Menu principale

DOMANDE

Aperto da sgiombo, 23 Febbraio 2019, 11:34:31 AM

Discussione precedente - Discussione successiva

Sariputra

cit.InVerno:La cosa interessante di questa tua metafora, visto che Ipazia parlava di homo ludens, è che almeno ipoteticamente (la certezza è impossibile) si può dire che il bastone sia la prima effettiva "invenzione" umana, il primo "gioco" di homo ludens. 

"Dal bastone brandito nasce la paura,guarda la gente che fa vittime:
Io voglio narrare la commozione, come è stata da me sperimentata.
Vedendo la gente brulicare, come pesci in poca acqua,
Vedendo l'uno ostacolare l'altro, un terrore mi è sorto."  :(

 Buddha-Attadanda sutta (il discorso sull'uso del "bastone")
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

InVerno

#31
Citazione di: Sariputra il 27 Febbraio 2019, 12:12:17 PM
cit.:Se non ci fosse un senso non-interdipendente, come potremmo affermare di esistere? E nessuno di noi è disposto ad accettare di non esistere..anche perchè ciò equivarrebbe ad un vero e proprio suicidio spirituale.

Esisteremmo ovviamente, ma in senso interdipendente. E' comunque così forte il senso dell'"Io sono colui che gode" nell'uomo che non è un 'pericolo' imminente (tutt'altro...)  ;D  ;D
Non lo vedrei proprio come un 'suicidio spirituale' , anzi...una rottura della dualità...
Se rompendo la dualità quel che viene a mancare è il tuo senso del sé, il tuo Essere nel Tempo, non c'è nessuno ad esperire questa rottura Se viene a mancare il senso di sé non c'è preposizione che tenga..Così come nessuno "muore" davvero, e nessuno può aver esperito la morte, come puoi dire che continueremmo ad esistere "non dualmente"? Qualche dottrina potrebbe aver lavorato a sufficienza sul problema da averlo addirittura ridotto ad un "problema per principianti" ma a me pare più che altro il principio di tutti i problemi.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

sgiombo

X InVerno
 
Non vedo in quale altra specie vivente vi sia chi si tolga la vita deliberatamente (ma il libero arbitro non c' entra per nulla, cara Ipazia: può benissimo darsi che nell' uomo ciò accada deterministicamente! E se non accade deterministicamente, allora la conoscenza possibile del mondo materiale del quale ' uomo fa parte non é possibile).
 
Al massimo fra gli altri animali c' é chi, in preda alla depressione, smette di alimentarsi e magari di bere e conseguentemente muore; ma non decide (sia che l' uomo faccia questo liberoarbitrariamente oppure deterministicamente) di morire, semplicemente non prova più appetito e sete in quanto troppo oppresso dal dolore (mi aspetto le solite agguerrite e forse offese obiezioni di chi ha avuto o ha animali domestici ai quali é affezionatissimo, come me, e inoltre contrariamente a me pretende di attribuire loro caratteristiche umane; e preannuncio in proposito il mio dissenso, così da non doverlo manifestare a posteriori).
 
In particolare non credo proprio sia minimamente plausibile l' ipotesi dell' esistenza di una coscienza collettiva dell' alveare nell' ambito della quale é emersa la decisione di "suicidarsi" (né che ciò accada a livello di ciascuna coscienza individuale di ogni ape dell' alveare stesso).
Fra l' altro con che mezzi si darebbero la morte?
Non credo in alcun modo attivo.
A questo proposito (di autocoscienza e di decisione se continuare a vivere o finire di farlo attivamente, "di propria mano") la differenza fra uomo e altri animali mi sembra nettissima (e il concetto di "suicidio" di una chiarezza cristallina).
 
 
 
Purtroppo, malgrado il tuo encomiabile tentativo di spiegarmela, la metafora della scalata (o della discesa) mi é ancora più oscura di prima (credo che avrei bisogno di una "traduzione" dalla metafora in linguaggio letterale, non di ulteriori orpelli o sviluppi metaforici, che nel mio caso (nel tentativo fi farmi comprendere) tendono ad essere controproducenti.
 
