Il Dubbio (e la filosofia)

Aperto da Apeiron, 08 Maggio 2017, 21:42:43 PM

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Apeiron

#45
Citazione di: green demetr il 16 Maggio 2017, 01:35:11 AMAmico Apeiron, A proposito di tranelli del linguaggio! io sono induista (lo yoga regale di patanjali, sono arrivato al quarto stadio.) Mi sono interessato al buddismo di SON IKKYU. Mi sono interessato allo zen. Mi sono interessato alle forme devozionali e razionali dell'INDUISMO. Non sono cristiano. Per questo ci unisce la passione per l'orientale. Mi sto affacciando con curiosità sul mondo cristiano, penso che ogni religione contenga in sè una saggezza, che NON si può ignorare. La dottrina cristiana per me non è stata così dannosa, in quanto non l'ho mai coltivata. ;) Vieni insieme a me e Angelo a parlarne sul 3d la vita spirituale. Dubbio e religione si sposano meglio che Dubbio e filosofia. Mi vien da pensare così sul momento. ciao a presto. :)

Perdonami, non lo sapevo e ti ho frainteso. In ogni caso ci sono anche cristiani che sono di mentalità aperta. Il Bello delle religioni orientali è che tutte tendono ad assumere la "via negativa". In ogni caso ritengo anche le filosofie orientali migliorabili anche grazie ad un confronto con l'occidente. Quello che sto facendo io è cercare di raccordare. Porbabilmente però lo sto facendo nel momento sbagliato della vita:)

Citazione di: Angelo Cannata il 16 Maggio 2017, 00:48:42 AMVolendo si può reagire ribadendo ciò che hai detto, l'utilità dell'inutile, e quindi sostenendo che è il mondo a sbagliare. Però chiudersi in modo unilaterale in una posizione del genere significa chiudersi all'ascolto del mondo. Almeno credo che si debba tentare di mettere insieme le due cose e farle dialogare (il che non è una via di mezzo, personalmente odio le vie di mezzo). Se dubiti dell'utilità dell'inutile, significa che dubiti dell'importanza dell'arte, di un saluto dato a un amico parlando del tempo che fa, di un brano di musica classica ascoltato appassionatamente o spassionatamente. Se dubiti di queste cose, per me è sintomo di un filosofare sbagliato (anche per filosofare ci vuole la patente, buttarcisi da sprovveduti è come giocare da inesperti con il coltello tagliente di cui ho parlato sopra). Un filosofare sbagliato può essere per esempio restringere il filosofare all'uso del cervello e non mescolarci umanità, sensibilità, esperienze umane, coinvolgimento emozionale, che però devono lavorare per un dialogo col cervello, non dev'essere un puro mescolare. Altrimenti è logico che si va a finire nell'ostinazione a chiedere al cervello la spiegazione di tutto, il fondamento di tutto, la soluzione a tutto, dimenticando che, per certi versi, il nostro cervello si può considerare anche semplicemente come un organo al pari degli altri, come sono un braccio, un piede. La consapevolezza che il cervello ci dà è un'esperienza grande, enorme, ma non è tutto.

Un filosofare che non prende mai posizioni però non è visto come "utile":) In ogni caso io sono d'accordo con quanto hai scritto. Ma siccome - penso come te - vivo questa posizione fino in fondo riconosco che è isolante, non interessa a nessuno, ostacola il benessere nella società ecc. Inoltre può condurti paradossalmente alla "megalomania", ossia al considerarsi una sorta di "profeta".

Nietzsche per me è l'esempio classico e mi ci vedo molto. Diceva di usare il dubbio come "arma principale" e quello che è successo è che, specialmente dal 1879 in poi dopo che ha lasciato l'insegnamento, oscillava tra posizioni opposte, proponeva delle idee e poi le ritrattava, scriveva delle cose ma sembra che vivesse e desiderasse "in fondo al cuore" l'opposto e aveva perfino sbalzi d'umore in quanto passava dalla depressione ad una "mania/euforia" che aveva quasi dei tratti deliranti. Questo purtroppo non è star bene. Per questo cerco anche di fermare il Dubbio,  il problema è che non so quanto.

P.S. Amico green demetr: non sono intervenuto ancora in quell'argomento perchè non ho idea di come definire la spiritualità. Ossia non so cosa voglia dire "per me", se non un ricercare in continuazione.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Angelo Cannata

Hai usato la parola "benessere" e poi marcato il "non è star bene". Io nutro sospetti riguardo al dare troppa importanza al benessere, oppure alla felicità. Preferirei mille volte essere nel malessere di Nietzsche, oppure nella sofferenza della croce di un Gesù, o di un Giovanni Falcone, piuttosto che nel benessere e nella felicità di chi non sta portando avanti nessuna lotta di cui essere orgoglioso. A questo proposito, tempo fa ho riflettuto sul fatto che il male vero non è soffrire; il male vero è non star lottando per qualcosa di cui essere orgogliosi. Se uno sta lottando con orgoglio per qualcosa, per lui la sofferenza non è più l'interrogativo senza risposta dei filosofi, ma solo un danno collaterale che passa in secondo piano, qualunque sia la sua intensità. Si potrebbe pensare che il dubbio crei timore proprio per questo: perché è in grado di indebolire o annullare l'orgoglio del lottare per qualcosa e in questo modo tutto diviene opprimente.

