Che cos'è la crisi interiore secondo voi?

Aperto da Aspirante Filosofo58, 15 Marzo 2025, 09:12:03 AM

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Aspirante Filosofo58

Buongiorno, io ho sperimentato più volte lo stato di crisi interiori e ogni volta mi sono sentito come se rinascessi dalle mie ceneri. Ho trovato questo scritto che vorrei condividere con voi. il cambiamento passa attraverso la crisi ed è essenziale per il progresso.
🔸 Crisi: ostacolo o opportunità?
La crisi nasce dal confronto con il nuovo
e può portare dolore, incertezza e instabilità - o no.
Dipende tutto da come la vivi: con paura o con fiducia,
con tensione o con apertura.
🔸 Il dolore non è un nemico
È un segnale, uno strumento evolutivo che ti permette di affrontare le tue resistenze, riconoscere le tue ferite e riscoprire chi sei davvero.
Senza crisi non c'è crescita, perché il progresso avviene proprio attraverso le scelte
che fai nel mezzo della crisi.
🔸 Ciò che spaventa non è il dolore, ma la resistenza al cambiamento
La sofferenza nasce quando opponiamo resistenza a ciò che emerge in noi,
alle parti più oscure che temono il cambiamento
ma allo stesso tempo lo desiderano.
☀️ "Crisi" deriva dal greco krísis, che significa scelta, decisione.
Questo periodo ci invita a scegliere con consapevolezza,
invece di lasciarci travolgere dalla paura.
Specie nelle difficoltà, ricorda:
✨ Nulla è contro di te. Tutto è PER te.
✨ La crisi non è fuori, è dentro.
Accoglila come un'ostetrica che ti aiuta a rinascere,
non come un becchino che ti viene a seppellire.

Che cosa ne pensate? Vi è mai capitata una crisi interiore? 
La teoria della reincarnazione mi ha dato e mi dà risposte che altre teorie, fedi o religioni non possono, non sanno o non vogliono darmi. Grazie alle risposte ottenute dalla reincarnazione oggi sono sereno e sono sulla mia strada che porterà a casa mia!

Koba

Due presupposti sbagliati:
1. che ci sia da qualche parte un vero Io in attesa di essere scoperto e accolto;
2. che il dolore, l'impotenza, la sofferenza andrebbero presi come stimoli per crescere.
Da qui poi non è difficile arrivare a concetti idioti come "resilienza": ma noi non siamo cozze avvinghiate agli scogli.
Non siamo nemmeno dei materiali che devono mostrare di resistere a tutte le sollecitazioni.
In pratica, si tratta di un'ideologia che favorisce l'accettazione del reale anziché la lotta per un cambiamento sociale.
Una crisi interiore è piuttosto uno scossone a forme esistenziali che non riusciamo più a sopportare e che dobbiamo sostituire con altre, senza che si possa mai distinguere la maggiore o minore autenticità (o forse no, se pensiamo a come molti si sforzano di diventare delle macchiette sociali: umorismo costruttivo, pensieri edificanti, fiducia nelle proprie forze e in quelle dei colleghi, e via dicendo).

