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Immagine di sé

Aperto da doxa, 06 Ottobre 2024, 18:26:06 PM

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doxa

Nell'antica filosofia cosiddetta "classica" il Sé corrispondeva all'anima.

In ambito psicologico l'immagine di sé si riferisce alla percezione che una persona ha di sé stessa e  su cui poggia il suo "senso di identità".

Tutti noi abbiamo un'immagine del tipo di persona che crediamo di essere. Ciò, in parte, riflette il modo in cui gli altri ci vedono. Ma il sé rappresenta una nostra creazione, frutto di pensiero riflessivo e capacità rappresentativa.

Il neuro-scienziato italiano Giorgio Vallortigara in un suo articolo titolato "Viaggio in una mente senza immaginazione", pubblicato  sul quotidiano Il Sole 24 Ore, del 22 settembre scorso, evidenzia che la mente umana è capace di  generare un insieme di dimensioni identitarie: immagina continuamente la realtà: è come se, sullo sfondo di quel che vede e comprende, essa immaginasse diverse versioni di realtà e le comparasse continuamente con la realtà vera, facendo aggiustamenti e percependo, in fondo, solo gli scostamenti. Questa capacità di immaginazione ha conseguenze importanti sul modo in cui viviamo. Infatti l'immagine di sé ha un ruolo determinante  nella vita di un individuo,  perché influisce sulle sue scelte e sulle relazioni interpersonali.

Nelle nostre interazioni quotidiane con gli altri quasi mai c'è la  consapevolezza di quanto la percezione di noi stessi vari nello spazio e nel tempo, risultando spesso in un compromesso tra visioni, aspettative e percezioni differenti.
Siamo diversi a seconda del ruolo e questo è spesso condizionato  dall'ambiente in cui ci troviamo.



Possiamo cambiare atteggiamento, capacità e persino mentalità quando siamo in circostanze diverse. Non si tratta di fingere o di mentire:  avere diverse identità secondo l'occasione è comune e "normale".

Lo spostamento tra i sé diventa più visibile nei momenti di passaggio: dal sé in vacanza al sé al lavoro, per esempio.
Siamo sempre la stessa persona ma la prospettiva lo  cambia, con conseguente cambiamento del nostro modo di comportarci e le sue conseguenze.
L'elaborazione avviene nella nostra mente, mentre le conseguenze in termini di scelte e comportamenti danno forma all'interazione con gli altri. 

Nel corso della nostra vita, abbiamo dovuto abbandonare delle idee di noi: di quel che avremmo voluto o potuto essere e non siamo diventati.

Sono i nostri possibili sé passati, che restano con noi sotto forma di rimpianto, desiderio, nostalgia di quel che avrebbe potuto essere, apparendoci a volte anche più vividi dei ricordi, perché nella nostra immaginazione non hanno dovuto confrontarsi con la realtà.

I nostri possibili sé passati sono compagni di viaggio che abbiamo frequentato solo nella nostra immaginazione: che abbiamo amato nel loro potenziale e poi, col senno di poi, abbiamo scoperto di aver perso.

Come ci fanno sentire, che cosa proviamo per quella parte di noi che "non è stata"?  Secondo Vallortigara fa differenza per il modo in cui vediamo noi stessi nel presente, se siamo in pace con quella parte della nostra identità, se vi dialoghiamo e se lo facciamo con una forma di tenerezza, se ci perdoniamo insomma per quel che abbiamo perso o mai raggiunto.

I possibili sé futuri. Forse non li abbiamo sempre in mente, ma sono una proiezione tipica dei momenti di transizione. Succede qualcosa nella nostra vita  e la nostra mente reagisce proiettando diverse possibilità di sé, della nostra identità in evoluzione che difficilmente diventeranno reali, ma che sono comunque importanti nel dare una direzione alla nostra vita.

Nei momenti difficili non riusciamo a immaginare chi diventeremo. Pensiamo che farlo sia una perdita di tempo, che tanto sarà il destino a decidere per noi.

I possibili sé futuri sono l'espressione della nostra percezione di libertà e auto determinazione: quando il contesto le riduce, anch'essi si riducono a delle ombre che riusciamo ad intuire.