Apeiron

Vero, ma se vai in "sovraccarico" non è molto piacevole, specie se non hai come obbiettivo salvare l'umanità con una certezza di risorgere (Gesù), sacrificarsi nella lotta contro la mafia (Falcone) o "trasvalutare" tutti i valori (Nietzsche). Il mio obiettivo è molto più umile e di certo non salverò né il mondo né la patria e nemmeno rovescierò tutti i valori. Semplicemente il mio obbiettivo è "chiarire" ciò che già si sa e di certo non ho (razionalmente) l'aspirazione a far molto di più. Il "sacrificio" che uno fa deve essere proporzionale alle sue capacità e ai suoi obbiettivi, altrimenti è una sorta di "suicidio".E in ogni caso devi essere convinto nella tua causa per sopportare il sacrificio. Di certo non puoi essere soppraffatto dal Dubbio :)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Angelo Cannata

Secondo me ciò che ha dato forza ai personaggi eroici a cui stiamo facendo riferimendo non è stato lo scopo esteriore. Io ho parlato di orgoglio di lottare, ma ciò che ti sostiene non è la nobiltà della causa o la grandezza dello scopo. Se fosse solo questo, di fronte a certi pericoli estremi ritengo abbastanza probabile per qualsiasi eroe mandare al diavolo il mondo e ogni causa nobile e pensare a salvare la propria pelle. Penso che ciò che ti porta a non mollare neanche di fronte alle più grandi sofferenze, come la tortura, sia il fatto che quel certo obiettivo per cui lottare è diventato parte del tuo spirito, del tuo cuore, delle tue emozioni di ogni giorno, è ormai un pezzo del tuo corpo, del tuo essere. Insomma, è l'esperienza spirituale, il fatto interiore.
Se si tiene presente questo, allora si comprende che non è indispensabile che ci sia in ballo un causa universale, mondiale: basti pensare che per difendere la vita di un proprio figlio si può essere disposti a qualsiasi cosa, e la vita di un figlio non è la patria, né l'umanità del globo. In questo senso non ci sono da cercare grandi obiettivi; bisogna piuttosto cercare l'interiorizzazione e quindi qualcosa che meriti un lavoro di interiorizzazione compiuto tutti i giorni, affinché questo qualcosa diventi parte di noi. Da questo punto di vista è facile comprendere ancora meglio l'inferiorità e l'insufficienza del capire: non possiamo aspettare di capire tutto, non solo perché col 100% di probabilità ci ritroveremmo in punto di morte mentre ancora aspettiamo di capire per cosa lottare, ma soprattutto perché il capire, il chiarire, quand'anche fosse possibile, non sarebbe mai in grado di apportare dentro di noi la forza di ciò che è stato interiorizzato con un lavoro quotidiano portato avanti per anni. Da qui emerge che Gesù, Falcone, Nietzsche, Gandhi, Socrate, sono stati grandi non perché sono nati dotati di capacità superiori alle nostre, ma perché hanno individuato dei punti abbastanza definiti, pochi, e hanno lavorato tutti i giorni, per un'intera vita, per interiorizzarli.
Questo può aiutarci anche a capire la differenza dal kamikaze: anche il kamikaze dà la vita per una causa, ma egli non compie un lavoro quotidiano completo, cioè non si misura tutti i giorni con la crisi del mettere in questione ciò che intende interiorizzare: ecco il fanatismo. Gesù invece sì, nonostante i soliti indottrinati ignoranti possano ritenere che egli, in quanto Dio, non possa mai aver avuto dubbi e incertezze: le contraddizioni presenti nel Vangelo testimoniano, nonostante il filtro di fede con cui il Vangelo fu redatto, che Gesù fu una persona critica, anzitutto con se stesso, pur in mezzo alle sue ipocrisie. Perciò credo che ciò che rende davvero forti, grandi e in grado di un forte orgoglio di lotta non è la forte convinzione, che non sarebbe altro che fanatismo, ma qualcosa che preferisco paragonare ai muscoli del corpo: sono muscoli dello spirito, abituati ad esercitarsi tutti i giorni nel confronto con il dubbio e le crisi. Non per nulla si parla, sia in filosofia che nella religione, di esercizi spirituali.

Apeiron

Citazione di: Angelo Cannata il 18 Maggio 2017, 17:33:14 PMSecondo me ciò che ha dato forza ai personaggi eroici a cui stiamo facendo riferimendo non è stato lo scopo esteriore. Io ho parlato di orgoglio di lottare, ma ciò che ti sostiene non è la nobiltà della causa o la grandezza dello scopo. Se fosse solo questo, di fronte a certi pericoli estremi ritengo abbastanza probabile per qualsiasi eroe mandare al diavolo il mondo e ogni causa nobile e pensare a salvare la propria pelle. Penso che ciò che ti porta a non mollare neanche di fronte alle più grandi sofferenze, come la tortura, sia il fatto che quel certo obiettivo per cui lottare è diventato parte del tuo spirito, del tuo cuore, delle tue emozioni di ogni giorno, è ormai un pezzo del tuo corpo, del tuo essere. Insomma, è l'esperienza spirituale, il fatto interiore. Se si tiene presente questo, allora si comprende che non è indispensabile che ci sia in ballo un causa universale, mondiale: basti pensare che per difendere la vita di un proprio figlio si può essere disposti a qualsiasi cosa, e la vita di un figlio non è la patria, né l'umanità del globo. In questo senso non ci sono da cercare grandi obiettivi; bisogna piuttosto cercare l'interiorizzazione e quindi qualcosa che meriti un lavoro di interiorizzazione compiuto tutti i giorni, affinché questo qualcosa diventi parte di noi. Da questo punto di vista è facile comprendere ancora meglio l'inferiorità e l'insufficienza del capire: non possiamo aspettare di capire tutto, non solo perché col 100% di probabilità ci ritroveremmo in punto di morte mentre ancora aspettiamo di capire per cosa lottare, ma soprattutto perché il capire, il chiarire, quand'anche fosse possibile, non sarebbe mai in grado di apportare dentro di noi la forza di ciò che è stato interiorizzato con un lavoro quotidiano portato avanti per anni. Da qui emerge che Gesù, Falcone, Nietzsche, Gandhi, Socrate, sono stati grandi non perché sono nati dotati di capacità superiori alle nostre, ma perché hanno individuato dei punti abbastanza definiti, pochi, e hanno lavorato tutti i giorni, per un'intera vita, per interiorizzarli. Questo può aiutarci anche a capire la differenza dal kamikaze: anche il kamikaze dà la vita per una causa, ma egli non compie un lavoro quotidiano completo, cioè non si misura tutti i giorni con la crisi del mettere in questione ciò che intende interiorizzare: ecco il fanatismo. Gesù invece sì, nonostante i soliti indottrinati ignoranti possano ritenere che egli, in quanto Dio, non possa mai aver avuto dubbi e incertezze: le contraddizioni presenti nel Vangelo testimoniano, nonostante il filtro di fede con cui il Vangelo fu redatto, che Gesù fu una persona critica, anzitutto con se stesso, pur in mezzo alle sue ipocrisie. Perciò credo che ciò che rende davvero forti, grandi e in grado di un forte orgoglio di lotta non è la forte convinzione, che non sarebbe altro che fanatismo, ma qualcosa che preferisco paragonare ai muscoli del corpo: sono muscoli dello spirito, abituati ad esercitarsi tutti i giorni nel confronto con il dubbio e le crisi. Non per nulla si parla, sia in filosofia che nella religione, di esercizi spirituali.

