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La fede in Dio

Aperto da Eutidemo, 01 Dicembre 2024, 18:40:58 PM

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Pio

#165
Dostoevskij  fa il percorso inverso:  diventa credente, lui ateo anarcosocialista, proprio per l' esperienza del male e della sofferenza. Se il creatore non avesse dato possibilità al male ( che è sempre un manifestarsi della sofferenza) , l'uomo avrebbe cercato una relazione con Lui? La preghiera è infatti una invocazione d'aiuto, un lamento che sale dalla creatura al creatore, una lotta che crea relazione. E la preghiera nasce dalla sofferenza e dalla consapevolezza di una finitudine che invoca pienezza di relazione. Anche nelle famiglie dove si instaura una relazione di amore tra i propri membri, c'è sempre qualcosa che crea distacco, difficoltà a capirsi, pena . Allora chiediamo all'altro, cerchiamo di intuirne gli umori o i dolori. Così si crea relazione. La preghiera è cercare in definitiva l'avvicinamento al creatore. In un mondo perfetto si cercherebbe Dio? Quale bisogno ce ne sarebbe? Turoldo mi sembra abbia scritto "Anche Dio si sente solo". La creazione non era una necessità, ma una possibilità che Lui ha scelto, secondo il racconto biblico.
Sammy Basso nella sua lettera testamento scrive: "Quello che spetta a noi non è nel trovarci qualcosa di positivo (in un evento negativo), quanto piuttosto di agire sulla retta via e... trasformare un evento negativo in uno positivo. Non si tratta di trovare i lati positivi quanto piuttosto di crearli, ed è questa a mio parere, la facoltà più importante che ci è stata data da Dio, la facoltà che più di tutte ci rende umani".
Non ci abitueremo mai ai metodi ruvidi di Dio, Joseph (cit. da Hostiles film)

taurus

Citazione di: Visechi il 08 Gennaio 2025, 12:24:20 PMSe Genesi reca indelebilmente incise le tracce della scaturigine del Male, Giobbe, altro libro meraviglioso e più recente rispetto al Pentateuco, accusa direttamente ed esplicitamente Dio per il male cagionato con arbitrio assoluto. Basta leggerlo


Vi sono altri passi biblici "ispirati" su questo argomento.. che imputano al superPotente divinVasaio l' artefice del Male nel mondo: 

Deutero-Isaia _ cap. 45
- "IO" creo la luce e formo le tenebre _ fò il bene e causo la sciagura !
- "IO"  sono il signore-Iddio, colui che fa Tutte queste cose.


Amos _ cap. 3
- Piomba forse una sciagura sopra una città.. senza che il Signor-iddio ne sia l' autore ?


Siracide _ cap. 11
- Bene e MALE +  vita e morte  +  povertà e ricchezza _ TUTTO DAL signor-Iddio !

E come non menzionare l' "IM-potenza + Assenza + Indifferenza" del dio-israelita riportato nel finale del più cupo passo biblico _ ovvero salmo 88 ?

Il supposto iddio.. quale divinDatore di vita, responsabile di un' infausta nascita di un devoto. Questi giorno e notte lo supplica/implora per un suo divin-Intervento.. per attenuare la sua immane sofferenza ? Risultato ?

Questo iddio _ misericordioso, amorevole per le sue creature, artefice del Bene.. eccc.. eccc.. ecc...  mostra invece la sua totale divina Indifferenza e/o Assenza !

(Oppure.. la sua esistenza sarebbe Inventata dall' umanoide ?) 

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niko

#167
Citazione di: Pio il 08 Gennaio 2025, 14:57:00 PMIn un mondo perfetto si cercherebbe Dio? Quale bisogno ce ne sarebbe? Turoldo mi sembra abbia scritto "Anche Dio si sente solo".

No, perche' non ce ne sarebbe bisogno.