Aspirante Filosofo58

Citazione di: Koba il 15 Marzo 2025, 09:43:36 AMDue presupposti sbagliati:
1. che ci sia da qualche parte un vero Io in attesa di essere scoperto e accolto;
2. che il dolore, l'impotenza, la sofferenza andrebbero presi come stimoli per crescere.
Da qui poi non è difficile arrivare a concetti idioti come "resilienza": ma noi non siamo cozze avvinghiate agli scogli.
Non siamo nemmeno dei materiali che devono mostrare di resistere a tutte le sollecitazioni.
In pratica, si tratta di un'ideologia che favorisce l'accettazione del reale anziché la lotta per un cambiamento sociale.
Una crisi interiore è piuttosto uno scossone a forme esistenziali che non riusciamo più a sopportare e che dobbiamo sostituire con altre, senza che si possa mai distinguere la maggiore o minore autenticità (o forse no, se pensiamo a come molti si sforzano di diventare delle macchiette sociali: umorismo costruttivo, pensieri edificanti, fiducia nelle proprie forze e in quelle dei colleghi, e via dicendo).
Perché sarebbero presupposti sbagliati? Se, per esempio, mettessimo in atto l'invito inciso sul Tempio di Delfi, dedicato ad Apollo, che se non ricordo male suona più o meno così: "Uomo, conosci te stesso e conoscerai l'Universo e gli Dei." ?
Se iniziassimo a cercare veramente dentro di noi quell'uomo che è lì in attesa di essere scoperto? Questo per il primo punto. Rispetto al secondo: perché il dolore, l'impotenza e la sofferenza non potrebbero essere presi come stimoli per crescere? E' vero non tutti gli esseri umani reagiscono nello stesso modo di fronte a dolore, impotenza e sofferenza: c'è chi si chiude in sé stesso, soffocando sotto il peso del dolore, e chi invece lo accetta e cerca di comprendere il dolore altrui. Poi mettiamoci anche le classiche sfumature di grigio, tra il bianco e il nero. Solamente accettando il proprio dolore, cercando di comprenderlo, si può veramente essere utili agli altri. Io ho attraversato molte crisi interiori e credo di essere maturato anche grazie ad esse. Per esempio: se io non avessi trascorso il periodo delle elementari in un istituto di riabilitazione motoria, la mia vita non sarebbe stata traumatizzata, ma  è stato proprio grazie a questi traumi che la mia vita si è arricchita dal punto di vista interiore.
La teoria della reincarnazione mi ha dato e mi dà risposte che altre teorie, fedi o religioni non possono, non sanno o non vogliono darmi. Grazie alle risposte ottenute dalla reincarnazione oggi sono sereno e sono sulla mia strada che porterà a casa mia!

Alexander

Il concetto di crisi sempre visto come qualcosa di positivo e che fa crescere è alquanto ingenuo e ideologico. Sono d'accordo con Koba che sono teorie di "psicanalismo consumistico" tendenti a farti vedere il reale come bello e desiderabile e perciò, visto che la felicità dipende solo da te, non serve cambiare la struttura sociale, che va bene come è. Mi ricordo di aver letto un articolo su un neurobiologo statunitense considerato un po' "eretico" che riportava questa sua domanda : "negli Usa c'è un problema enorme di abuso di psicofarmaci tra gli anziani. Si prescrive il farmaco, si invita a fare psicoterapia, ma non si agisce sulle causa: solitudine e difficoltà economiche. È più semplice prescrivere un farmaco che tentare di modificare la società ". Purtroppo non ricordo il nome.
Che una crisi sia sempre positiva è affermazione semplicistica. È positivo che ti muoia un figlio? Puoi scegliere di reagire in molti modi, ma anche di non avere la forza per farlo e così lasciarti morire lentamente.

niko

#4
La sofferenza, soprattutto quella specificamente umana, e' la differenza, tra il desiderio e la realta', e quindi in linea di principio essa ha solo due grandi "antidoti", che poi a ben guardare sono lo stesso e fanno uno: davanti alla sofferenza, se non vuoi soffrire (e nessuno lo puo' volere o lo vuole), o fai la realta' uguale al desiderio o fai il desiderio uguale alla realta'. Togli di mezzo, quella certa fastidiosa differenza, tra desiderio e realta', che la sofferenza stessa e'. E intendo... a livello piu' o meno pratico, simbolico, allucinatorio, metafisico o reale. Se resti passivo, se la "accetti", se pensi che ci sia qualcosa sa "imparare", da essa, ti distrugge.

La (vera) crisi, e' il rivelarsi ossessivo dello stesso e del medesimo, insomma la fine dell'altro, la fine di un divenire (e non di un'essere...) che ci rivela, in forma di desiderio, la necessita' di un'altro altro.

Per inciso, proprio come il capitalismo, di cui si dice che "va in crisi", quando esso non riesce a rinnovarsi, a proseguire il suo solito andare ciclico.

