanno ai 200 in autostrada per "sentirsi fighi", gente che si mena per prendersi l'ultimo smartphone e da un lato mi viene schifo e dall'altro compassione (NON pietà!). Vorrei mostrar loro la futilità delle loro azioni, sbattergli in faccia anche a loro la realtà dell'impermanenza e creare in loro lo "shock estetico" di modo che certe cose non le facciano più. E invece niente. Anche questo è inutile.

Così vedo il mondo che "manca di sostanza" e mi chiedo: si può trovare qualcosa che dia riposo a tutto questo, qualcosa che dia pace? Budda dice "Nirvana". Ma oggi questi ahrant dove sono? questi uomini dalla "pace incondizionata" dove sono? L'esistenza dell'incondizionato (qualunque cosa sia) ora più che mai sembra un delirio di qualche antico. Forse lo è...

Ma... guardiamo bene. Come già diceva Cannata certe insoddisfazioni invece sono da ricercarsi perchè sembra che puntino ad un "valore" più alto della semplice contentezza. D'altronde è proprio l'aspirazione cha ha portato la scienza, l'arte ecc, gente che in qualche modo ha visto che la "vita ordinaria" non basta. E qui c'è il paradosso: alcuni sorprendentemente facendo così sono finiti per essere asceti o quasi e ciò suggerisce che FORSE qualcosa c'è. Altri sono impazziti. Quindi il fatto che un'analisi "razionale" (o "delirante" ahah) mi suggerisce che la vita è tragedia, ho anche l'impressione che tutto ciò mi suggerisca a qualcosa. Oppure.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

Cit.Phil:
Eppure, proprio se ci si identifica con lo stato d'animo della soddisfazione si è già nell'eccezione all'insoddisfazione perenne   

Io direi piuttosto che si è nell'illusione di essere soddisfatti . Attento che io non parlo di "perenne" ma di uno stato sotterraneo che "spinge" all'azione per cercare soddisfazione e non la trova. Per questo ho usato il termine di "sete". La sete non si prova sempre, ma sempre ritorna e non ci si libera da essa. E' la vita stessa questa "sete inestinguibile" di soddisfazione. Non siamo "noi" che proviamo la "sete" , è la "sete" che ci crea per potersi appagare. "Noi" è una panzana creata dal pensiero che si identifica con questo bisogno di soddisfazione. "Noi" è funzionale al manifestarsi di questa "sete". Pertanto...

Cit.Phil:
 per smascherarli, basterebbe guardare la vita pratica di questi sedicenti soddisfatti: fanno una fila di ore per acquistare l'ultimo modello di Iphone, pur avendo già in tasca il penultimo modello ancora in garanzia e perfettamente funzionante? Allora forse stanno bluffando... se invece non hanno davvero comportamenti che tradiscono insoddisfazione, allora... vuoi vedere che sono davvero soddisfatti di quello che hanno/sono (pur non avendo rinunciato al concetto di Io o Sé  )?

Ci sono insoddisfazioni molto più profonde e intime che non quelle che ci spingono a far la fila per l'ultimo gadget. La lista delle insoddisfazioni è talmente enorme che certamente non si può risolvere semplicemente osservando lo "stile" di vita  ( austero o consumistico che sia...) di una persona. Ci sono monaci insoddisfatti della loro ciotola per le elemosine. Ci sono quelli che provano insoddisfazione per il cibo elemosinato. Infinite forme di insoddisfazione, palesi od occulte. Proprio l'uomo che più sembra distaccato dall'andazzo può covare una profonda insoddisfazione, che va e viene, come un prurito che ti tormenta , che sembra sparire, quindi ricomincia...legata a molteplici cause ( come gli esempi che porta Altamarea...). 
Quindi ritengo che non sia possibile essere davvero soddisfatti senza rinunciare all'attaccamento al concetto di Io o Sè. Perché no? Perché l'attaccamento al concetto di Io o Sè è la causa basilare del manifestarsi degli stati insoddisfacenti. :)
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

Apeiron

#17
Citazione di: altamarea il 28 Luglio 2017, 22:28:26 PMNel topic riguardante la "noia endogena" ho fra l'altro scritto che può essere causata anche dall'insoddisfazione. Questo sostantivo allude alle frustrazioni derivanti dai progetti o desideri irrealizzati, dalla spiacevole vita soggettiva, dal non sentirsi amati, dal non sentirsi realizzati professionalmente, ecc.. L'insoddisfazione temporanea colpisce tutti, è "normale". Può motivare alla reazione per tentare di raggiungere la soddisfazione. Gli errori commessi servono anche per imparare ad elaborare azioni o scelte più efficaci. Se l'insoddisfazione persiste può indurre la depressione oppure all'abuso di alcol o sostanze stupefacenti. Ci sono persone che non riescono ad essere contente, anche se hanno la vita ricca di avvenimenti e risultati. Può dipendere dal contrasto tra l'io ideale e la persona reale, che induce a "non accettarsi" per quel che si è. Dietro l'insoddisfazione ci potrebbe essere pure la cosiddetta "ferita dei non amati", che incide durante l'infanzia o l'adolescenza, periodi cruciali dal punto di vista psicologico, perché determinano una parte importante del destino del soggetto. A volte per vincere l'insoddisfazione è utile pensare al proprio passato per ricordare la strada percorsa per giungere dove si è nella vita, senza dimenticare le cose realizzate, senza paragonarsi agli altri, senza invidiare chi ha successo, anche se l'invidia, nella giusta misura, spinge all'emulazione, serve per avere ambizione.