A quanto pare, questo buonissimo e sacrificalissimo Dio, non rinuncia manco per niente ad una sua possibile, e originariamente solo per lui desiderabile relazione con me, in favore delle mie vere e reali necessita' di creatura creata, cioe' quelle di abitare un mondo perfetto.
Di abitarlo con semplicita', dalla nascita alla mia, eventuale, morte, senza dolori, vecchiaia, malattia, guerre e rotture di scatole.

Mondo perfetto che Lui non ha creato. E che, a quanto pare, non ha creato proprio al discutibilissimo fine di mantenere in essere la sofferenza. E dunque la relazione. Pur essendo Lui a quel che si dice cosi' buono.

E poco importa, che, a posteriori, ovvero a creazione fatta ed avvenuta, la necessita' di codesta relazione la avvertiamo potenzialmente in due, io e Lui. E quindi che la sofferenza stessa sembra (sembra) almeno in parte giustificata.

A priori, c'e' solo Lui, quindi, anche la necessita' di relazione in se' (a cui io obbiettivamente, quale individuo con necessita' ben diverse sono sacrificato) la avverte solo lui, e' originariamente roba, e questione, solo sua.

E quindi niente, la sofferenza c'e' e bisogna "accettarla", anzi, come diceva uno che la sapeva lunga, volerla.

Bene che vada siamo l'oggetto del trastullo, di una, eventuale, altrui, solitudine.

Sia sempre lode a Dio, e all'Eurasia comunista, in cui di Lui... non ci sara' piu' necessita'  :D  !!!


Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Visechi

Citazione di: Pio il 08 Gennaio 2025, 14:57:00 PMDostoevskij  fa il percorso inverso:  diventa credente, lui ateo anarcosocialista, proprio per l' esperienza del male e della sofferenza. Se il creatore non avesse dato possibilità al male ( che è sempre un manifestarsi della sofferenza) , l'uomo avrebbe cercato una relazione con Lui? La preghiera è infatti una invocazione d'aiuto, un lamento che sale dalla creatura al creatore, una lotta che crea relazione. E la preghiera nasce dalla sofferenza e dalla consapevolezza di una finitudine che invoca pienezza di relazione. Anche nelle famiglie dove si instaura una relazione di amore tra i propri membri, c'è sempre qualcosa che crea distacco, difficoltà a capirsi, pena . Allora chiediamo all'altro, cerchiamo di intuirne gli umori o i dolori. Così si crea relazione. La preghiera è cercare in definitiva l'avvicinamento al creatore. In un mondo perfetto si cercherebbe Dio? Quale bisogno ce ne sarebbe? Turoldo mi sembra abbia scritto "Anche Dio si sente solo". La creazione non era una necessità, ma una possibilità che Lui ha scelto, secondo il racconto biblico.
Sammy Basso nella sua lettera testamento scrive: "Quello che spetta a noi non è nel trovarci qualcosa di positivo (in un evento negativo), quanto piuttosto di agire sulla retta via e... trasformare un evento negativo in uno positivo. Non si tratta di trovare i lati positivi quanto piuttosto di crearli, ed è questa a mio parere, la facoltà più importante che ci è stata data da Dio, la facoltà che più di tutte ci rende umani".
Dostoevskij da fervente credente in Dio e profondo conoscitore dell'animo umano muove una sferzante accusa alla Chiesa cattolica, la quale avrebbe conculcato la libertà dell'uomo in cambio di una promessa di felicità. Leggi l'episodio del Grande Inquisitore per averne scienza. Fu anche colui che mosse quell'indelebile atto di accusa nei confronti di Dio stesso proprio per l'insensatezza dell'inutile sofferenza cagionata all'innocenza, che seppur fosse iscritta in un ineffabile disegno divino e tesa al conseguimento dell'equilibrio armonico del cosmo, deve essere rifiutata proprio perché l'armonia del cosmo e il disegno di Dio non possono in alcun caso contemplare l'offesa all'innocenza che l'handicap comporta. In questo caso rileggiti l'episodio della Ribellione di Ivan, molto istruttivo.