Proprio perche' nessuno, tra gli uomini, sa nulla della morte (ne' tantomeno di cosa, eventualmente, ci sia "dopo"), la morte, per ognuno di tutti gli innumerevoli singoli uomini, quantomeno a livello dell'esperienza possibile e dicibile, e' la morte dell'altro, non la morte del (proprio) io o se'. L'evoluzione, proprio in quanto evoluzione, ovverosia piena accettazione, voluto esauriente ed esaustivo, dell'uomo, va' verso un tipo di uomo, e quindi verso un carattere, dell'uomo, per cui finalmente faccia, (realmente e non ipocritamente) problema il lutto, e non la morte. Perche' il lutto, e cioe' la morte, anche in senso lato, dell'altro, e non gia' quella dell'io o del se', e' quell'unica "parte" o "aspetto" della morte che, ipocrisie a parte, si offra alla nostra esperienza, conoscenza e ponderazione.

Accettare il carattere, dell'uomo, vuol dire accettarne i limiti.

La morte, diceva Epicuro, quando ci siamo noi non c'e', quando essa c'e', non ci siamo noi. Io, pero', con tutto il rispetto, ci aggiungo che altrettanto non si puo' dire del lutto. Anzi, il contrario. Si puo' dire del lutto.
Occupiamoci, dunque, di quello che (per noi) c'e', non di quello che (per noi) non c'e'. Se vogliamo evolvere. Senno', rimarremo sempre quello che siamo. Esseri pieni di speranze metafisiche. Che vogliono in qualche modo "salvarsi". E che non capiscono, di essere gia' salvi, ma di una salvezza che fa problema, perche' non ogni, forma di eternita', e' in assoluto buona o sopportabile.


Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

anthonyi

Gli esseri umani hanno un bisogno fondamentale, quello che il loro agire sia più o meno accettato dagli altri. 
Questa accettazione viene espressa e percepita in molti modi, e se c'é crea gratificazione, se non c'é produce sofferenza e, a livelli estremi, produce quella che si definisce crisi interiore, crisi di valori, crisi di senso. 
Ho notato che in più post il concetto di crisi interiore é contrapposto a un approccio di conflittualità sociale ideologica. 
Non credo che le due cose siano sullo stesso piano, la crisi interiore può definire la crisi nei confronti di un modello di agire sociale, come quello borghese, o quello di conflittualità sociale.
La conflittualità sociale é invece un modello di agire sociale che per essere equilibrato deve riferirsi a un'accettazione ambientale. Al fatto che lo stesso modello é valorizzato anche dagli altri che ti sono attorno. 

Phil

Parlare di "crisi interiore" è sempre una questione delicata, soggettiva e difficilmente generalizzabile. Quantomeno è utile distinguere fra crisi che hanno origine soprattutto (non solo) esterna e quelle che hanno origine soprattutto (non solo) interna: è ovvio che tutte le crisi interiori hanno come "luogo critico" l'interiorità, tuttavia alcune vengono innescate da un evento esterno (un lutto, ad esempio, come accennato da niko), mentre altre si manifestano in assenza di rilevanti cambiamenti esterni, ma principalmente per la mutata attitudine o atteggiamento interno con cui si guarda e si vive la "solita realtà" (senso di alienazione, "claustrofobia esistenziale", ennui, desiderio di "sovversione" di cui parlava Koba altrove, etc.).
Solitamente l'esperienza di crisi interiore non credo sia in sé piacevole, mentre può essere piacevole guardare a posteriori come si è diventati dopo una crisi; chiaramente se invece la crisi segna l'individuo con tracce traumatiche indelebili o con danni psicologici (o peggio), se non c'è il "lieto fine" alla crisi, il dopo-crisi risulta solo un peggioramento esistenziale rispetto al pre-crisi.
Il modo in cui si affronta una crisi può fare la differenza (@koba non vedo dove sia l'idiozia della resilienza, se propriamente intesa), ma è anche vero che non tutte le crisi possono essere risolte con impegno e forza d'animo, alcune sono semplicemente troppo titaniche per il soggetto che si trova ad affrontale e che, di conseguenza, ne viene schiacciato (come capita quasi sempre a chi decide di piegare la realtà e/o il mondo alle proprie idee o utopie, e non viceversa). Ci sono soggetti che hanno un certo "involontario masochismo", per i quali l'essere in crisi è una condizione dissimulatamente desiderabile perché è sfidante, rende la vita un'impresa, scaccia la noia e l'ordinarietà (il loro uso del linguaggio è come sempre "sintomatico"); ci sono poi soggetti molto meno inquieti e "burrascosi" che invece vivono come crisi ogni fuori-programma che destabilizza la rassicurante routine esistenziale; e così via, si potrebbe parlare di altre soggettività che hanno un differente rapporto con la crisi interiore; non è un questione facile da generalizzare, essendo molto eterogenea la "natura" delle possibili crisi interiori (e in base a ciascuna "natura" si può cercare, se possibile, di tracciare una rotta per uscirne, ma non c'è di certo nessuna "mappa universale" e nessuna garanzia di uscirne "migliorati").