Probabilmente concordo con te sul discorso dell'amore. Probabilmente se fossimo veramente in grado di amare l'insoddisfazione non ci sarebbe. Purtroppo non abbiamo questa capacità  ;)

@Sariputra... già il problema è che poi ci si attacca. Così come quando finirò questa mia fase di "euforia" (che in realtà mezza giornata al giorno, poi "torno normale"... se parliamo dell'esperienze "euforiche" del non-possesso, quelle ahimé durano secondi, massimo ma molto raramente minuti) la rimpiangerò e ne vorrò un'altra. Purtroppo lo so sono fatto così. Vedi il problema è che "spazzare le foglie", "lavare i piatti", "stare semplicemente seduti", "mangiare con la famiglia per mangiare con la famiglia" sono davvero attività BELLE. L'incondizionato - se c'è - non lo si trova viaggiandolo. Non è il mio andare in Tibet che me lo fa trovare, non è il mio viaggio nella mia immaginazione. Non è la pratica ascetica e non è nemmeno la saggezza. Niente di tutto ciò. Non serve che mi impegno tanto per raggiungerlo, non è qualcosa che "ottengo" o "merito". Cercarlo è un'attività folle: è peggio di cercare l'aria. Eppure niente medito, studio, scrivo qui proprio perchè non lo "sento". E qui mi viene il dubbio. Forse l'uomo di oggi non può raggiungere l'incondizionato. Non siamo contenti dell'attività di "spazzare le foglie", pur sapendo che la "Natura di Budda" non è da un'altra parte. Quindi sì è proprio smettendo forse quest'attività frenetica che assaporiamo cosa significa davvero "spazzare le foglie". Ma ormai ho miei dubbi... che Budda Amitabha e bodhisattva Avalokiteśvaraci aiutino  ;D

Comunque Sari non sono così certo che sia la concezione dell'Io il vero problema quanto proprio il discorso dell'attaccamento-avversione. Secondo me dire che Nirvana non è "il vero Io" è questione di semantica nel buddismo. D'altronde in fin dei conti anche il "vero io" è una parola. Se chiamo lo stato del Nirvana "il vero io" non mi sembra tanto peggio di dire che "Sariputra è un Arahant" o che "Siddarta Gautama è il Budda". Secondo me tutto questo è il perfetto esempio di quanto l'attaccamento a dottrine ha causato problemi anche nell'illuminata India. Anche per la scuola Theravada d'altronde il Risveglio è prima di tutto un "cambiamento radicale della Mente" (ossia la "vera mente"). Sinceramente certe scuole dell'induismo che mettono al primo posto Atman e scritti come lo Zhuangzi mi paiono molto simili al buddismo, canone Pali o mahayana che sia. Davvero un buddista non può beneficiare dalle teorie indù sull'Atman e un indù non può beneficiare sulla teoria dell'anatta?

Per esempio il Nirguna Brahman non mi pare diverso dal Nirvana (ma c'è da dire che questa concezione di Brahman forse è stata proprio concepita grazie al buddismo). Idem per l'abbandonarsi alla corrente del Tao.

P.S. Un problema del buddismo potrebbe essere: e se ci fossero delle insoddisfazioni necessarie?
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

#18
Apeiron,
Sei entrato nella corrente e ti sembra di affogare! Ciò che si ribella adesso in te , che ti fa saltare da uno stato d'euforia ad uno di dubbio o di sfiducia non è altro che attaccamento a tutte le idee che ti sei fatto di te stesso, del mondo, del Buddha, ecc. che ti danno sicurezza. Vorresti agguantare l'illuminazione come si prende un cane per la coda, ma pensi forse che i condizionamenti e le afflizioni che hai costruito e ti hanno costruito attorno per anni, da quando sei nato, svaniscano per magia? Se fosse così "semplice", pensi che un genio come Siddharta avrebbe avuto bisogno di sette lunghi anni  per realizzare quello stato in cui si può essere pienamente soddisfatti nello spazzare le foglie secche del giardino?
Coraggio! hai scritto delle cose molto belle, sentite , piene di passione e di pathos. Sei un vero pellegrino del Dharma  ;D...L'unico consiglio o "suggerimento", se mi permetti di dartelo, è quello di non perdere mai l'amore per le piccole cose, entrare nel mono-no-aware delle piccole cose ordinarie e lasciare che faccia il lavoro che deve fare. :)
Sono andato OT ma mi sentivo di scriverlo perché raramente si incontra un giovane con una "sete" ( questa volta in senso positivo) di "vero" così intensa e vissuta.

P.S. Ho letto adesso la tua aggiunta. Sì, sono d'accordo con te, il vero problema è l'attaccamento al senso dell'Io-mio. Un "io" che definisco per capirci come "convenzionale" è pur necessario, per la sopravvivenza stessa. E' prenderlo per reale, duraturo e autonomo la fregatura che genera l'attaccamento...
Questa sera qui, a Villa sariputra, c'è una bellissima luna nel cielo, una falce di luna in verità. Pensa che, per effetto dell'operazione alla retina e al cristallino che ho subito...ne vedo due! La seconda sembra addirittura più splendente dell'originale. Anche l'io-mio appare splendente e ci seduce ma...forse abbiamo qualche problema di osservazione! ;D ;D
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Phil

Citazione di: Sariputra il 28 Luglio 2017, 23:09:24 PM
Cit.Phil:
Eppure, proprio se ci si identifica con lo stato d'animo della soddisfazione si è già nell'eccezione all'insoddisfazione perenne  

Io direi piuttosto che si è nell'illusione di essere soddisfatti . Attento che io non parlo di "perenne" ma di uno stato sotterraneo che "spinge" all'azione per cercare soddisfazione e non la trova. Per questo ho usato il termine di "sete". La sete non si prova sempre, ma sempre ritorna e non ci si libera da essa.
Questo può essere un buon esempio del cambio di prospettiva a cui alludevo: la vita è sete con intervalli di non-sete, o è non-sete con intervalli di sete?
Sta a noi mettere l'accento su uno dei due aspetti (al netto delle vicissitudini personali, per questo non sono in molti a potersi dire autenticamente soddisfatti...).