Parlare del Male, me ne rendo conto, è sempre assai complesso, difficile e talvolta anche scorretto, soprattutto quando ci si pone in una prospettiva atea rispetto a chi, invece, ha una fede cui poggiare le proprie certezze. Mi rendo conto che si rischia di assumere il ruolo dell'elefante dentro una cristalleria e si potrebbero ferire delle sensibilità anestetizzate dalla fede. Nondimeno, non è neppure giusto e corretto pretendere che ci si sottragga al dovere di affermare un angolo visuale diverso da quello che per secoli ha propinato la Chiesa, unica depositaria della verità.
 
Il Male non è uno psicopompo che, inducendo alla preghiera il povero peccatore, incanala la ricerca di Dio sulla giusta via. Con il dolore e nel dolore sovente si maledice proprio la fonte del patire. Dio non offre "possibilità al male" ma è invece proprio colui che lo scaglia come un sasso per ottundere e colpire la creatura, come in illo tempore colpì Giobbe. La gratuità del Male espone Dio alla giusta maledizione dell'uomo. Oppure, più prosaicamente, colpisce il sentimento fino ad indurre la certezza della sua effettiva inesistenza. Ed è appunto questa inesistenza a salvare Dio dalla grave responsabilità di aver creato il Male.

Ciò che scrive Sammy Basso, così ferocemente colpito da sì tanta vituperante violenza... divina, dovreste ammettere, è giustappunto l'etica e la strada che l'ateismo traccia per il proprio percorso di vita. È infatti l'ateismo che ha il sentimento della percezione tragica della vita, la quale percezione, una volta abbandonata definitivamente l'errata convinzione di far parte di un progetto divino, può virilmente concedersi all'accettazione del dolore e del Male come ombra del Bene e della vita, come suo alter ego.

La sapienza dei Greci sapeva cogliere la tragicità della vita.
Eraclito l'oscuro, qualche secolo prima di Cristo, scriveva (Frammento 8 nella versione di G. Colli): <<Dell'arco, invero, il nome è vita, ma l'opera è morte>> 
Assolutamente incomprensibile; eppure, in esso v'è tanta saggezza e racconta con quale sagacia la sapienza antica intuisse e percepisse la crudeltà della vita. Arco e vita in greco antico avevano il medesimo suono, sono termini omofonici. L'arco è l'attributo principale del dio Apollo. Il frammento ci dice che la Vita è violenza, e il risultato di questa violenza è l'annientamento, il disfacimento, la Morte. Ci racconta anche che la violenza della vita scaturisce dall'azione di scoccare la freccia da parte del dio Apollo. La violenza della vita che genera la morte è dunque determinazione della divinità, se a un Dio vuoi per forza credere..  
La vita e la morte sono dunque consanguinee, collaterali, si compenetrano vicendevolmente. Per perpetuare sé stessa, la vita ha necessità di generare la morte, la quale a sua volta è fattrice di vita. Il mezzo attraverso il quale entrambe si nutrono a vicenda è appunto la violenza, che è innocente fintanto che non interseca l'esistenza dell'uomo, fatalmente (da Fato) colpevole allorquando s'insinua nella vita degli uomini.
Nell'Iliade, Agamennone per giustificare il sopruso perpetrato a danno di Achille per avergli sottratto Briselide, l'amata preda di guerra, a lui si rivolge attribuendo la colpa alla divinità che gli ottuse la mente. L'uomo non ha colpa alcuna: Agamennone non fu cagione diretta dell'ira di Achille.
Sempre Eraclito, frammento [53 Diels-Kranz] <<Pólemos è padre di tutte le cose, di tutte re; e gli uni disvela come dei e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi.>>

