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contro la gratitudine

Aperto da davintro, 01 Giugno 2017, 00:53:37 AM

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davintro

topic, se si vuole, un po' provocatorio

Siamo abituati a pensare alla gratitudine come un sentimento sempre lodevole e positivo, ma siamo sicuri che sia sempre così? Si potrebbe anche pensare che la gratitudine non sia propriamente una virtù,piuttosto una forma "commerciale", dunque degradata, di amore. Ragioniamo un attimo. Tizio mi fà un favore. Ci sono due casi. Caso 1: lo fà in modo disinteressato, per affetto. Nessuno lo ha obbligato, per lui è stato un piacere. Bene, in questo caso io non gli devo nulla, non c'è nulla da ricambiare perchè di fatto egli non ha perso nulla, non c'è alcun debito da ripagare, perchè non c'è alcuna perdita. o meglio, ciò che ha sacrificato di sè è dal suo punto di vista inferiore, rispetto a ciò che ha ottenuto, cioè il mio bene. Contento lui. Ha fatto ciò che gli è piaciuto fare così come io resto libero a mia volta di fare ciò che voglio. Non c'è alcun obbligo morale di amare chi ci ama. L'amore è un sentimento spontaneo, non posso forzarmi ad amare chi non mi piace solo perchè io piaccio a lui. L'amore è libertà, non "do ut des". Anzi, se io spinto dalla gratitudine, sacrificassi parte della mia felicità per Tizio, renderei vano il suo gesto, il cui obiettivo era appunto la mia felicità. Caso 2) non lo ha fatto per affetto nei miei confronti, ma per ottenere qualcosa in cambio. Benissimo, in questo caso non c'è alcun affetto da ricambiare, ma solo fissare un patto, in cui mi impegno, liberamente, a risarcirlo materialmente di ciò che fà per me. Al di là del rispetto dei termini del "patto" finisce qualunque coinvolgimento affettivo-morale. Al ristorante in cui vado a mangiare non interessa il mio affetto, la mia gratitudine. Vuole i miei soldi. Una volta pagato il conto qualunque interesse legato al luogo non è più necessario. Spesso la gratitudine è solo un ricatto morale che avvelena l'anima di sensi di colpa, guastando il godimento di ciò che si ottiene da parte delle persone di cui dovremmo essere grati. "Dopo tutto quello che ho fatto per te..." è qualcosa di bruttissimo da dire, chi parla di così è un violentatore dell'anima che toglie all'affetto la sua libertà riducendolo a scambio e commercio, l'amore come restituzione di un debito. Identificare la gratitudine come una forma d'amore a mio avviso rischia di squalificare l'aspetto dell'amore inteso come una libera attribuzione di valore da parte di chi ama verso il destinatario del sentimento, finendo con lo scambiare come "amore" un sentimento di gratitudine che, nel momento in cui viene sopravvalutato, pretende di obbligare moralmente ad amare qualcuno solo perché ha fatto qualcosa per noi. Ignorando il fatto che ciò che si prova per una persona è sempre determinato da un'immagine globale di essa, che non può essere ridotta ad un singolo o singoli gesti, pur apprezzabili, con cui quella persona ci ha in qualche modo favorito. Insomma, un'esasperazione del valore positivo della gratitudine rischia di compromettere il carattere di libertà che dovrebbe sempre caratterizzare l'amore, non si è più liberi di amare chi si vuole, in nome di una segreta corrispondenza interiore tra amante e amato, ma l'amore si sottomette alla regola oggettiva del "amare chi ha dimostrato di amarci, a prescindere dal fatto di provare davvero qualcosa verso quest'ultimo". E quando un sentimento soggettivo si sottomette a una regola oggettiva, dal mio punto di vista, è sempre una gran perdita per l'umanità.

paul11

Citazione di: davintro il 01 Giugno 2017, 00:53:37 AM
topic, se si vuole, un po' provocatorio