Citazione di: Sariputra il 28 Luglio 2017, 23:09:24 PM
E' la vita stessa questa "sete inestinguibile" di soddisfazione. Non siamo "noi" che proviamo la "sete" , è la "sete" che ci crea per potersi appagare. "Noi" è una panzana creata dal pensiero che si identifica con questo bisogno di soddisfazione. "Noi" è funzionale al manifestarsi di questa "sete".
Tale sete credo vada distinta fra autoconservazione e bisogni indotti: la sete che ci anima è quella dei bisogni primari (purtroppo non tutti riescono a soddisfarli, e tale insoddisfazione è mestamente oggettiva), quella degli altri bisogni è invece dove possiamo educarci, anche se l'essere educati non piace al bambino capriccioso che è in noi   ;D 
[Non mi immergo ulteriormente sul tema dell'individualità perchè forse andremmo off topic, ma proprio i bisogni primari, e il loro soddisfacimento, ci dimostrano la sostanzialità dell' Io, e la sua differenza con l'Altro: se l'altro beve appaga la sua "sete", ma se io non appago la mia, muoio... la sua sete non è la mia, quindi non è la sete a crearci ma noi, in quanto creature, ad essere dotati geneticamente di "sete", primaria e non ;) ]

Citazione di: Sariputra il 28 Luglio 2017, 23:09:24 PM
Ci sono insoddisfazioni molto più profonde e intime che non quelle che ci spingono a far la fila per l'ultimo gadget.
Chiaramente l'esempio era banale, ma credo avrai colto a cosa alludevo...

Citazione di: Sariputra il 28 Luglio 2017, 23:09:24 PM
Quindi ritengo che non sia possibile essere davvero soddisfatti senza rinunciare all'attaccamento al concetto di Io o Sè. Perché no? Perché l'attaccamento al concetto di Io o Sè è la causa basilare del manifestarsi degli stati insoddisfacenti. :)
Mi pare sia un circolo vizioso basato sulla fede-ops!-fiducia nell'assioma "l'attaccamento al Sè crea insoddisfazione" (accettazione più che legittima, basta tener presenti le eccezioni e la possibilità logica di altri assiomi). Se tale convinzione-premessa è accettata come il punto di partenza logico, se ci si attacca( ;) ) a tale certezza, essa troverà conferme in ogni innegabile episodio di insoddisfazione.
Tuttavia, come accennavo sopra, possiamo comunque ribaltare la prospettiva: "l'attaccamento al Sè crea soddisfazione", e allora ogni innegabile episodio di soddisfazione confermerà tale assunto (ovviamente escludendo da tale rovesciamento i bisogni primari, ma non credo che il topic si riferisse all'ovvia necessità di nutrirsi, respirare, etc.).
A noi la scelta. :)

Apeiron

#20
@Sari, credo di essere entrato nella "mia" corrente visto che "dottrinariamente" mi sento lontano da ciascuna dottrina. Percepisco talvolta affinità varie ma non ne ho trovata nessuna nella quale mi riconosco veramente. Di certo apprezzo il genio di Budda e capisco che non è facile essere davvero soddisfatti "a spazzare le foglie", d'altronde quel genio di Siddharta ci ha messo anni (sempre che non sia tutto un mito...). Una delle cose per esempio che non sono d'accordo è che ci sia solo una via per uscire dal "dukkha" (le "sofferenze necessarie" d'altronde non credo si possano dire davvero "dukkha") se è davvero possibile. Leggo opere di saggi di varie tradizioni e nei loro insegnamenti più alti vedo più che altro somiglianze, quasi che raggiungano la stessa cima da parti diverse e quindi la descrizione del processo sia diverso. Ovviamente tutto questo può essere "apofenia" (ossia vedere somiglianze o regolairità dove non esistono) che guarda a caso avvengono specialmente nei momenti di "gioia". Piuttosto concordo con il "Siddhartha" di Hesse, che la saggezza non è totalmente comunicabile. E concordo con i mahayana: ci sono forse diversi veicoli (upaya). Ovviamente se raggiungere quello stato è mai stato possibile coi propri sforzi (è interessante notare che alcune scuole buddiste, seppur minoritarie, sino-giapponesi invitino ad una sorta di "protestantesimo buddista": "salvezza con solo fede".). D'altronde non vediamo nessun Liezi che cavalca il vento, nessun Mogallana che riesce a rendersi invisibile... Forse è tutto un mito? Un mito che ci fa riconoscere la nostra "piccolezza"?

@Phil gli istinti primari devono essere soddisfatti anche nel buddismo, che è d'altronde la "Via di Mezzo". Quello che viene messo in luce è la problematica attaccamento-avversione che è la radice dell'insoddisfazione. Ossia bisogna soddisfare gli istinti ma non esserne attaccati. Nello Chaung-Tzu (taoista, non buddista e molto meno ascetico del buddismo) c'è scritto: "e se il nostro amore per la vita è una follia? e il nostro odio della morte è come lo smarrimento del fanciullo che non sa trovare la via del ritorno casa?" (ossia per come lo interpreto io: vedere la mia vita come "mia" potrebbe essere un eccesso, una visione sbagliata. Idem vedere la morte come una "minaccia" o un "limite" o una "condanna o un'ingiustizia" potrebbe essere un problema.). Il vero problema è come dice il Sari che abbiamo una visione distorta di noi stessi. In ogni caso quando ho parlato di "visione cosmica" e ho sollevato il polverone (che nel messsaggio iniziale del Sari molto probabilmente non c'era nemmeno implicitamente - ma come ho già detto mi è particolarmente difficile "trattenermi" specie in questi giorni) è perchè quando trattiamo di un argomento come questo bisogna affrontarlo a più livelli. Ma ciò che può distinguere un discorso di filosofia da un discorso di psicologia è proprio la presa di posizione sulla "visione cosmica" (cosa che comprende anche la posizione di baylham che questi miei discorsi siano semplici manie, dovute ad un anelito eccessivo :D ).

