La legge della parola

Aperto da Jacopus, 11 Gennaio 2025, 18:07:41 PM

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Phil

Citazione di: Koba II il 14 Gennaio 2025, 09:07:42 AMLa parola crea il mondo nel senso della produzione di un ordine simbolico, qualcosa capace di proteggerci dalla nuda vita.
In realtà, secondo me, la parola non ci «protegge dalla nuda vita», piuttosto ci aliena radicalmente dalla nuda vita, al punto che il disincanto da tale "alienazione a sola andata" ha spesso tratti traumatici. Il fatto stesso che "tornare" alla nuda vita spingerebbe molti al suicidio, dimostra quanto tale visione alienata/incantata sia ormai cronicizzata e il solo pensiero di uscirne, spaventa (fermo restando che non è un'uscita che oggi sia facile compiere).
Se in realtà l'uomo vivesse tale nuda vita per abitudine o per "cultura", in quella prospettiva meno simbolica, meno mediata, meno concettualizzata, persino il suicidio non sarebbe né brutto, né sbagliato, ma nemmeno qualcosa che avrebbe un motivo per essere compiuto (quanti animali meno simbolici si suicidano? Quali sono i tassi di suicidio nei paesi più e meno "colti"?). L'universo simbolico sembra proteggerci dalla nuda vita, ma in quell'universo c'è persino la spinta a togliersela... spinta che nella nuda vita ha poco o nessuno spazio.
Riprendendo il passo biblico citato all'inizio: per sentire il bisogno dei vestiti, bisogna accorgersi di essere nudi, e per accorgersi di essere nudi e valutarlo vergognoso, bisogna avere il concetto di "nudità", di "vergogna", etc. la mela ha "alienato" Adamo ed Eva dal Paradiso o li ha "protetti" dai pericolo della loro nudità?
Fuori dal contesto figurato: oggi il nostro corpo è ormai inadatto a vivere senza vestiti, la "nuda vita da nudi" ci sarebbe mortale prima per fisiologia che per psicologia, ma nondimeno la consapevolezza di quale sia la nuda vita (vestiti a parte, o meglio, sotto i vestiti) riaffiora ogni volta che le funzioni vitali vengono minacciate e tutto l'universo simbolico di valori, ideali, edonismo, "sensi della vita", etc. passa in secondo piano rispetto, ad esempio, a una malattia improvvisa che ci fa "incentrare centripetamente" sulla nostra nuda vita individuale.

Pio

Dubito che sarebbe possibile una cultura senza la parola. La cultura è parola. Anche la nuda vita sarebbe in difficoltà: vallo a spiegare a motti e smorfie quello che ti serve o dove soffri :-[
Non ci abitueremo mai ai metodi ruvidi di Dio, Joseph (cit. da Hostiles film)

Phil

Non è un caso se ho scritto cultura fra virgolette; infatti la capacità simbolica, astratta, etc. del linguaggio è sia ciò che aliena dalla nuda vita, sia ciò che rende possibile sovrastrutture come la medicina, l'economia, l'arte, etc. che sono ben oltre la nuda vita, pur occupandosene.
Una "cultura della nuda vita" (riuso le virgolette) sarebbe una socialità poco tecnologica e molto animale(sca), ai limiti della naturalità/naturalezza che oggi definiamo assenza di cultura, antropologicamente intesa.

Koba II

Per "nuda vita" intendevo la realtà così come ci apparirebbe se venisse meno la nostra capacità di assimilare mentalmente l'esperienza.
Ovvero qualcosa di insensato, di estraneo, di gelido (come al melanconico appare la vita nei suoi momenti peggiori).
Con la parola, le immagini, etc., quel luogo desolante diventa abitabile. Nasce il nostro mondo.
Quindi non è questione di assenza o presenza di cultura, di vita semplice contro civiltà, ma di qualcosa che li precede e li rende possibili, poiché anche il rifiuto della vita civile e l'eventuale decisione per un'esistenza nella natura selvaggia implica la capacità di immaginare un certo modo di abitare il mondo etc., cioè anche il rifiuto radicale della civiltà per essere perseguito ha bisogno della capacità di una partecipazione all'ordine simbolico.

