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Dubito ergo sum

Aperto da Alexander, 30 Settembre 2021, 14:18:25 PM

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Alexander


Io dubito di tutto:
-dubito della religione e dubito della scienza
-dubito delle istituzioni e dubito della gente comune
-dubito dell'amore degli altri e dubito del mio amore verso gli altri
-dubito della mia auto e dubito di quelle degli altri
-dubito della mia mente e dubito che gli altri ne abbiano una anche loro
-dubito della mia esistenza e dubito anche di quella degli altri
-dubito che le verdure facciano bene e dubito che faccia bene la carne
-dubito dei no-covid-vax e dubito anche dei pro-covid-vax
Insomma dubito di tutto
Avete voi qualcosa o qualcuno di cui non dubitate mai?

viator

Salve alexander. Filosoficamente fai benissimo a dubitare di tutto. Esistenzialmente, invece, si può dubitare quanto si vuole ma, affrontando la cosiddetta prassi, SEMPRE E COMUNQUE BISOGNERA' DECIDERE DI CREDERE IN QUALCOSA, diversamente si cadrebbe preda dell'inedia, della passività e di coloro che credono in qualcosa (magari solo perchè sono stati allevati in ciò senza mai decidere autonomamente di credere).

Ad esempio, io - come dovrebbe esserti noto dal mio motto personale comparente in calce ad ogni mio intervento........CREDO INOSSIDABILMENTE CHE.......................... (leggere qui sotto). Incredibili saluti.




Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Alexander

Buonasera Viator




Già, si deve pur decidere e scegliere. Quindi si agisce pur dubitando che magari sia la scelta giusta. Si decide convinti in parte, ma non del tutto.  Convinti all'80%? al 70%? Mah!... C'è sempre un margine di dubbio. Una percentuale di insicurezza in ogni scelta. Una persona ragionevole mi sembra che non sia mai sicura al 100%. Non possa esserlo, stante l'imprevedibilità degli esiti di qualunque scelta. Uno poco ragionevole potrebbe invece essere del tutto convinto, intestardito e incaponito?  Non c'è un 1% che si annida anche in lui? Magari quell'1% lo infastidisce, lo scaccia come una mosca molesta. Il testardo di carattere mi pare che lavori continuamente a scacciare questa mosca che gli si affaccia alla coscienza. Si dice testardo proprio per quel motivo, direi. Quindi si vive agendo e dubitando; dubitando e agendo lo stesso, perché costretti.
cit:C'è una sola certezza:non c'è alcuna certezza.
Mi viene da dubitare che vi sia anche quella sola certezza. Cioè: una certezza potrebbe pure esserci, ma dubitando non riesco mai a coglierla .

daniele22

Ciao a tutti. Certo che ne ho di certezze Alexander. Sono quelle su cui non dubito mai ... e sono tante eh! A volte si rischia, ma così gira il mondo ed è un bene che sia così, almeno per me va bene. Se dici poi che dubiti di quello che si dice sull'amore, sull'amicizia, sulla scienza e sulle religioni e su quant'altro, che infine è il dubitare di un determinato valore attribuito alla lingua, allora con me sfondi una porta aperta ... però qui il tema diventa filosofico più che di esperienza personale

Ipazia

La questione mi pare sia stata risolta con notevole grado di certezza epistemologica dal venerabile Descartes con il dubbio metodologico, a partire dal cui cogito autoreferenziale si inoltra verso la visione chiara e distinta del mondo.

Sempre consapevoli della soggettiva autoreferenzialità di base, che si rispecchia (speculazione) nel peer review con altri umani, rispetto ai quali la problematica maggiore diventa l'onestà intellettuale e l'assenza di conflitti di interesse nella valutazione intersoggettiva di un fenomeno.

Avuto garanzie di ciò e conferme sperimentali non falsificate del fenomeno si può cominciare a credere in qualcosa.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#5
Dubito ergo sum...cosciente.
Il dubbio è il figlio della coscienza che può creare dipendenza e portare a perdita di senso della realtà con conseguente impedimento all'azione. La diagnosi è inedia da dubbio. La cura è un atto di fede.
Per agire infatti occorre uno spazio di azione e perché vi sia uno spazio in cui agire occorre credere che vi sia, fuor di ogni dubbio.
L'atto di fede è la medicina contro gli  effetti della coscienza perché esso crea l'evidenza.
Ciò che è in quanto è, e non perché io decido che sia risolvendo un dubbio.
Il dubbio distrugge i mondi perché la fede possa costruirne sempre di nuovi.
Come Peppone e Don Camillo in continuo conflitto, ma senza poter fare a meno uno dell'altro.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#6
Citazione di: Ipazia il 30 Settembre 2021, 21:57:59 PM
La questione mi pare sia stata risolta con notevole grado di certezza epistemologica dal venerabile Descartes con il dubbio metodologico, a partire dal cui cogito autoreferenziale si inoltra verso la visione chiara e distinta del mondo.