Potremo chiederci perchè l'uomo arriva ad avere un desiderio senza fine, una brama infinita? Perchè lui un essere finito desidera l'infinito (restando insoddisfatto)?

P.S. Sari il tuo esempio della visione mi ricorda un po' la mia creatività in questi giorni. Una sensazione molto bella ma pericolosa ;) comunque non sono così convinto di non possedere un "io" "reale". Ma anche un "io" reale può riuscire a emanciparsi della sua stessa prigione di attaccamento-avversione, manie di controllo ecc... se dicessi una cosa del genere in un monastero buddista, specie theravada, mi caccerebbero fuori a calci nel sedere con annesse minacce di finire nell'Avici. Motivo per cui vista la mia tendenza a mettere in discussione tutto non posso di certo silenziare questa mia tendenza tanto facilmente, ossia in qualche misura sono "costretto" a stare fuori da ogni cammino "scoperto" nell'antichità (che sia buddista, taoista...)... Ci sono persone che hanno la fissa di "camminare da soli", di scoprire per sé le cose. Questa "mania" di cercare l'originalità li mette nel guaio della nevrosi o anche della psicosi. Chi non rischia non rosica... (ovviamente il rischio di follia rischiando secondo me è bello alto, magari lo sono già ;)...)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

@Apeiron
Temo che sbatterebbero fuori a pedate nel sedere tutti e due, se fossimo in un monastero della foresta theravadin!! Tu per i dubbi sull' irrealtà dell'"io" e il Sari per la sua poca disciplina e in particolare per aver, nella sua vita, rispettato poco i precetti ( in particolare il terzo... :-[ :-[ ). Senza questa debolezza magari adesso sarei un  bel bonzo che si difende dalle zanzare...ma d'altronde forse è preferibile tentare di essere un buon genitore , piuttosto che un pessimo monaco...Un mio caro amico mi confessò di aver seriamente pensato di farsi prete, quando aveva vent'anni,  ma  alla mia domanda sul perché non mise in atto il suo proposito mi rispose:" Perché mi piacevano troppo le ragazze! Sarei stato un prete che lottava sempre con il desiderio!". Adesso ha due figli, uno dei quali disabile, e soffre molto lo stesso per la condizione del suo figliolo... :(
Non è necessario essere inquadrati in una organizzazione religiosa o fare pubblico atto di fede per portare avanti il proprio cammino. A volte aiuta, ma non è sempre adatto a tutti i tipi di temperamento. Buddha non era mica un buddhista!... ;D e dubito che Lao Tze si definisse un daoista...
Sono gli altri che hanno il  bisogno di definirci. Io non sento alcun bisogno di definirmi un buddhista...

Cit.da Apeiron
Potremo chiederci perchè l'uomo arriva ad avere un desiderio senza fine, una brama infinita? Perchè lui un essere finito desidera l'infinito (restando insoddisfatto)?

Assodato che il forum è per lo più frequentato da esseri che ti risponderebbero che non hanno un desiderio d'infinito e che sono perfettamente soddisfatti di essere finiti, personalmente, da "cane sciolto"  che ulula alla Luna (doppia...) ed essendo "politicamente scorretto" oltre che demodè, ti risponderei che è perché il pensiero ha stabilito che siamo finiti, ma il cuore la pensa all'opposto e solo quando realizza quello stato privo di "brama infinita" può trovare riposo.

@Phil dice:
[Non mi immergo ulteriormente sul tema dell'individualità perchè forse andremmo off topic, ma proprio i bisogni primari, e il loro soddisfacimento, ci dimostrano la sostanzialità dell' Io, e la sua differenza con l'Altro: se l'altro beve appaga la sua "sete", ma se io non appago la mia, muoio... la sua sete non è la mia, quindi non è la sete a crearci ma noi, in quanto creature, ad essere dotati geneticamente di "sete", primaria e non  ]

 Più che la sostanzialità dell'io direi che dimostrano la sostanzialità del nostro corpo che ha bisogno istintivo e naturale di soddisfare quei bisogni primari e la separazione del nostro corpo da quello degli altri. L'io diventa la costruzione che la nostra mente attua per trovare il modo migliore per soddisfare i bisogni del corpo. Privo di sostanzialità non significa privo di esistenza ma che la sua esistenza è origine dipendente e pertanto priva di esistenza autonoma ( dalle cause e condizioni che lo tengono in essere). Ma siamo probabilmente OT

 Cit. da Phil:Mi pare sia un circolo vizioso basato sulla fede-ops!-fiducia nell'assioma "l'attaccamento al Sè crea insoddisfazione" (accettazione più che legittima, basta tener presenti le eccezioni e la possibilità logica di altri assiomi). Se tale convinzione-premessa è accettata come il punto di partenza logico, se ci si attacca ) a tale certezza, essa troverà conferme in ogni innegabile episodio di insoddisfazione. 
Tuttavia, come accennavo sopra, possiamo comunque ribaltare la prospettiva: "l'attaccamento al Sè crea soddisfazione", e allora ogni innegabile episodio di soddisfazione confermerà tale assunto (ovviamente escludendo da tale rovesciamento i bisogni primari, ma non credo che il topic si riferisse all'ovvia necessità di nutrirsi, respirare, etc.). 