I nostri possibili sé futuri sono dei compagni di viaggio con cui dialogare, pur sapendo che quelli di loro che diventeranno reali saranno ben diversi dal nostro immaginario: se abbiamo fatto pace con i possibili sé passati che non siamo stati, anche fallire i sé futuri ci farà meno paura e saremo più liberi di immaginarli.

Sono dimensioni identitarie di noi che convivono nella nostra mente, rendendo la nostra identità più ampia: alternandosi, scontrandosi, rigenerandosi a vicenda e influenzando il modo in cui vediamo, comprendiamo e diamo forma al nostro mondo. Possiamo ignorarle, rifuggirne la complessità, provare a ridurle a elementi monodimensionali apparentemente più facili da gestire e da inserire nei contenitori "semplici" di cui il mondo ci circonda, oppure possiamo riconoscerle e farcele amiche, e così facendo scoprire l'universo di possibilità che ci appartiene già... perché fa già parte della nostra vita.

doxa

#1
Nel precedente post ho citato il sostantivo immagine, che deriva dal latino "imago", e il mio pensiero vola a quando ero adolescente, alla costrizione di dover imparare a memoria le poesie, come quella titolata: 

"Alla sera"


Forse perchè della fatal quïete
Tu sei l'imago a me sì cara, vieni,
O sera! [...]

Per Foscolo la silenziosa  sera è come se offrisse un fermo immagine, tutto tace.  E medita il poeta sulla morte, considerata come "fatal quiete", il nulla eterno che libera l'individuo dai problemi quotidiani.


Niente tristezza, torno al tema.


Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, Narciso, olio su tela, 1597 – 1599,  Galleria Nazionale d'Arte Antica, Palazzo Barberini, Roma

Narciso è ritratto mentre si specchia nell'acqua di una fonte e cerca il contatto  fisico con il suo riflesso, di cui il fanciullo si è infatuato credendolo reale. In questo dipinto Caravaggio ritrae il momento che precede la scoperta dell'inganno: infatti, l'immagine che Narciso vede nella pozza d'acqua è la proiezione di sé stesso.

Il  ginocchio nudo fa da centro di attrazione visiva e l'ampia manica della bianca camicia accompagna lo sguardo dell'osservatore  verso la sua mano  sinistra immersa nell'acqua nel tentativo di abbracciare quella forma ingannevole di sé, come narrato da Ovidio nelle Metamorfosi.

Nelle fonti letterarie greche Narciso muore annegato nel tentativo di raggiungere l'altro (sé), invece nelle Metamorfosi di Ovidio (libro III, vv. 339 – 510) il giovane muore di dolore e il corpo sparisce, lasciando il posto al fiore che porta il suo nome: Narciso !

Dal  sostantivo "immagine" deriva il verbo  immaginare, il sostantivo immaginazione, l'aggettivo immaginario, l'aggettivo immaginifico (sarebbe meglio imaginifico).

Immaginare: significa "vedere",  rappresentare con la fantasia cose, persone e avvenimenti in forma di immagini.
Lo psicologo  Stephen M. Kosslyn ha  fatto ricerche sulla percezione ed ha scoperto che a livello neuro-cellulare l'immaginare visivamente delle cose non è differente dal vederle. Questo assunto è la base della pratica di immaginazione motoria che consiste in una simulazione mentale di azioni e viene usata in ambito sportivo, riabilitativo, psicoterapico.

Immaginazione: è la facoltà del pensiero di interpretare la realtà.
Come attività dell'intelletto è  considerata facoltà creatrice. Si pensi allo straordinario potere dell'immaginazione nella lettura di un libro.

L'immaginazione ci permette di visualizzare nella mente ricordi del passato o  eventi che potrebbero accadere nel futuro.
Artisti o scienziati hanno potuto creare con la loro immaginazione opere d'arte o nuovi modi di interpretare i fenomeni della realtà.
Nel bambino l'immaginazione, ed insieme ad essa il gioco, è la base per la formazione delle strutture psichiche di quello che sarà poi l'individuo adulto. Il gioco simbolico si basa infatti sulla possibilità di immaginare, di fare "come se", di costruire una realtà anche senza la realtà. Questo è il primo passo per la nascita del pensiero razionale e di un rapporto con il mondo.

