Ciò che scrivo non è ciò che penso.

Aperto da iano, 23 Gennaio 2025, 17:03:25 PM

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iano

Vorrei lasciare il titolo senza spiegarlo al momento, nella sua apparente contraddittorietà, per verificare se comunque vi trovate corrispondenza con la vostra esperienza.
Posso solo dirvi che sono più bravo a scrivere che a pensare, nel senso che penso sia sorprendete ciò che scrivo .
Intendo dire che nella misura in cui mi identifico col mio pensiero, allora non sono io quello che scrive.
Cogito ergo sum, per cui non posso dubitare di essere, ma siccome scrivo sono più di quanto possa a me dimostrare col solo pensiero.
Pensare, scrivere, o usare qualunque atra tecnologia, se possiamo a ciò assimilare come io tendo a fare anche il pensiero, è in sostanza solo un modo di esplicitarsi, e più mi esplicito più pezzi devo aggiungere a ciò che sono e/o a ciò che così divengo.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Adalberto

 Translator
 
 
Ciao, vivendo una analoga sensazione  ora mi sono iscritto qui, per capire meglio quale sia per te il punto. Non sono certo di coglierlo, anche perchè  ogni parola non ha un solo significato. E il pensiero non è fatto di sole parole.
La senzazione di scollamento fra quello che dico, scrivo, penso e/o sono è una costante. Mi sembra anche normale che lo sia. Forse perchè parlando o scrivendo ci si relaziona con altro da sé.
Il proprio baricentro mentale si sposta quando dal semplice elaborare interiore  si entra nell'ambito di una qualche relazione, anche solo con un pezzo di carta. Questo sforzo produce risultati e quindi sorprese.
Il tuo termine "sorprendente" però è più vivido e quando leggo "non sono io quello che scrive" immagino la sensazione di coloro che agli albori della scrittura attribuivano alla Musa (o ad altro) la scelta del  testo da vergare, lasciando a se stessi il mero ruolo di scrivano. Ma tu ti riferisci a tutt'altro, suppongo.
Sull'identificazione con il proprio pensiero invece non so dirti, se non che l'idea stessa mi fa sentire un po' in gabbia. Mi chiedo sempre se il  pronome io non sia un po' una convenzione, riconoscendomi meglio in quella pluralità di cellule (neuroni pochi), sentimenti, esperienze e bla bla, il cui insieme trovo vivificante proprio per la contraddittorietà che esprime.
PS Confermo quanto sia straniante rileggersi dopo aver scritto qualcosa.
Quando ho iniziato a  farlo... pensavo a tutt'altro!
Ci son dei giorni smègi e lombidiosi...
ma oggi è un giorno a zìmpani e zirlecchi.
(Fosco Maraini)

iano

Ciao Adalberto e benvenuto.  :)
Tu non sai cosa scriverai come non sai cosa penserai.
Quindi dovrebbero sembrarci strane le due cose allo stesso modo, però in effetti non è così.
Perchè?
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Adalberto

I due fatti sono diversi.
Il primo può sorprendere, il secondo può solo sembrare strano. E le due sensazioni sono diverse.
Comunque dimmi, che sono sinceramente curioso...
Ci son dei giorni smègi e lombidiosi...
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(Fosco Maraini)

