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Crisi esistenziale

Aperto da Apeiron, 12 Ottobre 2016, 19:16:46 PM

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Apeiron

Come da titolo volevo condividere con voi la mia situazione esistenziale. Sono sempre stato una persona timida, introversa e completamente inetta nella vita quotidiana. Sono abbastanza inetto nel comprendere le relazioni interpersonali e le banalità della vita quotidiana a volte mi pesano un macigno. Questo è il background ed è forse la causa del fatto che mi sono spinto alla filosofia e alla scienza. Detto ciò questa è la mia situazione.

(1) Sono terrorizzato dalla intrinseca contingenza della vita. Sono consapevole che mi può capitare di tutto, che i miei sogni si possono infrangere, che posso morire da un momento all'altro ecc;
(2) Vorrei che la mia propensione filosofica fosse utile anche per le altre persone, però la mia totale incapacità nella vita quotidiana non aiuta. Non so come in sostanza fare in modo che il mio talento sia utile;
(3) Sono continuamente in dubbio se appunto la ricerca interiore sia in realtà utile o sia una semplice "perdita di tempo". Vedo persone molto più intelligenti e molto più funzionali nella società di me che trascurano completamente questa dimensione;
(4) Sono poi cosciente del rischio (economico, mentale...) che mi pone la scelta di vita "da filosofo" sia per me che per i miei cari. Quello che mi chiedo è "sono pazzo a pensare che ne valga la pena"? E inoltre ho una spinta a pensare che non riesco in ogni modo a fermare. Inoltre in prospettiva sarebbe l'unica vita che mi renderebbe felice. Il problema è che vedo "ostacoli" ovunque, oltre che un generale disinteresse per questi argomenti.
(5) Cerco di trovare una risposta alle domande etiche ed epistemologiche più profonde ma in caso queste non ci siano allora l'intera mia vita sarebbe per così dire "sprecata";
(6) Il mio essere imbranato nella vita quotidiana mi rende inutile "materialmente" per le altre persone;

Immagino che anche a voi saranno capitati pensieri simili, come li gestite?

In sostanza mi sento piccolo, debole e tremolante. Non vorrei anche essere in tutto questo "pazzo". Mi sento un estraneo rispetto a questo mondo e a quest'epoca. Però non pensate che sia un completo eremita o un asociale, non lo sono.

L'unica consolazione che riesco a trovare sono parole come quelle di Pascal:
"L'uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura; ma è una canna pensante. Non occorre che l'universo intero si armi per annientarlo: un vapore, una goccia d'acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma quand'anche l'universo lo schiacciasse, l'uomo sarebbe pur sempre più nobile di chi lo uccide, dal momento che egli sa di morire e il vantaggio che l'universo ha su di lui; l'universo non sa nulla. Tutta la nostra dignità sta dunque nel pensiero. E' in virtù di esso che dobbiamo elevarci, e non nello spazio e nella durata che non sapremmo riempire. Lavoriamo dunque a ben pensare: ecco il principio della morale".
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Apeiron

Dimenticavo: vorrei eliminare tutti i pensieri di avversione che ho. So che non ci dovrebbero essere. Eppure ho pensieri di disprezzo, odio, non-accettazione, invidia ecc. Vorrei riuscire semplicemente a liberarmi di questa zavorra.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

doxa

#2
Sappiamo che siamo nati, sappiamo che moriremo, nello spazio temporale tra i due eventi è necessario costruirsi un percorso di vita, fare dei progetti, cercare di realizzarli, senza farsi condizionare da pensieri pesanti come macigni. Se non ci si riesce da soli è necessario l'aiuto del psicoterapeuta.

E' importante l'autoconoscenza per avere la consapevolezza di ciò che si vuole. E poi agire per soddisfare i propri desideri.
Tendere all'autorealizzazione o rimanere statici insieme ai rimpianti ed ai rimorsi ?  

Provare ad essere contenti, non dico felici, è un diritto, ma soprattutto un dovere per non morire spiritualmente, lentamente....
"lentamente muore" dice in una sua poesia la giornalista e scrittrice brasiliana Martha Medeiros, che l'ha pubblicata l'1 novembre del 2000 sul quotidiano "Zero Hora", edito a Porto Alegre.
La poesia evoca la filosofia del "yourself it" ed è denominata "A Morte Devegar", ma in Italia è conosciuta col titolo "Ode alla vita", oppure "Lentamente muore". In Internet la si trova erroneamente attribuita a Pablo Neruda.

Ode alla Vita

Lentamente muore
chi diventa schiavo dell'abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle "i"
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all'errore ed ai sentimenti.

Lentamente muore
chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno,
chi non si permette, almeno una volta nella vita, di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in se stesso.

Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio,
chi non si lascia aiutare
chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore
chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce,
chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.

Soltanto l'ardente pazienza
porterà al raggiungimento
di una splendida felicità.

(Martha Medeiros)

Apeiron

Grazie altamarea,

Quello che dici (e quello che dice anche Martha Medeiros) è vero. Certamente dovrò riuscire a superare questa crisi andando per la mia strada. Tuttavia la mia strada è, se vuoi, molto "originale" o meglio molto "solitaria"/"unica". Il punto è che a percorrerla sarei proprio da solo. Quindi il mio dilemma è il seguente: non ho idea di quanto sono "valido" a fare quello che voglio fare eppure so che non mi soddisfacerebbe nient'altro. La mia scelta in sostanza è tra una vita "pericolosa" e piena d'ansia a una che non mi soddisfacerebbe.

Detto questo non sono d'accordo che sia un "dovere" essere contenti, dovrebbe essere un diritto. Tuttavia in un mondo dominato dalla competizione e dalla competitività il sorriso lo ha sempre "chi vince". Su ciò non sono d'accordo, eppure non vedo nient'altro che questo. Ritengo poi che tutta l'arte, o almeno gran parte di essa, nasca dall'infelicità e dall'insoddisfazione della "vita ordinaria". Anche perchè la condizione umana è questa: siamo in un mondo che è dominato da lotta e competizione e allo stesso tempo abbiamo una coscienza che ci dice che dovremo comportarci "bene", non sapendo mai cosa realmente significhi ciò.