Immaginario: che è effetto dell'immaginazione, che non esiste se non nell'immaginazione. 

Immaginifico (= creatore d'immagini)  fu detto Gabriele D'annunzio, che nel suo romanzo titolato "Il fuoco" usa questo attributo per definire il giovane e geniale poeta  Stelio Effrena, personaggio della narrazione col quale lo scrittore abruzzese dissimula sé stesso.

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Oggi vi "offro" il  potere dell'immaginazione, in lingua greca antica: "eikasia" =  rappresentazione mentale tramite immagine. 

Il filosofo e scrittore francese Michel de Montaigne nel saggio "Della forza dell'immaginazione" scrisse:  "Fortis imaginatio generat casum" (= Una forte immaginazione genera l'evento).

L'immaginario è un prodotto dell'immaginazione, che a sua volta produce l'immagine.

L'immaginazione è indipendente dalla vista ed è fondamentale per l'attività creativa. Inoltre, ci permette di intuire, di elaborare nuove idee, rappresentare con la fantasia cose, persone, e avvenimenti in forma di immagini. Per esempio lo scrittore Ludovico Ariosto nell'Orlando furioso immagina il duca Astolfo a cavallo dell'Ippogrifo  che vola verso la Luna  per recuperare la ragione di Orlando. Là ci sono tutte le cose che si perdono sulla Terra.



I bambini immaginano partecipare ad avventure, le considerano vere.

Se immagino il mare e il golfo che ho frequentato nell'infanzia e nell'adolescenza, mi sembra di vedere  quel mare, e all'orizzonte  il sole che pare emergere durante l'alba, oppure immergere al tramonto.  Oltre a ciò, mi piace immaginare  anche il mormorio delle onde, la brezza marina. Sono illusioni tramite l'immaginazione.


Tutti immaginiamo chi vorremmo essere o cosa vorremmo avere, immaginiamo  per cercare una momentanea fuga dalla realtà  in altri mondi e scenari.


La parola "immaginazione" viene spesso usata come sinonimo di "fantasia", dal latino  phantasia  (= "mostrare", "apparire"), ma la  psicologia cognitiva e le neuroscienze hanno introdotto una significativa differenziazione tra due processi mentali, denominati in inglese imagery e imagination.


Imagery è il processo di produzione di immagini mentali, generate  all'interno della mente senza una fonte esterna di stimolazione (che dà luogo invece a 'ciò che è percepito' o percetto).

L'aggettivo "mentale" viene usato per evidenziare  l'origine interna dell'immagine, consentendo di indicare prodotti che non hanno alcun riferimento a oggetti o stimoli della realtà esterna.

Imagination è invece il processo di combinazione creativa delle immagini, che spesso viene indicato in italiano con fantasia: un insieme di operazioni mentali implicate nella produzione artistica, ma anche in forme di attività mentale, come le fantasie infantili,  oppure le fantasie sessuali: sono immagini mentali sessualmente eccitanti.  Queste sono presenti anche nelle coppie che tendono alla monogamia. Capita che la loro mente vaghi alla ricerca di qualcosa di nuovo, di eccitante, anche con altri partner.


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Nell'antica lingua greca l'immagine mentale era detta "eidolon" (= apparizione, fantasma), in seguito tale parola venne ampliata di significato per definire anche un tipo di immagine materiale, per esempio la statua che raffigura una divinità: l'idolo, da "eidos" (= simile a...).

Gli idoli erano rappresentazioni degli dei e agli idoli erano dedicate le pratiche religiose perché credevano che le immagini fossero compenetrate dalla potenza divina. Gli idoli venivano consacrati con complesse cerimonie, diventando contenitori della divinità.

Le immagini mentali possono esprimersi in dipinti, sculture, poesie, musica, danze, ecc.

Il pittore surrealista René Magritte realizzò il dipinto titolato "Il tradimento delle immagini": raffigura la pipa su uno sfondo uniforme e l'aggiunta della seguente frase:  "Questa non è una pipa".

E' vero non è un oggetto reale, ma solo la sua raffigurazione, che l'artista  belga ripropose più volte nei suoi dipinti.