Adalberto

Un conto sono le teorie, le filosofie e i concetti astratti, un altro è vivere l'esperienza concreta della vita, che ci porta periodicamente a fare dei reset, a rielaborare e reinterpretare i fattori salienti della propria esistenza cercando di portarla su nuovi livelli, nuovi equilibri, che non sono solo intellettuali, emotivi o affettivi , ma che coinvolgono anche piani pratici, scelte concrete, svolte reali. È chiaro che necessitano sforzo, sudore e sofferenza,. Ma è anche vero che la rielaborazione interiore e la successiva  svolta pratica porta a superare pian piano problemi e sofferenza. Poi non sarà mai rose e fiori ma ci vedrà più attivamente presenti nella propria intimità e nei rapporti sociali, produttivi, affettivi in siamo inseriti
L'importante è non ritrovarsi poi con i medesimi problemi di prima ai quali si sono solo cambiate le denominazioni.
Pensare di Limitare la soluzione della crisi alla propria interiorità senza coinvolgere anche l'esteriorita' delle proprie relazioni è il campanello di allarme di una crisi potenzialmente irrisolta.
Ci son dei giorni smègi e lombidiosi...
ma oggi è un giorno a zìmpani e zirlecchi.
(Fosco Maraini)

Koba

Citazione di: Phil il 15 Marzo 2025, 19:10:28 PM@koba non vedo dove sia l'idiozia della resilienza, se propriamente intesa
Con il concetto di resilienza – concetto tratto dalla scienza dei materiali – l'attenzione si sposta dalla situazione reale, che provoca sollecitazioni insopportabili, alla capacità del soggetto di essere lavorato senza spezzarsi.
Il fine ideologico è convincerci a considerare positivamente la disumanità delle sollecitazione in quanto occasione di un adattamento che nessuno avrebbe pensato possibile.
"Ah, non sono morto! E chi l'avrebbe mai detto. Ma ciò che non mi uccide mi rafforza!".
Spingere a pensare la crisi come un'occasione per mettersi alla prova. Come una sfida. Come un'occasione per diventare più forti.
Non è difficile cogliere la radice ideologica da cui prendono vita espressioni come "resilienza" o "essere imprenditori di se stessi", poi messi in circolazioni dai fedeli servitori della causa neoliberista.