Visechi

Un fiume di parole per dire delle parole!
Le parole, pur nella loro afasia, nella loro incompiutezza, esprimono pur sempre qualcosa, anche se d'indefinito e soffuso. Trasmettono parti dell'intimo di chi le utilizza per comunicare, e chi le legge o le ascolta, pur fra i tanti fraintendimenti insiti nella comunicazione, recepisce qualcosa di quest'intimo. Un autore vive attraverso le parole che utilizza nei suoi libri, ed è vivo nella misura in cui le sue parole sono lette. Parole non lette o ascoltate sono come se non fossero mai state scritte o pronunciate, come un albero che cade senza che vi sia nessun essere vivente che possa assistervi o udirne il tonfo... non esiste. La parola è, in questa accezione, reminiscenza. Reminiscenza è anche cultura.
Pur tuttavia, è anche vero che soprattutto da un testo scritto filtri sempre un'assenza, anche perché quel che viene letto è un insieme di termini e locuzioni utilizzate in un momento diverso da quello che a suo tempo coinvolse colui che scrisse. Non vi è immediatezza fra scrittura e lettura. Fra le due fasi si crea una sfasatura temporale e, soprattutto, emotiva. Fra le due azioni – scrivere e leggere – s'interpone una stasi, una sospensione che si integra nel non detto, perché appunto ancora non letto. E forse in essa, fra le sue pieghe, s'insinua un'assenza, una mancanza che in un certo senso priva l'autore dell'esistenza in vita. Questo "ristagno" è sempre solo un rimando, una sospensione. È nella ripresa (lettura) che questo vuoto si ripopola pian piano e, ripopolandosi, si ricostituisce per tasselli, come in un mosaico, l'esistenza in vita dello scrittore.
Ma man mano che la lettura si fa più attenta, via via che la comprensione penetra sempre più fra le righe e i contorsionismi verbali, fra l'indecifrabilità della grafia, fra le piroette lessicali, l'immagine del significato si compone sempre più, senza però, credo, riuscire mai a svanire totalmente quel fumus che avvolge tanto lo scritto, quanto colui che scrive: le sue sensazioni, le sue impressioni, i suoi pensieri spesso manichei.
Le parole sono impregnate di una labile traccia, forse un profumo o il lezzo, della coscienza, della volontà ed intima presenza di chi ha inteso attraverso questo precario veicolo trasmettere all'esterno qualcosa di sé. Certo, alle volte lasciano solo l'impressione di un qualcosa; chi le cattura, leggendole ed interpretandole (perché uno scritto impone sempre un'interpretazione, alle volte anche fuorviante), mescola al non essere presenza dell'autore, la pretesa d'essere del lettore. Così è che si viene a comporre quel flusso, quel feedback denominato 'comunicazione', forse impropriamente denominato in tal modo. Ma il linguaggio, fra le varie combinazioni possibili di vocali e consonanti, estrae a sorte proprio questo termine.
Il linguaggio è così un trait d'union fra persone; una forma o un sistema o un mezzo che coniuga due o più individui che, per quanto lontani, non solo geograficamente, ma anche nel tempo e nelle emozioni e sensazioni, si connettono... minimamente si connettono... entrano in contatto. Le parole hanno questa prerogativa: coniugare le persone. Coniugarle parzialmente, certo, ma pur sempre più di nulla...
È anche vero, sarebbe stupido negarlo, che le parole trascinano con sé l'ego di chi scrive o parla. Le parole, in tal senso, sono la manifestazione e al tempo stesso la protezione di quell'ego naturale che tendiamo a proteggere ed esaltare. Sono così anche la manifestazione e la vetrina della volontà di potenza che ciascuno di noi esprime intimamente; sono, perciò, l'epifania del nostro Ego. Che poi questo ego sia malato poco rileva rispetto alla proprietà trasduttrice delle parole ed alla loro facoltà compositiva e connettiva.
Ecco perché, errando forse, ritengo che vi sia un filo, seppur labile, un ordito di parole, che connette e mantiene labilmente coesi i due capi del filo. Vi è, indubitabilmente, qualcosa che scrive e trasmette, e qualcosa che legge e risponde. Vi è così un comunicatore, un contenuto della comunicazione e un recettore di questa comunicazione.
Poi accade che si assista ad un fenomeno, che è tipico e peculiare di ogni comunicazione: l'emergere di un caleidoscopico affastellarsi accidentale di impressioni, interpretazioni e sensazioni, tale da rendere spesso lo scritto letto assai diverso da quello originario, e, per via di una proprietà transitiva, con esso anche il suo autore. Ma non avendo in sé il testo scritto alcuna coscienza di essere tale, essendo una fredda traslazione di segni grafici, la fonte originante questa increspatura della comunicazione, è da ricondurre interamente a colui che legge, non a chi scrive, giustappunto perché è chi legge che ricompone il mosaico, riconnettendo, secondo le proprie impressioni e sensazioni, le sensazioni e le emozioni di chi ha scritto. Solo chi legge è presente a sé stesso nel preciso istante in cui scorre con gli occhi i periodi e i paragrafi; in questo scorrere si attiva l'attenzione che evoca le impressioni e le sensazioni che vanno a comporre quell'affastellamento caleidoscopico accidentale di cui vi è traccia in ogni componimento scritto. Per cui sarebbe sempre il lettore a creare colui che scrive.
In chiusura... un mare di parole per parlare delle parole