Siamo abituati a pensare alla gratitudine come un sentimento sempre lodevole e positivo, ma siamo sicuri che sia sempre così? Si potrebbe anche pensare che la gratitudine non sia propriamente una virtù,piuttosto una forma "commerciale", dunque degradata, di amore. Ragioniamo un attimo. Tizio mi fà un favore. Ci sono due casi. Caso 1: lo fà in modo disinteressato, per affetto. Nessuno lo ha obbligato, per lui è stato un piacere. Bene, in questo caso io non gli devo nulla, non c'è nulla da ricambiare perchè di fatto egli non ha perso nulla, non c'è alcun debito da ripagare, perchè non c'è alcuna perdita. o meglio, ciò che ha sacrificato di sè è dal suo punto di vista inferiore, rispetto a ciò che ha ottenuto, cioè il mio bene. Contento lui. Ha fatto ciò che gli è piaciuto fare così come io resto libero a mia volta di fare ciò che voglio. Non c'è alcun obbligo morale di amare chi ci ama. L'amore è un sentimento spontaneo, non posso forzarmi ad amare chi non mi piace solo perchè io piaccio a lui. L'amore è libertà, non "do ut des". Anzi, se io spinto dalla gratitudine, sacrificassi parte della mia felicità per Tizio, renderei vano il suo gesto, il cui obiettivo era appunto la mia felicità. Caso 2) non lo ha fatto per affetto nei miei confronti, ma per ottenere qualcosa in cambio. Benissimo, in questo caso non c'è alcun affetto da ricambiare, ma solo fissare un patto, in cui mi impegno, liberamente, a risarcirlo materialmente di ciò che fà per me. Al di là del rispetto dei termini del "patto" finisce qualunque coinvolgimento affettivo-morale. Al ristorante in cui vado a mangiare non interessa il mio affetto, la mia gratitudine. Vuole i miei soldi. Una volta pagato il conto qualunque interesse legato al luogo non è più necessario. Spesso la gratitudine è solo un ricatto morale che avvelena l'anima di sensi di colpa, guastando il godimento di ciò che si ottiene da parte delle persone di cui dovremmo essere grati. "Dopo tutto quello che ho fatto per te..." è qualcosa di bruttissimo da dire, chi parla di così è un violentatore dell'anima che toglie all'affetto la sua libertà riducendolo a scambio e commercio, l'amore come restituzione di un debito. Identificare la gratitudine come una forma d'amore a mio avviso rischia di squalificare l'aspetto dell'amore inteso come una libera attribuzione di valore da parte di chi ama verso il destinatario del sentimento, finendo con lo scambiare come "amore" un sentimento di gratitudine che, nel momento in cui viene sopravvalutato, pretende di obbligare moralmente ad amare qualcuno solo perché ha fatto qualcosa per noi. Ignorando il fatto che ciò che si prova per una persona è sempre determinato da un'immagine globale di essa, che non può essere ridotta ad un singolo o singoli gesti, pur apprezzabili, con cui quella persona ci ha in qualche modo favorito. Insomma, un'esasperazione del valore positivo della gratitudine rischia di compromettere il carattere di libertà che dovrebbe sempre caratterizzare l'amore, non si è più liberi di amare chi si vuole, in nome di una segreta corrispondenza interiore tra amante e amato, ma l'amore si sottomette alla regola oggettiva del "amare chi ha dimostrato di amarci, a prescindere dal fatto di provare davvero qualcosa verso quest'ultimo". E quando un sentimento soggettivo si sottomette a una regola oggettiva, dal mio punto di vista, è sempre una gran perdita per l'umanità.
Ciao Davintro,
Sostanzialmente sono d'accordo.
Aggiungo al contesto la temporalità e la spazialità , e mi spiego,  o ci tento.
Oggi sono nelle condizioni di fare un favore, di aiutare. Oggi sono spazialmente dentro un contesto culturale in cui il fare un favore, proietta mentalmente ad u n"certo tipo" di gratitudine.
Teniamo presente che il concetto economico del fare un favore o aiutare è comunque ritenuto un sacrificio per chi lo fa.
L'interesse economico, non si pensi che sia così distante dal post da te fatto. Oggi io ti dò, ma tu domani mi ridarai.....e con gli interessi.
Oppure........
io faccio un favore perchè sono in condizioni di farlo e mi piace farlo: non mi aspetto un domani nulla in cambio.
Ma del diman.......... cambia la situazione, ho io dei problemi e nessuno di coloro che avevo aiutato e che sanno che sono in difficoltà m ista aiutando. e la mia coscienza.....rimesta. Non aiuterò più nessuno da oggi in poi.questa è la coscienza mia oggi.
Non so se sono riuscito a dare nuove argomentazioni.
Temo che il concetto di gratitudine sia talmente soggettivo da sfuggire al concetto di giustizia.
Quando tempo fa volli fare una ricerca sulla nascita del concetto economico di interesse, non sapevo che fosse già codificato addirittura nel codice di Hammurabi. 
Temo che proprio per un problema di soggettività in rapporto alla giustizia, sia nei rapporti sociali interni alla famiglia che esterni, ad esempio la successione testamentaria, nascano tali e tante problematiche per cui ad un certo punto si sia dovuto intervenire con la legge ,per equilibrare  soggettività   e oggetti e forme giuridiche che riequilibrassero quella giustizia implicita nel diritto.