Quindi la mia domanda è: in un mondo dominato dalla competizione e dalla contingenza come vi comportereste se avete in mente due ideali: (1) riuscire a concludere qualcosa, (2) riuscire a rimanere un persona "moralmente decente". L'esperienza ci insegna che (1) & (2) non sempre vanno d'accordo.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

Sariputra

Citazione di: Apeiron il 13 Ottobre 2016, 09:49:55 AMGrazie altamarea, Quello che dici (e quello che dice anche Martha Medeiros) è vero. Certamente dovrò riuscire a superare questa crisi andando per la mia strada. Tuttavia la mia strada è, se vuoi, molto "originale" o meglio molto "solitaria"/"unica". Il punto è che a percorrerla sarei proprio da solo. Quindi il mio dilemma è il seguente: non ho idea di quanto sono "valido" a fare quello che voglio fare eppure so che non mi soddisfacerebbe nient'altro. La mia scelta in sostanza è tra una vita "pericolosa" e piena d'ansia a una che non mi soddisfacerebbe. Detto questo non sono d'accordo che sia un "dovere" essere contenti, dovrebbe essere un diritto. Tuttavia in un mondo dominato dalla competizione e dalla competitività il sorriso lo ha sempre "chi vince". Su ciò non sono d'accordo, eppure non vedo nient'altro che questo. Ritengo poi che tutta l'arte, o almeno gran parte di essa, nasca dall'infelicità e dall'insoddisfazione della "vita ordinaria". Anche perchè la condizione umana è questa: siamo in un mondo che è dominato da lotta e competizione e allo stesso tempo abbiamo una coscienza che ci dice che dovremo comportarci "bene", non sapendo mai cosa realmente significhi ciò. Quindi la mia domanda è: in un mondo dominato dalla competizione e dalla contingenza come vi comportereste se avete in mente due ideali: (1) riuscire a concludere qualcosa, (2) riuscire a rimanere un persona "moralmente decente". L'esperienza ci insegna che (1) & (2) non sempre vanno d'accordo.

Penso che ognuno di noi deve , un pò alla volta, ché non si tratta di un percorso agevole, realizzare la sua eventuale adeguatezza al mondo. Se non possediamo un carattere competitivo, non ci interessa primeggiare sugli altri, né con il potere , né con l'autorità, né con il denaro, ma si ritiene che si possa trovare un pò di serenità nella vita ( la felicità è fatta di momenti , attimi, non è una condizione duratura...per nessuno!) dedicandoci a quello che ci interessa  e che in parte è una spinta insopprimile, ci si dovrebbe , a parer mio, rivolgere a questo con passione e dedizione. Questo non significa viverlo come una sorta di sconfitta , come un " mi dedico alla filosofia, o all'arte, perché sono troppo imbranato per combinare qualcosa nel mondo" ( questo rivelerebbe in realtà che è proprio il giudizio su di noi del mondo che ci interessa), ma come un assecondare la propria natura, arrivando ad amarla, o meno prosaicamente nel "trovarvi pace".
"Concludere qualcosa" e "moralmente decente" sono definizioni che assumono un significato se ci confrontiamo proprio con quel mondo che noi riteniamo ci ritenga imbranati ( nessuno di noi pensa di esserlo se non si paragona erroneamente con gli altri). Ottenere un risultato è, per il mondo, un percorso fatto di competizione. Moralmente accettabile è una valutazione convenzionale umana se inteso come "moralmente accettabile per la società in cui mi ritrovo a vivere". I veri risultati e la vera etica morale risiedono in noi e non hanno nulla a che fare con il mondo, se non per come potremmo apparire per altri ( ma le loro idee su di noi ci riguardano fino ad un certo punto...). Bisogna però essere pure , in una certa misura, pragmatici. Consapevoli che i soldi servono per vivere, o sopravvivere dignitosamente ( del cibo, un tetto, dei vestiti sono necessari...) e quindi operare "anche" per procurarmi il necessario, ma con il nostro cuore non completamente schiavo di questa necessità e della sua infinita e inappagabile moltiplicazione, che vediamo dispiegarsi come autentica forza motrice della società odierna ( e forse di ogni tempo).
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

roberta

#5
Provare ad essere contenti, non dico felici, è un diritto, ma soprattutto un dovere per non morire spiritualmente, lentamente....

scusate scusate non riesco citare  e sono pigra metter gli occhiali. oh che pesante hihihi,
questa frase di Altamarea, che bel nick, è bella. ed è così vera. io spesso, soprattutto quando sono a passeggio col cane, mi prendono dei momenti
di magone incredibile, credo sia essere soli nel silenzio con la natura che parla...
e mi ritrovo a dirmi e a parlare con gli angeli che invoco sempre piu' spesso, e allora comincio ad abbozzare un sorriso e a ripetere Grazie come un mantra.
E per quanto mi riguarda anche far finta di essere sani  >>> https://www.youtube.com/watch?v=-iVjYomOJRQ