René Magritte, Ceci n'est pas une pipe, dipinto a olio su tela, 1929,  Los Angeles County Museum of Art

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L'immagine di sé, o self image, è la rappresentazione mentale che un individuo ha di sé stesso con i propri tratti caratteriali, i sentimenti e i comportamenti. Si giudica da solo  basandosi sulle proprie esperienze. Se prevalgono quelle negative cala l'autostima.



Il modo in cui l'individuo considera sé stesso non dipende solo dalle riflessioni personali sulle proprie caratteristiche,  ma anche da come è percepito dagli altri, il "Sé sociale": egli immagina come gli altri  lo valutano.

Il timore del giudizio altrui  nei propri confronti è frequente e normale, in particolare quando l'autostima è bassa  e subentra il disturbo di "ansia sociale".

Temiamo di essere giudicati per l'aspetto, l'atteggiamento, la personalità, le nostre scelte. Temiamo l'umiliazione, il rifiuto, il disprezzo.

Vogliamo essere ben valutati e lodati. In caso contrario ci sentiamo frustrati. Ma In questo modo rischiamo di anteporre le critiche altrui avanti i nostri bisogni pur di farci accettare.

Ci sono individui che sono  "specializzati" nel criticare gli altri. Feriscono l'orgoglio di una persona e la inducono a mettersi sulla difensiva, a giustificarsi per ciò che ha fatto, a sentirsi inferiore, a chiudersi in sé stessa.

Il giudizio critico spesso si basa sulle apparenze, non conoscendo il vissuto di un individuo, i suoi sentimenti. A questo proposito c'è una "parabola".

Un conoscente disse a Socrate:  "Ho saputo delle cose sul tuo amico, vuoi saperle ?".

"Un momento", rispose Socrate.  "Prima di raccontarmele  vorrei informarti della "regola dei tre setacci".

"I tre setacci ?, rispose il pettegolo".

Sì,  continuò Socrate. "Prima di raccontare  maldicenze verso gli altri  è necessario riflettere riguardo a ciò che si vuol dire.

Il primo setaccio è la verità. Hai verificato se quello che mi dirai è vero?".  "No...,  ne ho solo sentito parlare." "Perciò non sai se è la verità !. 

Continuiamo col secondo setaccio, quello della bontà. Quello che vuoi dirmi sul mio amico, è qualcosa di buono ?" "Ah no, al contrario!". "Dunque", continuò Socrate, "vuoi raccontarmi brutte cose su di lui e non sei nemmeno certo che siano vere".

Il terzo setaccio, quello dell'utilità. È utile che io sappia cosa avrebbe fatto questo amico?". "No, davvero.". "Allora", concluse Socrate, "se ciò che volevi raccontarmi non è né vero, né buono, né utile, io preferisco non saperlo; e consiglio a te di dimenticarlo."

La "regola dei tre setacci", in realtà, non è riconducibile ad alcuna tradizione antica. E' tratta dal libro "La via del guerriero di pace", dello scrittore statunitense  Dan Millman, nel quale racconta l'incontro e la sua esperienza con un maestro di vita, da lui chiamato Socrate.

Comunque la "parabola" invita a  domandarci se ciò che si vuol dire nei confronti di un'altra persona sia la verità, se è una cattiveria e se è utile farla sapere ad altri.

Charlie Chaplin diceva:  "Ti criticheranno sempre, parleranno male di te e sarà difficile che incontri qualcuno al quale tu possa piacere così come, sei! Quindi vivi, fai quello che ti dice il cuore, la vita è come un'opera di teatro, ma non ha prove iniziali: canta, balla, ridi e vivi intensamente ogni giorno della tua vita prima che l'opera finisca priva di applausi." Questa opinione fa riflettere.

doxa

#5
Oggi per colazione vi offro "self image e reputazione". Vi garba ? Pensate che al mattino è difficile da digerire?  ::)


Nel precedente post ho citato le frasi  "sé sociale" e "giudizio altrui": quando quest'ultimo è negativo può essere deleterio per l'individuo con bassa autostima.

