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L'insoddisfazione

Aperto da Sariputra, 26 Luglio 2017, 10:04:20 AM

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Phil

Citazione di: Apeiron il 30 Luglio 2017, 20:06:19 PM
Nella forma completa, Phil, le nostre concezioni non sono compatibili: il non-attaccamento in "toto" è incompatibile con quando affermi tu.

In ogni caso ritengo la tua "alternativa" praticabile e molto interessante. Significa d'altronde essere moderati ed evitare l'eccesso. Esplorerò la tua alternativa. Grazie della discussione  ;D
Grazie a te :)


Citazione di: Sariputra il 31 Luglio 2017, 00:57:39 AM
"Accarezzare" è un verbo che mi piace molto. Ha molte caratteristiche che appaiono positive: se accarezzo il fiore non lo strappo , non lo recido, non me ne approprio. Posso con delicatezza percepirne la morbidezza, la fragilità. Mi appare già come uno stato di non attaccamento. Apprezzo il fiore ma lo lascio là, al suo posto. Lo lascio al corso della sua esistenza.
Sapevo che avresti colto il senso senza raccogliere il fiore  ;)

Citazione di: Sariputra il 31 Luglio 2017, 00:57:39 AM
Negli anni quaranta c'era un libro che divenne un best-seller di Norman Peale "The Power of Positive Thinking" che insisteva sul potere del pensiero positivo. Se insisto a concentrarmi sui pensieri positivi...mi sentirò benissimo, insegnava l'autore. Se penso in maniera molto positiva, la mia vita diventa felice e sarò incline ad un maggior ottimismo.
L'accarezzare si basa sul contatto e il contatto non mente (à la San Tommaso ;D ): se mentre accarezzo incontro una spina che non avevo visto, mi pungo... posso non chiamarla "spina" ma "petalo piuttosto coriaceo", posso non chiamarla "ferita" ma "provvidenziale fessura per far arieggiare la pelle", ma questa verbosa positività forzata non rimuove quel piccolo dolore della puntura.
Il "pensiero positivo" può essere un sollievo per i pessimisti più incalliti (per schiarire un po' le tinte fosche con cui dipingono il mondo), ma se prende il sopravvento diventa parimenti alienante e sconveniente.

Citazione di: Sariputra il 31 Luglio 2017, 00:57:39 AM
Ciò che è consapevole del positivo e del negativo, ossia la consapevolezza, non si schiera e non giudica. Si limita a notare le cose come sono, quello che accade. La reale natura dell'esperienza che accade nel momento presente. Si comincia a prendere atto che c'è solo questa funzione giudicante del pensiero: soddisfacente, insoddisfacente o neutro. Appare una costruzione, una convenzione.
Pensare e vivere scrollandosi di dosso questa convenzione-convinzione del piacevole e dello spiacevole è, secondo me, ciò che distingue il non-attaccamento dal semplice "accarezzare": l'illusione del bello e del brutto, del positivo e del negativo (con annesse gioia e dolore che ne conseguono), può ancora far parte del delicato gesto che accarezza, pur nel suo adattivo incedere, ma non ha invece senso in una visione più "illuminata" (volta al superamento del suddetto dolore), in cui viene meno il "contatto carezzevole" in favore di una tanto ardua quanto saggia "retta consapevolezza" (samma sati, giusto? ;) ).

Apeiron

Penso che il mio messaggio precedente è andato toppo off-topic, oltre che rimarcare un po' inutilmente i soliti pensieri di "ribellione". Unica cosa che dico: ho usato solo il "caso Nietzsche" per dare un esempio, ossia per far capire che in una società in cui si è persa la tendenza di pensare a "realtà superiori" oppure "incondizionate" finisce che la gente che è più portata a questo tipo di "voli pindarici" finisca per perdersi ancora di più nel gioco di "attaccamento-avversione"... ossia chi ne parla e mette in luce la problematicità spesso è più "nel fango" di chi non ne parla.

Ripeto tuttavia che se uno non contempla questo tipo di concetti non potrà davvero capire che la visione più negativa delle cose può sfociare nella visione più positiva di esse (un po' come il - falso - detto secondo cui "la notte è più oscura subito prima dell'alba"... diciamo che ciò è vero per gli insonni  ;D  e non a caso è proprio tra gli insonni che questi proliferano).

Per Phil grazie a te invece la tua alternativa è davvero interessante e molto più facilmente praticabile. Diciamo che la tua via di mezzo tra la via di mezzo ("madhyamaka") e l'edonismo può salvare capra - la realtà incondizionata - e cavoli, ossia non passare la vita per trascendere il mondo. Quello che si fa in sostanza è la moderazione, tendendo verso il non-attaccamento (magari preso come ideale irraggiungibile). Ripeto: Chaung-tzu parlava di "uomini perfetti senza io" ma allo stesso tempo lui sembra che avesse avuto una famiglia (un tipo di vita impossibile - o quasi - per chi vuole raggiungere lo stato del non-attaccamento).
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Apeiron

https://en.wikipedia.org/wiki/World_Happiness_Report (parametri: PIL pro-capite, supporto sociale, aspettativa di vita in buona salute, libertà di poter fare le scelte importanti nella vita, generosità, fiducia e altro(?)). In inglese, purtroppo non riesco a trovare una fonte italiana che descriva meglio se non per esempio cose come http://www.felicitapubblica.it/2017/03/21/i-paesi-della-felicita-la-classifica-world-happiness-report-2017/

Secondo il "World Happiness Report" i tre paesi più felici sono Norvegia, Danimarca e Islanda. Noi siamo al quarantottesimo posto. In genere l'Africa è molto "infelice", sorprende invece quanto il Sud-America risulti essere "felice" (Brasile e Argentina hanno un coefficiente migliore di Francia, Italia, Spagna...).