Apeiron

Citazione di: Sariputra il 13 Ottobre 2016, 12:01:11 PM
Citazione di: Apeiron il 13 Ottobre 2016, 09:49:55 AMGrazie altamarea, Quello che dici (e quello che dice anche Martha Medeiros) è vero. Certamente dovrò riuscire a superare questa crisi andando per la mia strada. Tuttavia la mia strada è, se vuoi, molto "originale" o meglio molto "solitaria"/"unica". Il punto è che a percorrerla sarei proprio da solo. Quindi il mio dilemma è il seguente: non ho idea di quanto sono "valido" a fare quello che voglio fare eppure so che non mi soddisfacerebbe nient'altro. La mia scelta in sostanza è tra una vita "pericolosa" e piena d'ansia a una che non mi soddisfacerebbe. Detto questo non sono d'accordo che sia un "dovere" essere contenti, dovrebbe essere un diritto. Tuttavia in un mondo dominato dalla competizione e dalla competitività il sorriso lo ha sempre "chi vince". Su ciò non sono d'accordo, eppure non vedo nient'altro che questo. Ritengo poi che tutta l'arte, o almeno gran parte di essa, nasca dall'infelicità e dall'insoddisfazione della "vita ordinaria". Anche perchè la condizione umana è questa: siamo in un mondo che è dominato da lotta e competizione e allo stesso tempo abbiamo una coscienza che ci dice che dovremo comportarci "bene", non sapendo mai cosa realmente significhi ciò. Quindi la mia domanda è: in un mondo dominato dalla competizione e dalla contingenza come vi comportereste se avete in mente due ideali: (1) riuscire a concludere qualcosa, (2) riuscire a rimanere un persona "moralmente decente". L'esperienza ci insegna che (1) & (2) non sempre vanno d'accordo.
Penso che ognuno di noi deve , un pò alla volta, ché non si tratta di un percorso agevole, realizzare la sua eventuale adeguatezza al mondo. Se non possediamo un carattere competitivo, non ci interessa primeggiare sugli altri, né con il potere , né con l'autorità, né con il denaro, ma si ritiene che si possa trovare un pò di serenità nella vita ( la felicità è fatta di momenti , attimi, non è una condizione duratura...per nessuno!) dedicandoci a quello che ci interessa e che in parte è una spinta insopprimile, ci si dovrebbe , a parer mio, rivolgere a questo con passione e dedizione. Questo non significa viverlo come una sorta di sconfitta , come un " mi dedico alla filosofia, o all'arte, perché sono troppo imbranato per combinare qualcosa nel mondo" ( questo rivelerebbe in realtà che è proprio il giudizio su di noi del mondo che ci interessa), ma come un assecondare la propria natura, arrivando ad amarla, o meno prosaicamente nel "trovarvi pace". "Concludere qualcosa" e "moralmente decente" sono definizioni che assumono un significato se ci confrontiamo proprio con quel mondo che noi riteniamo ci ritenga imbranati ( nessuno di noi pensa di esserlo se non si paragona erroneamente con gli altri). Ottenere un risultato è, per il mondo, un percorso fatto di competizione. Moralmente accettabile è una valutazione convenzionale umana se inteso come "moralmente accettabile per la società in cui mi ritrovo a vivere". I veri risultati e la vera etica morale risiedono in noi e non hanno nulla a che fare con il mondo, se non per come potremmo apparire per altri ( ma le loro idee su di noi ci riguardano fino ad un certo punto...). Bisogna però essere pure , in una certa misura, pragmatici. Consapevoli che i soldi servono per vivere, o sopravvivere dignitosamente ( del cibo, un tetto, dei vestiti sono necessari...) e quindi operare "anche" per procurarmi il necessario, ma con il nostro cuore non completamente schiavo di questa necessità e della sua infinita e inappagabile moltiplicazione, che vediamo dispiegarsi come autentica forza motrice della società odierna ( e forse di ogni tempo).

Lo spirito competitivo è necessario ahimé per tutti, perfino per chi vuole "andare fuori dal mondo". Io ho sempre visto la verità del fatto che "la vita è sfida" non come una bella cosa come ci vorrebbero far credere quelli che dicono "cavalca il cambiamento". No, questa verità è una verità terribile. Detto questo se si vuole però riuscire a raggiungere un qualche obbiettivo anche quello della realizzazione spirituale si deve combattere e quindi soffrire. Il mio problema, credo, è quello di una mancanza di "energia vitale" che specialmente si manifesterà nella penosità con cui dovrò faticare nelle banalità quotidiane.  Per il resto sono d'accordissimo con te. Fammi precisare che tuttavia il mio "essere decente" non vuole essere un giudizio relativo di valore ma per quanto possibile assoluto seguendo la più profonda coscienza presente in ognuno di noi.
Curiosità: Visto che sei perlomeno interessato al buddismo, come vivi col "samvega" buddista www.accesstoinsight.org/lib/authors/thanissaro/affirming.html (rispondi solo se ritieni che non sia troppo personale), sapendo che per questa religione la vita che non viene spesa per provare a raggiungere il Nirvana è "dukkha"? (per la cronaca non sono buddista ma agnostico, è che ammiro la chiarezza con cui 2000 anni questa religione esplorava i problemi esistenziali)

Citazione di: roberta il 13 Ottobre 2016, 12:16:59 PMProvare ad essere contenti, non dico felici, è un diritto, ma soprattutto un dovere per non morire spiritualmente, lentamente.... scusate scusate non riesco citare e sono pigra metter gli occhiali. oh che pesante hihihi, questa frase di Altamarea, che bel nick, è bella. ed è così vera. io spesso, soprattutto quando sono a passeggio col cane, mi prendono dei momenti di magone incredibile, credo sia essere soli nel silenzio con la natura che parla... e mi ritrovo a dirmi e a parlare con gli angeli che invoco sempre piu' spesso, e allora comincio ad abbozzare un sorriso e a ripetere Grazie come un mantra. E per quanto mi riguarda anche far finta di essere sani >>> https://www.youtube.com/watch?v=-iVjYomOJRQ

Non sono invece per nulla d'accordo col fatto che è dovere essere felici per il motivo che dici nell'ultima frase: perchè la felicità imposta per "dovere" è una felicità finta, una finzione di essere sani. Io lo ammetto: non sono sano. Tuttavia nella vita di tutti i giorni dobbiamo mascherare i nostri problemi. Nessuno infatti è a suo agio con uno depresso da quello che ho visto. Quindi si DEVE fingere. Così come mi creano disgusto i tentativi di "aiuto" di chi dice "abbraccia il cambiamento" o "vivi il momento..." o "c'è gente messa peggio di te" o "sei egoista"...

Detto questo non voglio dire di essere necessariamente in disaccordo con Altamarea in quanto se vogliamo sono spinto dallo stesso "voler" essere felice.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

doxa

Apeiron ha scritto:
CitazioneLo spirito competitivo è necessario ahimé per tutti, perfino per chi vuole "andare fuori dal mondo". Io ho sempre visto la verità del fatto che "la vita è sfida" non come una bella cosa come ci vorrebbero far credere quelli che dicono "cavalca il cambiamento". No, questa verità è una verità terribile. Detto questo se si vuole però riuscire a raggiungere un qualche obbiettivo anche quello della realizzazione spirituale si deve combattere e quindi soffrire.