 
 
 
X Sariputra
 
D' accordo; non mi era venuto in mente, ma per chi sia particolarmente altruista e generoso la felicità degli altri può essere un motivo per vivere.
Fra l' altro l' agire in questo senso (o anche solo il tentarlo, il fare il possibile per ottenerlo), per chi sia talmente generoso, costituisce la soddisfazione di un profondo e forte desiderio o aspirazione, e dunque anche un motivo di appagamento, ovvero di contentezza, di felicità: come giustamente dicevano gli Stoici, la virtù é premio a se stessa.
Io stesso (ne avevo anche accennato nel forum) circa un anno fa, essendo uscito da un' influenza che, data la mia età, mi aveva fatto correre il serio rischio di morire, mi ero reso conto che i miei doveri verso chi mi é vicino e mi vuole bene mi impedirebbero di suicidarmi (a meno che non si trattasse di eutanasia volta ad evitare dolori assolutamente soverchianti e non minimamente compensati da soddisfazione alcuna, nel qual caso credo cha anche i miei cari, che mi vogliono bene, desidererebbero la fine di tale mia condizione, anche a costo di perdere ma mia presenza; sarebbero egoisti, se così non facessero).
 
 
 
X Freedom
 
Veramente a me (che ne ho discreta conoscenza essendo nato in un famiglia cristiana praticante che me lo ha insegnato con impegno ed amore, ed essendo stato convinto cristiano praticante io stesso fino all' età di quindici anni) pare che non sia affatto cristiano vivere alla condizione di essere felice (e dunque, del tutto conseguentemente togliersi la vita se non lo si é); ma casomai accettare qualsiasi cosa la vita "terrena" comporti, fossero anche i peggiori tormenti, essendo tutto ciò volontà divina, fra l' altro destinato ad essere lautamente compensato nell' aldilà.
Il tuo dissenso dalla chiesa cattolica, il tuo essere eretico mi sono a questo punto ben chiari.
Ma mi sembra coerente la posizione cattolica ufficiale e contraddittoria la tua (se credi comunque che Dio sia infinitamente buono e onnipotente).
 
 
Mi sembra che tu confonda felicità o infelicità complessiva della propria vita con felicità o infelicità relativa, momentanea: é ovvio che nessuna persona dotata di buon senso si toglierebbe la vita per una mezzoretta o anche per un giorno o una settimana di dolore fisico o di pena psichica se avesse davanti a sé la prospettiva futura di una vita soddisfacente.
Non così una persona non credente che sapesse di essere affetta da un male incurabile tale da procurargli incessanti sofferenze fisiche e magari anche psichiche per tutto quel poco che gli concedesse di vivere!
E sono propenso a sospettare che in tali circostanze anche qualche credente cercherebbe qualche modo ipocrita di dissimulare un' eutanasia se potesse.
Casi come una gravissima, dolorosissima e mortale malattia, tipo Welby sono proprio per l' appunto la questione che ho inteso sollevare: che chi é felice o anche ha sufficienti speranze e sufficiente ottimismo circa auspicabili motivi di felicità futuri si guardi bene dal suicidarsi mi sembra qualcosa di molto banalmente ovvio.
 
 
Per chi non sia credente e si trovasse affetto da un male incurabile tale da procurargli incessanti sofferenze fisiche e magari anche psichiche per tutto quel poco che gli concedesse di vivere quella di procurarsi l' eutanasia sarebbe la conclusione più ovvia e certa, la più "logica" di qualsiasi ragionamento circa la propria esistenza.
E vietarglielo o impedirglielo sarebbe quanto di più abbietto e crudele e malvagio potrebbe darsi, qualcosa di degno del Santo Uffizio!
 
 
Dove si parla di compatibilità della sopravvivenza in vita a costo dell' infelicità o meno la questione dell' eutanasia mi sembra "perfettamente in tema".
 
 
 
 
X Ipazia
 
Il fatto é che purtroppo ci sono anche casi nei quali "la natura", tenuto anche conto che "alla fine anche la migliore delle società umane i miracoli non li può fare" non consente alcuna "varia e molteplice le alternativa al suicidio".
 
Concordo ovviamente su Epicuro e Spinoza, sull' illuminismo e sul marxismo, altrettanto ovviamente per niente affatto su Nietzche.
 
 
(Sul libero arbitrio vedi sopra quanto obietto a InVerno).