Comprendo e sono d'accordo. Dunque il segreto è: avere sì obbiettivi e "convinzioni" precise. Lottare sì per una causa. MA farlo partendo da una trasformazione interiore in modo che si evita il fanatismo.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Angelo Cannata

Cambierei qualcosa nella tua ultima frase.

Non chiamerei "trasformazione" il lavoro di interiorizzazione: non hai lo scopo di diventare un altro. Per me lo scopo è il lavoro stesso: ciò che conta è essere in continuo lavoro di miglioramento. Può nascere la domanda "Migliorarsi in che direzione?"; per me la risposta sta nel raccogliere la storia; cioè, nel presente si fa, momento per momento, una sintesi del proprio essere e sarà tale sintesi a dettare in continuazione cos'è il meglio.

Dunque, parte quindi avviando un lavoro di interiorizzazione e lo si porta avanti per tutta la vita.

Quanto al fanatismo, non mi sembra che l'interiorizzazione protegga da esso: il kamikaze infatti è proprio uno che ha interiorizzato certe convinzioni. Ciò che fa evitare il fanatismo mi sembra piuttosto il dubbio, l'autocritica, l'interrogarsi su tutto: se il kamikaze si chiedesse "Ma cosa sto facendo? Che senso ha? Chi mi assicura di essere nel giusto? Come farò a sapere se sto sbagliando o no?" gli sarebbe impossibile portare a termine la sua missione distruttrice.

Se poi si teme che il dubbio blocchi non solo il kamikaze, ma ogni azione umana, per me trovo la risposta in ciò che ho detto sopra: al momento di fare delle scelte io cerco di mettere insieme tutto ciò che ho capito finora, ciò che mi ha influenzato, ciò che so e sento del mondo, incluse le emozioni, e agisco, volta per volta, secondo gli orientamenti provvisori che mi vengono da questa sintesi.

Apeiron

#51
Citazione di: Angelo Cannata il 19 Maggio 2017, 14:28:44 PMCambierei qualcosa nella tua ultima frase. Non chiamerei "trasformazione" il lavoro di interiorizzazione: non hai lo scopo di diventare un altro. Per me lo scopo è il lavoro stesso: ciò che conta è essere in continuo lavoro di miglioramento. Può nascere la domanda "Migliorarsi in che direzione?"; per me la risposta sta nel raccogliere la storia; cioè, nel presente si fa, momento per momento, una sintesi del proprio essere e sarà tale sintesi a dettare in continuazione cos'è il meglio. Dunque, parte quindi avviando un lavoro di interiorizzazione e lo si porta avanti per tutta la vita. Quanto al fanatismo, non mi sembra che l'interiorizzazione protegga da esso: il kamikaze infatti è proprio uno che ha interiorizzato certe convinzioni. Ciò che fa evitare il fanatismo mi sembra piuttosto il dubbio, l'autocritica, l'interrogarsi su tutto: se il kamikaze si chiedesse "Ma cosa sto facendo? Che senso ha? Chi mi assicura di essere nel giusto? Come farò a sapere se sto sbagliando o no?" gli sarebbe impossibile portare a termine la sua missione distruttrice. Se poi si teme che il dubbio blocchi non solo il kamikaze, ma ogni azione umana, per me trovo la risposta in ciò che ho detto sopra: al momento di fare delle scelte io cerco di mettere insieme tutto ciò che ho capito finora, ciò che mi ha influenzato, ciò che so e sento del mondo, incluse le emozioni, e agisco, volta per volta, secondo gli orientamenti provvisori che mi vengono da questa sintesi.

Grazie Angelo, bellissima risposta :)

In sostanza quello che ci vuole è una sorta di "scetticismo leggero", ossia essere sempre aperti a rivedere le proprie convinzioni (che inevitabilmente ci facciamo) ma non bloccarsi nell'inazione. La classica "Via di Mezzo"...

P.S./Off_Topic Per green demetr (ma per tutti quelli interessati...). Ho avuto occasione, proprio oggi, di parlare con un mio amico teologo a riguardo di "fede e dubbio" e mi ha detto un sacco di cose interessanti e mi ha ridestato l'interesse per il cristianesimo. Se riesco scriverò un topic a riguardo ("riesco"=riuscire a scrivere un "topic" chiaro e all'altezza che non crei più confusion che altro).
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Angelo Cannata

Personalmente non vedrei il mio scetticismo come "leggero". Se qualcuno mi dicesse che il mio scetticismo è leggero, mi preoccuperei. Tengo, nel mio, a mettere in questione tutto, perché lasciare qualcosa immune da ciò sarebbe per me come cercare dopo aver stabilito che ci sono una o più stanze in cui è vietato cercare. A quel punto per me la ricerca perde senso, perché ciò che cerco potrebbe sempre trovarsi proprio nelle stanze proibite.