Sempre consapevoli della soggettiva autoreferenzialità di base, che si rispecchia (speculazione) nel peer review con altri umani, rispetto ai quali la problematica maggiore diventa l'onestà intellettuale e l'assenza di conflitti di interesse nella valutazione intersoggettiva di un fenomeno.

Avuto garanzie di ciò e conferme sperimentali non falsificate del fenomeno si può cominciare a credere in qualcosa.
Hai detto veramente tanto con poche parole.
Io ci vedo una buona descrizione della percezione sensibile, che infatti condividiamo onestamente in modo non conflittuale, quando vediamo tutti le stesse cose, tanto da iniziare a credere che siano realtà.
Ma perché sia vera realtà, intesa come quella in cui si agisce, occorre completare l'atto di fede in modo inconscio.
Perché la coscienza agisce di modo che ciò che inizia non conclude mai.


Ma cos'è veramente il dubbio?
Si dubita su qualcosa su cui esiste un accordo, una condivisione,  che ponendo il dubbio intendiamo ridiscutere.

Ma senza l'uscita di scena della coscienza questo processo non avrebbe mai uno stop.
È infatti l'atto cosciente che , quando si ripete senza più clamori conflittuali, perché ormai diffusamente condiviso, a divenire evidenza , perché  ripetuto come un mantra , del cui significato si è persa memoria, tende a perdere cosciente consistenza.
L'essenza della percezione condivisa è infatti ciò che fai senza pensare, non implicando più l'essere individuale del cogito ergo sum. Non cogito, dunque concordo.
Si passa così attraverso un processo lungo e continuo dal dubito ergo sum, al non dubito ergo è.
Del come il dubbio genera il senso di realtà, quando va' a buon fine.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#7
@Ipazia.
Forse riesco adesso a focalizzare la differenza fra il tuo e il mio pensiero.
Tu intendi che una ricerca portata avanti con onestà intellettuale possa generare qualcosa in cui iniziare a credere , continuando a mantenere magari il beneficio del dubbio, e in questo inizio io vedo una tensione alla verità.
È una visione molto condivisa , che non condivido, dove tu ti differenzi solo per esprimerla al meglio possibile.
La esprimi in modo chiaro e con poche parole, perciò posso criticarla con facilità. Tanti giri di parole, tanto dire e non dire serve solo a prevenire le critiche, ponendovi bastoni fra le ruote.
Io credo invece che i mondi in cui viviamo non siano mai la realtà, se non intesi come parte di essa come noi stessi che li costruiamo siamo parte.
Diciamo che è la selezione naturale a fare giustizia di un rapporto con la realtà che non sia "intellettualmente onesto", come non sostenibile.
È vero che nei successivi mondi che distruggiamo col dubbio, e costruiamo con la fede, sembra esserci una progressione, ma essa è solo lo specchio della nostra evoluzione la quale, per quel che ne sappiamo, non è rivolta a nessun fine e a nessuna verità.
La vita è fatta per essere vissuta, e su questo invece so' che ben concordiamo, per quanto possa sembrare una banalità a dirsi come a farsi. Ma, banale o meno, è sempre benvenuta.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Alexander

#8
Buon venerdì a tutti


Io dubito che la "vita sia fatta per essere vissuta". Non posso fare a meno di dubitarne. La sensazione di "galleggiare" in essa, sensazione di cui dubito, quasi come se il dubbio fosse un primo indizio di follia o di demenza, mi pone sempre la domanda del bambino: Perché? "Papi, perché dicono che la vita va vissuta?"(I perché del bambino sono sconvolgenti: mettono in chiaro la stupidità dell'intero castello in aria che l'umanità si è costruito). Non so rispondere a questa domanda. Sto muto. Potrei dire: Va vissuta, figlio mio, perché ti è stata data in dono da Dio, perché tu ne faccia qualcosa di meraviglioso. Ecco il perché andrebbe vissuta. Ma io dubito. Credere ti dà certezza. C'è una risposta. Certo, una risposta sempre convinta in parte, di cui un po' dubiti, ma c'è. Senti anche risposte variopinte:Siamo parte di un grande sistema, di un universo che ci ha generato, di cui è meraviglioso farne parte. Ma il bambino ti chiede:papi, perché è meraviglioso farne parte? Non so rispondere neanche a questa domanda.Sto muto. Potrei elencare la bellezza della Terra e degli astri, il chiarore della Luna e il calore del Sole. Cioè il godimento. Ma io dubito. Non c'è certezza nemmeno nel godimento sensoriale. A volte il chiaro di luna ti dà fastidio e il sole ti acceca. Ah! Devo mettere gli occhiali da sole. Non vedo più niente! Maledetto sole! Un pò ti piace , ma un pò dubiti che sia così piacevole. La vita è bella, va vissuta, ma poi ti ammali seriamente e dubiti nel tuo cuore:forse non è così bella, forse sarebbe meglio non viverla. Non averla nemmeno mai vissuta. Sto molto male!Galleggi tra una sensazione e l'altra, appunto. Tra un dubbio e l'altro. Forse è bella.No, forse non lo è.