Tuttavia io potrei pensare ad uno studio "invertito" (ovviamente NON è possibile realizzarlo): ossia scambiando i parametri come cambierebbe la classifica? Ad esempio se l'economia italiana all'improvviso crollasse ai livelli dei paesi centraficani riusciremo ad essere "felici"? In sostanza questi studi ci fanno passare l'idea che il felice si trova tra chi ha di più e chi si trova nelle condizioni migliori (ossia questione di "fortuna" o in ultima analisi di "privilegio")... e se invece fosse che chi è felice è colui che sa vivere con meno e sa essere felice nelle condizioni peggiori? Secondo voi come cambierebbe la classifica?

Può la (in)soddisfazione essere misurata?
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

InVerno

#33
Citazione di: Apeiron il 01 Agosto 2017, 10:25:35 AM
https://en.wikipedia.org/wiki/World_Happiness_Report (parametri: PIL pro-capite, supporto sociale, aspettativa di vita in buona salute, libertà di poter fare le scelte importanti nella vita, generosità, fiducia e altro(?)). In inglese, purtroppo non riesco a trovare una fonte italiana che descriva meglio se non per esempio cose come http://www.felicitapubblica.it/2017/03/21/i-paesi-della-felicita-la-classifica-world-happiness-report-2017/

Secondo il "World Happiness Report" i tre paesi più felici sono Norvegia, Danimarca e Islanda. Noi siamo al quarantottesimo posto. In genere l'Africa è molto "infelice", sorprende invece quanto il Sud-America risulti essere "felice" (Brasile e Argentina hanno un coefficiente migliore di Francia, Italia, Spagna...).

Tuttavia io potrei pensare ad uno studio "invertito" (ovviamente NON è possibile realizzarlo): ossia scambiando i parametri come cambierebbe la classifica? Ad esempio se l'economia italiana all'improvviso crollasse ai livelli dei paesi centraficani riusciremo ad essere "felici"? In sostanza questi studi ci fanno passare l'idea che il felice si trova tra chi ha di più e chi si trova nelle condizioni migliori (ossia questione di "fortuna" o in ultima analisi di "privilegio")... e se invece fosse che chi è felice è colui che sa vivere con meno e sa essere felice nelle condizioni peggiori? Secondo voi come cambierebbe la classifica?
Può la (in)soddisfazione essere misurata?
Io non so come vengano fatte queste classifiche, ma l'altro giorno parlavo con dei tedeschi (che a quanto pare svettano in felicità) che mi raccontavano che molti possessori di giardino in Germania cercano di costruire li una "little Italy" (senza bandiere, ma insomma ci siam capiti) per affrancarsi dalle mondane tristezze, per avere una finestra verso una vitalità anche un po irrazionale e disorganizzata, ma pur sempre appagante. Peccato questi giardini non facciano parte del nostro territorio extra-nazionale, altrimenti saliremmo velocemente in classifica!
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Apeiron

Sì in genere mi sembrano abbastanza fatte a caso quelle classifiche. In ogni caso è vero che in genere il ricco sta meglio di chi è in miseria, chi è in pace sta meglio di chi è in guerra, chi è libero di esprimersi sta meglio di chi non lo è, chi non sta male sta meglio di chi è malato ecc. Il vero problema secondo me è proprio che non tengono conto che tutto ciò d'altronde dice poco o niente sulla "soddisfazione". Se un africano che non riesce a mangiare vivesse come sto vivendo ora io sarebbe in estasi per il solo fatto di vivere nell'agio, viceversa per me che ritengo ovvia la mia ricchezza in caso di fallimento o bancarotta sarei disperato. Nel caso della salute fisica idem: se uno per esempio guarisce da una lunga malattia sarà felicissmo, viceversa chi è sempre stato in salute può prendersela con il Fato per essersi beccato un raffreddore. Nella lettertura zen troviamo: "ricevere guai è ricevere buona opposizione; ricevere consenso è ricevere opposizione", parole paradossali che però un senso di verità lo hanno. Nessuno apprezza un po' di riposo dopo anni di fatica, nessuno apprezza la salute dopo anni di malattia, come diceva il mio amico-acerrimo nemico Eraclito:
La malattia rende la salute piacevole e buona, la fame la sazietà, la fatica il riposo. (DK. 111)

Quindi a volte mi chiedo: povertà, fallimenti, "depressioni" sono davvero fonti di infelicità o paradossalmente sono fonti di maggiore felicità rispetto a ricchezza, successo e "euforie"? Chi d'altronde apprezza più camminare di chi si è rialzato? Ma per rialzarsi (ossia essere più gioiosi) di solito non è necessario camminare ma a volte è necessaria la caduta. Quindi mi chiedo io: a cosa serve fare queste classifiche se non ad aumentare la depressione nei paesi che si ritrovano nella fascia alta e ad aumentare le brame un po' a tutti? Ossia stilare classifiche simili non finisce per generare invidia e desideri eccessivi?