Aspirante Filosofo58

Citazione di: Adalberto il 15 Marzo 2025, 21:50:33 PMUn conto sono le teorie, le filosofie e i concetti astratti, un altro è vivere l'esperienza concreta della vita, che ci porta periodicamente a fare dei reset, a rielaborare e reinterpretare i fattori salienti della propria esistenza cercando di portarla su nuovi livelli, nuovi equilibri, che non sono solo intellettuali, emotivi o affettivi , ma che coinvolgono anche piani pratici, scelte concrete, svolte reali. È chiaro che necessitano sforzo, sudore e sofferenza,. Ma è anche vero che la rielaborazione interiore e la successiva  svolta pratica porta a superare pian piano problemi e sofferenza. Poi non sarà mai rose e fiori ma ci vedrà più attivamente presenti nella propria intimità e nei rapporti sociali, produttivi, affettivi in siamo inseriti
L'importante è non ritrovarsi poi con i medesimi problemi di prima ai quali si sono solo cambiate le denominazioni.
Pensare di Limitare la soluzione della crisi alla propria interiorità senza coinvolgere anche l'esteriorita' delle proprie relazioni è il campanello di allarme di una crisi potenzialmente irrisolta.
Infatti! Spesso mi capita di trovare soluzioni, ai problemi nei quali mi imbatto, che non sono in linea con le soluzioni proposte dalla scienza per quei problemi specifici. Anzi, a volte la mia esperienza mi suggerisce soluzioni diametralmente opposte a quelle della scienza.
Da sempre io metto al primo posto la mia esperienza personale, in tutti i campi.
Per quanto riguarda le crisi interiori: da quando avevo 6 anni (oggi ne ho 66) la mia vita è stata ed è una ricerca continua. Chi cerca, prima ancora di trovare (secondo la mia esperienza personale), deve necessariamente andare in crisi, perché non è detto che ciò che troverà sia in linea con le sue aspettative.  La crisi interiore è come uno specchio che ci fa confrontare con noi stessi, con le nostre abitudini, con le nostre idee, con la nostra famiglia, con la società che ci circonda.
Oltre alla paralisi cerebrale infantile, io ho fatto i conti con un ictus ischemico a 48 anni di età, e con una sorta di calvario, durato due anni, causato dalla lussazione della spalla sinistra, la necessità di installare una protesi, che tuttavia doveva attendere il tempo necessario al nervo ascellare, stiratomi da chi mi ha rimesso a posto la spalla (non ho la possibilità di dimostrarlo in alcuna sede di tribunale, però, se un attimo prima che mi rimettano a posto la spalla, sento un dolore insopportabile e subito dopo il dolore sparisce, facendomi quasi gioire perché da profano credevo che l'assenza di dolore fosse una logica conseguenza della sistemazione della spalla, cosa posso pensare?): il nervo ascellare stirato non trasmetteva più alcun dolore! Queste due esperienze, insieme a tante altre mi hanno mandato in crisi: da una parte il mio corpo che mi avvisava di fermarmi, di non abusarne ulteriormente (alla faccia della resilienza!), dall'altra la mancanza di quell'affetto da parte di amici e conoscenti che, per dirla col Manzoni, erano in altre faccende affaccendati e non avevano tempo nemmeno per una telefonata... tutto ciò mi ha fatto prendere in considerazione la possibilità di accettare la mia solitudine, di farne tesoro. Per me quei momenti di crisi interiore (compreso il fatto di sentirmi una persona di serie B, che non interessava ad alcuno) sono stati quasi una benedizione: l'ho capito dopo, ovviamente, dopo essere andato in crisi. Così la solitudine mi è servita per iniziare ad apprezzare la musica e la lettura a 360 gradi, giusto per fare un paio di esempi.
Ecco: voi non avete mai avuto crisi interiori? Se sì, come le avete superate?
La teoria della reincarnazione mi ha dato e mi dà risposte che altre teorie, fedi o religioni non possono, non sanno o non vogliono darmi. Grazie alle risposte ottenute dalla reincarnazione oggi sono sereno e sono sulla mia strada che porterà a casa mia!

Phil

Citazione di: Koba il 16 Marzo 2025, 09:16:10 AMIl fine ideologico è convincerci a considerare positivamente la disumanità delle sollecitazione in quanto occasione di un adattamento che nessuno avrebbe pensato possibile.
"Ah, non sono morto! E chi l'avrebbe mai detto. Ma ciò che non mi uccide mi rafforza!".
[...]
Non è difficile cogliere la radice ideologica da cui prendono vita espressioni come "resilienza" o "essere imprenditori di se stessi", poi messi in circolazioni dai fedeli servitori della causa neoliberista.
La resilienza, in psicologia (per questo ho precisato: «resilienza, propriamente intesa») non è banalmente la capacità di incassare i colpi della vita, di "essere tosti", non è sinonimo di «resistenza» e non ha a niente a che fare con ideologie neoliberiste e manipolazioni delle masse. La resilienza (v. qui), studiata a livello clinico (non stabilita a tavolino da "dottori della propaganda"), va di pari passo con la rielaborazione "positiva", ossia non dannosa per l'individuo, di vissuti potenzialmente nocivi.
In pratica significa, come ricorda l'articolo, che se cresco con genitori schizofrenici non divento a mia volta schizofrenico o non alimento altre turbe psichiche, ma reagisco (la resilienza è essenzialmente reazione, non capacità di subire senza "rompersi") strutturandomi in modo "sano e funzionale". Se non fossi stato sufficientemente resiliente, sarei rimasto traumatizzato o magari avrei "assorbito e riprodotto" atteggiamenti schizofrenici. Questa non mi sembra un'idiozia né una strategia neoliberista, ma una risorsa utile per affrontare crisi interiori. O preferiamo appiattire tutto a «sono in crisi, governo ladro!»?

niko


La resilienza, cari signori, ad oggi ci sta, e va di moda, perche' so' morti e sottoterra tutti quelli della generazione della resistenza. E di Stalingrado.