Kobayashi

Io non dubito solo di due cose (non considerando qui le evidenze empiriche di cui comunque lo scetticismo esistenziale non si interessa): della presenza del male nella vita umana e del fatto che gli uomini tendono ad allontanare da se stessi la consapevolezza di essa.
Rimozione, ottundimento, distrazione programmata, rielaborazione ideologica: si ottiene sempre lo stesso risultato di poter vivere con una certa leggerezza ma inevitabilmente decentrati, lontani da se, immersi in uno stato illusorio, perché la consapevolezza della morte e del dolore fa di noi quello che siamo, delle creature particolari, inadeguate, fragili, e tragiche.

Ci si può forse liberare da quel senso di illusorietà della vita di cui parla Alexander tornando a pensare al male, senza però le consolazioni illuministiche di un avvenire redento tramite l'azione umana guidata dalla ragione. Per quanto ciò sia l'unica cosa decente da fare dal punto di vista politico, se non si riconosce prima l'originaria provenienza comune dal dolore, dal succedersi tragico delle generazioni negli stenti fisici e mentali, non ci potrà mai essere non solo autentica fratellanza, ma nemmeno vera comprensione dell'altro.

Per questo motivo il cristianesimo rimane il "racconto" insuperato e insuperabile.

iano

#10
@ Alexander.
Per quanto ci arrovelliamo c'è dentro di noi qualcosa di inattaccabile dal dubbio perché non consapevolmente acquisita.
Essa giustifica perché alle domande dei bambini rispondiamo con le favole, mancando però al contempo l'occasione di prendere coscienza che ci raccontiamo favole .
Infatti in che altro modo potremmo rispondere?
Qualunque risposta che voglia essere ragionevole, nel momento in cui proviamo ad esporla, non ci appare più tale.
Ci rendiamo conto in quei casi di esserci bevuti delle favole, e che solo con quelle possiamo quindi rispondere.
Non c'è alternativa se non nel modo, apparendo convinti o meno nel farlo.
La mia impressione è che quando i bambini reiterano domande alle nostre risposte è perché non le abbiamo raccontate con convinzione. Non ci dicono che la nostra risposta è inadeguata, ma che non è convincente perché non appariamo tali.
Tutto fila liscio finché i bambini con le loro domande non ci costringono ad attivare il dubbio che sorge dalle nostre balbettanti risposte.
Le cose filano finché non vi si insinua occasionalmente il dubbio, e continuano a filare, se, pure non trovando una risposta, rinunciamo al momento a trovarla , accantonando il problema.
Effettivamente hai ragione nel chiedere perché la vita va' vissuta.
In effetti la vita non va' vissuta, ma là si vive.
Scorre senza un perché.
Quando occorre ridefinirla, evolvendosi essa, sorgono quei perché.
La risposta a quei perché non può che essere creativa.
In questi mutamenti la vita appare come dolore, perché in effetti è una non vita, ma un passaggio fra una vita che si lascia per un altra a cui non sappiamo se giungeremo.
Anche quando siamo ben convinti di volerla vivere, ci troviamo poi a volte col problema di come fare a far passare il tempo. Così a volte ci inventiamo giochi i quali ci prendono fino al punto da divenire essi motivo vitale.
La vita non va' vissuta, ma se la  si vive è perché non è del tutto assoggettata al dubbio, se non nei momenti di difficile passaggio.
Se la vita fosse dubbio continuo chi vorrebbe viverla, ma chi lo ha detto che lo è?
Ci manca la coscienza che la coscienza non ci esaurisce.
Come dice bene kobaiashy tendiamo ad allontanare la consapevolezza, ma ciò non è un male, ma cosa che  viene da se' come naturale.
La vita è come un atto di fede. Ha una ragione che lo genera , ma è tale solo se non la contiene.
Mistero della fede sul quale la vita si regge.
Quando c'è il perché non c'è vita, quando c'è vita non c'è il perché.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#11
La vita non va' vissuta, ma diverse sono le vite che viviamo senza volere.
Il guado fra una e l'altra è il dubbio il cui superamento rimane sempre incerto.
Se il dolore ci porta a credere che la vita non val la pena di essere vissuta ciò è verità, in quanto il dolore ci trasforma traghettamdoci, quando ci riesce, da una vita non più vissuta a una nuova da vivere.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#12
Citazione di: Kobayashi il 01 Ottobre 2021, 09:50:35 AM
Io non dubito solo di due cose (non considerando qui le evidenze empiriche di cui comunque lo scetticismo esistenziale non si interessa): della presenza del male nella vita umana e del fatto che gli uomini tendono ad allontanare da se stessi la consapevolezza di essa.
Rimozione, ottundimento, distrazione programmata, rielaborazione ideologica: si ottiene sempre lo stesso risultato di poter vivere con una certa leggerezza ma inevitabilmente decentrati, lontani da se, immersi in uno stato illusorio, perché la consapevolezza della morte e del dolore fa di noi quello che siamo, delle creature particolari, inadeguate, fragili, e tragiche.