Pòlemos, è dunque Padre e re. Da questa percezione nasce la visione tragica della vita, la dialettica inesausta che si quieta nella morte. La vita non è stasi, non è quiete, la Natura smentisce quest'insipida visione. Ove è rilevabile lo splendore della natura, colà può cogliersi anche il germe della dissoluzione, così pure nel medesimo istante in cui è percepita la meraviglia della Creazione, la dissoluzione, il disfacimento, la putredine bussano alla porta della coscienza per irrompere e scompaginare il tenue acquerello che i sensi e il desiderio hanno creato. Quando un occhio coglie la meraviglia e la bellezza della vita, l'altro indugia sull'orrore e lo sfacelo della morte incipiente. Anche un semplice fiore al culmine dell'infiorescenza suggerisce che in quella meraviglia è instillata la morte. La vita di ciascuno di noi dovrebbe avvertire circa l'incontestabile fatto che vivere significa approssimarsi alla morte, tanto da far dire a qualcuno che vivere è rotolare fra le braccia della morte.
L'esistenza è dunque disputa, dissidio, dia-logo, Polemos. La morte non è più un semplice, naturale e ineluttabile accadere, ma è un'entità ontologica che s'intreccia alla vita, che con essa procede e da essa è evocata.
 
Perché la Bibbia? Perché in essa, più che in ogni altro libro, è reso manifesto questo conflitto. L'uomo, come Dio – in ciò è possibile recuperare il significato d'immagine e somiglianza che si riflettono nell'uomo -, è dissidio interiore, lacerazione, frattura, scissione. È Polemos. Per averne conferma basta solo guardarsi intorno, guardarsi dentro, osservare e leggere la letteratura d'ogni tempo e d'ogni latitudine. Dukkha, la Trimurti induista, ove Shiva assume il ruolo del distruttore, Zoroastro, l'Islam, il giudaismo, la poesia maledetta, la letteratura dell'Ottocento, quella contemporanea, la stessa Gita è una lunga descrizione allegorica di un evento cruento: Pòlemos.
Insomma, è possibile svariare fra e su mille diverse coloriture. Di questo stato di cose, non v'è colpa d'attribuire all'uomo, né alla Creazione; perlomeno non v'è colpa tale da meritare una sofferenza che originariamente non pertiene loro, essendo voluta e pretesa dal Creatore (chiunque Egli sia), nella Creazione instillata e lasciata prosperare.

Perché la Bibbia? Dicevo poco sopra che la Bibbia è disseminata delle tracce della germinazione del Male, soprattutto se letta alla luce della passione di Cristo. Qui si tratta d'aver cognizione di racconti ritenuti storici, non di mitologia. Il Padre che sulla croce abbandona il Figlio, patendo di quest'abbandono e soffrendo in sé, nell'anima, le trafitture inflitte alla carne del Figlio, è lo stesso Padre che ad Auschwitz abbandona gli altri suoi figli, patendo e soffrendo di questo storico abbandono, intuendo (dall'etimo sentire o guardare dentro, nell'intimo, nel profondo) le trafitture che avviliscono carne ed anima degli innocenti – gli agnelli della storia –, epigoni dell'unigenito in croce, immolati ad onorare funestamente una Creazione monca, difettata, viziata dal Male originario che in Dio non può che essere costitutivo. Solo così si può spiegare lo scandalo del Dio in croce: sofferente, morente. Il Padre abbandona il Figlio sofferente sulla croce, ma ad essere abbandonato è il Padre stesso; il Figlio è abbandonato, al tempo stesso è colui che abbandona. Sulla croce si consuma la dilaniante tragedia di Dio, il Pòlemos divino: Egli vive nel presente storico della crocifissione il proprio eterno inferno a-temporale, sempre presente, sempre vivo; allo stesso modo, noi, nella nostra finitudine, nel corso della nostra limitata e finita esistenza, viviamo l'eco di quel dilaniante eterno inferno: viviamo il nostro limitato e finito inferno. Dio entra nella storia dell'uomo.