Socrate78

#33
L'animale che si lascia morire dopo la morte del padrone non lo fa per amore, ma soltanto perché si rende conto confusamente che non potrà vivere senza quella figura che egli considera il capobranco. La morte del padrone è quindi per lui una rovina, perché senza di lui non avrà cibo, cure, sicurezza. Si tratta di servilismo, opportunismo animale, dipendenza, ma non amore. L'"amore" del cane verso il padrone è solo un affidarsi ad una figura che gli serve per vivere, per sostentarsi e da cui riceve in cambio sicurezza e anche gratificazioni, ma non c'è amore in quanto egli lo fa per un tornaconto preciso, per la propria sicurezza e incolumità. Ma se l'animale, per ipotesi, dovesse per qualche motivo (anche da semplici gesti, sensazioni, ecc.) iniziare a percepire che il padrone non gli è più utile per la sicurezza, per il piacere e che anzi rappresenta una minaccia, ecco che anche tutto l'amore apparente va a farsi benedire e magari il cane finirà per aggredire senza apparente motivo il padrone percepito come una minaccia e non più come una guida. L'animale quindi non è in grado di superare gli istinti di conservazione (di sé e della specie) per elevarsi ad una forma di amore più puro, è determinato dalla materia e proprio per questo non potrà mai decidere intenzionalmente di uccidersi, il suicidio ironicamente è proprio un indizio molto lampante secondo me del fatto che solo l'uomo è dotato di un'anima e del libero arbitrio, infatti con questo gesto tragico dimostra di poter spezzare il determinismo dell'istinto di conservazione.

Ipazia

Citazione di: sgiombo il 27 Febbraio 2019, 20:04:46 PM
Non vedo in quale altra specie vivente vi sia chi si tolga la vita deliberatamente (ma il libero arbitro non c' entra per nulla, cara Ipazia: può benissimo darsi che nell' uomo ciò accada deterministicamente! E se non accade deterministicamente, allora la conoscenza possibile del mondo materiale del quale l' uomo fa parte non é possibile).

E' possibile una conoscenza filosofica dell'uomo nella cui fenomenologia ci sta pure la libertà, cara ad entrambi, di decidere della propria vita e della propria morte.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Freedom

Citazione di: sgiombo il 27 Febbraio 2019, 20:04:46 PM
Veramente a me (che ne ho discreta conoscenza essendo nato in un famiglia cristiana praticante che me lo ha insegnato con impegno ed amore, ed essendo stato convinto cristiano praticante io stesso fino all' età di quindici anni) pare che non sia affatto cristiano vivere alla condizione di essere felice
La domanda che hai post è diversa: 2 Si vive per essere felici o si é felici (pur) di vivere (comunque, in qualsiasi condizione)?

Ed io ho coerentemente risposto (anche dal punto di vista cristiano) che si vive per essere felici ed la sacrosanta verità (cristiana). Il cristiano non è felice di vivere in qualsiasi condizione. Ad essere sinceri solo uno sciocco è felice di vivere in qualsiasi condizione. Quindi anche il non cristiano dovrebbe dare la stessa risposta. Tutti dovrebbero dare questa risposta. Quello che affermi e che non era presente nel tuo quesito iniziale è la condizione. Cioè vivere alla condizione di essere felici. Questa è tutta un'altra cosa. Quindi vivere, sempre e comunque, ricercando la felicità. Vivere insomma per essere felici. Semmai dovremmo approfondire cosa è la felicità per un cristiano. Questo è un aspetto che merita indubbiamente un approfondimento. Ma non mi pare fosse presente nella domanda che hai posto.
Citazione di: sgiombo il 27 Febbraio 2019, 20:04:46 PM(e dunque, del tutto conseguentemente togliersi la vita se non lo si é);
Questa è una conseguenza logica soggettiva che nulla ha a che fare con la prospettiva logica umana oggettiva e cristiana e nemmeno, credo, con qualsiasi altra prospettiva se non quella, personalissima, di chi la voglia esprimere.
Citazione di: sgiombo il 27 Febbraio 2019, 20:04:46 PM
ma casomai accettare qualsiasi cosa la vita "terrena" comporti, fossero anche i peggiori tormenti, essendo tutto ciò volontà divina,
Questo è un punto che già si avvicina alla logica cristiana ma bisogna fare qualche precisazione. I peggiori tormenti diciamo comuni, esteriori, insomma quelli che tutti noi, ahimè, direttamente o indirettamente sperimentiamo, se cristianamente vissuti ed elaborati conducono, misteriosamente, segretamente, misericordiosamente, alla felicità. Qui e ora. Non più tardi. E', ripeto, un grandissimo mistero ma è cristianesimo puro. Non mie elucubrazioni.
Citazione di: sgiombo il 27 Febbraio 2019, 20:04:46 PM
fra l' altro destinato ad essere lautamente compensato nell' aldilà.
Questo è un altro aspetto ancora della logica cristiana e riguarda, in effetti, il premio assoluto che è la gioia eterna. Molti, anche cristiani, lo ritengono il premio tout court ma è semplicemente il grande (ma non l'unico!) premio: la vittoria finale ed assoluta della partita.
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