Ci si può forse liberare da quel senso di illusorietà della vita di cui parla Alexander tornando a pensare al male, senza però le consolazioni illuministiche di un avvenire redento tramite l'azione umana guidata dalla ragione. Per quanto ciò sia l'unica cosa decente da fare dal punto di vista politico, se non si riconosce prima l'originaria provenienza comune dal dolore, dal succedersi tragico delle generazioni negli stenti fisici e mentali, non ci potrà mai essere non solo autentica fratellanza, ma nemmeno vera comprensione dell'altro.

Per questo motivo il cristianesimo rimane il "racconto" insuperato e insuperabile.
Difficile che mi trovi più d'accordo su un post, che io però riscriverei con parole mie fino a farlo apparire altro.
In effetti è quello che credo di aver fatto nei miei post precedenti.
Aggiungerei solo che l'autentica fratellanza ,per giungere alle quale indichi il percorso, è però già prima di tutto un dato di fatto, seppur in continuo divenire, cui siamo giunti non si sa' per quale percorso. È una comprensione di fatto dell'altro, una constatazione che si rinnova nel cambiamento. Una evidenza che però ha dietro una lunga storia ignota e una davanti il cui percorso mi sento di condividere come tu lo indichi, considerando però il cristianesimo un esemplare racconto fra tanti, ognuno dei quali pone l'accento su qualcosa di particolare, ma nessuno si pone a 360 gradi, incompletezza cui la filosofia cerca di porre rimedio.
Non abbraccio alcuna fede, paradossalmente perché considero la fede un fatto fondamentale, e perciò mi tengo sempre libero di abbracciarne una. Questa è in effetti per me l'essenza della filosofia.
Non propriamente il dubbio , il quale non può che esercitarsi su ciò che già si è costituito, ma sulla libertà di costruire ciò su cui poi  il dubbio si eserciterà.
L'unica accortezza è avere consapevolezza che di tale processo la coscienza non è unico attore, e forse neanche il principale.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

atomista non pentito

Il fatto che si viva mettendo un piede dietro l'altro , una azione dietro l'altra , un respiro dietro l'altro mi induce a dire che non si dubita mai ( di cio' che e' vitale) si dubita di cio' che e' ammenicolo ( Dio esiste ? Esiste il tempo ? Cosa  c'e' dopo la morte ?) Tutte domande ( dubbi) che non inficiano il nutrirsi , il respirare ecc ecc . Se il dubbio attanagliasse alfine qualche attivita' vitale sarebbe stato scacciato immediatamente dalla certezza di non volere piu' vivere ed ecco una nuova certezza ( definitiva per quella mente che l'ha prefigurata).

Alexander


Però si dubita se il passo da fare è nella direzione giusta; se il cibo da ingerire mi farà bene o male (sul respiro non abbiamo controllo, di solito); si dubita dell'azione da intraprendere, ecc.  E' il dubitare che mi fa essere umano? Un'animale dubita? A volte pare di sì, non lo sappiamo se è solo istinto. Probabilmente l'animale non ha però dubbi esistenziali, come l'uomo.Non si cruccia della propria vita. Non ne immagina un'altra, dubitando poi delle proprie riflessioni. Non pensa ci possa essere una realtà altra, dubitando così della realtà del reale. L'animale non dubita del linguaggio: dubito infatti che il senso che do alle parole sia lo stesso che date voi. Dubito che voi intendete il dubitare come lo intendo io. Forse solo in parte ci capiamo. Dubito che mi capiate veramente.
Tutto questo dubitare, che è essenzialmente umano, mi fa uomo? Sono perché dubito? Dubito perché sono? Se non fossi (umano) non dubiterei: dubito ergo sum. Se non dubitassi sarei veramente umano? Cioè umano fino in fondo? Persino Giovanni battista manda un discepolo a chiedere a Gesù se è veramente lui l'unto del Signore. Giovanni era certo, l'ha battezzato, eppure dubita. Forse non era del tutto certo nemmeno quando versava l'acqua sul corpo di Cristo. Era anche lui convinto in parte?