Direi che, più che una "fede" di tipo intellettuale verso l'assioma "l'attaccamento crea insoddisfazione" o viceversa verso l'assioma opposto "l'attaccamento crea soddisfazione"  è un tipo di valutazione che investe l'intera visione personale dell'esistenza, si potrebbe definire come la propria "Weltanschauung" , la propria visione  che forse si potrebbe definire come "intuitivo/emozionale". Non credo proprio che uno si legge un libro del canone pali e per fede accetta il primo assioma. E' semmai perchè "sente" come vero dentro di sé, magari in forma confusa o embrionale, il primo assioma che va in cerca in libreria di un libro del canone pali che magari gli permette di approfondire l'intuizione avuta, confrontandola quindi con quella personale di altri ( è il famoso: apri un libro e senti che è quello giusto per te...).  Comunque l'insoddisfazione, per tornare in tema, è anche una potente forza creativa , nel bene e nel male. Senza l'insoddisfazione per i risultati raggiunti non avremmo un miglioramento della ricerca in campo medico, per es., o non avremmo pregevoli opere d'arte nate dallo sforzo e dall'insoddisfazione continua degli artisti per i risultati raggiunti ( memorabile l'insoddisfazione di Michelangelo Buonarroti davanti alla Cappella Sistina con gli affreschi completati e mirabilmente descritta nel libro "Il tormento e l'estasi"). Purtroppo l'insoddisfazione per la quantita di morte e distruzione provocata da una bomba convenzionale ha anche spinto gli scienziati a creare l'atomica.
Si potrebbe senz'altro dire che, il mondo come lo conosciamo, è l'espressione di questa potentissima forza creatrice che è l'insoddisfazione. Cosa ha permesso il successo e il giogo planetario del capitalismo se non l'insoddisfazione perenne degli uomini ( gli uni a spese degli altri...)?
Comunque si possono mettere alla prova i due assiomi. E verificare personalmente quale dei due aumenta o diminuisce l'insoddisfazione. Provare a vedere se si prova più soddisfazione nell'afferrare o nel lasciar andare. Ovviamente i risultati andranno a definire meglio la propria "Weltanshauung"... ;D
Parlare di insoddisfazione è spesso una sorta di tabù. Raramente le persone, alla domanda:"Sei soddisfatto della tua vita?" ti rispondono di "no" ( a parte i depressi cronici che provano piacere a sbatterlo in faccia a chiunque...). E'addirittua difficile formularla questa domanda. La evitiamo se possibile...spesso non vogliamo scoprire che la nostra soddisfazione è la causa dell'insoddisfazione profonda delle persone che più amiamo...pertanto , spesso...preferiamo dire (e sperare) che, in fondo, le cose vanno abbastanza bene!...
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Phil

Citazione di: Sariputra il 29 Luglio 2017, 22:19:16 PM
Comunque si possono mettere alla prova i due assiomi. E verificare personalmente quale dei due aumenta o diminuisce l'insoddisfazione. Provare a vedere se si prova più soddisfazione nell'afferrare o nel lasciar andare. Ovviamente i risultati andranno a definire meglio la propria "Weltanshauung"... ;D
Oltre all'afferrare e al lasciar andare, aggiungerei una "terza via": l'accarezzare... non trattiene né stringe ciò che tocca, ma nemmeno lo allontana e lo perde... lo incontra con delicata fuggevolezza  :)

Sariputra

Citazione di: Phil il 30 Luglio 2017, 00:38:41 AM
Citazione di: Sariputra il 29 Luglio 2017, 22:19:16 PMComunque si possono mettere alla prova i due assiomi. E verificare personalmente quale dei due aumenta o diminuisce l'insoddisfazione. Provare a vedere se si prova più soddisfazione nell'afferrare o nel lasciar andare. Ovviamente i risultati andranno a definire meglio la propria "Weltanshauung"... ;D
Oltre all'afferrare e al lasciar andare, aggiungerei una "terza via": l'accarezzare... non trattiene né stringe ciò che tocca, ma nemmeno lo allontana e lo perde... lo incontra con delicata fuggevolezza :)

Perfetto Phil! E' come "accarezzare la tigre"...
Penso che , proprio dalla capacità di "lasciar andare", nasca la possibilità di reincontrare le cose in modo nuovo. Di solito però abbiamo bisogno di afferrare molto prima che  la stanchezza ci faccia "aprire la mano"... :) ( almeno io la penso così partendo ovviamente dalla mia esperienza personale...).
Sulla strada del bosco
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Apeiron

@ Sari mi sbatterebbero fuori a calci anche a me per la poca disciplina  ;D sono d'accordo che né Buddha né Laozi né Chuang-Tzu si definirebbero "buddisti" o "daoisti" (in particolare il daoismo cominciò a formarsi attorno al 100 a.c. e divenne organizzato attorno al 100-200 d.c., mentre la coppia Tao-Te-Ching e Zhuangzi giravano ormai da un secolo). Perciò sono d'accordo che a volte è meglio camminare da soli, anche perchè come dicevo prima di Arhant non se ne vedono e nemmeno di Laozi che volano a oltre i quattro mari cavalcando un drago (è un po' una battuta delle mie che non fanno ridere  :( ). Anzi troppo spesso l'essere inquadrati porta alla chiusura mentale.


Per Phil: il non attaccamento sembra insensibilità e distacco dalle cose. Sembra sentito così che l'obbiettivo sia fare come fa chi si droga per fare il "trip mentale".  In realtà il non-attaccamento è vedere che tu non hai nessun diritto di possesso sulle cose, che a priori le cose non sono "tue".



Prova a considerare questo esempio. Ti innamori di una ragazza. "Non attaccarsi" significa: avere un rapporto sano con lei, ossia non pretendere che segua le tue pretese e i tuoi desideri, lasciarla libera. In questo modo anche tu sei libero da tutte le sofferenze che comporta la prospettiva egoista mentre lei è ovviamente libera dalle tue pretese. Poi mi pare ovvio che se la ragazza si comporta liberamente in modo favorevole a te siete più felici entrambi.


Quindi: il non-attaccamento significa liberarsi dal gioco attaccamento-avversione e liberare gli altri (cose inaninimate) dalla volontà personale di possesso, di dominio, di controllo. Significa vedere che NIENTE è scontato. In tal modo apprezzi di più le piccole cose perchè d'altronde a questo punto le vedi quasi come un dono.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Phil

@Sariputra e @Apeiron
L'"accarezzare" lo considero una forma intermedia (compromesso?) fra attaccamento e non-attaccamento: meno deleterio del primo, ma più facilmente praticabile del secondo (bisogna pur essere pragmatici, no? :) ).
Certo, accarezzando ci si può far male, ma il piacere della contemplazione di una fiore è inferiore a quello di contemplarlo accarezzandolo, il che è allo stesso tempo meno doloroso di stringerne in mano anche le spine...