La mia esperienza di vita è diversa dalla tua. A te la vita sembra un'arena con i gladiatori che lottano per la sopravvivenza, chissà perché.
Se ti vuoi realizzare nell'ambito della fisica o della filosofia nessuno può ostacolarti. Ti piacerebbe l'autorealizzazione ma non hai l'autostima necessaria. Come già ti ho detto nel precedente post, se non riesci da solo ad accrescere l'autostima puoi farti aiutare da un psicoterapeuta, ma da quanto leggo nei tuoi post,  eviti di argomentare su tale possibilità. Ciò mi fa pensare che già sei stato dallo psicologo e sei rimasto insoddisfatto. Sbaglio ?

Spiegami che necessità ha di essere competitivo "chi vuole andare fuori dal mondo", chi vuol fare l'eremita o altro. Un mio parente, monaco benedettino, ogni volta che lo incontro lo trovo sereno, in pace con tutti.

Nell'ambito lavorativo c'è competizione, ma non in modo esasperato nella maggior parte dei casi.

Dedicati a diventare bravo in ciò che ti piace fare, senza entrare in competizione con nessuno.
Il problema solitudine ? E' una tua scelta ! Ci sono tanti modi per farsi degli amici. Se ci non ci riesci fatti un esame di coscienza.

Apeiron

#8
Citazione di: altamarea il 13 Ottobre 2016, 21:41:48 PMApeiron ha scritto:
CitazioneLo spirito competitivo è necessario ahimé per tutti, perfino per chi vuole "andare fuori dal mondo". Io ho sempre visto la verità del fatto che "la vita è sfida" non come una bella cosa come ci vorrebbero far credere quelli che dicono "cavalca il cambiamento". No, questa verità è una verità terribile. Detto questo se si vuole però riuscire a raggiungere un qualche obbiettivo anche quello della realizzazione spirituale si deve combattere e quindi soffrire.
La mia esperienza di vita è diversa dalla tua. A te la vita sembra un'arena con i gladiatori che lottano per la sopravvivenza, chissà perché. Se ti vuoi realizzare nell'ambito della fisica o della filosofia nessuno può ostacolarti. Ti piacerebbe l'autorealizzazione ma non hai l'autostima necessaria. Come già ti ho detto nel precedente post, se non riesci da solo ad accrescere l'autostima puoi farti aiutare da un psicoterapeuta, ma da quanto leggo nei tuoi post, eviti di argomentare su tale possibilità. Ciò mi fa pensare che già sei stato dallo psicologo e sei rimasto insoddisfatto. Sbaglio ? Spiegami che necessità ha di essere competitivo "chi vuole andare fuori dal mondo", chi vuol fare l'eremita o altro. Un mio parente, monaco benedettino, ogni volta che lo incontro lo trovo sereno, in pace con tutti. Nell'ambito lavorativo c'è competizione, ma non in modo esasperato nella maggior parte dei casi. Dedicati a diventare bravo in ciò che ti piace fare, senza entrare in competizione con nessuno. Il problema solitudine ? E' una tua scelta ! Ci sono tanti modi per farsi degli amici. Se ci non ci riesci fatti un esame di coscienza.

In realtà non sono mai andato dallo psicologo. Però non ho i mezzi attualmente per andarci.

Sì mi sembra un'arena di gladiatori che combattono per la sopravvienza. D'altronde come descriveresti il mondo? Si lotta per sopravvivere. Ogni essere vivente lo fa, ogni specie cerca di mutare la realtà a proprio giovamento. Ogni giorno lottiamo. Chiaramente se fossi religioso e pensassi ad esempio che la creazione in fondo è come deve essere, sarei magari meno impaurito dalla realtà. Guarda le religioni: molte professano l'esistenza di un al di là migliore di questo mondo. Perchè?

Nessuno vorrà ostacolarmi ma questo non significa che non dovrò lottare. In ogni caso mi domando anche se volere l'auto-realizzazione sia giusto o no. Poi comunque anche nella ricerca c'è molta competizione da quanto mi è stato riferito. Nell'ambito lavorativo ho esperienze molto vicine a me dove la competizione era esasperata.

Per il tuo amico monaco: sicuramente avrà sofferto anche lui prima di diventarlo. Molte conversioni/realizzazioni religiose in realtà arrivano dopo molti travagli spirituali (esempi ne trovi tantissimi). Non credi? D'altronde è una scelta drastica abbandonare il contatto umano. Non credo che non abbia mai sofferto di ciò. Se non ha mai sofferto, sono felice per lui.

Solitudine. Sì l'esame di coscienza me lo faccio ogni giorno. E so (in parte) i difetti che io. Tuttavia riuscire a vivere in modo decente, essere funzionale, stare al passo con gli esami, mantenere le amicizie e correggere i miei profondi difetti è faticoso. Sapevo di fare la figura del lamentone (e lo sono per carità, lungi da me il negarlo) però mi sembri troppo drastico. Voglio dire: hai mai letto Nietzsche? Sia nell'opera che nell'epistolario trovi il lamento della solitudine. D'altronde è umano, troppo umano (cit.), naturale lamentarsi della solitudine. Così come è naturale vedere la vita come dura. Con questo non voglio dire che trovo una scusa.

Detto questo ho molti difetti e ti garantisco che non è per nulla facile "funzionare bene" nella società e ripararli allo stesso tempo.

Comunque ho riletto il tuo post e il rischio del rimpianto se non si perseguono i propri interessi è enorme. L'espressione "morire lentamente" mi è piaciuta. E anzi a me da la spinta nel mio "solitario" cammino.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

doxa

#9
Apeiron ha scritto:

CitazioneSi lotta per sopravvivere. Ogni essere vivente lo fa, ogni specie cerca di mutare la realtà a proprio giovamento. Ogni giorno lottiamo.
Ti assicuro che io ogni giorno non lotto per sopravvivere. Non vedo intorno a me belve fameliche. Ci sono problemi e vanno affrontati, ma senza drammatizzare.
Ti fai troppe domande e ti dai risposte sbagliate, ansiogene. Rilassati e pensa tranquillamente a studiare. Poi tenterai di trovarti un lavoro ma non dovrai "lottare con nessuno". Se sarai bravo vincerai i concorsi. Dipende da te non dagli altri.  
CitazioneIn ogni caso mi domando anche se volere l'auto-realizzazione sia giusto o no. Poi comunque anche nella ricerca c'è molta competizione da quanto mi è stato riferito. Nell'ambito lavorativo ho esperienze molto vicine a me dove la competizione era esasperata.
L'autorealizzazione è collegata al senso della vita.  Cos'è per te il senso della vita ? Prima di rispondere a questa domanda devi chiederti "cos'è la vita", cos'è un essere vivente.
Che senso ha la vita ? E' una domanda importante, non irrilevante. Chi pensa di farne a meno si accorge che i suoi atti sono come frammenti senza collegamento fra loro. Chi invece si sveglia al mattino ed ha uno scopo per vivere, la fatica quotidiana diventa sostenibile, perché motivato ad agire, a dare significato a ciò che sceglie e fa.