A mio modesto parere,  il donare  è un qualcosa che si fa fra il dovere e il piacere, ma è la nostra personale coscienza,  educazione a indurla. Chi dona non deve mai far pesare il dono, i sono addirittura contrario al concetto di interesse economico, figuriamoci alla generazione di aspettative del tipo vendicativo come"...ma come , io ti ho dato di più di quello che mi hai dato!"
Io non credo che amore, affetti siano conti correnti bancari. Sono altro e di più.....
Chi dona e non chiede nulla in cambio, la gratitudine di chi ha ricevuto può diventare  totale fiducia.

Angelo Cannata

#2
Mi sembra che in questa maniera di affrontare il tema ci sia un difetto di fondo: i concetti, i sentimenti, tutto viene considerato in maniera statica. paul11 ha parlato di temporalità, ma non mi sembra che venga davvero evidenziata la dinamicità che può esistere nella gratitudine.

Per spiegare la mia idea, partirei da questa nota: due o più persone che s'incontrano sono due o più storie che si trovano a dover prendere posizione riguardo al se e al come intrecciarsi reciprocamente. Un'azione qualsiasi dell'altro a mio favore assume la funzione di proposta di intrecciare una storia di amicizia. A questo punto, con il mio comportamento, grato o non grato, farò capire all'altro se e in che misura io sono disposto a questa proposta di intreccio di storie; detto in parole più popolari: fare amicizia.

Considerando le cose in questo modo, viene fuori che non ha alcuna importanza né l'intenzione dell'altro di fare le cose con gratuità o per tornaconto, né il senso che io posso dare alla mia gratitudine come riconoscimento di un bene ricevuto. Per confermare ciò, faccio notare che in tanti momenti della nostra vita può accadere di dire dei grazie che, strettamente parlando, non sono necessari, per esempio pagando il conto al ristorante. Tante espressioni del tutto inutili, come appunto questo tipo di grazie superfluo, o il parlare del tempo che fa, servono in realtà a comunicare all'altro che ho piacere a costruire con lui un rapporto di amicizia.

In questo contesto di idee, nel caso in cui l'altro si offenda perché non si è visto abbastanza corrisposto, il motivo più profondo dell'offesa può essere riscontrato non tanto perché l'altro si aspettava un riconoscimento del gesto compiuto, ma perché l'altro si è vista rifiutata la sua proposta di intrecciare una storia di amicizia. Ciò non toglie che esistano persone che si aspettano la gratitudine proprio come riconoscimento del valore del gesto, ma questo mi sembra il peggio, il tipo di motivazione più bassa. Ritengo che nel discutere delle cose sia fruttuoso considerare anzitutto le manifestazioni più alte e significative; poi si può tener conto anche del resto.

Sempre in questo contesto, tutti sappiamo che spesso l'intenzione di intrecciare storie di amicizia è asimmetrica: uno vorrebbe, l'altro no, oppure uno vorrebbe un'amicizia molto stretta, l'altro invece sì, ma con distacco.

Se si tiene presente questo, può anche accadere che il rifiuto di intrecciare un'amicizia ravvicinata, piuttosto che diventare motivo di struggimento per il senso di colpa causato da una gratitudine non resa, può trasformarsi in occasione educativa: io posso anche tentare di far capire all'altro che non è giusto pretendere da me il tipo di amicizia stretta che a lui piacerebbe: è giusto che egli impari a lasciare le persone libere, a loro agio.

D'altra parte, è possibile anche che si cambi atteggiamento: l'insistenza dell'altro, che magari inizialmente poteva essere un fastidio, potrebbe col tempo trasformarsi in un'occasione apprezzata di crescita e di scoperta della possibilità di un nuovo rapporto.

Mi sembra, in ogni caso, che la prospettiva storica, cioè il considerare la gratitudine come elemento di storie che si vanno intrecciando o distaccando sia illuminante riguardo al senso da attribuire ad essa.

green demetr

Che hai combinato davintro? hai offeso i sentimenti di qualche giovane donzella? o di qualche matrona arcigna?
;)
Che infatti è la stessa cosa, ci si illude di avere dei diritti.
Ma questi diritti non ci sono, ci hanno raccontati che esistono in una società polita e rispettosa.
Questione di forma che informano la società con il suo galateo per signorine.

La verità è che la gente è una  bestia, la gratitudine è una sorta di regalia concessa agli occhi di chi elargisce.
Persone abiette, figlie di un individualismo le cui sfaccettature non finisco ancora oggi di stupirmi.