Insieme ai venti di guerra. Nucleare. Perche' dall'altra parte del mondo, so' morti pure tutti quelli testimoni di Hiroshima.

Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Koba

Citazione di: Phil il 16 Marzo 2025, 12:07:37 PMLa resilienza, in psicologia (per questo ho precisato: «resilienza, propriamente intesa») non è banalmente la capacità di incassare i colpi della vita, di "essere tosti", non è sinonimo di «resistenza» e non ha a niente a che fare con ideologie neoliberiste e manipolazioni delle masse. La resilienza (v. qui), studiata a livello clinico (non stabilita a tavolino da "dottori della propaganda"), va di pari passo con la rielaborazione "positiva", ossia non dannosa per l'individuo, di vissuti potenzialmente nocivi.
In pratica significa, come ricorda l'articolo, che se cresco con genitori schizofrenici non divento a mia volta schizofrenico o non alimento altre turbe psichiche, ma reagisco (la resilienza è essenzialmente reazione, non capacità di subire senza "rompersi") strutturandomi in modo "sano e funzionale". Se non fossi stato sufficientemente resiliente, sarei rimasto traumatizzato o magari avrei "assorbito e riprodotto" atteggiamenti schizofrenici. Questa non mi sembra un'idiozia né una strategia neoliberista, ma una risorsa utile per affrontare crisi interiori. O preferiamo appiattire tutto a «sono in crisi, governo ladro!»?
Il concetto di resilienza in psicologia clinica è praticamente assente.
Non è utilizzato da nessuno dei classici. Nei tanti testi universitari di psicologia in cui mi sono imbattuto nel corso dei miei studi giovanile, non l'ho mai incontrato.
Ha iniziato a diffondersi a partire dalla crisi economico-finanziaria del 2007.
Questo fatto deve essere tenuto presente, se non si vuole avere un approccio ingenuo al sapere.
Al di là dell'uso magari sofisticato e specialistico che ne può fare un determinato ricercatore, il concetto è stato utilizzato soprattutto sul tema della capacità di risposta psicologica a condizioni difficili ma in relazione ad un approccio particolare che si può esprimere come "accettazione positiva della sfida".
Ora, da qui a far prevalere una visione in cui le condizioni di grande stress vanno accettate perché potenzialmente stimolanti al superamento di sé, anziché fermarsi e riflettere sull'opportunità di ripensare alle cause di questo stress, il passo è breve, ed è quello che si è ampiamente verificato negli ultimi decenni.
Se ti ha gravemente turbato il fatto che io abbia utilizzato il termine "idiota" per descrivere il concetto di "resilienza", ritiro tutto e sostituisco con l'espressione "pericolosamente ambigua".

Phil

Citazione di: Koba il 16 Marzo 2025, 17:46:33 PMIl concetto di resilienza in psicologia clinica è praticamente assente.
Considerare idiota la resilienza, in quanto categoria di una certa analisi psicologica, più che conturbante mi sembrava una svalutazione gratuita del suo valore analitico. Sicuramente la sua volgarizzazione popolare, per cui è diventata sinonimo di "resistenza", di ottimismo, etc. non va confusa con l'ambito originario di appartenenza. A mio avviso, il "passo breve" che porta qualcuno ad affermare che «le condizioni di grande stress vanno accettate perché potenzialmente stimolanti al superamento di sé» in nome della resilienza, quasi fosse consigliato e auspicabile vivere situazioni strssogene, più che un "passo breve" mi sembra un passo falso (e che nulla ha a che fare con la resilienza, pur magari strumentalizzandone il nome).
Per approfondire, la prima fonte che ho trovato al volo è questa, dove puoi leggere «Tra questi studi quello più celebre e all'interno del quale fece per la prima volta la comparsa il termine resilienza fu quello di Werner e Smith (Werner & Smith, 1992)» (p. 18) e «Nell'ambito della psicologia e più propriamente della psicopatologia, la resilienza è considerata come la capacità di evolversi anche in presenza di fattori di rischio (Luthar & Ziegler, 1991; Rutter, 1979). La resilienza viene inoltre vista come una qualità genetica che però, nell'arco della vita può manifestarsi e essere sviluppata grazie all'interiorizzazione di legami significativi. Cyrulnik (Cyrulnik, 2001) definisce la resilienza come una trama dove il filo dello sviluppo si intreccia con quello affettivo e sociale. Anaut (Anaut, 2003) sostiene che essere resilienti non significa essere individui invulnerabili, inaccessibili alle emozioni, alla sofferenza» (p. 20). Sicuramente, se vuoi approfondire oltre, troverai altre fonti che ti confermeranno come la resilienza, in psicologia, non sia qualcosa di "pericolosamente ambiguo", come invece può essere l'uso che si fa della parola corrispondente.