sgiombo

Citazione di: Socrate78 il 27 Febbraio 2019, 20:52:18 PM
L'animale che si lascia morire dopo la morte del padrone non lo fa per amore, ma soltanto perché si rende conto confusamente che non potrà vivere senza quella figura che egli considera il capobranco. La morte del padrone è quindi per lui una rovina, perché senza di lui non avrà cibo, cure, sicurezza. Si tratta di servilismo, opportunismo animale, dipendenza, ma non amore. L'"amore" del cane verso il padrone è solo un affidarsi ad una figura che gli serve per vivere, per sostentarsi e da cui riceve in cambio sicurezza e anche gratificazioni, ma non c'è amore in quanto egli lo fa per un tornaconto preciso, per la propria sicurezza e incolumità. Ma se l'animale, per ipotesi, dovesse per qualche motivo (anche da semplici gesti, sensazioni, ecc.) iniziare a percepire che il padrone non gli è più utile per la sicurezza, per il piacere e che anzi rappresenta una minaccia, ecco che anche tutto l'amore apparente va a farsi benedire e magari il cane finirà per aggredire senza apparente motivo il padrone percepito come una minaccia e non più come una guida. L'animale quindi non è in grado di superare gli istinti di conservazione (di sé e della specie) per elevarsi ad una forma di amore più puro, è determinato dalla materia e proprio per questo non potrà mai decidere intenzionalmente di uccidersi, il suicidio ironicamente è proprio un indizio molto lampante secondo me del fatto che solo l'uomo è dotato di un'anima e del libero arbitrio, infatti con questo gesto tragico dimostra di poter spezzare il determinismo dell'istinto di conservazione.


Secondo me le questioni dell' autocoscienza e del comportamento altruistico / egoistico sono diverse.

Contrariamente a tanti altri amici del forum sono convinto che l' autocoscienza (contrariamente alla coscienza) sia una caratteristica unicamente umana.
Ma credo che anche altre specie animali (un po' tutte, almeno in qualche misura), ma soprattutto quella canina, siano spesso estremamente altruiste, talora fino all' abnegazione e all' eroismo (ci sono stati cani che sono morti per salvare vite umane, canine e altri animali).
Da qui, in naturalissima conseguenza dell' evoluzione biologica per mutazioni genetiche "casuali" (cioé deterministiche ma di fatto imprevedibili) e selezione naturale, credo sia sorta e si sia sviluppata l' etica umana, universale nei suoi caratteri più generali - astratti, socialmente condizionata in quelli più particolari -concreti.

sgiombo

Citazione di: Ipazia il 27 Febbraio 2019, 22:18:18 PM
E' possibile una conoscenza filosofica dell'uomo nella cui fenomenologia ci sta pure la libertà, cara ad entrambi, di decidere della propria vita e della propria morte.

Certamente la libertà umana di decidere della propria vita e della propria morte é carissima ad entrambi.

Tu pensi che sia esercitata per libero arbitrio, io deterministicamente (quando non é coartata da coercizioni estrinseche, cosa contro la quale lottiamo).

sgiombo

#38
Citazione da: sgiombo - 27 Febbraio 2019, 20:04:46 pm
Citazione
CitazioneVeramente a me (che ne ho discreta conoscenza essendo nato in un famiglia cristiana praticante che me lo ha insegnato con impegno ed amore, ed essendo stato convinto cristiano praticante io stesso fino all' età di quindici anni) pare che non sia affatto cristiano vivere alla condizione di essere felice

La domanda che hai post è diversa: 2 Si vive per essere felici o si é felici (pur) di vivere (comunque, in qualsiasi condizione)?