iano

#4
Citazione di: Adalberto il 02 Febbraio 2025, 10:33:21 AMI due fatti sono diversi.
Il primo può sorprendere, il secondo può solo sembrare strano. E le due sensazioni sono diverse.
Comunque dimmi, che sono sinceramente curioso...
Penso che quando il nostro inconscio viene fuori sarebbe strano che non ci sorprendesse, come cosa inattesa, perchè  alla nostra coscienza resta nascosta la nostra vera essenza, cioè in qualche modo lo resta anche quando viene fuori, perchè ciò che viene fuori è una rappresentazione che non coincide mai con ciò che viene rappresentato, ma che in ogni caso non può non meravigliarci.
''Noi'' ci osserviamo come osserviamo il resto della realtà, e il risultato è una rappresentazione della realtà che ci comprende, e  che diciamo noi,  cioè la rappresentazione che l'osservatore fa di se, in quanto parte integrante della realtà.
La rappresentazione per abitudine tende nel tempo ad essere identificata con ciò che viene rappresentato, ed è grazie a ciò che una realtà non solo ci appare, ma ci ''viviamo dentro'', anche se in effetti viviamo in un mondo che media fra noi e la realtà.
Il noi senza virgolette che vive dentro un mondo è il risultato della identificazione che facciamo della realtà con una sua rappresentazione .
Certamente ci identifichiamo più col pensiero, che con la scrittura per maggior abitudine, da cui deriva impropriamente minor sorpresa.
E' la rappresentazione di me che non sa mai cosa scriverà o penserà.
La coscienza è la lettura di un libro di cui non si conosce l'autore.
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Adalberto

 Translator
 
 
Grazie per avermi rivelato  la logica che spiega il paradosso del titolo che mi aveva agganciato.
 Il labirinto  delle rappresentazioni è davvero esteso. Anche la parola nasconde il suo gap con la cosa a cui si riferisce.
 Ma, se hai pazienza, non è che anche  i sentimenti e le emozioni – grazie all'ambiguità che li caratterizza - fanno parte di questa stessa partita dello scrivere e del leggere?
 Mi viene da pensare che i sensori del riconoscimento e dell'identificazione anche in questo caso scattino prima a livello emotivo e poi intellettivo. E' proprio lì che mi sembra venga percepita la stranezza, a volte la sorpresa, talvolta la meraviglia. Non vorrei divagare  troppo, ma il fatto di scrivere e leggere hanno dato alla nostra specie una bella scossa  (solo cognitiva o anche emozionale?) e tuttora la cerchiamo, ne siamo attratti.
 In sintesi,  se anche  riuscissi nell'impossibile tentativo  di scrivere esattamente quello che penso, suppongo che l'atto di rileggere in riga  le mie stesse parole e di reinterpretarle  mi farebbe scatta ugualmente  una sensazione di alterità, di non riconoscimento di me stesso.
 Probabilmente si tratta del risuono delle diverse aree cerebrali  interessate alla questione 
 Più certamente rientra nel gioco delle rappresentazioni che hai ben illustrato e che forse  il sentire aiuta a rivelare per primo. Ma alla fine capisco  che ci tocca sempre navigare in acque incerte cercando di  galleggiare o - come megli spieghi  tu - mediare.

Forse forse dovrei farmi una pipatina con Magritte.
Ci son dei giorni smègi e lombidiosi...
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(Fosco Maraini)

iano

#6
Penso che se aggiungiamo evolutivamente la capacità di articolare suoni, che io assimilo a una tecnologia, all'emotività, il risultato è la parola che poi si fa linguaggio, a cui segue il pensiero.
Per Cartesio l'uso di questo derivato ''tecnologico'' è la prova che siamo: ''uso una tecnologia dunque sono'', prova che comunque segue alla consapevolezza già acquisita di essere.
La catena di questa consapevolezza nel tempo si è allungata:... faccio scienza, dunque scrivo, quindi penso, dunque sono...ma al momento solo il pensiero, e in buona parte la scrittura, la sentiamo parte di noi per relativa abitudine, mentre probabilmente non svilupperemo mai una vera abitudine alla tecnologia successiva al pensiero, che ci ''condanna'' a vivere in un mondo virtuale.
Ma più che una condanna, la prova che siamo capaci di vivere in mondi virtuali è la prova della virtualità del mondo in cui abbiamo creduto di vivere finora confondendolo con la realtà.
Mondi nuovi di cui, pur avendo piena coscienza, non avremo mai più una comprensione, perchè la comprensione coincide appunto con l'incoscienza della loro costruzione.
Non c'è propriamente un gap della parola con la cosa secondo me, perchè la parola si sostituisce all'immaginazione nel fare della realtà una collezione di cose.