La reputazione è la considerazione che gli altri hanno di una persona: il giudizio sociale, incentrato sull'immagine sociale dell'individuo; questa è  basata sull'esteriorità e sul comportamento.  Mostrarsi è il punto cardine di raccontare sé stesso.

La lesione della reputazione può avvenire in molteplici modi: non solo attraverso pettegolezzi o maldicenze, ma anche mediante l'insinuazione.

La diffamazione offende la reputazione altrui ed è un reato che prevede la punibilità dal Codice penale. Idem per l'ingiuria.

L'ingiuria tende ad offendere l'onore o il decoro di una persona, invece la diffamazione lede la reputazione.

Nell'ambiente sociale in cui viviamo, in particolare in quello lavorativo, gli altri osservano continuamente i nostri comportamenti ed esprimono opinioni sulle nostre competenze, la personalità, l'impegno, ed esprimono il loro giudizio.

Il processo di costruzione della propria reputazione necessita di tempo.

L'antico filosofo greco Socrate diceva che "il modo per ottenere una buona reputazione sta nell'agire per essere ciò che desideri apparire".

La buona reputazione è il capitale sociale di un individuo o di un'organizzazione, ed assicura credibilità e affidabilità.

Per evitare di restare paralizzati dal giudizio degli altri riguardo la propria reputazione, è importante verificare, se è possibile, sulla base di quali parametri si forma la loro opinione.

Quante vite spezzate, quanti sogni e progetti naufragati a causa della malvagia reputazione da parte di altri e ritenuta insopportabile!

Charlie Chaplin, a questo proposito, raccomandava: "Preoccupati più della tua coscienza che della reputazione. Perché la tua coscienza è quello che tu sei, la tua reputazione è ciò che gli altri pensano di te. E quello che gli altri pensano di te è problema loro".

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Di solito siamo convinti che ciò che noi percepiamo corrisponda esattamente alla realtà, non è così.
 
Le altre persone non ci vedono nello stesso modo in cui ci vediamo noi.
 
La teoria dell'Io riflesso, elaborata nei primi anni del '900 dal sociologo Charles Cooley ed esposta nel libro titolato: "Human Nature and the Social Order", evidenzia che la nostra identità oggettiva  e soggettiva si fondono per creare l'immagine  di come ci percepiamo. Simbolicamente, tale fusione può essere rappresentata con l'immagine riflessa in uno specchio, che ci permette di guardare il nostro viso, il nostro corpo ed è l'immagine  che ognuno ha di sé stesso: ci vediamo sempre come siamo abituati a vederci, ma  la nostra immagine riflessa nello specchio non corrisponde esattamente a come gli altri ci vedono.
 
Spesso ci sorprendiamo quando ci vediamo in una foto: quella è l'immagine che gli altri vedono di noi, però il giudizio estetico può variare da persona a persona.
 
Non è possibile avere accesso diretto ai pensieri degli altri, ma possiamo fare affidamento sul feedback che riceviamo. Le reazioni delle persone, i loro sguardi, i loro commenti possono darci un'idea di come veniamo percepiti.
 
Di solito è basso il livello di concordanza tra il giudizio che diamo del nostro aspetto estetico o della nostra immagine corporea e quello che ne danno gli altri. Non ci vediamo come gli altri ci vedono.
 
La nostra immagine corporea viene elaborata nel cervello: è un processo di integrazione fra percezioni,  cognizioni,  emozioni e sentimenti.
 
La rappresentazione mentale sia della forma e dimensione del nostro corpo  sia i sentimenti che proviamo per tali caratteristiche o per le singole parti può influire sull'autostima e causare problemi psicologici anche gravi, come l'anoressia e  la bulimia, innescate dall'eccessiva preoccupazione  per la propria esteriorità.
 

 
In particolare fra le donne è  diffusa la tendenza di guardarsi allo specchio e vedersi brutte, grasse e fuori forma.  Spesso  sono severe con sé stesse nel giudicarsi  e vedono difetti nel proprio corpo anche dove non ci sono.
 
Vari sondaggi tra le donne tra i 18 ed i 55 anni hanno rilevato che il 93 per cento di esse si considera brutta.
 
Non considerarsi bella/o viene definita: "Body Image Disturbing" (= disturbo dell'immagine corporea), che può causare problemi psicologici.
 