Il mio modo per non bloccarmi non consiste nel moderare il dubbio, nel mettere redini all'autocritica; consiste piuttosto nel coltivare un tipo di ascolto che sia il più completo possibile, che dia voce quindi non soltanto alla razionalità, ma anche alle emozioni, all'istinto, alle critiche altrui, alle sensazioni di ogni tipo. È questo tipo di ascolto a dirmi che c'è da ascoltare non solo il dubitare, ma anche il mio essere umano, la mia fisionomia, la storia specifica di questo pianeta, che non è un pianeta qualsiasi, ma ha dei suoi precisi particolarismi. È la razionalità a far nascere il dubbio, ma ho già detto altrove che il dubbio non esiste mai da solo, ma sempre in qualche essere umano; come tale, il dubbio deve misurarsi anche con la situazione psicologica, le spinte del nostro DNA, i sentimenti, ecc. Dare ascolto a tutto ciò mi consente di non bloccarmi mai.

Ho sempre odiato le vie di mezzo, perché mi sanno di ipocrisia, mancanza di personalità, non avere qualcosa di forte per cui lottare, saltare sul cavallo vincente a seconda di come si mettono le cose. In Apocalisse 3,14-16 Dio rimprovera una delle comunità cristiane del tempo e dice: "All'angelo della Chiesa di Laodicèa scrivi: Così parla l'Amen, il Testimone fedele e verace, il Principio della creazione di Dio: Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca". È un passo interessante, perché sembra proprio dire che di fronte a Dio è meglio essere molto cattivi, piuttosto che mezze cartucce. Si potrebbe pensare che la persona molto cattiva lo è perché ha dentro qualcosa di forte, e questo qualcosa di forte fa sperare di poter essere volto in entusiasmo di lotta per scopi costruttivi.

Apeiron

Citazione di: Angelo Cannata il 19 Maggio 2017, 20:58:52 PMPersonalmente non vedrei il mio scetticismo come "leggero". Se qualcuno mi dicesse che il mio scetticismo è leggero, mi preoccuperei. Tengo, nel mio, a mettere in questione tutto, perché lasciare qualcosa immune da ciò sarebbe per me come cercare dopo aver stabilito che ci sono una o più stanze in cui è vietato cercare. A quel punto per me la ricerca perde senso, perché ciò che cerco potrebbe sempre trovarsi proprio nelle stanze proibite. Il mio modo per non bloccarmi non consiste nel moderare il dubbio, nel mettere redini all'autocritica; consiste piuttosto nel coltivare un tipo di ascolto che sia il più completo possibile, che dia voce quindi non soltanto alla razionalità, ma anche alle emozioni, all'istinto, alle critiche altrui, alle sensazioni di ogni tipo. È questo tipo di ascolto a dirmi che c'è da ascoltare non solo il dubitare, ma anche il mio essere umano, la mia fisionomia, la storia specifica di questo pianeta, che non è un pianeta qualsiasi, ma ha dei suoi precisi particolarismi. È la razionalità a far nascere il dubbio, ma ho già detto altrove che il dubbio non esiste mai da solo, ma sempre in qualche essere umano; come tale, il dubbio deve misurarsi anche con la situazione psicologica, le spinte del nostro DNA, i sentimenti, ecc. Dare ascolto a tutto ciò mi consente di non bloccarmi mai. Ho sempre odiato le vie di mezzo, perché mi sanno di ipocrisia, mancanza di personalità, non avere qualcosa di forte per cui lottare, saltare sul cavallo vincente a seconda di come si mettono le cose. In Apocalisse 3,14-16 Dio rimprovera una delle comunità cristiane del tempo e dice: "All'angelo della Chiesa di Laodicèa scrivi: Così parla l'Amen, il Testimone fedele e verace, il Principio della creazione di Dio: Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca". È un passo interessante, perché sembra proprio dire che di fronte a Dio è meglio essere molto cattivi, piuttosto che mezze cartucce. Si potrebbe pensare che la persona molto cattiva lo è perché ha dentro qualcosa di forte, e questo qualcosa di forte fa sperare di poter essere volto in entusiasmo di lotta per scopi costruttivi.

Il tuo scetticismo è "leggero" perchè mi ricorda ad esempio quello di Zhaungzi e di Pirrone, ossia uno scetticismo che non rifiuta la possibilità che si possa conoscere qualcosa (come quello di Cartesio prima della "svolta" dell'io penso). Questo però non vuol dire che il tuo scetticismo sia "dogmatico", anzi.ritengo che uno scetticismo come il tuo sia paradossalmente (ma in fin dei conti neanche tanto) un fortissimo aiuto per il progresso conoscitivo. Il tuo scetticismo in sostanza è uno scetticismo che riconosce la limitatezza del nostro sapere ma allo stesso tempo non lo "butta via".

Rifiuti sia la presunzione (ossia ritenere di sapere quello che non si sa) sia lo scetticismo assoluto. A differenza del passo biblico che hai citato ritengo che in questo campo si possa essere "forti" sia nel "caldo" (presunzione) sia nel "freddo" (scetticismo assoluto) sia nel "tiepido" (fallibilismo, il tuo relativismo, scetticismo "antico", scetticismo Zen, buddista, indù, taoista ecc).

P.S. Passi biblici come quello che hai citato faccio fatica a mandarli giù. In sostanza è come se preferisse il malvagio alla persona "ordinaria" e vorrebbe farti vedere le cose in "bianco e in nero" in un mondo dove tale visione delle cose ha creato solo guerre, intolleranze ecc ma anche disturbi mentali (scrupolosità, disturbo borderline per citarne alcuni). L'agape mira alla riconciliazione, alla pace, alla condivisione ma come hai già fatto notare tu la Bibbia è inconsistente.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Angelo Cannata

Tutto sommato mi considero d'accordo, ma non mi sembra di aver mai detto che la Bibbia sia inconsistente; cosa intendi per inconsistente?