Phil

Citazione di: Koba II il 14 Gennaio 2025, 19:28:14 PMPer "nuda vita" intendevo [...] Ovvero qualcosa di insensato, di estraneo, di gelido (come al melanconico appare la vita nei suoi momenti peggiori).
Insensata, estranea e gelida non è forse come riusciamo ad intuire sia la realtà oggettiva, al di fuori del nostro sguardo significante, appropriante e "caldo"?
Forse c'è più noumenica realtà in sé in «quel qualcosa di insensato, di estraneo, di gelido» che in tutte le nostre prospettiche interpretazioni umanocentriche; forse c'è della "saggezza di frontiera" in quella melanconia.

Citazione di: Koba II il 14 Gennaio 2025, 19:28:14 PManche il rifiuto della vita civile e l'eventuale decisione per un'esistenza nella natura selvaggia implica la capacità di immaginare un certo modo di abitare il mondo etc., cioè anche il rifiuto radicale della civiltà per essere perseguito ha bisogno della capacità di una partecipazione all'ordine simbolico.
Non a caso ho parlato di «alienazione a sola andata»(autocit.); ossia una volta alienati, anche il disincanto è inizialmente mosso dalla cronica dipendenza da significati, ideali e concettualizzazioni (bene inteso, non è una mia preferenza personale o un augurio per l'umanità, ma la constatazione di come la nuda vita sia sempre la base, a prescindere dai vestiti che ci mettiamo sopra e dalle resistenze culturali che abbiano verso la nudità).

iano

#21
Citazione di: Phil il 14 Gennaio 2025, 18:56:32 PMNon è un caso se ho scritto cultura fra virgolette; infatti la capacità simbolica, astratta, etc. del linguaggio è sia ciò che aliena dalla nuda vita, sia ciò che rende possibile sovrastrutture come la medicina, l'economia, l'arte, etc. che sono ben oltre la nuda vita, pur occupandosene.
Una "cultura della nuda vita" (riuso le virgolette) sarebbe una socialità poco tecnologica e molto animale(sca), ai limiti della naturalità/naturalezza che oggi definiamo assenza di cultura, antropologicamente intesa.
Queste distinzioni fra noi e gli animali, che in un modo o nell'altro saltano sempre fuori mi sembrano inutili complicazioni.
Mi sembra più semplice sforzarsi di vedere una continuità fra tutti gli esseri viventi, come tutti dotati di cultura, o di coscienza, o di qualunque altra cosa che chiamiamo in causa per distinguerci, in diverso grado.
L'evoluzione equivale ad una continua alienazione.
Che questa evoluzione possa esprimersi in termini di tecnologia è solo un dettaglio.
La pelle è fatta di tanti strati dei quali il più esterno è detto vestito.
Similmente la cultura ha diversi strati dei quali il più esterno è detto parola.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Duc in altum!