L'importanza che l'individuo attribuisce alla propria apparenza fisica e la discrepanza tra corpo percepito e corpo reale o ideale può creare problemi di autostima e, come sopra detto,  disturbi collegati all'alimentazione, come la bulimia e l'anoressia.
 
La distorsione della visione di sé, frequente nei casi di anoressia, è spesso il risultato della ricerca di magrezza, come indicata dalla moda e dai mass media per valorizzare la propria bellezza e l'aspetto esteriore.
 
Le persone affette da anoressia sono di solito insoddisfatte del proprio peso e aspetto fisico, in particolare sovrastimano alcune parti del loro corpo (seni, pancia, addome, glutei, gambe). La perdita di peso, nel tentativo di raggiungere l'immagine corporea ideale, le aiuta nell'autocontrollo, invece l'aumento ponderale determina in loro frustrazione e disistima.
 
Tra le adolescenti è diffusa l'insoddisfazione per il proprio corpo.

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L'immaginazione è una funzione cognitiva indispensabile in ogni ambito delle nostre attività mentali, per esempio quando attraversiamo la strada è utile capire  (immaginare)  la velocità delle automobili in arrivo.

Nell'interazione interpersonale usiamo l'immaginazione per comprendere meglio i comportamenti degli altri ma anche per usare migliori strategie nel rapportarci con loro. Questa abilità è denominata "perspective taking".

Per quanto riguarda l'immagine corporea,  la rappresentazione che ci formiamo nella mente del nostro aspetto fisico deriva dalle informazioni provenienti dai diversi tipi di recettori sensoriali che dalla periferia del corpo raggiungono la corteccia cerebrale e vengono sintetizzati dal sistema nervoso centrale. Ma le  informazioni sensoriali non bastano. Vengono integrate da altre: i fattori socio-ambientali, le esperienze, l'autostima ecc..

La costruzione mentale della propria immagine corporea comincia fin dai primi mesi di vita. Poi, negli  anni dell'adolescenza l'immagine viene modificata dai cambiamenti fisici.

L'adolescente costruisce una sua immagine ideale osservando il proprio corpo con quello dei pari, confrontandosi con persone che egli fisicamente ammira, segue le indicazioni che il suo ambiente culturale dà sulla bellezza e la prestanza fisica.

Anche l'influenza di amici e conoscenti ha un peso importante, soprattutto nel periodo dell'adolescenza, quando essere considerati attraenti significa maggiore accettazione dagli altri.

Le crisi adolescenziali sono fisiologiche e spesso basate sull'insoddisfazione del proprio aspetto fisico, da cui scaturisce la conflittualità tra l'immagine corporea e quella ideale, connessa con i valori sociali e le influenze culturali.



E' notevole l'influenza dei mass media sullo sviluppo  dei disturbi dell'immagine corporea. I mezzi di comunicazione di massa  mostrano ideali di bellezza che si discostano dalla media della popolazione e generano l'insoddisfazione di sé. La consideriamo inadeguata rispetto ai modelli  socialmente proposti. Ci vediamo con dei difetti e, se si può, tentiamo di eliminarli o nasconderli tramite diete, esercizi ginnici, la cosmesi od interventi di chirurgia estetica.
Nella maggior parte dei casi questa conflittualità termina quando l'adolescente accetta la sua identità, anche sessuale,  e c'è la fusione dei due tipi di immagine.

Se  il contrasto tra immagine corporea e l'immagine ideale persiste il conflitto diventa problematico.

Tutti, giovani e meno giovani, vorrebbero essere belli, fisicamente perfetti, ma la natura è indifferente ai nostri desideri.

L'immagine corporea femminile subisce modifiche anche durante la gravidanza. Per nove mesi l'organismo si adatta alla gestazione, e di solito c'è l'accettazione del cambiamento nella forma fisica.

La non accettazione della propria immagine corporea può creare conseguenze psicosomatiche e gravi problemi con l'alimentazione, come la bulimia  e l'anoressia. L'anoressica usa il corpo come campo di battaglia tra psiche e soma, considera il suo corpo o una parte di esso come un persecutore da controllare.