Apeiron

Che ci sono contraddizioni nella Bibbia, a volte abbastanza palesi (se si interpreta alla lettera - in effetti avevo dimenticato questo importante dettaglio :-)  ). Da quelle più "sceme" tipo il nome del nonno di Gesù che è diverso tra i Vangeli a quelle ben più importanti come ad esempio quella sul "non giudicare". Ad esempio nel discorso della Montagna sembra preferibile "astenersi dal giudizio" mentre nelle lettere paoline e in quelle di Giovanni c'è scritto esplicitamente che "chi non dice che Gesù è Dio non è da Dio" oppure "considerate X anatema". Poi chiaramente l'interpretazione può colmare queste evidenti contraddizioni ma il fatto che ci siano contraddizioni è un bene e un male. Un bene perchè lascia spazio ad un po' di dubbio e così non si cade nel fanatismo ma un male perchè va a finire che non c'è una interpretazione che è "logicamente giusta" - l'ambiguità c'è sempre. Per esempio oggi l' "ipocrisia di Dio" la si "giustifica" dicendo che il linguaggio della Bibbia è umano e quindi è limitato (metodo storico-critico) ecc. Ma una volta Dio era non "giudicabile" e quindi tutto quello che faceva/diceva Dio veniva preso alla lettera. Quello che si è creato è il problema dei "dei mostri" come è scritto qui http://www.roangelo.net/logwitt/logwit53.html (avvertenza: è in inglese...). Sinceramente non vedo comunque come obbiettare ad un fanatico che dice: "Dio fa e dice sempre il Bene. Le azioni e le parole di Dio sono registrate nella Bibbia. Siccome sono azioni e parole di Dio allora sono buone. L'uomo è limitato e non comprende appieno il Bene. Ergo non può giudicare il Dio biblico". Chiaramente né io né la Chiesa (almeno post-concilio) né qualsiasi persona dotata di un minimo di spirito critico riesce ad accettare tale posizione MA ovviamente è molto "logica". 

Ad esempio se non ci fossero stati dubbi sulla "non-violenza" ("amate i vostri nemici...porgi l'altra guancia" ecc) di certo non si sarebbero bruciati eretici e streghe, non si sarebbero fatte crociate ecc. Tuttavia questo in realtà è chiaramente successo e immagino che ai loro tempi riuscivano a "giustificare" la cosa.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Angelo Cannata

#56
Vediamo di mettere un po' di ordine (ovviamente secondo me) tra le idee che hai espresso.

Primo. Se dobbiamo parlare della Bibbia non possiamo tener conto dei fanatici. Il fanatico è una persona che parla esclusivamente di se stesso, qualunque sia l'argomento di cui si parli. Quindi, parlare con un fanatico della Bibbia significa ingannarsi a vicenda, pensando di star parlando della Bibbia, mentre in realtà si sta parlando esclusivamente della mentalità del fanatico. Questo significa anche che al fanatico non è possibile porre alcuna obiezione, perché egli ti risponderà continuando a parlare di se stesso, deviando sistematicamente ogni argomento verso se stesso. Le radici dei problemi del fanatico non sono logiche, ma psicologiche, il fanatico è un malato. Non puoi pensare di aiutare un malato conducendolo a discorsi di apertura mentale o logica razionale: al malato servono cure adatte per lui, non gli servono obiezioni. Bisognerà vedere come mai si è cacciato in quel fanatismo e non è detto che si riesca ad aiutarlo. Naturalmente si può sempre pensare che egli sia l'unico sano e siano tutti gli altri ad essere malati; mi sembra che però emergano differenze nel momento in cui gli altri si sforzano di sfruttare ogni mezzo per autocriticarsi, mettersi in questione, mettersi nei panni altrui, riconoscere la serietà delle ragioni altrui, mentre il fanatico si limita esclusivamente a ribadire le proprie idee, senza dare alcun segno di disponibilità a mettersi in questione.

Secondo. Se dobbiamo parlare con frutto di qualsiasi argomento, dobbiamo selezionare il meglio che lo riguarda. In questo senso, se dobbiamo parlare di Bibbia dobbiamo selezionare il meglio delle ricerche al riguardo, quindi quelle ricerche che si dimostrano aperte, al corrente delle ricerche compiute da altri, facenti uso di senso critico; non ha senso parlare di Bibbia a partire da coloro che la leggono senza alcuna attenzione al contesto storico, sia della Bibbia che di noi lettori. Allo stesso modo, se dobbiamo tener conto delle posizioni della Chiesa riguardo a Dio e alla Bibbia, anche qui dobbiamo selezionare il meglio: non ha senso discutere delle idee della Chiesa a partire dai messaggi della Madonna a Medjugorie o dalle idee di chi non dimostra di praticare alcun senso critico: è necessario, almeno come sforzo, cercare di muoversi attraverso il meglio della Chiesa, non il peggio.