La teologia della croce insegna che il Dio sofferente sulla croce è lo stesso che patisce il dolore dei tanti altri suoi figli abbandonati nei lager, nelle camere di tortura, per le strade di San Paolo, nelle più oscure pieghe di una Creazione che geme e soffre. Sulla croce si consuma il tragico paradosso dell'ateismo di Dio: Egli si allontana e separa da sé stesso, abbracciando il male mondano. Lo scandalo del Dio crocifisso è anche lo scandalo dell'aporia di un Dio ateo: quanto di più inconcepibile ed incomprensibile per il giudaismo e per l'islamismo, e quanto di più alieno dalla filosofia orientale del 'Tutto' che lambisce il panteismo. In questo scandalo, come giustamente lo definì Paolo di Tarso, espresso nel doloroso urlo di scoramento del Figlio, si raggruma il Male del mondo; il Male ontologico e metafisico di Dio si fa ontico, divenendo un tutt'uno con quello reale, concreto, visibile, palpabile, innegabile della creazione, della natura, del mondo, dell'uomo sofferenti. Il Dio crocifisso si contrappone all'atarassico Dio di Tommaso, Agostino e a quello anodino propinatoci dalla Chiesa di Roma. Egli soffrì e soffre sulla croce eretta quotidianamente dalla storia. Da qui il nascondimento, se non addirittura la "morte di Dio". Evento, quest'ultimo, resosi manifesto nel crogiuolo di urla, dolore e gemiti eruttati dalla Shoah, che espone nuda e cruda la banalità del male nella sua essenzialità più diafana e pura: senza infingimenti, senza incrostazioni.

Con buona pace per le pie pretese dell'uomo del settecento o di chi attende di essere condotto in alto.
 

InVerno

Citazione di: Visechi il 08 Gennaio 2025, 12:24:20 PMRicorda sempre che, seppur scritto da mano umana (tante mani), la tradizione vuole che quei testi siano ispirati direttamente da Dio. Per cui non è ammissibile che chi si fa promotore, difensore e portatore del messaggio ivi contenuto, possa al tempo stesso insinuare il sospetto che siano testi in qualche modo e misura superati.
Non c'è un evoluzione o un superamento cosciente, non erano certo attratti da "progressismi" religiosi, anzi, se si può sostenere che una profezia è avverata tanto meglio, c'è sempre una ricorsività delle forme che trae legimittà dal passato. Ma la naturale congiunzione di decine di diverse prospettive e la loro imposta evoluzione storica, si traduce in puzzle multilivelli e incorenti a livelli basici, persino della crocifissione abbiamo tre diversi racconti, e Genesi è solo uno strato di un più grande racconto.

Prima di Genesi c'era il fatto che gli ebrei non erano monoteisti, ci sono le evidenze archeologiche, arrivano perciò al monoteismo, è uno sviluppo teologico che prende i problemi di ieri e li traduce in una lingua nuova dove la risposta è nell'Uno. La mia semplice opinione è che non abbiano mai voluto ammettere di essersi infilati in un cul de sac teologico, ma sono i cristiani ad aver subito più di tutti questo problema, dovendo assicurare che alla fine dei tempi il tribunale celeste sarebbe stato giusto ed equo, il problema del male diventa centrale, compreso quello commesso da Dio, a seconda di dove si crede finiscano i suoi illimitati limiti, sono i cristiani a portare Dio in tribunale.

La tua analisi è pure interessante e ben esposta, ma non è il mio modo di leggere un mito, troppi enti. Il fatto è che "Genesi" non è una prerogativa di nessuna delle tre monoteistiche, è un interpolazione di leggende cosmologiche dell'area mesopotamica che hanno elementi di congiuzione e di disgiunzione ma concordano su principi base (es: che il male abbia un inizio), le forme del mito vi si adattano, non sono le forme a generarli e spesso neanche a metterli in discussione (ma il male ha un inizio?)