Un antico proverbio afferma: "Si può vivere senza sapere perché, ma non si può vivere senza sapere per chi !" Non si può vivere solo per l'avere, il piacere o il potere. Il senso della vita si trova nell'amore: chi ama ha qualcuno per cui vivere, fare sacrifici, sperare.

Citazioneriuscire a vivere in modo decente, essere funzionale, stare al passo con gli esami, mantenere le amicizie e correggere i miei profondi difetti è faticoso.

Non per tutti è così. Ci sono persone che affrontano con calma tutte le situazioni senza stancarsi. Devi fare ciò che ti è possibile.
Citazionehai mai letto Nietzsche? Sia nell'opera che nell'epistolario trovi il lamento della solitudine. D'altronde è umano, troppo umano (cit.), naturale lamentarsi della solitudine. Così come è naturale vedere la vita come dura. Con questo non voglio dire che trovo una scusa.
Del filosofo tedesco ho letto  soltanto alcuni libri perché i miei interessi culturali sono diversi.


Apeiron

Ebbene altamarea, mi trovo a dirti un'altra assurdità: hai e non hai torto  :)

Non hai torto perchè d'altronde è vero che saper amare, anche se preferisco la più generica espressione "voler bene", è di fatto l'unica cosa che ci fa vivere dignitosamente. Ahimé forse non sono capace di "essere vicino" alle altre persone. Comunque accolgo il tuo consiglio e qui cercherò di migliorare.

Per la mia visione del mondo, qui credo che mi hai frainteso. La "lotta" non è evidente. Considero lo stesso fatto di dover mangiare una "lotta". Per la sopravvivenza nostra e dei nostri cari ogni giorno lottiamo. Una discussione è una "lotta", andare al lavoro è una "lotta". Per lotta intendo cioè la naturalissima verità secondo la quale tutti gli esseri viventi, essendo esseri condizionati, cercano di mantenere le condizioni per la propria e l'altrui sopravvivenza.
Se ti va di capire il mio punto di vista ti consiglio ancor oltre che Nietzsche: Schopenhauer, Leopardi, Kierkegaard (qui però il filosofo danese ha una soluzione alla disperazione (la "malattia mortale"), ti consiglio di vedere come descrive la situazione senza la soluzione), Pascal, il Canone Pali del Buddismo ecc (senza citare la biologia...). Non servono belve fameliche per vedere come l'esistenza in "questo mondo" sia permeata dalla disgregazione, dall'impermanenza. Io provo compassione (se vuoi astratta) per tutte (o quasi tutte) le creature di questo mondo. Vedo la sofferenza, la felicità impermanente, coscienze che soffrono. Se vuoi vedere un leone che mangia una gazzella mi rattrista, perchè entrambi sono mossi dalla necessità e non si può dire che il leone abbia "sbagliato" ma semplicemente l'ha fatto con lo stesso nobile motivo con cui la gazzella cercava di scappare. Magari entrambi avevano una cucciolata. Sinceramente non mi basta sentirmi dire "è così che va il mondo quindi accettalo".  E con questo sguardo non voglio però nemmeno dire che "la vita è un errore" (contro Schopenhauer se vuoi). No, la vita non è un errore. Tuttavia guarda questo mondo: la disgregazione lo permea. E questo mi ricorda ogni giorno che devo cercare di non aumentare (se poi si riesce a fare del bene meglio) la sofferenza del mondo. E spesso vengo ripetutamente deluso da me stesso quando vedo che invece di non aumentarla, l'aumento. Credi che questo discorso sia sbagliato?

Come dici tu forse è vero che mi pongo troppi problemi e sbaglio le soluzioni. Però ho sempre cercato di inseguire la verità e sinceramente quello che ho scoperto è che una realtà senza Nirvana, karma, Dio cristiano, senza Dio di Spinoza, Geist di Hegel ecc, questa realtà che rimane è "dukkha", cioè stress. Se non ho evidenze ho difficoltà a credere e sinceramente di tutte quelle che ho detto non ho evidenze. Potrei fermarmi dire "non ci penso più" ma ho la mia coscienza (malata ?) mi dice "no, indaga!". Sono convinto che scoprire la "vera natura della realtà" è la soluzione.

A te forse queste parole suoneranno come dei lamenti, o forse magari le apprezzi perchè vedi che indago e mi vedi come "uno che cerca". Con tutta onestà, ti ripeto, non stai sbagliando. Non è sbagliato "darsi una calmata". Non mi hai ancora detto (e dunque non ti chiederò di dirmi le tue "opinioni sulla realtà"). Non ti chiederò qual è la ragione dietro al fatto che tu vedi il mondo e te stesso in modo diverso da me. Non mi interessa dirti "sbagli". No, non più. Sono anzi contento che tu non soffra. Spero anche tu non senta (o abbia sentito) una provocazione con queste mie parole.