Ed io ho coerentemente risposto (anche dal punto di vista cristiano) che si vive per essere felici ed la sacrosanta verità (cristiana). Il cristiano non è felice di vivere in qualsiasi condizione. Ad essere sinceri solo uno sciocco è felice di vivere in qualsiasi condizione. Quindi anche il non cristiano dovrebbe dare la stessa risposta. Tutti dovrebbero dare questa risposta. Quello che affermi e che non era presente nel tuo quesito iniziale è la condizione. Cioè vivere alla condizione di essere felici. Questa è tutta un'altra cosa. Quindi vivere, sempre e comunque, ricercando la felicità. Vivere insomma per essere felici. Semmai dovremmo approfondire cosa è la felicità per un cristiano. Questo è un aspetto che merita indubbiamente un approfondimento. Ma non mi pare fosse presente nella domanda che hai posto.

Citazione
Ritengo non coerente con la credenza nel cristianesimo e in generale nelle religioni "monoteistiche provvidenzialistiche" ritenere che si vive per essere felici (e conseguentemente se non si può essere felici si preferisce non vivere).
Ma prendo atto che, da cristiano per quanto non troppo """ortodosso""", la pensi diversamente (ho espresso una curiosità e non posso che verificarla rilevando quanto mi si dice).

Non credo proprio che uno sciocco (per quanto sciocco sia, sciocco =/= masochista) sarebbe felice di vivere fra atroci dolori nell' impossibilità di curarseli.

Il problema che ho posto non é se si debba vivere cercando la felicità o meno (ovvio e banalissimo che sì), ma invece se, qualora si constati che non si può vivere felicemente si debba ugualmente accettare di continuare a vivere "ad ogni costo" oppure no.
Quello che ho chiesto é proprio questo. 


Citazione da: sgiombo - 27 Febbraio 2019, 20:04:46 pm
Citazione(e dunque, del tutto conseguentemente togliersi la vita se non lo si é);

Questa è una conseguenza logica soggettiva che nulla ha a che fare con la prospettiva logica umana oggettiva e cristiana e nemmeno, credo, con qualsiasi altra prospettiva se non quella, personalissima, di chi la voglia esprimere.
Citazione da: sgiombo - 27 Febbraio 2019, 20:04:46 pm


Citazione
Questa é una conseguenza logica punto e basta: per chi come scopo abbia la felicità e creda che la vita sia un mezzo, in caso di acclarata infelicità insuperabile consegue logicamente il togliersi la vita.
Invece per chi (come suppongo generalmente credenti; ma constato che non si tratta del tuo caso) ha per scopo essere grato comunque Dio per la vita (e dimostrarlo praticamente, coi fatti), allora credo che la conclusione logica sia continuare a vivere a qualsiasi costo.
[size=undefined]
[/size]






Citazionema casomai accettare qualsiasi cosa la vita "terrena" comporti, fossero anche i peggiori tormenti, essendo tutto ciò volontà divina,

Questo è un punto che già si avvicina alla logica cristiana ma bisogna fare qualche precisazione. I peggiori tormenti diciamo comuni, esteriori, insomma quelli che tutti noi, ahimè, direttamente o indirettamente sperimentiamo, se cristianamente vissuti ed elaborati conducono, misteriosamente, segretamente, misericordiosamente, alla felicità. Qui e ora. Non più tardi. E', ripeto, un grandissimo mistero ma è cristianesimo puro. Non mie elucubrazioni.

Citazione
Per me "mistero" == "elucubrazione illogica, autocontraddittoria" (1 == 3; Dio == uomo; peggiore toemento == felicità), ecc.





Freedom

Citazione di: sgiombo il 27 Febbraio 2019, 20:04:46 PMRitengo non coerente con la credenza nel cristianesimo e in generale nelle religioni "monoteistiche provvidenzialistiche" ritenere che si vive per essere felici (e conseguentemente se non si può essere felici si preferisce non vivere).
Ma prendo atto che, da cristiano per quanto non troppo """ortodosso""", la pensi diversamente (ho espresso una curiosità e non posso che verificarla rilevando quanto mi si dice).
Non so, forse è questione di lana caprina però il catechismo della Chiesa cattolica dice così:

II. Il desiderio della felicità

1718 Le beatitudini rispondono all'innato desiderio di felicità. Questo desiderio è di origine divina: Dio l'ha messo nel cuore dell'uomo per attirarlo a sé, perché egli solo lo può colmare.

