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DOMANDE

Aperto da sgiombo, 23 Febbraio 2019, 11:34:31 AM

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Ipazia

Per davintro

Ogni sensazione personale è legittima, inclusa quella di uno spirito indipendente dalla materia. Ma il problema nasce dal fatto che questo spirito ha bisogno della materia umana per manifestarsi e far valere le sue ragioni, lasciandoci sempre nel dubbio di quale sia la farina del suo o del nostro sacco.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

sgiombo

Per Davintro (anche da parte mia)


L' esistenza di limiti non significa necessariamente che oltre di essi sia reale qualcosa anziché (non esista il) nulla.

E se si parla di limiti della nostra conoscenza l' atteggiamento per me preferibile (più razionalistico) é la sospensione del giudizio, dal momento che quasiasi affermazione é per definizione una congettura del tutto infondata, non ha alcuna garanzia di verità.

tersite

 State usando il concetto di hybris nella sua concezione cattolica che lo intende come "peccato della ragione che vuole equipararsi a dio"

La hybris greca è diversa e si concretizza nell'arroganza, nell orgoglio e nella prepotenza dell'uomo sull uomo preferibilmente greco, preferibilmente prestante, preferibilmente proprietario di greggi.
La hybris cattolica è invece quella che ci rende quel che siamo.
Macchine biologiche per pensare.
Ogni definizione è artificiosa e in ciò è il suo potenziale evolutivo. (anonimo)

Ipazia

La hybris di Prometeo non è molto diversa da quella dei progenitori della Genesi. In entrambi i casi suscita la vendetta dei numi di fronte alla hybris umana desiderosa di emanciparsi dal loro potere attraverso la conoscenza e le sue applicazioni tecnologiche. Più metafisica la versione giudaico-cristiana, più esplicita e concreta quella greca, ma psicologicamente analoghe nell'indurre il Timor Dei di fronte al desiderio blasfemo di superare le colonne d'Ercole.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

tersite

Prometeo non era umano ma un titano.
Si pone al di fuori della hybris, o meglio a lui non può essere applicato il concetto di hybris.
La hybris appartiene agli uomini (greci, aitanti e proprietari di greggi, solo a loro, come il lion's club dei tempi ).
La dimensione di Prometeo è mitologica (e in ogni caso "più mitologica" di quella di Agamennone, scolastico esempio di hybris) e in comune con gli umani subisce la nemesis degli dei ma non per hybris, per tradimento nei loro confronti, proprio lui che aveva combattuto assieme a zeus.
Ogni definizione è artificiosa e in ciò è il suo potenziale evolutivo. (anonimo)

Ipazia

Anche Adamo Eva è Lucifero sono mitologici. La hybris è in tutti i casi narrazione della contrapposizione tra divino ed umano. Violazione del diritto imposto dalla divinità.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

davintro

per Sgiombo

mi è impossibile accettare il principio del "chi non lavora non mangia" perché figlio di una mentalità collettivista, che riduce la persona a semplice strumento e ruota dell'ingranaggio sociale, lontano anni luce da me. Vincolare il benessere al lavoro vuol dire ridurre il valore della persona a quanto si rende utile nel suo agire sociale, non considerando tutta la sfera interiore, di pensieri e sentimenti che si possiede indipendentemente dall'avere un lavoro o meno. Per me è sufficiente che si dia questa sfera per poter parlare di dignità e conseguentemente diritto di vivere, cioè per me la dignità è un dato ontologico, naturale, non il frutto di uno scambio, per cui in cambio di come ci si rende utili alla società si ottiene dignità e rispetto. Pensare a uno scambio presupporebbe un rapporto alla pari tra individui e società, cosa assurda, in quanto mentre gli individui sono esseri concreti, in carne e ossa, datati di bisogni vitali e di sentimenti, la società è solo un sistema di mezzi funzionale all'esaudimento dei bisogni degli individui che la istituiscono, al di fuori di tale strumentalità non ha alcun significato. Pensare che sia la società, tramite il lavoro ad assegnare dignità alle persone vuol dire attribuire ad essa un'autorità etica del tutto incompatibile con la sua accezione di mero strumento. Come mero strumento la società dovrebbe limitarsi a cercare di garantire a un numero più ampio di persone possibile un livello massimo di benessere, e questo va in controtendenza con l'imposizione di un ricatto per cui la garanzia dell'esistenza viene vincolata ad accettare qualunque tipo di lavoro, anche il più sgradevole e lontano dalle nostre aspirazioni. Tutto l'opposto della funzione fondamentale della società, quella di rimuovere il più possibile ostacoli alla libera realizzazione di ogni persona a vivere in base alle sue diverse inclinazioni. Insomma, condivido l'imperativo kantiano di agire trattando ogni persona come fine e non come mezzo (anche se, probabilmente non condividendo in toto le premesse teoriche kantiane a partire da cui questo pensiero è nato). E anche, ammesso e non concesso, di concepire l'utilità sociale  come fattore necessitante la dignità e il diritto all'esistenza, trovo molto limitante ridurre l'utilità alla produzione di mezzi di sussistenza, come se il lavoro creativo e intellettuale, quello di insegnanti, artisti, scrittori, non producenti beni materiali ma idee e emozioni non fosse considerato un vero lavoro, ma solo un hobby da parassiti fannulloni. Tramite il loro lavoro offrono un contributo alla società non meno importante di quello materiale e al contempo realizzano se stessi in coerenza con le loro inclinazioni e interessi, che non sono certo gli stessi (e non si vede perché debbano esserlo per forza) di chi svolge un lavoro manuale o di gestione aziendale. La nostra stessa costituzione repubblicana, che pure da al valore del lavoro così tanta centralità accosta al progresso materiale il progresso spirituale (morale, recita lletteralmente) nell'elencare i fini del contributo dei cittadini. 