Detto questo non nego il valore della vita, dell'amicizia, del "volersi bene", della felicità ecc Forse è proprio per questo invece che ho questa visione del mondo (come Leopardi ad esempio, senza ovviamente dire che sono "grande" come lui...)  :)
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)

cvc

Come in economia, anche nella vita le crisi sono necessarie. Perché il loro ruolo è quello di informarci che determinati nostri schemi di comportamento e di pensiero sono deteriorati, quindi occorre sostituirli o riorganizzarli. Il fluire delle cose è inevitabile, il tempo ha sempre l'ultima parola. Ciò che ora rappresenta un problema, può non esserlo più domani - sia che l'abbiamo risolto o meno  - e viceversa. Ci cristallizziamo in determinati stati d'animo, senza poi renderci conto che il tempo cambia le condizioni che li hanno determinati. Le crisi esistenziale derivano in buona parte da comportamenti e stati d'animo appresi nell'infanzia, e dall'impreparazione ad accettare che essi non sono più adeguati alle situazioni attuali. Il cambiamento è traumatico, per questo avvengono le crisi. Bisogna rinascere dalle proprie ceneri, morire per rinascere.  Occorre vedere cadere le foglie nell'attesa del loro rifiorire. È ciò che avevo cercato di dire nel topic "L'autunno della psiche".
Fare, dire, pensare ogni cosa come chi sa che da un istante all'altro può uscire dalla vita.

Freedom

Citazione di: Apeiron il 12 Ottobre 2016, 19:16:46 PM
Come da titolo volevo condividere con voi la mia situazione esistenziale. Sono sempre stato una persona timida, introversa e completamente inetta nella vita quotidiana. Sono abbastanza inetto nel comprendere le relazioni interpersonali e le banalità della vita quotidiana a volte mi pesano un macigno. Questo è il background ed è forse la causa del fatto che mi sono spinto alla filosofia e alla scienza. Detto ciò questa è la mia situazione.

(1) Sono terrorizzato dalla intrinseca contingenza della vita. Sono consapevole che mi può capitare di tutto, che i miei sogni si possono infrangere, che posso morire da un momento all'altro ecc;
(2) Vorrei che la mia propensione filosofica fosse utile anche per le altre persone, però la mia totale incapacità nella vita quotidiana non aiuta. Non so come in sostanza fare in modo che il mio talento sia utile;
(3) Sono continuamente in dubbio se appunto la ricerca interiore sia in realtà utile o sia una semplice "perdita di tempo". Vedo persone molto più intelligenti e molto più funzionali nella società di me che trascurano completamente questa dimensione;
(4) Sono poi cosciente del rischio (economico, mentale...) che mi pone la scelta di vita "da filosofo" sia per me che per i miei cari. Quello che mi chiedo è "sono pazzo a pensare che ne valga la pena"? E inoltre ho una spinta a pensare che non riesco in ogni modo a fermare. Inoltre in prospettiva sarebbe l'unica vita che mi renderebbe felice. Il problema è che vedo "ostacoli" ovunque, oltre che un generale disinteresse per questi argomenti.
(5) Cerco di trovare una risposta alle domande etiche ed epistemologiche più profonde ma in caso queste non ci siano allora l'intera mia vita sarebbe per così dire "sprecata";
(6) Il mio essere imbranato nella vita quotidiana mi rende inutile "materialmente" per le altre persone;

Immagino che anche a voi saranno capitati pensieri simili, come li gestite?

In sostanza mi sento piccolo, debole e tremolante. Non vorrei anche essere in tutto questo "pazzo". Mi sento un estraneo rispetto a questo mondo e a quest'epoca. Però non pensate che sia un completo eremita o un asociale, non lo sono.

L'unica consolazione che riesco a trovare sono parole come quelle di Pascal:
"L'uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura; ma è una canna pensante. Non occorre che l'universo intero si armi per annientarlo: un vapore, una goccia d'acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma quand'anche l'universo lo schiacciasse, l'uomo sarebbe pur sempre più nobile di chi lo uccide, dal momento che egli sa di morire e il vantaggio che l'universo ha su di lui; l'universo non sa nulla. Tutta la nostra dignità sta dunque nel pensiero. E' in virtù di esso che dobbiamo elevarci, e non nello spazio e nella durata che non sapremmo riempire. Lavoriamo dunque a ben pensare: ecco il principio della morale".
Perdona la somma banalità della mia risposta che, spero possa essere considerata, alla luce del fatto che proviene da chi si avvicina al tramonto della vita. E non da chi la spara tanto per dire.

Quello a cui dovresti tendere è, primariamente, l'autonomia economica. Immediatamente dopo a sviluppare relazioni sociali significative tra le quali dovresti "pescare" il jolly di un amore.

Per quanto concerne "la lotta contro i pensieri" essa appartiene a tutti e noi e certamente ti accompagnerà tutta la vita. Convivici. E' quello che facciamo tutti noi.

Per quanto infine attiene alla crisi esistenziale in senso stretto è cosa buona e giusta. Essa solitamente sfocia in una ricerca interiore importante e foriera di grandi doni. Generalmente è tuttavia molto impegnativa, lunga e richiede sacrifici notevoli. Anch'essa, con alti e bassi, ti accompagnerà tutta la vita.

Se posso permettermi un umile suggerimento vorrei enfatizzare l'immensa utilità che proviene da un atteggiamento umile, aperto agli altri e, nel limite del possibile, altruista. Senza, va da sé, scivolare nell'ingenuità, volgarmente detta coglioneria.

Calorosi auguri e condividi serenamente tutto quanto ti sentirai di condividere.
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

doxa

Apeiron ha scritto
CitazioneSe ti va di capire il mio punto di vista ti consiglio ancor oltre che Nietzsche: Schopenhauer, Leopardi, Kierkegaard (qui però il filosofo danese ha una soluzione alla disperazione (la "malattia mortale"), ti consiglio di vedere come descrive la situazione senza la soluzione), Pascal, il Canone Pali del Buddismo ecc (senza citare la biologia...).
Perché non provi ad accantonare  temporaneamente i filosofi citati e lo scrittore Leopardi e volgi le tue letture alla psicologia per comprendere che l'essere umano  nell'ambiente sociale non è un individuo soltanto passivo ma è un protagonista del suo destino.
A me sembra la tua una crisi adolescenziale allo stato terminale e scruti l'orizzonte alla ricerca della via. Il nick Duc ti inviterebbe a farti consigliare dallo Spirito Santo, di aver fede; io, da non credente ti dico di perseguire le vie dell'autostima e dell'autorealizzazione, se puoi; di far fluire le tue potenzialità verso una meta definita. Dare significato alla propria vita significa anche avere una visione transpersonale, olistica, filosofica e spirituale.
CitazioneSono convinto che scoprire la "vera natura della realtà" è la soluzione.
Il concetto di realtà è collegato all'ontologia e questa alle domande sul significato della vita. Ti ripeto la domanda che ti ho fatto nel mio post precedente e non mi hai risposto: cos'è per te il significato della tua vita ?
Sulla realtà ti consiglio di leggere quanto ha scritto il fisico tedesco Hans Peter Durr, così rimani nell'ambito dei tuoi studi.