Koba

Citazione di: Phil il 16 Marzo 2025, 18:07:48 PMConsiderare idiota la resilienza, in quanto categoria di una certa analisi psicologica, più che conturbante mi sembrava una svalutazione gratuita del suo valore analitico. Sicuramente la sua volgarizzazione popolare, per cui è diventata sinonimo di "resistenza", di ottimismo, etc. non va confusa con l'ambito originario di appartenenza. A mio avviso, il "passo breve" che porta qualcuno ad affermare che «le condizioni di grande stress vanno accettate perché potenzialmente stimolanti al superamento di sé» in nome della resilienza, quasi fosse consigliato e auspicabile vivere situazioni strssogene, più che un "passo breve" mi sembra un passo falso (e che nulla ha a che fare con la resilienza, pur magari strumentalizzandone il nome).
Per approfondire, la prima fonte che ho trovato al volo è questa, dove puoi leggere «Tra questi studi quello più celebre e all'interno del quale fece per la prima volta la comparsa il termine resilienza fu quello di Werner e Smith (Werner & Smith, 1992)» (p. 18) e «Nell'ambito della psicologia e più propriamente della psicopatologia, la resilienza è considerata come la capacità di evolversi anche in presenza di fattori di rischio (Luthar & Ziegler, 1991; Rutter, 1979). La resilienza viene inoltre vista come una qualità genetica che però, nell'arco della vita può manifestarsi e essere sviluppata grazie all'interiorizzazione di legami significativi. Cyrulnik (Cyrulnik, 2001) definisce la resilienza come una trama dove il filo dello sviluppo si intreccia con quello affettivo e sociale. Anaut (Anaut, 2003) sostiene che essere resilienti non significa essere individui invulnerabili, inaccessibili alle emozioni, alla sofferenza» (p. 20). Sicuramente, se vuoi approfondire oltre, troverai altre fonti che ti confermeranno come la resilienza, in psicologia, non sia qualcosa di "pericolosamente ambiguo", come invece può essere l'uso che si fa della parola corrispondente.
Ultimo intervento: la letteratura scientifica in ambito psicologico aumenta ogni anno di qualche migliaio di articoli.
È ovvio quindi che ci siano dei testi che trattano della resilienza.
Questo non toglie che sia un concetto irrilevante in psicologia.
Se non lo sai puoi facilmente documentarti magari non con autorevolissimi articoli da riviste online ma con i manuali su cui si preparano gli esami alla facoltà di psicologia.
Ma a parte questo, più in generale trovo abbastanza inutile la tua puntigliosità (penso ti chiamerò da adesso in poi chatgpPhil).
Un conto cioè è contestare la mia idea di una presenza ideologica nel concetto di resilienza, sostenendo magari che tale concetto è bellissimo e pregno di conseguenze filosofiche etc., altro invece è richiamare al rispetto dell'uso di tale concetto in qualche testo scientifico.
Tempo fa in altro topic riportavo le riflessioni del grande psicoanalista Elvio Fachinelli sui meccanismi di difesa: sintomo, secondo lui, di una visione fortificata dell'Io.
E anche lì a sentirmi richiamare al detto esplicito dell'ortodossia freudiana.
Capisci? Essere liberi, avere uno sguardo d'insieme, andare oltre all'esplicito contenuto per coglierne le forze sottostanti.

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