Terzo. Le scienze che si occupano della Bibbia non sono filosofie, cioè non ha molto senso presentare ad uno storico obiezioni filosofiche. Se uno storico ti dice che abbiamo prove che Garibaldi è esistito, non ha senso obiettargli che l'esistenza di ogni cosa potrebbe essere tutta un'illusione. Il motivo è che lo storico non intendeva dire che abbiamo prove metafisiche dell'esistenza di Garibaldi in senso ontologico; il suo non era un discorso filosofico, ma storico. Da questo punto di vista, il primo a vivere di sospetti riguardo alle prove è lo storico stesso: egli non si fida mai al cento per cento delle prove di esistenza di Garibaldi, ma il suo non è uno scetticismo filosofico, è uno scetticismo storico; cioè, egli sa che le prove potrebbero essere state fabbricate ad hoc da falsari: lo storico si pone dubbi a cui si possa reagire con ulteriori ricerche storiche, non con ragionamenti filosofici. Questo vale anche per lo studio della Bibbia dal punto di vista dell'interpretazione: in primo luogo non si tratta di interpretazione in senso filosofico, ma di studio scientifico dei significati, servendosi di tutti gli strumenti linguistici a nostra disposizione: vocabolari, grammatiche, filologia, semiotica, semantica, ecc. L'interpretazione dei contenuti della Bibbia da un punto di vista filosofico è un'altra cosa: essa viene praticata nel momento in cui intendiamo confrontare le idee della Bibbia con le nostre idee. Allora sì che nascono questioni filosofiche, perché sorge il problema di noi che stiamo interpretando anche noi stessi, oltre che la Bibbia. È il problema dell'attualizzazione. C'è molta differenza tra discutere dell'ipocrisia di Dio come poteva essere vista dagli autori della Bibbia e come può essere vista da noi: nel primo caso siamo di fronte a questioni storiche, nel secondo caso subentra la filosofia. La confusione di questi elementi che ho descritto come terzo punto provoca discussioni infinite, ma soprattutto sterili, inutili, perché hanno come base il non distinguere tra studio storico e confronto con le nostre idee di oggi.

Quarto. La Chiesa Cattolica, nel suo uso della Bibbia, mette insieme proprio questi due elementi: studio storico e attualizzazione; di conseguenza ha elaborato nel corso dei secoli tutta una serie di criteri per mettere d'accordo scienza della Bibbia e fede nella Bibbia. Se voglio provare a capire questi criteri, non posso farmeli dire da un fanatico e purtroppo neanche da un prete, un vescovo o un papa: il compito di questi ultimi non è di essere esperti nell'interpretazione della Bibbia; può anche darsi il caso di vescovi o papi particolarmente esperti di Bibbia, ma non è scontato che se uno è papa o vescovo, allora ti saprà descrivere in modo corretto come la Chiesa interpreta la Bibbia. Questo ti potrebbe sorprendere, ma è così: nella Chiesa esistono le specializzazioni e un vescovo o un papa sanno benissimo che un prete o anche un laico possono essere più esperti di loro non solo sulla Bibbia, ma proprio su come la Chiesa interpreta la Bibbia.

Quinto. Sulla questione dei comandamenti di Gesù sulla non violenza, i roghi ci sono stati non perché chi li accendeva aveva dubbi sulla validità di tali comandamenti, ma per la ragione opposta: perché non aveva dubbi. È l'assenza di dubbio a condurre alla violenza. Chi accendeva il rogo era fermamente convinto che amare il nemico non può significare che devo amarlo anche quando tale nemico è il diavolo il persona; Gesù non amò il diavolo, che era suo nemico; e allora, se un eretico è chiaramente, in quanto eretico, un strumento completamente in mano al diavolo, è giusto bruciarlo al rogo.

Fatte tutte queste premesse, da parte mia giudico la Bibbia un libro tutt'altro che inconsistente; Gesù per me ebbe le sue ipocrisie, non era Dio in persona, ma rimane la persona più ricca di spiritualità che io abbia mai conosciuto e in questo senso continuo ad ispirarmi a lui per gran parte della mia esistenza; idem per la Chiesa Cattolica: è un mare di ipocrisie, ma è anche portatrice di enormi tesori di spiritualità (che significa anche vita concreta) e di serietà nella ricerca, sempre che nel parlarne non si selezioni il peggio.