Citazione di: iano il 13 Gennaio 2025, 20:26:26 PMMi sembra allora più saggio l'attuale atteggiamento della scienza, che si è rifondata sul non porre fede alle parole, in simboli e numeri, pretendendo per le sue teorie una falsificabilità a propri.
La scienza può dare certezza, non verità.
Innanzi a un: "ti amo", non può nulla.
Ecco allora la potenza della Parola: si può non essere certi di essa, pur se Verità...
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

Visechi

Citazione di: Duc in altum! il 15 Gennaio 2025, 18:14:59 PMLa scienza può dare certezza, non verità.
Innanzi a un: "ti amo", non può nulla.
Questo val la pena evidenziarlo. Le emozioni e i sentimenti son ciò che più ci affranca dal molto spesso greve giogo dello scientismo.

iano

#24
Citazione di: Duc in altum! il 15 Gennaio 2025, 18:14:59 PMLa scienza può dare certezza, non verità.
Innanzi a un: "ti amo", non può nulla.
Ecco allora la potenza della Parola: si può non essere certi di essa, pur se Verità...
La vera fede è più potente delle parole, se la verità inizia alla fine del tuo discorso, dopo i puntini che sospendono le parole.
Riducendo la verità a parole, non è possibile porre in esse certa fede.
La verità non può essere negata, diversamente da ciò che è esprimibile a parole.
Non essendo un credente non mi dolgo del fatto che si diminuisca Dio a verbo, ma del fatto che in tal modo si elevi il verbo a Dio, facendone uso improprio,  diminuendone le potenzialità.
Le parole possono solo discriminare, è ciò è utile, ma la loro utilità finisce quando in esse vi si pone fede, divenendo un discriminazione fra chi sarà ammesso a un club e chi ne starà fuori.
Il potere della scienza è aumentato a dismisura quando ha delimitato in modo chiaro il suo campo di azione, separandolo da quello della fede.
Una religione che si basa su un testo che, per quanto si dica sacro, è fatto di parole, sta a metà strada fra la fede e la scienza.





Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Duc in altum!

Citazione di: iano il 15 Gennaio 2025, 23:30:43 PMUna religione che si basa su un testo che, per quanto si dica sacro, è fatto di parole, sta a metà strada fra la fede e la scienza.
Davar significa la parola che diviene un fatto, una dimensione reale, la materia tangibile... fantascienza!
Infatti solo Dio può dire la parola: "Universo" e l'universo diviene realtà; oppure può dire: "Incarnazione" e Gesù nasce; oppure: "Uomo" e io posso toccare e sentire il mio Essere.

Quindi, mai separare Dio dal suo essere uno scienzato fedele alla sua scoperta...
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

iano

Citazione di: Duc in altum! il 16 Gennaio 2025, 12:05:17 PMDavar significa la parola che diviene un fatto, una dimensione reale, la materia tangibile... fantascienza!
Infatti solo Dio può dire la parola: "Universo" e l'universo diviene realtà; oppure può dire: "Incarnazione" e Gesù nasce; oppure: "Uomo" e io posso toccare e sentire il mio Essere.

Quindi, mai separare Dio dal suo essere uno scienzato fedele alla sua scoperta...
Se è questo che dicono i testi sacri, è per me la conferma di ciò su cui non ho mai dubitato, che in essi sia condensata la saggezza dell'uomo fino a un certo punto della sua storia, che è ancora la nostra, e con la quale possiamo quindi ancora identificarci. Una saggezza cioè ancora attuale.
Per me la cosa però funziona anche se al posto di Dio ci mettiamo la nostra parte inconscia, cioè quella parte di noi che non si può negare in quanto ignota, finché tale resta.
Sono convinto inoltre che al pari di te sarei un fervente credente se la prospettiva di una saggezza che possa essere condensata in un libro una volta per tutte, ciò che equivale a un uomo creato, e non in evoluzione, fosse per me desiderabile.
Certamente siamo accomunati dal fatto che, considerando la nostra condizione, aspiriamo a qualcosa di più, che però diversamente da te io cerco in terra e non in cielo.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Phil