Prendo spunto dall'esempio di Apeiron per chiarirmi:
Citazione di: Apeiron il 30 Luglio 2017, 09:48:14 AM
Ti innamori di una ragazza. "Non attaccarsi" significa: avere un rapporto sano con lei, ossia non pretendere che segua le tue pretese e i tuoi desideri, lasciarla libera. In questo modo anche tu sei libero da tutte le sofferenze che comporta la prospettiva egoista mentre lei è ovviamente libera dalle tue pretese. Poi mi pare ovvio che se la ragazza si comporta liberamente in modo favorevole a te siete più felici entrambi.
Tale relazione libera e incondizionata mi sembra piuttosto ardua da praticare (e non sono sicuro sia raccomandabile per tutti), anche perché, salvo aver estirpato totalmente il desiderio (e non solo il tipo di desiderio a cui state pensando, bricconi! ;D ), è spontaneo, nell'innamoramento, "pensare per due", coinvolgendo l'altro/a nei nostri desideri, nei nostri progetti, etc. ... e a questo punto l'incanto della "relazione senza attaccamento" svanisce inevitabilmente (ammesso e non concesso che tale incanto ci sia stato per più di un paio di giorni  ;) ).

Accarezzare significa invece non reprimere il desiderio che (inevitabile quasi per tutti, direi) sorge e riguarda anche l'altro/a; significa esternarlo, dissiparlo all'esterno, porgerglielo con leggerezza liberandosene: se troviamo un petalo sarà piacevole, se troviamo una spina, resteremo un po' punti... eppure non per questo dovremo smetterere di accarezzare il nostro bel fiore (perché, passino le coppie aperte e la libertà individuale, ma se ci innamoriamo di qualcuno/a, la condivisione "triangolare o più" della nostra amata/o non è di solito esattamente il primo desiderio che ci viene in mente... o sbaglio?  ;) ).

A farla breve (e lasciando la botanica ai fiorai e alle api), "accarezzare" significa, per me, non attaccarsi senza però rinunciare all'esperienza del "contatto condizionato" (i nostri gusti, il nostro carattere, la nostra "Weltanshauung" come dice Sariputra), sia esso gaiamente gradevole o invece lievemente doloroso, ma sempre con delicatezza, senza esagerare con la (ap)prensione.


P.s.
Anche trovare soddisfazione nell'accarezzare, piuttosto che nel possedere, è una forma di (auto)educazione.

Apeiron

Nella forma completa, Phil, le nostre concezioni non sono compatibili: il non-attaccamento in "toto" è incompatibile con quando affermi tu.

In ogni caso ritengo la tua "alternativa" praticabile e molto interessante. Significa d'altronde essere moderati ed evitare l'eccesso. Esplorerò la tua alternativa. Grazie della discussione  ;D
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

#27
"Accarezzare" è un verbo che mi piace molto. Ha molte caratteristiche che appaiono positive: se accarezzo il fiore non lo strappo , non lo recido, non me ne approprio. Posso con delicatezza percepirne la morbidezza, la fragilità. Mi appare già come uno stato di non attaccamento. Apprezzo il fiore ma lo lascio là, al suo posto. Lo lascio al corso della sua esistenza. Se non mi identifico con l'insoddisfazione ma, in un certo qual modo, l'"accarezzo" , ne sono consapevole, ma la lascio al suo posto, l'insoddisfazione fa il suo corso: appare e scompare, per poi riapparire, ma non mi sento più legato al sentirmi soddisfatto o insoddisfatto; li "accarezzo" e poi li lascio andare.
Negli anni quaranta c'era un libro che divenne un best-seller di Norman Peale "The Power of Positive Thinking" che insisteva sul potere del pensiero positivo. Se insisto a concentrarmi sui pensieri positivi...mi sentirò benissimo, insegnava l'autore. Se penso in maniera molto positiva, la mia vita diventa felice e sarò incline ad un maggior ottimismo. Viceversa se penso in maniera negativa vedrò tutto in maniera negativa, insoddisfacente, come  scrive anche Phil.  Pensare sempre positivo mette di buon umore, si arriva persino all'euforia, all'esaltazione. Il problema però è che sei costretto a mantenere costantemente un atteggiamento ottimista per continuare a stare bene, per sostenere l'illusione di soddisfazione e felicità. Devi tenere a bada il dubbio, lo scetticismo e i concetti negativi altrimenti...tutto svanisce! Non appena si prende consapevolezza di quel gesto di positività compulsiva...si smette di prendersi in giro.
Se invece applichiamo lo stesso principio ai pensieri negativi , ecco che tutto diventa insoddisfacente: la vita non ha scopo. E' tutta una farsa. La gente è marcia, non c'è una persona onesta a 'sto mondo. Le religioni sono tutte false. Tutti i politici sono corrotti. Mia madre mi ha messo al mondo per egoismo, per pura libidine. Risultato: mi deprimo. A che serve vivere? E' solo perdita di tempo.
Così la mente finisce per alimentare illusoriamente la propria felicità o la propria infelicità/insoddisfazione.
C'è qualcosa che è consapevole di questo giochetto che ci combina la mente? Qualcosa che non si schiera né con la positività, né con la negatività? Qualcosa che non è toccato dal desiderio del paradiso o dalla paura dell'inferno?
Ciò che è consapevole del positivo e del negativo, ossia la consapevolezza, non si schiera e non giudica. Si limita a notare le cose come sono, quello che accade. La reale natura dell'esperienza che accade nel momento presente. Si comincia a prendere atto che c'è solo questa funzione giudicante del pensiero: soddisfacente, insoddisfacente o neutro. Appare una costruzione, una convenzione. Se le persone che cio stanno intorno non rinforzano la nostra idea di positività...possiamo finire all'inferno, infuriati! Quando le condizioni esterne non si prestano più a rinforzare le opinioni ottimistiche...si crolla!
Se invece coltiviamo, culliamo solo insoddisfazione ( come nella maggior parte delle persone...) ecco che, anche il fiore più bello da "accarezzare, ci appare sbiadito, incolore.
Possiamo liberarci da queste illusioni?
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