Trovo l'esistenza del limite necessariamente implicante l'esistenza di un "oltre" positivo, altrimenti il nostro limite non ci sarebbe, dato che ci sarebbe, appunto, nulla oltre esso, senza il nulla oltre di noi saremmo tutto e non ci riconosceremmo come limitati. Riconoscere la positività di questo oltre non vuol dire avere la pretesa di averne una conoscenza razionale esaustiva. Questa pretesa implicherebbe la caduta dell'immanentismo, cioè l'idea che tutta la realtà coincida con le nostre possibilità conoscitive, e questo, come evidente, è in contraddizione con la premessa del limite, il mio pensiero coinciderebbe con la totalità degli aspetti del reale. Non c'è invece alcuna contraddizione nel riconoscere, da un lato l'esistenza di questa realtà trascendente i nostri limiti, dall'altro la sua irriducibilità rispetto le possibilità di averne una conoscenza esaustiva, a meno di non pensare assurdamente che l'esistenza di un ente sia l'unica proprietà che lo caratterizzi, e che dunque riconoscendo che qualcosa esiste solo per questo sapremmo tutto di esso

sgiombo

Citazione di: davintro il 05 Marzo 2019, 21:36:52 PM
per Sgiombo

mi è impossibile accettare il principio del "chi non lavora non mangia" perché figlio di una mentalità collettivista, che riduce la persona a semplice strumento e ruota dell'ingranaggio sociale, lontano anni luce da me. Vincolare il benessere al lavoro vuol dire ridurre il valore della persona a quanto si rende utile nel suo agire sociale, non considerando tutta la sfera interiore, di pensieri e sentimenti che si possiede indipendentemente dall'avere un lavoro o meno.
Citazione
Non é affatto vero!
Vuol dir solo pretendere una giusta produzione e distribuzione dei beni necessari a vivere.
Il collettivismo é il miglior modo per promuovere il libero sviluppo di ciascuno in armonia con (e non a discapito de-) il libero sviluppo di ciascun altro.



Per me è sufficiente che si dia questa sfera per poter parlare di dignità e conseguentemente diritto di vivere, cioè per me la dignità è un dato ontologico, naturale, non il frutto di uno scambio, per cui in cambio di come ci si rende utili alla società si ottiene dignità e rispetto. Pensare a uno scambio presupporebbe un rapporto alla pari tra individui e società, cosa assurda, in quanto mentre gli individui sono esseri concreti, in carne e ossa, datati di bisogni vitali e di sentimenti, la società è solo un sistema di mezzi funzionale all'esaudimento dei bisogni degli individui che la istituiscono, al di fuori di tale strumentalità non ha alcun significato.
Citazione
Se anche fosse, ammesso e non concesso, non ci sarebbe proprio nulla di assurdo: si ottiene dagli altri rispetto e riconoscimento di dignità nella mistura in cui si contribuisce al benessere proprio e altrui e non si campa parassitariamente sul lavoro altrui (in caso di "cause di forza maggiore" -invalidità di variabile misura- non di parassitismo ma di buon diritto si tratterebbe ovviamente).



Pensare che sia la società, tramite il lavoro ad assegnare dignità alle persone vuol dire attribuire ad essa un'autorità etica del tutto incompatibile con la sua accezione di mero strumento.

