Ciò che non si può dire.

Aperto da iano, Oggi alle 13:48:39 PM

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iano

Mi pare che di Dio, per essere l'innominabile, si parli fin troppo, talchè mi vien da pensare che Dio sia il nome che diamo a ciò che non sappiamo dire, se è vero che ogni cosa non rientra sotto il dominio del logos.
Per quanto consapevoli di ciò ci si vieti di non provare a rappresentare il non rapprensetabile, gli stessi musulmani non possono evitare di parlarne, forse perchè il pensiero è legato alla parola, e non si può smettere di pensare, mentre ci si può astenere da altri tipi di rappresentazione.
Certo, anche il pensiero si può provare a sospendere con la meditazione , fino ad annullare ogni possibilità di espressione, come fanno i santoni orientali, togliendo ogni potere al logos.
Ma, che Dio esista oppure no, quali conseguenze ha  questo porre un limite alle proprie capacità di esprimersi?
Questa operazione di regressione espressiva, questo percorso evolutivo  all'incontrario, ha un senso secondo me solo se  conduce a una maggiore coscienza delle nostre capacità espressive al fine di potenziarle.
Affermando che Dio è verbo si attribuisce un potere illimitato al logos, ma limitandone ulteriormente così  di fatto le capacità già limitate.
L'operazione di regressione di cui sopra potrebbe dunque renderci consapevoli del suo valore esclusivamente umano, per poter ripartire con maggior coscienza delle nostre capacità espressive verso un percorso di loro potenziamento, perchè seppur esse hanno un limite, questo limite non è fisso..
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

In sostanza si tratta di smettere di fare del logos un idolo per liberare tutte le potenzialità.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

daniele22

Citazione di: iano il Oggi alle 14:27:38 PMIn sostanza si tratta di smettere di fare del logos un idolo per liberare tutte le potenzialità.
C'entra un poco anche la mappa, questone a te molto cara. Ogni essere vivente si muove calato nella sua realtà.
Per istinto o meditata-mente egli si affiderà necessariamente a una mappa per quanto "semplice" questa possa essere. Le nostre parole comunque sarebbero di fatto una mappa della realtà.
Vi sarebbe quindi una nostra separatezza dalla realtà che ci comprende in virtù del carattere della nostra lingua; sarebbe a dire che le espressioni del tipo io faccio, lui dice, lei erige, ci vediamo laggiù etc, hanno generato una certa nostra separazione dal mondo del "qui e ora", dove invece si muoverebbe in gran parte la vita degli altri esseri viventi ... quelli che non dicono io faccio, tu dici, ma fanno e dicono ugualmente. Dicono cosa? Dicono per lo più del loro stato interiore, fondandosi sempre su una mappa della loro realtà.
Sarebbe però contro ogni evidenza che noi umani non ci si muova ugualmente nel qui e ora così come poc'anzi dissi.
Succede infatti questo: che noi umani, indotti dalla cura del fuoco, abbiamo progressivamente cambiato punto di riferimento per il mondo (realtà), focalizzando le nostre culturali attenzioni (nostre abitudini) più che altro alla realtà linguistica. Ad oggi, in senso kantiano, si pende dalle altrui parole vivendo di fatto in uno stato di "minorità" in cui ci si ritrova facilmente manipolabili. Ciò sarebbe particolarmente grave per questioni etico/morali. Certo, voi potete disquisire all'infinito continuando ad aprire compulsivamente svariati temi di discussione. Temi che però restano puntualmente mancanti di concretezza nel loro assieme. Restano cioè a mezz'aria mancando di finalizzazione.
Non muoversi nel qui e ora assume quindi il suo autentico senso nel fatto che noi si "perda" un tempo per agire nella concretezza della realtà immanente perché ci si ostina a combattere ... vien da dire quasi in losca complicità  ... la realtà espressa "linguisticamente" dagli avversari. Tutto questo nel mentre che ci si dimentica di guerre e stragi di innocenti, ovvero si dimentica un po' la parte non linguistica della realtà, quella della carne, del qui e ora. "Eh no!, noi parliamo pure di tali guerre e di tali stragi!" diranno i meno avveduti ... e così si perpetua il giro vizioso ... Aspettiamo

Phil

Citazione di: iano il Oggi alle 14:27:38 PMIn sostanza si tratta di smettere di fare del logos un idolo per liberare tutte le potenzialità.
Tempo fa, parodiando (non parafrasando) un noto motto, scrissi che secondo me «di ciò di cui non si deve parlare, si può tacere»; ossia: se non si è in dovere, costretti dalle circostanze, a parlare di qualcosa, si può (non «si deve») anche tacerne. Forse prendo "in contropiede" il senso dei tuoi post, ma ho l'impressione che sia il saper non parlare ad essere "in difficoltà", negli ultimi tempi, e dico «saper non parlare» perché credo che anche il tacere sia un sapere (non in senso nozionistico, ovviamente, ma nel senso di sapere quando si può anche non parlare di qualcosa, quando non si deve farlo; «non si deve» sempre nel senso di non essere costretti a farlo, non nel senso di divieto morale o altro).
Probabilmente non sono l'unico a ricordarsi un tempo, prima degli smartphone e dei "minuti e giga infiniti", in cui parlare al telefono costava abbastanza (rispetto ad ora). La leva economica, come sempre, fa emergere il valore non economico di alcuni impulsi e presunte necessità (più o meno indotte). Le comunicazioni telefoniche "dell'epoca", essendo costose, erano forse (non si può certo generalizzare troppo) più significative e più autentiche, più ponderate e meno moleste (si pensi ai call center) di quanto lo siano ora (poi "prima" c'erano più relazioni faccia a faccia, meno solitudine, etc. ma non mi interessa quella direzione del discorso). Ora si può parlare a distanza senza pagare a consumo, quindi in generale "si parla" (Heidegger docet), tanto, spesso, non sempre ponendosi prima la domanda: devo davvero parlare? Perché devo parlare?
Passando alla scrittura: se i post sui social o sui forum fossero a pagamento, chiaramente (qualcuno starà già pensando) solo i ricchi potrebbero straparlare e strascrivere a vanvera (poiché per loro il denaro "vale meno"), mentre se non si paga nulla, tutti possono (anche, non solo) straparlare, oltre che comunicare, arricchirsi reciprocamente, solidalizzare, imparare, etc.; ed è bello così (perché mai solo i ricchi dovrebbero avere anche il privilegio, volendo, di poter persino oziare per telefono o bisbocciare in una chat?).
La nostra situazione di comunicazione "orizzontale" (potrei twittare anche con Musk o il papa, credo) e democratica, senza (quasi) filtri e demoscopica, è quindi "sicuramente" una vittoria per il popolo; ma lo è anche per il logos?
In estrema sintesi: se il logos è un idolo, mi pare stia facendo la fine degli altri idoli (e lo dico da postmoderno, non da nostalgico: l'analisi sociologica dei passato non è necessariamente nostalgia dei tempi andati).

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