Noi tutti certamente bramiamo vivere felici, e tra gli uomini non c'è nessuno che neghi il proprio assenso a questa affermazione, anche prima che venga esposta in tutta la sua portata [Sant'Agostino, De moribus ecclesiae catholicae, 1, 3, 4: PL 32, 1312].

Come ti cerco, dunque, Signore? Cercando Te, Dio mio, io cerco la felicità. Ti cercherò perché l'anima mia viva. Il mio corpo vive della mia anima e la mia anima vive di Te [Sant'Agostino, Confessiones, 10, 20, 29].

Dio solo sazia [San Tommaso d'Aquino, Expositio in symbolum apostolicum, 1].


Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

InVerno

Beh chiariamoci, il termine suicidio è un albero di natale addobato di immagini antropiche, dal romanticismo ai kamikaze, non è un termine che si può adattare all'etologia senza uno sforzo immaginitavo, se non altro di liberarlo da queste immagini. La stessa parola "depressione" che tu usi per gli animali, se messa in campo umano cambia totalmente di tono. Non penso che disponiamo delle parole per descrivere precisamente quello che accade in altri regni, perciò non possiamo rinunciare ad un certo grado metaforico. Se come dici sai affrontare l'argomento in campo deterministico senza necessità di autocoscienza, tanto meglio, dovremo concordare che il suicidio di cui parliamo è diverso per non essere autocosciente. Nel caso volessimo continuare questo discorso, dovremmo perlomeno concordare che intendiamo il suicidio come qualosa di più che l'azione di costringere se stessi ad una morte violenta, ma un percorso di autodistruzione che termina nella morte prematura e non accidentale, il risultato di una "depressione" (così come è anche negli esseri umani).
Ci sarebbero diversi esempi per dimostrare che quello che potremmo chiamare "stress" o "depressione" causa fenomeni autodistruttivi sia negli individui che nelle colonie, accellerandone bruscamente la dipartita, certo senza l'uso di pistole ne silenziatori. Non è il caso di soffermarsi sui dettagli, ma mi preme dire che non volevo resuscitare Jung e le coscienze collettive, tuttavia il problema menzionato è ampliamente documentato, e nessuno (purtroppo) conosce le dinamiche precise del problema (gli spetterebbe in tal caso il nobel). Così come è conosciuto che i recettori che regolano la "depressione" sono così antichi e simili tra le specie viventi, che il proxac funziona tanto sugli esseri umani quanto su animali preistorici come i crostacei, e non sorprendentemente.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

sgiombo

Citazione di: Freedom il 28 Febbraio 2019, 09:51:31 AM
Non so, forse è questione di lana caprina però il catechismo della Chiesa cattolica dice così:

II. Il desiderio della felicità

1718 Le beatitudini rispondono all'innato desiderio di felicità. Questo desiderio è di origine divina: Dio l'ha messo nel cuore dell'uomo per attirarlo a sé, perché egli solo lo può colmare.

Noi tutti certamente bramiamo vivere felici, e tra gli uomini non c'è nessuno che neghi il proprio assenso a questa affermazione, anche prima che venga esposta in tutta la sua portata [Sant'Agostino, De moribus ecclesiae catholicae, 1, 3, 4: PL 32, 1312].

Come ti cerco, dunque, Signore? Cercando Te, Dio mio, io cerco la felicità. Ti cercherò perché l'anima mia viva. Il mio corpo vive della mia anima e la mia anima vive di Te [Sant'Agostino, Confessiones, 10, 20, 29].

Dio solo sazia [San Tommaso d'Aquino, Expositio in symbolum apostolicum, 1].

Ma che tutti cerchino la felicità mi sembra perfettamente ovvio e perfino un po' banale.

Poiché un conto é desiderare e cercare, un altro conto (non sempre coincidente, purtroppo!) trovare, la questione interessante é se, ***in caso non ci sia di fatto felicità presente e nemmeno ragionevole speranza di felicità futura***, sia preferibile continuare a vivere comunque (perché per esempio, Dio lo vuole e a Dio non si deve disobbedire, oppure perché Dio lo vuole e Dio é infinitamente buono e in un' altra vita ci premierà con abbondanza dell' infelicità presente e prevedibilmente insuperabile in questa vita, o per qualsiasi altro motivo); oppure se sia preferibile cessare di vivere e soffrire.