Il mito accede ad un kit di strumenti culturali che contengono dei principi e degli assunti, la scelta di quali usare e quali no, può avere decine di significati, la maggior parte ahimè credo diacronicamente persi. Si pensi ad un esempio più semplice come la partenogenesi di Gesù. I due racconti della natività sono chiaramente messì lì da autori che non avevano alcuna possibilità di conoscere gli eventi della natività, e lo dimostrano nelle decine di contraddizioni ed assurdità storiche e geografiche presenti. Si può discettare giorno e notte riguardo ai loro significati, del perchè fuggirono qui anziché la e se Maria fosse realmente vergine o solo una giovane donna... Ma il fatto è che a quel tempo ed in quella zona geografica, praticametente tutte le persone credute avere qualcosa a che fare con il soprannaturale nascevano anche in maniera soprannaturale, era un canone letterario. Luca e Matteo producono la loro teogonia inversa per aderire ad aspettative già presenti nella cultura ricevente, un pò come tutti a quel tempo si aspettavano di sapere "quando è iniziato il male" da un racconto cosmologico. Andare a punzecchiare il testo sulle forme mitologiche secondo me è di secondario interesse rispetto al chiedersi a quale domanda quelle forme rispondano, e secondo me le persone hanno perso interesse nel leggere questi libri perchè partono ossessionati dal cercare delle risposte anziché delle domande.

Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

anthonyi

Citazione di: InVerno il 08 Gennaio 2025, 18:23:01 PMLa mia semplice opinione è che non abbiano mai voluto ammettere di essersi infilati in un cul de sac teologico, ma sono i cristiani ad aver subito più di tutti questo problema, dovendo assicurare che alla fine dei tempi il tribunale celeste sarebbe stato giusto ed equo, il problema del male diventa centrale, compreso quello commesso da Dio, a seconda di dove si crede finiscano i suoi illimitati limiti, sono i cristiani a portare Dio in tribunale.




Ma ci credi in quello che scrivi, inverno? 
Portare Dio in tribunale, e sulla base di quale autorità? Se Dio esiste l'autorità assoluta é lui, se Dio non esiste non c'é nessuno da portare in tribunale. 
Quale sarebbe il "cul de sac teologico"? La teologia ha sempre chiarito che la genesi del male é il risultato di "libere scelte", quindi non volute, ma permesse, da Dio.
Per quanto mi riguarda, poi, l'idea del giudizio finale ha un contenuto puramente strumentale, una sorta di strumento pedagogico. 
Io sostengo la tesi della "libera scelta" anche per noi uomini che, dopo la morte, scegliamo "liberamente" se andare dalla parte di Dio, o dalla parte del male.
Il virgolettato serve a chiarire che la scelta é libera fino a un certo punto, perché dipende dalle legature che il nostro spirito ha costruito nel corso della vita terrena. 

Duc in altum!

Citazione di: Visechi il 08 Gennaio 2025, 18:03:38 PMLa teologia della croce insegna che il Dio sofferente sulla croce è lo stesso che patisce il dolore dei tanti altri suoi figli abbandonati nei lager, nelle camere di tortura, per le strade di San Paolo, nelle più oscure pieghe di una Creazione che geme e soffre. Sulla croce si consuma il tragico paradosso dell'ateismo di Dio: Egli si allontana e separa da sé stesso, abbracciando il male mondano.
Questa è una parte della teologia della Croce.
Bisogna anche riflettere sull'altra: Cristo non ci libera dalla sofferenza, ma dal non senso di questa... questa è la Croce!

Dio non salva dalla sofferenza e dalla tribolazione, ma nella sofferenza e durante la tribolazione (non c'è un apostolo/a che arrendendosi a Dio senza ragione, sia divenuto primo ministro o re o regina).