Quando tu parli della Little Italy capisco perfettamente: l'essere sempre vissuti nella ricchezza alla fine genera noia, genera ancora più brama e rende tutti più diendenti e più paurosi. Non mi stupirebbe che quando la mia generazione sarà nella cosiddetta "mezza età" l'Italia finità per costruire "little Saharas", ossia parchi a tema dove la gente piuttosto di continuare a vivere la noia della "felicità" cittadina si diverte a correre rischi, sfidare la fame e la sete  ;D più si "progredisce" più si da tutto per scontato, quindi alla fine davvero la "vita" diventa "un pendolo che oscilla tra la noia e il dolore" (Schopenhauer)

Rispondendo alla mia domanda: ritengo che la felicità non si possa misurare perchè appunto si comporta in modo paradossale.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

#35
Che caldo! ...Che afa opprimente! ...La Villa è immersa in una cappa di umido bollore,,,come sono insoddisfatto di questo! E' insopportabile!...Non riesco quasi a ragionare...sonnecchio nel torpore...
Devo parlare d'insoddisfazione ma...fa troppo caldo!...Non mi vien niente da scrivere...come mi sento insoddisfatto! Sono nella pentola e mi sto lessando!... A dire il vero, ora che ci penso...son quasi sempre insoddisfatto di quel che scrivo. E' così...Baylham, che scrivi nell'agio dell'impianto d'aria condizionata ( è così, me lo sento...tu hai quel che io non ho: l'aria condizionata...) e per questo ritieni soddisfacente la vita. Ecco Baylham...cosa volevo dire? Ah, sì...non pensi che sia la passione dell'artista che lo fa continuare nel suo lavoro e non la soddisfazione per i risultati ottenuti? Chiedevo infatti al mio vecchio, artista novantenne , se per caso fosse mai stato soddisfatto delle sue opere: "Mai!" è stata la sua risposta. E allora...perché continuare a farne? Ho soggiunto... "Pa pasiòn" è stata la risposta. " Vedito...xe la pasiòn che te fa continuar a sperimentar. Xe il bisogno di tirar fora quelo che xe vivo in ti, i couori che te ghà dentro. Quande te te a vardi finìa, l'opera non a te convinse, non xe mai queo che te voevi. E cosita te ghin cominsi naltra...E gò pasà a me vita cosita, sempre a sercar de dar forma a queo che sentivo, ma non poso dire ghe queo che gò otenuo xe queo che vedevo dentro de mi."
Così, mentre gli facevo aria a mò di ancella egiziana a Cleopatra, gli ho posto un'altra domanda: "Quindi la soddisfazione consiste nell'esercizio della propria passione e non tanto nei risultati ottenuti da quell'esercizio?". "Sacramèn" ha risposto ( tipica moccola nel dialetto della Contea...), "Te gò mandà scoea par imparar a sparar casade? Esercizio della passione? Cristo santo, la pasiòn a xe na soferensa! Svejate! Gheto mai visto nasere  qualcossa de vero sensa soferensa e fadiga? A gero finìo mi, quando ghevo completà el lavoro. Che sodisfasiòn del casso parlito?...Non sarìa ora de magnare desso, invese de ciacolar?".
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

baylham

MI dispiace deludere la tua capacità di previsione Sariputra ma, sebbene l'impianto di condizionamento nel mio studio ci sia, quest'anno non l'ho utilizzato un solo giorno. A casa, dove vivo, non ho il condizionatore. Abito in Pianura Padana. I motivi sono numerosi, mi limito all'ecologismo. 

Quando rifletto e scrivo i mie commenti non sono insoddisfatto, sono un punto di arrivo e di partenza. Così per le altre attività che faccio. Sul fatto che per ottenere il piacere, la soddisfazione si debba anche lavorare, faticare e a volte soffrire non ho dubbio, ma ne vale la pena. Che poi la soddisfazione, la felicità sia transitoria è altrettanto indubbio, i motivi li spiega benissimo la biologia evoluzionistica di Darwin. Una stabile, permanente soddisfazione o insoddisfazione  è uno stato incompatibile con la biologia e con la vita.

Da giovane ho studiato con entusiasmo Wilhelm Reich. In Analisi del carattere, secondo me giustamente, sosteneva che anche alla base del masochismo c'è la ricerca del piacere, la soddisfazione. L'artista ha mostrato un atteggiamento masochista. Personalmente non sono né masochista né sadico, atteggiamenti che sento distanti dal mio carattere.