Come mero strumento la società dovrebbe limitarsi a cercare di garantire a un numero più ampio di persone possibile un livello massimo di benessere, e questo va in controtendenza con l'imposizione di un ricatto per cui la garanzia dell'esistenza viene vincolata ad accettare qualunque tipo di lavoro, anche il più sgradevole e lontano dalle nostre aspirazioni. Tutto l'opposto della funzione fondamentale della società, quella di rimuovere il più possibile ostacoli alla libera realizzazione di ogni persona a vivere in base alle sue diverse inclinazioni. 
Insomma, condivido l'imperativo kantiano di agire trattando ogni persona come fine e non come mezzo (anche se, probabilmente non condividendo in toto le premesse teoriche kantiane a partire da cui questo pensiero è nato).
Citazione
Mi dispiace per te e per l' abominevole Thatcher, ma la società esiste come imprescindibile caratteristica innanzitutto naturale - biologica e poi storica - culturale degli uomini (e limitatamente al suo aspetto naturale - biologico anche di tante altre specie animali).
E non come mero strumento al servizio degli individui.



 E anche, ammesso e non concesso, di concepire l'utilità sociale  come fattore necessitante la dignità e il diritto all'esistenza, trovo molto limitante ridurre l'utilità alla produzione di mezzi di sussistenza, come se il lavoro creativo e intellettuale, quello di insegnanti, artisti, scrittori, non producenti beni materiali ma idee e emozioni non fosse considerato un vero lavoro, ma solo un hobby da parassiti fannulloni.

Tramite il loro lavoro offrono un contributo alla società non meno importante di quello materiale e al contempo realizzano se stessi in coerenza con le loro inclinazioni e interessi, che non sono certo gli stessi (e non si vede perché debbano esserlo per forza) di chi svolge un lavoro manuale o di gestione aziendale. La nostra stessa costituzione repubblicana, che pure da al valore del lavoro così tanta centralità accosta al progresso materiale il progresso spirituale (morale, recita lletteralmente) nell'elencare i fini del contributo dei cittadini. 
Citazione
E chi avrebbe mai considerato il lavoro creativo e intellettuale, quello di insegnanti, artisti, scrittori, non un vero lavoro, ma solo un hobby da parassiti fannulloni ? ! ? ! ? !
Si tratta di lavori producenti eccome, anche se indirettamente, beni materiali, oltre che idee e emozioni (senza questo lavoro di fatto da millenni non sarebbe possibile produrre beni materiali: sarebbe per assurdo possibile solo nelle ideologiche fantasticherie "robinsoniane" dell' individualismo borghese capitalistico).

Peraltro (per lo meno nel capitalismo) per me quello di "gestione aziendale", che é quanto di più differente dal lavoro creativo e intellettuale, quello di insegnanti, artisti, scrittori che offrono un contributo alla società non meno importante di quello materiale, non é affatto lavoro ma parassitismo e sfruttamento del lavoro altrui.



Trovo l'esistenza del limite necessariamente implicante l'esistenza di un "oltre" positivo, altrimenti il nostro limite non ci sarebbe, dato che ci sarebbe, appunto, nulla oltre esso, senza il nulla oltre di noi saremmo tutto e non ci riconosceremmo come limitati.
Citazione
Appunto: oltre il limite del tutto c' é proprio (il) nulla.



Riconoscere la positività di questo
Citazione
significa cadere in contraddizione: affermare che oltre il limite del tutto "positivamente" reale" ci sarebbe qualcos' altro di ulteriormente "positivamente" reale (tutto il reale == parte del reale ! ! !).



 oltre non vuol dire avere la pretesa di averne una conoscenza razionale esaustiva. Questa pretesa implicherebbe la caduta dell'immanentismo, cioè l'idea che tutta la realtà coincida con le nostre possibilità conoscitive, e questo, come evidente, è in contraddizione con la premessa del limite, il mio pensiero coinciderebbe con la totalità degli aspetti del reale.
Citazione
Di ciò che eccede il reale può veracemente (ma tautologicamente) conoscersi solo che non esiste/accade realmente.



Non c'è invece alcuna contraddizione nel riconoscere, da un lato l'esistenza di questa realtà trascendente i nostri limiti, dall'altro la sua irriducibilità rispetto le possibilità di averne una conoscenza esaustiva, a meno di non pensare assurdamente che l'esistenza di un ente sia l'unica proprietà che lo caratterizzi, e che dunque riconoscendo che qualcosa esiste solo per questo sapremmo tutto di esso
Citazione
Realtà trascendente i nostri limiti percettivo e/o conoscitivi =/= non realtà (nulla di reale).

Invece che della Realtà trascendente i nostri limiti conoscitivi non possa aversi conoscenza é una tautologia.


viator

Salve davintro. Ma tu l'espressione che hai citato : "Tutto l'opposto della funzione fondamentale della società, quella di rimuovere il più possibile ostacoli alla libera realizzazione di ogni persona a vivere in base alle sue diverse inclinazioni.".........l'hai orecchiata da qualche parte (lasciamo perdere i Sacri Testi Resistenzial-Buonistici) o l'hai meditata ?
Una società che si fa paladina degli estri individuali (l'inclinazione spontanea di milioni di persone è l'ozioso parassitismo) !!!!!!! Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.