I disturbi dell'immagine corporea  coinvolgono la percezione, le emozioni, la parte cognitiva, il comportamento, possono assumere forme differenti.

Dal punto di vista cognitivo i disturbi dell'immagine di sé compaiono quando si hanno aspettative irrealistiche. La difficoltà ad accettare la propria immagine può generare sfiducia, vergogna, tristezza, ansia, sottovalutazione delle proprie potenzialità e progressivo isolamento sociale per evitare l'evitamento delle situazioni in cui il proprio aspetto  può essere sottoposto allo sguardo ed al giudizio altrui.


doxa

Ieri ho fatto una sosta in libreria ed ho letto un paio di pagine del libro titolato: "Il coraggio di non piacere. Liberati dal giudizio degli altri e trova l'autentica felicità" (edit. De Agostini). Gli autori sono due  giapponesi: uno si chiama Ichiro Kishimi (filosofo e psicologo adleriano),  l'altro Fumitake Koga, scrittore di saggi.



E' diviso in cinque notti. In ognuna di esse c'è il dialogo tra un giovane insoddisfatto della propria vita e un saggio maestro (= Ichiro Kishimi).

Il giovane crede che la serenità o felicità sia soltanto illusione nel mondo dominato dall'apparire, dal mostrarsi più di quel che si è.

Invece il maestro è convinto che in questo nostro mondo caotico è importante vivere nel presente, lasciando andare il passato, essere sé stessi senza farsi condizionare  dal giudizio o dalle aspettative degli altri: "Ciò che gli altri pensano di noi  -se ci apprezzano oppure no-  è soltanto una loro opinione, non la nostra".

Serve il coraggio di scegliere, di cambiare, di essere liberi. E' sbagliato voler piacere a tutti per essere ammirati,  per il timore di non piacere abbastanza e di essere emarginati.


daniele22

Ciao doxa, condivido l'idea che per stare meglio bisognerebbe sforzarsi di stare nel presente, e la condizione ideale per poterlo fare è quella di essere ricchi e non dover lavorare, o in alternativa essere innamorati del proprio lavoro ... diciamo che io tendo più all'ozio che al lavoro.
Anche guardando la pubblicità in tv, specie quella delle automobili, emerge spesso questa ambizione a essere "sé stessi". Purtroppo sembra che stia diventando una moda, anzi ormai lo è già da un po'. Ma nella nostra società non è facile scivolare nel presente trovando una comoda posizione tra sé stesso e sé stesso con gli altri senza entrare a volte in duri conflitti, e con te stesso e con gli altri. L'orgoglio, tra altri motivi, è senz'altro un fattore decisivo. Per conto mio, meno si è orgogliosi più facile sarebbe trovare un'accomodante via ... e non è poi così difficile sbarazzarsi dell'orgoglio, valutandolo caso per caso, quando le sue insidie ci appaiano evidenti. La domanda, in quel momento del presente, difficilmente si scosterà dal "sei certo di andare avanti?
Un saluto

doxa

Daniele ha scritto
Citazione L'orgoglio, tra altri motivi, è senz'altro un fattore decisivo. Per conto mio, meno si è orgogliosi più facile sarebbe trovare un'accomodante via ... e non è poi così difficile sbarazzarsi dell'orgoglio, valutandolo caso per caso, quando le sue insidie ci appaiano evidenti. La domanda, in quel momento del presente, difficilmente si scosterà dal "sei certo di andare avanti?


Ciao Daniele, paziente lettore dei miei post.

L'orgoglio, bell'argomento, meritevole di un topic.

L'orgoglio deriva dall'autostima, dalla consapevolezza di sé e delle proprie capacità. Ma se l'orgoglio è immotivato, se l'individuo eccede in quel che crede di sé, viene considerato un superbo o un vanesio.

L'orgoglio può indurre a sentirsi perfetti e superiori agli altri, ma spesso l'individuo orgoglioso è reduce da una "ferita" psicologica che provoca un senso di inferiorità. Nasconde fatti o eventi che l'hanno reso insicuro per errori commessi oppure offese subite da altri in passato.

In ambito religioso l'eccessivo orgoglio viene considerato superbia, come tale  è uno dei "sette peccati capitali".  