Ribadisco, non costa nulla attribuire il Male (e le sofferenze che produce all'umanità) a Dio, ma questo non risolve il dilemma personale con il proprio essere volutamente il Male, con il proprio produrre il "peccato".
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

Visechi

ma sono i cristiani ad aver subito più di tutti questo problema, dovendo assicurare che alla fine dei tempi il tribunale celeste sarebbe stato giusto ed equo, il problema del male diventa centrale, compreso quello commesso da Dio, a seconda di dove si crede finiscano i suoi illimitati limiti, sono i cristiani a portare Dio in tribunale.

Io credo, e ne son fermamente convinto, che, seppure i Vangeli spesso raccontino il medesimo evento in maniera contraddittoria o che le narrazioni non siano sempre sovrapponibili, il nucleo teologico centrale che è stato trasmesso sia abbastanza coerente. L'esito o l'epilogo a cui doveva approdare il complesso excursus narrativo dei tre sinottici, soprattutto alla luce del cono di luce che il quarto Vangelo vi proietta sopra, non poteva discostarsi troppo da quello a noi pervenuto. Evidente anche l'intervento di collazione e ulteriore sviluppo compiuto dall'uomo di Tarso. Chiunque intenda confrontarsi con Gesù e il suo messaggio, non può far a meno di riferirsi costantemente, se non addirittura unicamente, a quella che è conosciuta come "letteratura gesuana". Cioè l'opera omnia – diremmo oggi – che racconta di Gesù. Altro non c'è. Diversamente non ci sarebbe spazio per un discorso, se non quello sterile affidato ad ancor più sterili filosofemi costruiti su molecole mentali da filosofi annoiati. Di Gesù si può parlare solo se si tengono ben aperti davanti agli occhi i libri che di Gesù raccontano le gesta: Vangeli, su tutto, Atti, epistole paoline, apocalisse... in poche parole, è necessario aver presente quello che i cristiani chiamano con una locuzione assai significativa Nuovo Testamento. Soprattutto si deve aver agio di saper sostare in contemplazione ai piedi dei legni di Cristo, interrogarli, ascoltare cosa hanno da dire. Da lì si deve necessariamente partire sia per conformarsi e confermare, sia per ricusare e rigettare quello che a noi appare come il corpus teologico della cristianità. È dentro ciò che questi testi tratteggiano con tinte talvolta fosche, più spesso tenui, che noi si può reperire il filum per una decisa adesione o una altrettanto decisa negazione dell'intera teologia cristiana. Fatta la tara di quanto davvero è accertatamente artefatto ed apologicamente narrato, credo permanga un nucleo di narrazione storica sufficiente ad indurre una fede tetragona, oppure, nel caso di rifiuto, un fermo ateismo. Ovviamente, questa fede che si trasfonde dalla narrazione evangelica al sentimento ed alla propensione all'innamoramento; che dialoga con le profondità dell'anima per pervadere ratio e sentimento, non può far appello all'empirismo, tantomeno alla ragione. È una condizione imprescindibile e di cui è necessario tener sempre conto. Supera e travalica scienza e coscienza e si insedia nell'anima dell'uomo, con una potenza tale da non consentire resistenze... come un innamoramento: evento, quest'ultimo, stupendamente (dall'etimo colpire con forza) trasecolante e di cui non si possono reperir ragione e senso: accade (per fortuna). L'analogia fra fede ed innamoramento non è casuale: l'innamoramento altro non ė che il barbaglio umano del sentimento e del legame che si genera nella fede fra Dio e credente: in entrambi i casi una resa, in entrambi i casi vi è la possibilità del tradimento e della ricusazione. Oppure è possibile un rigetto totale di ciò che i racconti evangelici tramandano. In ogni caso, due atteggiamenti leciti e non irrisori.


È necessario, talvolta, provare ad indossare i calzari altrui e provare ad immaginare la strada che quei calzari percorrono. Ho troppo profondo rispetto per l'amore fra umani per potermi permettere di irridere la fede.