Apeiron

Citazione di: cvc il 15 Ottobre 2016, 13:37:36 PMCome in economia, anche nella vita le crisi sono necessarie. Perché il loro ruolo è quello di informarci che determinati nostri schemi di comportamento e di pensiero sono deteriorati, quindi occorre sostituirli o riorganizzarli. Il fluire delle cose è inevitabile, il tempo ha sempre l'ultima parola. Ciò che ora rappresenta un problema, può non esserlo più domani - sia che l'abbiamo risolto o meno - e viceversa. Ci cristallizziamo in determinati stati d'animo, senza poi renderci conto che il tempo cambia le condizioni che li hanno determinati. Le crisi esistenziale derivano in buona parte da comportamenti e stati d'animo appresi nell'infanzia, e dall'impreparazione ad accettare che essi non sono più adeguati alle situazioni attuali. Il cambiamento è traumatico, per questo avvengono le crisi. Bisogna rinascere dalle proprie ceneri, morire per rinascere. Occorre vedere cadere le foglie nell'attesa del loro rifiorire. È ciò che avevo cercato di dire nel topic "L'autunno della psiche".

Concordo con te che si cresce attraverso le crisi e che queste sono dovute a modi di pensare che non si adattano più alla realtà. Vero. Però è anche vera un'altra cosa, che ho cercato di dire in questo topic. Ed è questo: io e il mondo siamo enterambi imperfetti. E a mio giudizio ogni progresso è stato fatto a causa dell'insoddisfazione per questa imperfezione. Esempio personale: provo "disgusto" per il fatto di aver paura di guidare, perciò cerco di (re-)imparare. Quello che non capisco è che la stragrande maggioranza delle persone ha i difetti e o non si accorge di averceli oppure se ne accorge e ma non cerca di correggerli. E perchè? Perchè sono "adatti" alla società, funzionano. Nel mio caso invece sono quasi l'opposto dell'individuo di successo e quindi mi "tocca" perfezionarmi.

Citazione di: Freedom il 15 Ottobre 2016, 13:57:24 PM
Citazione di: Apeiron il 12 Ottobre 2016, 19:16:46 PMCome da titolo volevo condividere con voi la mia situazione esistenziale. Sono sempre stato una persona timida, introversa e completamente inetta nella vita quotidiana. Sono abbastanza inetto nel comprendere le relazioni interpersonali e le banalità della vita quotidiana a volte mi pesano un macigno. Questo è il background ed è forse la causa del fatto che mi sono spinto alla filosofia e alla scienza. Detto ciò questa è la mia situazione. (1) Sono terrorizzato dalla intrinseca contingenza della vita. Sono consapevole che mi può capitare di tutto, che i miei sogni si possono infrangere, che posso morire da un momento all'altro ecc; (2) Vorrei che la mia propensione filosofica fosse utile anche per le altre persone, però la mia totale incapacità nella vita quotidiana non aiuta. Non so come in sostanza fare in modo che il mio talento sia utile; (3) Sono continuamente in dubbio se appunto la ricerca interiore sia in realtà utile o sia una semplice "perdita di tempo". Vedo persone molto più intelligenti e molto più funzionali nella società di me che trascurano completamente questa dimensione; (4) Sono poi cosciente del rischio (economico, mentale...) che mi pone la scelta di vita "da filosofo" sia per me che per i miei cari. Quello che mi chiedo è "sono pazzo a pensare che ne valga la pena"? E inoltre ho una spinta a pensare che non riesco in ogni modo a fermare. Inoltre in prospettiva sarebbe l'unica vita che mi renderebbe felice. Il problema è che vedo "ostacoli" ovunque, oltre che un generale disinteresse per questi argomenti. (5) Cerco di trovare una risposta alle domande etiche ed epistemologiche più profonde ma in caso queste non ci siano allora l'intera mia vita sarebbe per così dire "sprecata"; (6) Il mio essere imbranato nella vita quotidiana mi rende inutile "materialmente" per le altre persone; Immagino che anche a voi saranno capitati pensieri simili, come li gestite? In sostanza mi sento piccolo, debole e tremolante. Non vorrei anche essere in tutto questo "pazzo". Mi sento un estraneo rispetto a questo mondo e a quest'epoca. Però non pensate che sia un completo eremita o un asociale, non lo sono. L'unica consolazione che riesco a trovare sono parole come quelle di Pascal: "L'uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura; ma è una canna pensante. Non occorre che l'universo intero si armi per annientarlo: un vapore, una goccia d'acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma quand'anche l'universo lo schiacciasse, l'uomo sarebbe pur sempre più nobile di chi lo uccide, dal momento che egli sa di morire e il vantaggio che l'universo ha su di lui; l'universo non sa nulla. Tutta la nostra dignità sta dunque nel pensiero. E' in virtù di esso che dobbiamo elevarci, e non nello spazio e nella durata che non sapremmo riempire. Lavoriamo dunque a ben pensare: ecco il principio della morale".
Perdona la somma banalità della mia risposta che, spero possa essere considerata, alla luce del fatto che proviene da chi si avvicina al tramonto della vita. E non da chi la spara tanto per dire. Quello a cui dovresti tendere è, primariamente, l'autonomia economica. Immediatamente dopo a sviluppare relazioni sociali significative tra le quali dovresti "pescare" il jolly di un amore. Per quanto concerne "la lotta contro i pensieri" essa appartiene a tutti e noi e certamente ti accompagnerà tutta la vita. Convivici. E' quello che facciamo tutti noi. Per quanto infine attiene alla crisi esistenziale in senso stretto è cosa buona e giusta. Essa solitamente sfocia in una ricerca interiore importante e foriera di grandi doni. Generalmente è tuttavia molto impegnativa, lunga e richiede sacrifici notevoli. Anch'essa, con alti e bassi, ti accompagnerà tutta la vita. Se posso permettermi un umile suggerimento vorrei enfatizzare l'immensa utilità che proviene da un atteggiamento umile, aperto agli altri e, nel limite del possibile, altruista. Senza, va da sé, scivolare nell'ingenuità, volgarmente detta coglioneria. Calorosi auguri e condividi serenamente tutto quanto ti sentirai di condividere.