Citazione di: Visechi il 15 Gennaio 2025, 19:00:41 PMQuesto val la pena evidenziarlo. Le emozioni e i sentimenti son ciò che più ci affranca dal molto spesso greve giogo dello scientismo.
In realtà ci sono scienze (affrancate per loro natura dallo scientismo) che hanno molto da dire su amore, emozioni, sentimenti, etc. ed altre scienze che spiegano, a loro volta, la resistenza che alcuni hanno nell'accettare che alcune scienze spieghino e demistifichino idealizzazioni dalla lunga storia (ad esempio, il "cuore di mamma" si spiega con biologia, genetica, psicologia, etc., ma possiamo continuare a credere sia invece un dono che tutte le mamme ricevono dal Cielo, mistero di fronte a cui la scienza resta muta).

Visechi

Citazione di: Phil il 16 Gennaio 2025, 12:39:13 PMIn realtà ci sono scienze (affrancate per loro natura dallo scientismo) che hanno molto da dire su amore, emozioni, sentimenti, etc. ed altre scienze che spiegano, a loro volta, la resistenza che alcuni hanno nell'accettare che alcune scienze spieghino e demistifichino idealizzazioni dalla lunga storia (ad esempio, il "cuore di mamma" si spiega con biologia, genetica, psicologia, etc., ma possiamo continuare a credere sia invece un dono che tutte le mamme ricevono dal Cielo, mistero di fronte a cui la scienza resta muta).

Lo scientismo è assai diverso dalla scienza, come la fede è cosa assai diversa dal fideismo oscurantista... tipico dei cattolici, per intenderci.
Ad ogni buon conto, le scienze dicono delle emozioni, dei sentimenti, della coscienza un fumoso "come" ma proprio non sono in condizioni di raccontarci il "perché". Congetturano sul significato, senza però mai approdare ad un definitivo esisto che sia convergente fra tutti gli attori che si pronunciano.
Si parla, in maniera fredda ed asettica, di flash neuronali, di eccitazione di neuroni, sinapsi, molecole, aminoacidi, di trasmettitori che si eccitano o deprimono in relazione a qualche fenomeno chimico, insomma, tutto buono per dirci come... ma il perché?

Phil

Citazione di: Visechi il 16 Gennaio 2025, 21:32:29 PMle scienze dicono delle emozioni, dei sentimenti, della coscienza un fumoso "come" ma proprio non sono in condizioni di raccontarci il "perché".
La scienza analizza e spiega principalmente tramite causalismo, ossia una azione è il perché della reazione che essa causa (semplificando molto, intendiamoci); "perché" in senso scientifico; ovviamente se cerchiamo "perché esistenziali" nella scienza, resteremo delusi.
Rimane altrettanto evidente che la scienza non ha certo spiegato tutti i perché causalistici possibili (potenzialmente infiniti), ma ne ha inquadrati molti, al punto che il suddetto "cuore di mamma" ha trovato un suo perché, non ipotetico, non romantico e non oggetto di fede (è già qualcosa, direi).

Provando a rientrare in topic: anche la scienza, come la religione, ha una sua parola legiferante (o che aspira ad esserlo), una parola che costruisce un suo mondo di spiegazioni (bocciando quelle che poi non "funzionano"), di cause (v. sopra), di fruibilità; un mondo che dovrebbe rendere leggibile il mondo sottostante (quello della "nuda esistenza mondana"), ma anche in questo caso, l'esigenza di una leggibilità presuppone a sua volta l'esigenza di una scrittura, di un tracciare identità isolando "cose" nel mondo, in una dialettica che costruisce ciò che conosce (principio di identità) per poi conoscere meglio ciò che ha costruito (causalismo e ricerca di perché sempre più micro- o macro-scopici, chiaramente con il loro saldo ancoraggio nella realtà).

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