baylham


Il senso dei miei interventi era di relativizzare lo stato di in/soddisfazione a ciascun uomo, escludendo uno stato permanente di insoddisfazione o di soddisfazione, entrambi impossibili. Ciascuno avrà un proprio grado normale di in/soddisfazione, che può variare nel corso della vita. Nel mio caso la maturità mi ha portato ad una maggiore accettazione, soddisfazione e consapevolezza della straordinarietà della vita.

Citazione di: Apeiron il 28 Luglio 2017, 23:00:59 PM
La mia filosofia però si ferma qui: vede il mondo con NIENTE di incondizionato, ossia vede la vita come "tragedia" che non è una demonizzazione ma anzi mi rende ancora più "vicino" agli esseri, per quanto uno che è un po' fuori di testa possa esserlo [......]
 
Così vedo il mondo che "manca di sostanza" e mi chiedo: si può trovare qualcosa che dia riposo a tutto questo, qualcosa che dia pace? Budda dice "Nirvana". Ma oggi questi ahrant dove sono? questi uomini dalla "pace incondizionata" dove sono? L'esistenza dell'incondizionato (qualunque cosa sia) ora più che mai sembra un delirio di qualche antico. Forse lo è... 

Per me comprendere che ogni cosa è transitoria, condizionata è un risultato che non mi spinge a considerare la vita una tragedia, ma alla sua realistica accettazione, sapendo che non ho il potere di conoscere e controllare interamente la vita. Porsi il fine della pace eterna, della felicità eterna significa appunto porsi fini impossibili, da cui non si potrà ottenere che  delusione ed insoddisfazione. Ho già scritto della necessità biologica del dolore e del male, per cui non sono attratto da filosofie e religioni che promettono o desiderano la loro abolizione.


Citazione di: Sariputra il 29 Luglio 2017, 22:19:16 PMSi potrebbe senz'altro dire che, il mondo come lo conosciamo, è l'espressione di questa potentissima forza creatrice che è l'insoddisfazione. Cosa ha permesso il successo e il giogo planetario del capitalismo se non l'insoddisfazione perenne degli uomini ( gli uni a spese degli altri...)?

La differenza del mio atteggiamento è proprio su questo punto: non è l'insoddisfazione perenne che alimenta l'azione creativa, ma la soddisfazione dell'agire, del creare. Non credo che Leopardi o Schopenhauer o Cioran fossero insoddisfatti scrivendo le loro opere, forse la riflessione sull'insoddisfazione è stata uno stimolo, ma era la soddisfazione a farli insistere a scrivere, altrimenti avrebbero smesso dopo le prime righe.

Apeiron

#29
Citazione di: baylham il 31 Luglio 2017, 12:00:07 PMIl senso dei miei interventi era di relativizzare lo stato di in/soddisfazione a ciascun uomo, escludendo uno stato permanente di insoddisfazione o di soddisfazione, entrambi impossibili. Ciascuno avrà un proprio grado normale di in/soddisfazione, che può variare nel corso della vita. Nel mio caso la maturità mi ha portato ad una maggiore accettazione, soddisfazione e consapevolezza della straordinarietà della vita.
Citazione di: Apeiron il 28 Luglio 2017, 23:00:59 PMLa mia filosofia però si ferma qui: vede il mondo con NIENTE di incondizionato, ossia vede la vita come "tragedia" che non è una demonizzazione ma anzi mi rende ancora più "vicino" agli esseri, per quanto uno che è un po' fuori di testa possa esserlo [......] Così vedo il mondo che "manca di sostanza" e mi chiedo: si può trovare qualcosa che dia riposo a tutto questo, qualcosa che dia pace? Budda dice "Nirvana". Ma oggi questi ahrant dove sono? questi uomini dalla "pace incondizionata" dove sono? L'esistenza dell'incondizionato (qualunque cosa sia) ora più che mai sembra un delirio di qualche antico. Forse lo è...
Per me comprendere che ogni cosa è transitoria, condizionata è un risultato che non mi spinge a considerare la vita una tragedia, ma alla sua realistica accettazione, sapendo che non ho il potere di conoscere e controllare interamente la vita. Porsi il fine della pace eterna, della felicità eterna significa appunto porsi fini impossibili, da cui non si potrà ottenere che delusione ed insoddisfazione. Ho già scritto della necessità biologica del dolore e del male, per cui non sono attratto da filosofie e religioni che promettono o desiderano la loro abolizione.
Citazione di: Sariputra il 29 Luglio 2017, 22:19:16 PMSi potrebbe senz'altro dire che, il mondo come lo conosciamo, è l'espressione di questa potentissima forza creatrice che è l'insoddisfazione. Cosa ha permesso il successo e il giogo planetario del capitalismo se non l'insoddisfazione perenne degli uomini ( gli uni a spese degli altri...)?
La differenza del mio atteggiamento è proprio su questo punto: non è l'insoddisfazione perenne che alimenta l'azione creativa, ma la soddisfazione dell'agire, del creare. Non credo che Leopardi o Schopenhauer o Cioran fossero insoddisfatti scrivendo le loro opere, forse la riflessione sull'insoddisfazione è stata uno stimolo, ma era la soddisfazione a farli insistere a scrivere, altrimenti avrebbero smesso dopo le prime righe.