Arriva sempre il momento in cui anche dellla parola più abusata ci perdiamo il significato, riguardandola come un oggetto alieno, ripercorrendo così accidentalmente al contrario il percorso attraverso il quale la sedia e la parola che la designa sono arrivate a coincidere.
L'alta consapevolezza che oggi usiamo, facendo scienza, impedisce che tale processo di identificazione possa ripetersi, ma di queste coincidenze sembra vivere ancora la filosofia, e ciò si che a me sembra davvero strano.
Mi pare che il suo compito oggi dovrebbe essere quello di andare alla ricerca di queste coincidenze per smascherarle, per rifare al contrario tutto il percorso filosofico fin qui fatto.
La nuova filosofia dovrebbe essere dunque fatta della consapevolezza che seguirebbe a questa operazione di smontaggio, se ancora qualcosa resta.
Io confido che a questa operazione la filosofia, che sia un bene o un male sopravviverà, essendo ciò che distingue le macchine da noi, macchine che costruiremo con maggior consapevolezza, facendo retrocedere la sensazione di essere travolti dalla tecnologia.
Quindi acquisire la consapovolezza che la tecnologia siamo noi, essendo noi, per quel che possiamo sapere, quel che facciamo.
Ciò che non potremo mai sapere però è chi veramente sta agendo, chi veramente si emoziona, ma dalla bellezza delle sue emozioni mi vien da pensare che sotto sotto deve esserci una bella persona. :))
In ogni caso credo sia arrivato il momento, dopo aver acquisito la prova di essere, di avere il coraggio di essere, riducendo la paura della morte alla consapevolezza di esser vivi.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
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Adalberto

 Translator
 
 
 Un giorno mi piacerebbe continuare il discorso sulla sequenza suono-emozione-parola-linguaggio-pensiero alla quale aggiungerei come presupposto l'acquisizione della statura eretta. Ma appiccico tale concausa solo per darmi  l'impressione  di dire qualcosa di intelligente anch'io.
 Quell'evoluzione mi incuriosice perché ha partorito sia miti che concetti.  Chissà se prima l'uno o l'altro: presumibilmente si  condizionarono fra loro  se mal ricordo il libretto di Cassirer in  proposito. Forse da lì m'è uscita la semplificazione  del gap fra parola e cosa.
 In realtà sono un dispersivo e rileggendo la tua ultima frase prima di cena e  proprio dopo un'intensa piacevole giornata di lavoro, mi viene da scrivere quanto segue.
 Se non faccio nulla penso e sento di essere, se invece faccio... mi dimentico di me stesso, ma lo vivo.
 Vabbè, mi piaccono entrambe le cose. Quanto alla paura della morte è stata molto, molto costruita.
Buona serata.

Ci son dei giorni smègi e lombidiosi...
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(Fosco Maraini)

Adalberto

 Translator
 
 
Ma perchè mi esce 'sto Traslator in cima al testo, che mi fa sembrare un alieno che scrive ostrogoto e si fa tradurre da google...Vabbè, ci starò più attento.scusa.
Ci son dei giorni smègi e lombidiosi...
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(Fosco Maraini)

iano

Citazione di: Adalberto il 04 Febbraio 2025, 20:15:16 PMUn giorno mi piacerebbe continuare il discorso sulla sequenza suono-emozione-parola-linguaggio-pensiero alla quale aggiungerei come presupposto l'acquisizione della statura eretta. Ma appiccico tale concausa solo per darmi  l'impressione  di dire qualcosa di intelligente anch'io.
Grazie per il tuo interesse, ma devo confessarti che ho scritto l'ultimo post pensandolo li per li.
Quindi prendilo più come uno spunto di riflessione, perchè personalmente non ho competenza alcuna in nessun campo, se non appena un pò in fisica.
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Adalberto

Le cose spontanee sono le migliori. si fanno senza pensare, ma mostrano comunque il cervello.
Io sono senza arte ne' parte. in fisica sottozero.
'Notte.
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