Possibile che non riesca a spiegare una cosa così semplice, come il fatto che la questione de me posta é puramente e semplicemente questa (e non ad esempio se -molto ovviamente e banalmente-  si cerchi o meno di essere felici) ? ? ?

sgiombo

Citazione di: InVerno il 28 Febbraio 2019, 09:52:13 AM
Beh chiariamoci, il termine suicidio è un albero di natale addobato di immagini antropiche, dal romanticismo ai kamikaze, non è un termine che si può adattare all'etologia senza uno sforzo immaginitavo, se non altro di liberarlo da queste immagini. La stessa parola "depressione" che tu usi per gli animali, se messa in campo umano cambia totalmente di tono. Non penso che disponiamo delle parole per descrivere precisamente quello che accade in altri regni, perciò non possiamo rinunciare ad un certo grado metaforico. Se come dici sai affrontare l'argomento in campo deterministico senza necessità di autocoscienza, tanto meglio, dovremo concordare che il suicidio di cui parliamo è diverso per non essere autocosciente. Nel caso volessimo continuare questo discorso, dovremmo perlomeno concordare che intendiamo il suicidio come qualosa di più che l'azione di costringere se stessi ad una morte violenta, ma un percorso di autodistruzione che termina nella morte prematura e non accidentale, il risultato di una "depressione" (così come è anche negli esseri umani).
Ci sarebbero diversi esempi per dimostrare che quello che potremmo chiamare "stress" o "depressione" causa fenomeni autodistruttivi sia negli individui che nelle colonie, accellerandone bruscamente la dipartita, certo senza l'uso di pistole ne silenziatori. Non è il caso di soffermarsi sui dettagli, ma mi preme dire che non volevo resuscitare Jung e le coscienze collettive, tuttavia il problema menzionato è ampliamente documentato, e nessuno (purtroppo) conosce le dinamiche precise del problema (gli spetterebbe in tal caso il nobel). Così come è conosciuto che i recettori che regolano la "depressione" sono così antichi e simili tra le specie viventi, che il proxac funziona tanto sugli esseri umani quanto su animali preistorici come i crostacei, e non sorprendentemente.

Per me il suicidio si può praticare in tanti modi e per tanti motivi, ma pur sempre chiarissimamente, inequivocabilmente suicidio (concetto facilissimamente comprensibile)  comunque resta.
Sia che sia dovuto a depressione patologica oppure fisiologica, sia che venga attuato con metodi rapidi e/o violenti, sia che venga attuato con metodi lenti e/o "dolci").

Il determinismo non é affatto incompatibile con l' autocoscienza.
Penso anzi che gli uomini siano autocoscienti ma che agiscano non liberoarbitrariamente bensì deterministicamente.
Dunque il suicidio é accompagnato da autocoscienza, pur non essendo liberoarbitrario; e infatti é unicamente umano proprio come l' autocoscienza.

Nelle colonie di insetti mi é difficile, anzi impossibile immaginare un' autocoscienza collettiva, e in particolare nel suo ambito "stress" o "depressione", nonché la decisione di togliersi la vita.

Socrate78

#43
@Inverno: Il prozac non sempre funziona a meraviglia e come dovrebbe, anzi, spesso e volentieri è successo che proprio il farmaco ha fatto insorgere tendenze suicide in soggetti depressi che non avevano prima mai contemplato l'idea di uccidersi. Secondo me non ci sono evidenze scientifiche sul fatto che la depressione dipenda veramente da carenza di serotonina, perché potrebbe essere semmai la dopamina il neurotrasmettitore implicato nella sindrome oppure il tutto essere molto più complesso dipendere da qualcos'altro,  come una comunicazione più lenta del cervello depresso tra le diverse aree della corteccia, con l'effetto quindi di deprimere l'umore, la concentrazione, la volontà e tutte le funzioni nobili cerebrali. Non a caso il depresso tipico non ha appetito, non riesce a concentrarsi nelle attività di ogni giorno ed è apatico, quindi è come se vi fosse una comunicazione troppo lenta tra i neuroni. Ci sono anzi studi opposti che dicono addirittura che alcune depressioni nascerebbero proprio dall'eccesso di serotonina, che in eccesso agirebbe come un depressivo delle funzioni cerebrali e quindi il Prozac non farebbe altro in quei casi che far deprimere ancora di più! Ad esempio un recente studio dell'Università svedese di Uppsala dice che la fobia sociale e la conseguente depressione sarebbero causate dall'eccesso di serotonina, la troppa serotonina renderebbe ipersensibili alle critiche e al giudizio altrui, inclini alla depressione e all'isolamento sociale, ed ecco spiegato perché questi soggetti socialmente fobici non vedono affatto migliorare la loro ansia con i normali antidepressivi e continuano ad avere attacchi di panico quando devono stare con gli altri, per forza, i farmaci aumentano la serotonina e quindi aggravano il problema.