Vedere la vita come tragedia può essere a volte... valorizzarla  ;D  voglio dire guarda Nietzsche con il suo titanismo. Eraclito, era andato oltre, aveva addirittura divinizzato la guerra, aveva divinizzato il conflitto ecc. Ora Eraclito mi è sempre sembrato un genio folle proprio per questo e così come Schopy: se sei arrabbiato con tutto finisci come dice il Sari in un certo senso "all'inferno". In realtà la visione dell'imperfezione della natura e della tragedia dell'esistenza dovrebbe far sorgere in noi da un lato la compassione verso gli esseri viventi (specie chi tra loro è più sensibile alla sofferenza, ossia gli uomini) e al tempo stesso ridurre le nostre ambizioni, perchè d'altronde dovremmo capire che più cerchiamo di afferrare più perdiamo le cose. Il non-attaccamento, vedere la realtà del "dukkha", la rinuncia alle brame per raggiungere il Dao, il Nirvana o quello che è non dovrebbe né farti glorificare il conflitto né farti rimanere incavolato con le cose, col destino, con Dio, con i peccatori ecc. Semplicemente  dovrebbe in realtà dare un senso di pace e farti amare le cose per quello che sono (a questo proposito consiglio il "metta sutta"). Quello che avviene è che curiosamente chi è "preso" dalla "visione cosmica" finisce o per incavolarsi col mondo, o per raggiungere stati di esaltazone o per essere depresso. Perché? semplice... i suoi pensieri non li vuole conoscere più nessuno e finiscono per trovare stimolo proprio nella scrittura. Per esempio un Nietzsche arrivò a scrivere in una lettera a Gast:

Oh amico, talora mi passa per la testa che io vivo una vita pericolosissima, e che appartengo a quella specie di macchine che possono esplodere! L'intensità dei miei sentimenti mi fa rabbrividire e ridere – già un paio di volte non potei lasciare la camera per la ridicola ragione che i miei occhi erano tutti arrossati – e perché? Tutte e due le volte, la vigilia, durante i miei vagabondaggi, avevo troppo pianto, e non già lacrime sentimentali, ma lacrime di giubilo; e piangendo cantavo, dicevo follie, pieno della nuova visione che si è manifestata a me prima che a tutti gli altri mortali  (notare che la data è 14 agosto 1881, ossia  ben sette anni prima di quando a Torino vagava per le strade pensando di aver riscritto la storia. Qui si vede il pericolo dell'essere sia creativi che isolati.)

Perchè succede questo secondo me? semplice: perchè chi ha la "visione cosmica" in mente vede le cose da una prospettiva diversa e molto originale. Ma non doveva dare serenità, compassione, calma e pace? Beh... se d'altronde la gente non si pone più questi problemi e nemmeno li considera importanti beh allora sì che va a finire che uno "si stacca" dalla realtà e fa questi "trip". Ne parla in giro e lo guardano come se fosse o un pazzo o comunque "diverso" (quante volte questa cosa mi ha messo a disagio). Lui è catturato, come chi guarda il cielo stellato di notte e contempla. Poi durante la vita di tutti i giorni ne parli in giro e senti "interessante, interessante...". Pensi di aver catturato l'attenzione di qualcuno, pensi ogni tanto qualcuno creda veramente che sia "interessante, interessante...". e poi vedi tutti immersi nella burocrazia, a parlare del più e del meno, a non saper valorizzare le piccole cose (sì il "mono no aware" valorizza le piccole cose, anche se d'altronde è un attaccamento...), tutti a dare importanza all'ultimo gadget ecc. Ma d'altronde la "visione cosmica" ti fa capire quanto tantissime delle ambizioni in cui gli uomini si immergono siano futili. Perchè dunque la "visione cosmica" o la ricerca dell'incondizionato oggi porta spesso a problemi di varia natura? Semplice a nessuno gli importa più e a chi importa solitamante è un pò disadattato dimodoché oggi con la nostra fissa dell'essere normali (concetto arbitrario che è definito dall'essere "funzionali" nella società) il loro essere disadattato è una conferma del fatto che la "visione cosmica" (qualunque essa sia) è una mera cavolata...

Sinceramente baylham ti invidio per il tuo equilibrio, dovrei imparare. Però sinceramente a me sembra veramente un "peccato" ( ;D ) rinunciare alla "visione cosmica". D'altronde senza la "visione cosmica" oltre a Budda, Schopy, Cioran, Nietzsche non avremo Zhuangzi, Platone, Gesù.... ma anche non avremo Beethoven, Dalì... ossia non avremo nulla che di "interessante, interessante...". A me la "visione cosmica" da soddisfazione. Non mi da soddisfazione vedere che ahimé tra le mie limitazioni (paura, pirgrizia...) e il generale disinteresse (come si fa ad essere più interessati dico io alla partita di calcio rispetto alla contemplazione del cielo? a me sembra che il 90%  della popolazione non sia "normale"...) purtroppo non sono nemmeno in grado di gustarmela. Ma ripeto qualsiasi visione cosmica di per sé NON porta alla frustrazione... è la nostra attitudine rispetto ad essa.

Ovviamente apprezzare il "non-attaccamento" ha senso solo se si crede nell'incondizionato (almeno come possibilità teorica magari irrealizzabile). Altrimenti la discussione può andare avanti all'infinito senza alcun modo per trovare un accordo... perchè è come parlare due lingue diverse. Uno può d'altronde essere "all'interno" "taoista" (ossia credere nell'incondizionato o ritenere che come possibilità o concetto è importante) e  all'esterno "confuciano" (ossia una persona equilibrata e di tutto rispetto ma che non pensa all'incondizionato...anche se Confucio aveva la sua nozione di condizionato, uso questo modo di dire cinese per dire che si può trovare un accordo) - ovviamente uno cheesclude la possibilità del taoismo non può capire queste cose, viceversa un "taoista" che non trova l'equilibrio è un disadattato :D
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)