L'orgoglio, in senso psicologico,  viene diviso in due sottogruppi:

l'orgoglio negativo (falso), è quello dell'arroganza e del compiacimento (l'hybris greco, che significa   "tracotanza", "eccesso", "superbia", che può essere anche patologico);

l'orgoglio positivo,  promuove fiducia nelle proprie capacità e volontà di realizzazione, induce autostima.
 
I due tipi di orgoglio non sono molto diversi fra loro: diversi invece possono essere i modi di relazionarsi delle persone, di empatizzare con gli altri, di comunicare ciò che provano.

Torno al tema.
 
Il noto  filosofo  tedesco Arthur Schopenhauer (1788 – 1860) scrisse anche un breve saggio titolato: "Il giudizio degli altri":  è il quarto capitolo del suo noto  libro "Aforismi per una vita saggia".  Tale capitolo è stato fatto diventare un testo autonomo col titolo "L'arte di ignorare il giudizio degli altri".
 
Schopenhauer dice che  un difetto fondamentale dell'essere umano è quello di preoccuparsi troppo del giudizio altrui,  perché può essere motivato dall'ignoranza o dall'invidia. "Chi è consapevole di non meritarsi un'accusa può tranquillamente ignorarla".
 
L'economista ed imprenditore  statunitense Warren Edward Buffett scrisse: "Ci vogliono vent'anni per costruirsi una buona reputazione e cinque minuti per rovinarla. Se pensi a questo, farai le cose in modo diverso".
 
La reputazione è condizionata dal gruppo di riferimento, il quale usa valori e criteri di giudizio propri, che possono essere differenti da quelli di altri gruppi. Per esempio, in un gruppo di delinquenti un criminale può avere un'ottima reputazione, il rispetto, l'ammirazione, e continuamente giudicato degno di apprezzamento.
 
Da questo punto di vista la reputazione è uno strumento di controllo sociale. Esprime il valore che un gruppo attribuisce ai comportamenti desiderabili.
 
Nell'ambito lavorativo le persone desiderano essere considerate  competenti, attive, però è impossibile  sapere veramente cosa gli altri pensano di noi o come ci descrivono.
 

 
Tra auto-percezione e reputazione (che può essere positiva o negativa) c'è un necessario rapporto che coinvolge l'autostima e l'identità personale da un lato, e l'opinione degli altri su di noi, dall'altro.

doxa

Daniele  sono giunto fuori tempo massimo per correggere il capoverso riguardante Schopenhauer. Va letto in questo modo: 

Il noto filosofo tedesco Arthur Schopenhauer (1788 – 1860) nel primo tomo di "Parerga e paralipomena" scrisse anche un breve saggio titolato: "Aforismi sulla saggezza della vita", fatto diventare un testo autonomo col titolo "L'arte di ignorare il giudizio degli altri".
Schopenhauer dice che diamo troppa importanza alle opinioni degli altri su di noi e che i loro giudizi condizionano i nostri comportamenti. Consiglia di imparare a vivere pensando al nostro benessere e alla nostra serenità.  ::)

daniele22

Ciao doxa. Leggo in effetti i tuoi post, li trovo rilassanti.
A volte camminando mi capita di avere in mano una pallottolina di carta da gettare. Quando vedo un cestino raccolta rifiuti la lancio da un paio di metri e se faccio centro mi dico ... "che ffigo che te si" (penso in veneto). Se sono le sette del mattino mi dico pure che quello sarà quasi certamente un giorno nato sotto una buona stella.
Eccoti dunque un bell'esempio di autogratificazione, potenziale promotrice di autostima che però viene smorzata da quella associazione che sfiora la superstizione quando il fatto si verifichi appena sceso dal letto. Eh già, la metafisica ... L'orgoglio, come hai messo ben in evidenza, è una bestia particolare perché si nutre dell'altrui gratificazione. Penso che si tratti di uno spontaneo motto transitorio dell'animo in situazioni occasionali a fronte di un atto meritorio, ma noto che nel nostro tessuto sociale vi sia una tendenza alla cronicizzazione del fenomeno con gravi ripercussioni a livello individuale e sociale. In sostanza: si gratifica e si mortifica con troppa spensieratezza.Un saluto