Apeiron

Citazione di: Angelo Cannata il 21 Maggio 2017, 11:23:23 AMVediamo di mettere un po' di ordine (ovviamente secondo me) tra le idee che hai espresso. Primo. Se dobbiamo parlare della Bibbia non possiamo tener conto dei fanatici. Il fanatico è una persona che parla esclusivamente di se stesso, qualunque sia l'argomento di cui si parli. Quindi, parlare con un fanatico della Bibbia significa ingannarsi a vicenda, pensando di star parlando della Bibbia, mentre in realtà si sta parlando esclusivamente della mentalità del fanatico. Questo significa anche che al fanatico non è possibile porre alcuna obiezione, perché egli ti risponderà continuando a parlare di se stesso, deviando sistematicamente ogni argomento verso se stesso. Le radici dei problemi del fanatico non sono logiche, ma psicologiche, il fanatico è un malato. Non puoi pensare di aiutare un malato conducendolo a discorsi di apertura mentale o logica razionale: al malato servono cure adatte per lui, non gli servono obiezioni. Bisognerà vedere come mai si è cacciato in quel fanatismo e non è detto che si riesca ad aiutarlo. Naturalmente si può sempre pensare che egli sia l'unico sano e siano tutti gli altri ad essere malati; mi sembra che però emergano differenze nel momento in cui gli altri si sforzano di sfruttare ogni mezzo per autocriticarsi, mettersi in questione, mettersi nei panni altrui, riconoscere la serietà delle ragioni altrui, mentre il fanatico si limita esclusivamente a ribadire le proprie idee, senza dare alcun segno di disponibilità a mettersi in questione. Secondo. Se dobbiamo parlare con frutto di qualsiasi argomento, dobbiamo selezionare il meglio che lo riguarda. In questo senso, se dobbiamo parlare di Bibbia dobbiamo selezionare il meglio delle ricerche al riguardo, quindi quelle ricerche che si dimostrano aperte, al corrente delle ricerche compiute da altri, facenti uso di senso critico; non ha senso parlare di Bibbia a partire da coloro che la leggono senza alcuna attenzione al contesto storico, sia della Bibbia che di noi lettori. Allo stesso modo, se dobbiamo tener conto delle posizioni della Chiesa riguardo a Dio e alla Bibbia, anche qui dobbiamo selezionare il meglio: non ha senso discutere delle idee della Chiesa a partire dai messaggi della Madonna a Medjugorie o dalle idee di chi non dimostra di praticare alcun senso critico: è necessario, almeno come sforzo, cercare di muoversi attraverso il meglio della Chiesa, non il peggio. Terzo. Le scienze che si occupano della Bibbia non sono filosofie, cioè non ha molto senso presentare ad uno storico obiezioni filosofiche. Se uno storico ti dice che abbiamo prove che Garibaldi è esistito, non ha senso obiettargli che l'esistenza di ogni cosa potrebbe essere tutta un'illusione. Il motivo è che lo storico non intendeva dire che abbiamo prove metafisiche dell'esistenza di Garibaldi in senso ontologico; il suo non era un discorso filosofico, ma storico. Da questo punto di vista, il primo a vivere di sospetti riguardo alle prove è lo storico stesso: egli non si fida mai al cento per cento delle prove di esistenza di Garibaldi, ma il suo non è uno scetticismo filosofico, è uno scetticismo storico; cioè, egli sa che le prove potrebbero essere state fabbricate ad hoc da falsari: lo storico si pone dubbi a cui si possa reagire con ulteriori ricerche storiche, non con ragionamenti filosofici. Questo vale anche per lo studio della Bibbia dal punto di vista dell'interpretazione: in primo luogo non si tratta di interpretazione in senso filosofico, ma di studio scientifico dei significati, servendosi di tutti gli strumenti linguistici a nostra disposizione: vocabolari, grammatiche, filologia, semiotica, semantica, ecc. L'interpretazione dei contenuti della Bibbia da un punto di vista filosofico è un'altra cosa: essa viene praticata nel momento in cui intendiamo confrontare le idee della Bibbia con le nostre idee. Allora sì che nascono questioni filosofiche, perché sorge il problema di noi che stiamo interpretando anche noi stessi, oltre che la Bibbia. È il problema dell'attualizzazione. C'è molta differenza tra discutere dell'ipocrisia di Dio come poteva essere vista dagli autori della Bibbia e come può essere vista da noi: nel primo caso siamo di fronte a questioni storiche, nel secondo caso subentra la filosofia. La confusione di questi elementi che ho descritto come terzo punto provoca discussioni infinite, ma soprattutto sterili, inutili, perché hanno come base il non distinguere tra studio storico e confronto con le nostre idee di oggi. Quarto. La Chiesa Cattolica, nel suo uso della Bibbia, mette insieme proprio questi due elementi: studio storico e attualizzazione; di conseguenza ha elaborato nel corso dei secoli tutta una serie di criteri per mettere d'accordo scienza della Bibbia e fede nella Bibbia. Se voglio provare a capire questi criteri, non posso farmeli dire da un fanatico e purtroppo neanche da un prete, un vescovo o un papa: il compito di questi ultimi non è di essere esperti nell'interpretazione della Bibbia; può anche darsi il caso di vescovi o papi particolarmente esperti di Bibbia, ma non è scontato che se uno è papa o vescovo, allora ti saprà descrivere in modo corretto come la Chiesa interpreta la Bibbia. Questo ti potrebbe sorprendere, ma è così: nella Chiesa esistono le specializzazioni e un vescovo o un papa sanno benissimo che un prete o anche un laico possono essere più esperti di loro non solo sulla Bibbia, ma proprio su come la Chiesa interpreta la Bibbia. Quinto. Sulla questione dei comandamenti di Gesù sulla non violenza, i roghi ci sono stati non perché chi li accendeva aveva dubbi sulla validità di tali comandamenti, ma per la ragione opposta: perché non aveva dubbi. È l'assenza di dubbio a condurre alla violenza. Chi accendeva il rogo era fermamente convinto che amare il nemico non può significare che devo amarlo anche quando tale nemico è il diavolo il persona; Gesù non amò il diavolo, che era suo nemico; e allora, se un eretico è chiaramente, in quanto eretico, un strumento completamente in mano al diavolo, è giusto bruciarlo al rogo. Fatte tutte queste premesse, da parte mia giudico la Bibbia un libro tutt'altro che inconsistente; Gesù per me ebbe le sue ipocrisie, non era Dio in persona, ma rimane la persona più ricca di spiritualità che io abbia mai conosciuto e in questo senso continuo ad ispirarmi a lui per gran parte della mia esistenza; idem per la Chiesa Cattolica: è un mare di ipocrisie, ma è anche portatrice di enormi tesori di spiritualità (che significa anche vita concreta) e di serietà nella ricerca, sempre che nel parlarne non si selezioni il peggio.

Grazie della illuminante risposta:) per la vita concreta ritengo come te che il cristianesimo contenga molte buone cose. Il grosso problema è il suo dualismo. Come dici tu visto che Gesù non amava il diavolo (forse oggi si direbbe che il diavolo rifiuta l'amore di Gesù??... così come oggi si crede che l'inferno sia "riservato" per chi rifiuta di amare e di essere amato?) chi veniva etichettato come "diavolo" non se la passava tanto liscia. Visto che oggi queste "pratiche" non vengono più fatte ritengo che la Chiesa dovrebbe per così dire ammettere le cazzate che ha fatto (ad esempio togliere la canonizzazione di persone che ritenevano giusto fare crociate o bruciare.. anche perchè Gesù dice di "amare il nemico").
 Ma ciò nasce come ho già detto dalla visione così strettamente dualistica, una visione che non riesco ad accettare. A dire il vero a volte non capisco perchè mi fermo a pensare al cristianesimo e perchè mi interesso di esso. Forse è per "la parte buona"? Non è che sia per quella mentalità da "schiavo" di cui parla Nietzsche di cui non mi sono ancora liberato? Boh.