Nessun consiglio in questi casi è banale e colgo l'occasione per ringraziare tutti coloro che mi hanno risposto. Ecco, vedi. L'indipendenza economica, cioè appunto funzionare. La mia paura è che per raggiungere l'indipendenza economica non mi realizzerà mai. Forse in me qualcosa è storto. Non so cosa.

Per quanto riguarda l'altruismo molto spesso mi pento di non esserlo abbastanza. A volte mi sento "distante" dagli altri. Anche qui a volte faccio una fatica tremenda a "connettermi". Questo è un difetto. E tento di colmarlo. Eppure nonostante i miei sforzi mi sembra sempre di essere distante. Cercherò di impegnarmi in questo aspetto

Grazie per gli auguri

Citazione di: altamarea il 16 Ottobre 2016, 07:53:43 AMApeiron ha scritto
CitazioneSe ti va di capire il mio punto di vista ti consiglio ancor oltre che Nietzsche: Schopenhauer, Leopardi, Kierkegaard (qui però il filosofo danese ha una soluzione alla disperazione (la "malattia mortale"), ti consiglio di vedere come descrive la situazione senza la soluzione), Pascal, il Canone Pali del Buddismo ecc (senza citare la biologia...).
Perché non provi ad accantonare temporaneamente i filosofi citati e lo scrittore Leopardi e volgi le tue letture alla psicologia per comprendere che l'essere umano nell'ambiente sociale non è un individuo soltanto passivo ma è un protagonista del suo destino. A me sembra la tua una crisi adolescenziale allo stato terminale e scruti l'orizzonte alla ricerca della via. Il nick Duc ti inviterebbe a farti consigliare dallo Spirito Santo, di aver fede; io, da non credente ti dico di perseguire le vie dell'autostima e dell'autorealizzazione, se puoi; di far fluire le tue potenzialità verso una meta definita. Dare significato alla propria vita significa anche avere una visione transpersonale, olistica, filosofica e spirituale.
CitazioneSono convinto che scoprire la "vera natura della realtà" è la soluzione.
Il concetto di realtà è collegato all'ontologia e questa alle domande sul significato della vita. Ti ripeto la domanda che ti ho fatto nel mio post precedente e non mi hai risposto: cos'è per te il significato della tua vita ? Sulla realtà ti consiglio di leggere quanto ha scritto il fisico tedesco Hans Peter Durr, così rimani nell'ambito dei tuoi studi.

Cosa è dunque lo scopo della mia vita? Perfezione morale e intellettuale. Perlomeno voglio capire cosa sia questa perfezione con la mia ragione.Questo è il mio obiettivo.  Sento spesso dire: non si può essere perfetti, quindi non pensarci. Vero non sono perfetto. Sono ipocrita, "predico bene e razzolo male", vivo negli agi non guadagnati da me, non mi sono liberato da pregiudizi e ignoranza ecc. E per questo motivo non mi piaccio. Per fare una metafora biblica ho visto la trave nel mio occhio.

Sul fatto che non sei credente e che mi consigli di perseguire la via dell'autostima e dell'auto-realizzazione. Anche qui non concordo. La via dell'autostima? Avere una buona autostima non rende persone migliori spesso. Ho visto persone molto arroganti. Queste sono piene di autostima. O forse vuoi dire un'autostima "bilanciata" o un'autostima e un'autorealizzazione che rende sereni. Ok qui va molto meglio. Tuttavia è quello che sto cercando. Penserai che l'esistenzialismo non è altro che una perdita di tempo. Ebbene anche quelli sono problemi. Perchè da scienziato mi interesso anche di ciò? Perchè sono convintissimo che ci sia un legame tra conoscenza ed etica. E sinceramente fare solo il fisico significherebbe diventare uno "specialista" e quindi "dormire". Per quanto riguarda la lettura che mi hai consigliato: se avrò occasione volentieri. Grazie. In ogni caso credo che una persona deve farsi un'idea di sè, di sè nel mondo e del mondo stesso.

 Inoltre visto che a quanto pare non credi in nessuna dimensione "oltremondana", ti faccio una domanda. Guarda questo mondo: come civiltà umana combattiamo con tutti gli sforzi per evitare malattie, morte, disintegrazione ecc.  Neghi forse che questo mondo è dominato dalla tendenza alla disintegrazione, dalla cieca casualità, dalla contingenza "al di là del bene e del male"?  Non credi nell'impermanenza? In altre parole per te "essere=dover essere"? Se mi rispondi sì vuol dire che accetti tutto ciò (Eraclito/Nietzsche), in altro caso postuli un "dover-essere" e quindi anche tu sei "credente". Dio d'altronde nella sua definizione più generale possibile non è che un'insieme di valori o un concetto di "perfezione". Sinceramente questo mondo mi sembra assurdo, senza senso,  popolato da esseri che "vanno e vengono". Generazioni che vanno e vengono in continuazione. Ti ripeto l'esempio di leone e gazzella. Non percepisci una tragedia? A dispetto della tua esperienza di vita, come descriveresti il mondo in generale?  Ho visto questa "visione tragica". E ho completamete perso ogni volontà di litigare, di combattere ecc. Ogni volta che vedo le persone litigare mi sembra di vedere degli esseri imprigionati che tentano di soppraffarsi l'uno con l'altro. La corsa che possiamo fare verso la perfezione morale e intellettuale mi sembra dunque una delel poche cose che rende la vita una tragedia. Altrimenti è una farsa, che è ancora più tragica di una tragedia.
"[C]hi non pensa di trovarsi nell'indigenza non può desiderare quello di cui non pensa di aver bisogno" (Diotima - Simposio, Platone)