Ovviamente sono d'accordo con tutto quello che hai scritto!
Vai avanti tu che mi vien da ridere

paul11

......finchè avremo esperienze diverse non potrà che finire male.
la dinamicità dei rapporti umani, e per questo avevo introdotto la temporalità e la spazialità, dipendono dal nostro retroterra , dalla nostra storia e la spazialità dalla nostra cultura in cui siamo posizionati.
Il grande problema è che i sentimenti già in sè sono ambigui.Spesso si parla di razionalità escludendo proprio la parte emotiva, sentimentale.
Questo è un grosso limite conoscitivo.ma riuscire a togliere ambiguità ai sentimenti è ancora più difficile.
La realtà è fatta di amore invasivo e possessivo: chi è davvero capace di amare  nel sapersi donare senza chiedere in cambio nulla?
O è in lui spontaneo e gli viene "dal di dentro", oppure  ha razionalizzato il sentimento, lo fa perchè razionalmente crede che sia giusto a prescindere. Questo è un mondo dove chi si dona totalmente finisce martirizzato: Gesù è l'esempio eclatante.
Perchè la gratitudine implica da una parte il sentimento e la parte razionale è quella che dovrebbe capire il gesto in sè e per sè.
la vera gratitudine, a mio modesto avviso, non dovrebbe mai aver e un tempo di aspettativa, un costruire un piacere o un  dovere, non dovrebbe generare un futuro gravoso di sentimento, ma semmai il contrario "sentirsi più leggeri".
La nostra cultura attuarle, e la intendo soprattutto nei suoi modi pratici di fare, deriva da un retroterra educativo e culturale che uccide giorno dopo giorno la spontaneità e dove semmai la razionalizzazione diventa un puro calcolo matematico, un interesse a maturare di quella gratitudine.
allora anche la gratitudine, il gesto gratuito, diventa ipocrisia., per non sentirsi un domani dire e farsi pesare un gesto del passato che diventa rimorso,peso.
Non è così semplice analizzare soprattutto  oggi il rapporto fra persone famigliari, amicizia, sessuale, perchè vivono sul legame e il legame implica una catena simbolica di emozioni e sentimenti oltre che oggetti materiali.
Forse la sincera gratitudine è nel gesto, senza una parola di più.

davintro

certamente, come scrive Angelo Cannata, il modo in cui mostriamo di rispondere a degli atti di generosità altrui sono un fattore determinante per future possibili amicizie. Tuttavia per quanto riguarda l'amicizia vale lo stesso discorso dell'amore: dal mio punto di vista le condizioni fondamentali dell'amicizia sono la stima reciproca e comuni interessi (e le due cose sono sempre in qualche modo fortemente legate). Le azioni dettate da generosità certamente contribuiscono a dare un'immagine della persona positiva, ma non sono necessariamente sufficienti a costituire un'immagine tale da pensare di investire tempo ed energia nell'amicizia. Come l'amore, anche l'amicizia nasce dalla spontaneità soggettiva che porta a simpatizzare con qualcuno, indipendentemente dalla necessità di ricambiare un gesto benefico nei miei confronti. Il fatto di ringraziare anche quando si esce dal ristorante, al di là del fatto che non ha razionalità, dato che i pasti mi vengono offerti non certo per affetto, ma in cambio di soldi, rientra in una convenzionalità di cortesia e di educazione che una volta non seguita conduce, nella nostra cultura, ad esprimere un segno di ostilità, ragion per cui, pur constatandone l'illogicità del gesto, sto sempre attento uscendo da un negozio, un bar, una pizzeria a ringraziare, perché non desidero mostrare ostilità a persone verso cui non ho nulla contro. Ma la cortesia e l'etichetta sono bel lontane dall'identificarsi con l'amicizia, con la vera amicizia, per quanto possano contribuire in una certa misura a favorirla. Resto convinto che la sopravvalutazione del valore positivo della gratitudine consiste in un fraintendimento dell'idea di amore, che viene visto come ciò che conduce chi ama a privarsi di qualcosa che viene offerto a chi si ama. Una visione in fondo materialistica, che considera la vita interiore come pervasa da un'energia finita, che si perde ogni volta che si spende, come fosse l'energia elettrica che si consuma fino a esaurirsi quando viene in atto, e non coglie il carattere spirituale, che conduce ad una sorta di "autoricaricamento psichico",  a una creazione di nuove forze, l'amore porta energia motivazionale che viene espressa nelle azioni conseguenti verso il destinatario del sentimento, ma che non svuotano l'amante, perché il fatto che l'amore rispecchi la  sua sensibilità valoriale ripaga interiormente di piacere il tempo, le energie spese, per il bene dell'amato. Questa è la conseguenza del carattere libero e spontaneo dell'amore. In questo contesto un "dovere etico" della gratitudine ha davvero poco senso. Sia in quanto inutile, dato che non c'è nulla da ripagare quando chi ci beneficia li fa per amore o affetto, sia perché se la nobiltà dell'amore sta nella spontaneità, nel suo rispecchiare una libera sensibilità interiore, un forzato dovere oggettivo di ricambiare un affetto al di là del suo presentarsi in modo spontaneo, produce solo una degradazione del sentimento

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