In ogni caso ritengo che per "giudicare" l'ipocrisia (o la non ipocrisia) di Gesù abbiamo pochi elementi, così come giudicarlo, per un non credente, la persona più "di elevata spiritualità". Un buon contendente potrebbe essere Buddha: Buddha non condannava per l'eternità nessuno (perfino riconosceva i meriti del cugino traditore Devadatta, il "giuda" del buddismo), aveva compassione per tutti gli esseri senzienti, dava consigli a tutti, riconosceva che anche chi non seguiva i suoi insegnamenti poteva raggiungere il Risveglio, voleva che il discepolo "analizzasse" a fondo i suoi insegnamenti, ha dato una tecnica per riuscire a trascendere l'attaccamento ecc. Nel cristianesimo invece avendo messo al primo posto la fede la critica e lo sviluppo interiore a mio giudizio ne hanno risentito. Per questo ti consiglio di guardare il canone Pali: http://www.canonepali.net/.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Angelo Cannata

Condivido l'osservazione sul dualismo. Non so in che misura essa possa avere origini planetarie oppure soltanto greche e quindi limitate al Cristianesimo. Già nell'Antico Testamento è possibile individuare sforzi di distinguere, separare: il Dio YHWH non fa altro che ripetere a Israele che egli è l'unico, prima in senso di più potente, più buono ecc., più tardi in senso di unico esistente; il racconto della creazione è tutto un separare: giorno dalla notte, acque dall'asciutto, alberi da cui si può mangiare da quelli da cui è vietato, ecc. Anch'io mi riconosco condizionato da questo bisogno di separare: nella mia ricerca sulla spiritualità ho pensato di individuare una spiritualità vissuta come bene, corrispondente al soggetto, e una vissuta come male, corrispondente all'alterità, l'universo, oppure anche l'altro come persona, nella misura in cui è un concorrente. In questo senso, piuttosto che tentare di liberarmi da questi condizionamenti, preferisco semplicemente ammetterli, perché non vedo al momento alternative migliori.

Quanto a Gesù, sia chiaro che quando ne esprimo apprezzamenti, in positivo o in negativo, prescindo dalla questione storica: io mi riferisco al Gesù descritto nei Vangeli; in che misura poi tale descrizione corrisponda al Gesù storico è tutt'altra questione da affrontare a parte.

Riguardo al contendente Buddha, non posso che dichiarare la mia ignoranza: anche il mio considerare Gesù come la persona di più elevata spiritualità è senz'altro dovuto al tipo di formazione che si è fatta strada in me, agli studi che ho fatto; mi piacerebbe conoscere e sapere di più, specialmente di altre religioni e spiritualità, ma devo anche fare i conti con tempo e risorse. Anche in questo caso, quindi, in mancanza di alternative che io riesca a conoscere e considerare importanti, mi limito semplicemente ad ammettere i miei condizionamenti (il che mi sembra più fruttuoso e aderente all'esperienza, piuttosto che la pretesa di ritenersi oggettivi).

Apeiron

Citazione di: Angelo Cannata il 22 Maggio 2017, 08:28:07 AMCondivido l'osservazione sul dualismo. Non so in che misura essa possa avere origini planetarie oppure soltanto greche e quindi limitate al Cristianesimo. Già nell'Antico Testamento è possibile individuare sforzi di distinguere, separare: il Dio YHWH non fa altro che ripetere a Israele che egli è l'unico, prima in senso di più potente, più buono ecc., più tardi in senso di unico esistente; il racconto della creazione è tutto un separare: giorno dalla notte, acque dall'asciutto, alberi da cui si può mangiare da quelli da cui è vietato, ecc. Anch'io mi riconosco condizionato da questo bisogno di separare: nella mia ricerca sulla spiritualità ho pensato di individuare una spiritualità vissuta come bene, corrispondente al soggetto, e una vissuta come male, corrispondente all'alterità, l'universo, oppure anche l'altro come persona, nella misura in cui è un concorrente. In questo senso, piuttosto che tentare di liberarmi da questi condizionamenti, preferisco semplicemente ammetterli, perché non vedo al momento alternative migliori. Quanto a Gesù, sia chiaro che quando ne esprimo apprezzamenti, in positivo o in negativo, prescindo dalla questione storica: io mi riferisco al Gesù descritto nei Vangeli; in che misura poi tale descrizione corrisponda al Gesù storico è tutt'altra questione da affrontare a parte. Riguardo al contendente Buddha, non posso che dichiarare la mia ignoranza: anche il mio considerare Gesù come la persona di più elevata spiritualità è senz'altro dovuto al tipo di formazione che si è fatta strada in me, agli studi che ho fatto; mi piacerebbe conoscere e sapere di più, specialmente di altre religioni e spiritualità, ma devo anche fare i conti con tempo e risorse. Anche in questo caso, quindi, in mancanza di alternative che io riesca a conoscere e considerare importanti, mi limito semplicemente ad ammettere i miei condizionamenti (il che mi sembra più fruttuoso e aderente all'esperienza, piuttosto che la pretesa di ritenersi oggettivi).

D'accordo :) l'ossessione dualistica secondo me è iniziata quando l'uomo si è accorto delle differenze. "Questo" vs "quello", giorno vs notte, estate vs inverno ecc. Ritengo che sia un retaggio che ci portiamo da millenni. Forse ha influenzato anche la nascita del codice binario. Il problema a mio giudizio è che quando questo tipo di pensiero si trasporta sui rapporti umani causa incomprensioni, muri, guerre ecc. Il buddismo e le tradizioni non-duali cercano proprio di eliminare questa dicotomia, arrivando perfino a eliminare la differenza tra soggetto e oggetto. Per Buddha l'opposizione tra "io" e "non-io", ossia la volontà di identificazione e di possesso si basa su un'illusione dualistica che ci porta a considerarci separati dal resto della realtà. Secondo lui se realizziamo davvero questo otteniamo il Nibbana...
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

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