sgiombo

Citazione di: Socrate78 il 28 Febbraio 2019, 17:13:33 PM
@Inverno: Il prozac non sempre funziona a meraviglia e come dovrebbe, anzi, spesso e volentieri è successo che proprio il farmaco ha fatto insorgere tendenze suicide in soggetti depressi che non avevano prima mai contemplato l'idea di uccidersi.
CitazioneNon é esattamente così.

Te lo dico come medico che ha sostenuto un interessante esame di psichiatria (anche se ahimé molti anni fa):  fra le tendenze comportamentali più tipiche della depressione (patologica) ci sono sia  la tentazione di suicidarsi, sua una certa "fiacchezza", "passività" o scarsa propensione ad agire (in generale).

Gli antidepressivi sono farmaci difficili da "maneggiare", da somministrare con cautela e se appena possibile a pazienti "sorvegliati" (non soli) perché possono talora  avere un più precoce effetto inibente la propensione alla passività piuttosto che quella al suicidio, favorendo la messa in pratica di propositi solitamente già in precedenza "coltivati" (o considerati) dal paziente depresso, ma non attuati.



Secondo me non ci sono evidenze scientifiche sul fatto che la depressione dipenda veramente da carenza di serotonina, perché potrebbe essere semmai la dopamina il neurotrasmettitore implicato nella sindrome oppure il tutto essere molto più complesso dipendere da qualcos'altro,  come una comunicazione più lenta del cervello depresso tra le diverse aree della corteccia, con l'effetto quindi di deprimere l'umore, la concentrazione, la volontà e tutte le funzioni nobili cerebrali.
Citazione
La patologia (umana e animale) é estremamente complessa in generale.
E quelle psichiatriche solitamente più della media della altre.
La carenza e/o l' eccesso di serotonina in certe aree cerebrali e/o di dopamina /oo di altri mediatori chimici trans-sinaptici in certe altre sono solo due dei tanti fattori in gioco in buona parte sconosciuti.

Come nel resto della medicina spessissimo ricercatori di scarsa serietà e case farmaceutiche sparano presunte notizie di presunte "scoperte rivoluzionarie"di singoli farmaci "miracolosi" che curerebbero le più svariate patologie; ma si tratta quasi sempre e quasi integralmente di vergognose bufale a fine di lucro (sulla pelle di pazienti e congiunti dei pazienti) .



Non a caso il depresso tipico non ha appetito, non riesce a concentrarsi nelle attività di ogni giorno ed è apatico, quindi è come se vi fosse una comunicazione troppo lenta tra i neuroni.
Citazione
Vi sono però anche casi di depressione con bulimia, come ce ne sono con insonnia e con letargia (a conferma della estrema complessità di questa patologia; o più verosimilmente patologie).



Ci sono anzi studi opposti che dicono addirittura che alcune depressioni nascerebbero proprio dall'eccesso di serotonina, che in eccesso agirebbe come un depressivo delle funzioni cerebrali e quindi il Prozac non farebbe altro in quei casi che far deprimere ancora di più! Ad esempio un recente studio dell'Università svedese di Uppsala dice che la fobia sociale e la conseguente depressione sarebbero causate dall'eccesso di serotonina, la troppa serotonina renderebbe ipersensibili alle critiche e al giudizio altrui, inclini alla depressione e all'isolamento sociale, ed ecco spiegato perché questi soggetti socialmente fobici non vedono affatto migliorare la loro ansia con i normali antidepressivi e continuano ad avere attacchi di panico quando devono stare con gli altri, per forza, i farmaci aumentano la serotonina e quindi aggravano il problema.
Citazione
Diciamocela tutta: la psichiatria é ben lontana dal padroneggiare bene, con buona sicurezza, la patologie che tratta.