Corretto il tuo avvertirci che le narrazioni delle civiltà arcaiche convergono quasi tutte nel riferire eventi soprannaturali, soprattutto quelli legati alla nascita dell'eroe. Ma non si può perciò, per il solo loro convergere, dedurne che si tratti di semplici leggende o favole. Tutt'altro, il racconto reiterato, anche quando presenta vistose difformità ma preserva il nucleo centrale della storia, attesta proprio che si tratta di eventi in qualche modo e misura accaduti veramente, ma avvertiti e narrati in linguaggio simbolico tipico del mito. Il mito altro non è che la narrazione in forma simbolica di eventi realmente accaduti e la cui percezione è mediata dalle emozioni. Nel mito chi si esprime è proprio la sfera emozionale. Su questo argomento l'antropologia si pronuncia in maniera univoca, e a noi, ignoranti, non è data la possibilità di confutare, se non facendo appello ad un credo oppure non credo. Null'altro! Qualcosa è accaduto. Sicuramente non si è trattato del diluvio con le conseguenze di cui in Genesi, presumo neppure di quello descritto nell'Epopea di Gilgamesh. Ma un evento traumatico è stato certamente avvertito dalla coscienza e registrato dal sentimento delle genti del tempo. Lo hanno trasmesso ai posteri facendo perno sulle loro particolari capacità di comunicare attraverso le emozioni dall'evento suscitate. Da qui Caino ed Abele, chiaro riferimento alla transizione da una società pastorale all'affermarsi di un nuovo sistema per procacciarsi il necessario nutrimento. Qui anche le resistenze dell'una rispetto all'affermarsi dell'altra e l'omicidio fraterno: comunità che si spaccano, chi per conservare e chi per progredire. Quella che viene narrata in Genesi è, in sunto, la storia dell'umanità. Anche il racconto riguardante il Male è una narrazione mitica che descrive con linguaggio simbolico la percezione che il Male provenisse e fosse opera del Creatore, e si manifestasse in foggia di eventi naturali catastrofici. Questo è il vero canone e l'unica sensata chiave di lettura dei racconti biblici, e non, intorno al problema del Male. Attraversare la Bibbia con l'ausilio della scienza antropologica che tanto ha avuto da dire sul significato del mito, non è un punzecchiare il testo e non è neppure uno sforzo o tentativo secondario. È, invece, l'unico modo per carpire al testo la chiave di lettura e il relativo significato. Certo, se tutto viene avvolto ed infagottato entro un sarcofago di sacralità divina, l'impresa è da subito votata al fallimento, e lo sforzo prodotto accede l'improvvido ad un'area densa di ridicolo e grottesco.


Visechi

Citazione di: Duc in altum! il 09 Gennaio 2025, 14:59:07 PMQuesta è una parte della teologia della Croce.
Bisogna anche riflettere sull'altra: Cristo non ci libera dalla sofferenza, ma dal non senso di questa... questa è la Croce!

Dio non salva dalla sofferenza e dalla tribolazione, ma nella sofferenza e durante la tribolazione (non c'è un apostolo/a che arrendendosi a Dio senza ragione, sia divenuto primo ministro o re o regina).

Ribadisco, non costa nulla attribuire il Male (e le sofferenze che produce all'umanità) a Dio, ma questo non risolve il dilemma personale con il proprio essere volutamente il Male, con il proprio produrre il "peccato".
Se il Male è peccato, Dio è stato ed è il primo grande peccatore, poiché certo Male, se tu credi a Dio, non può che provenire da Lui. L'handicap è un Male, quindi un peccato, non cagionato dall'uomo... ma neppure i terremoti, le inondazioni, un meteorite che distrugge una comunità. Dio non si salva dal Male. L'unica Sua salvezza è la sua inesistenza. Diversamente sia Benedetta ogni maledizione a Lui rivolta.

Duc in altum!

Citazione di: Visechi il 09 Gennaio 2025, 15:08:05 PMSe il Male è peccato, Dio è stato ed è il primo grande peccatore, poiché certo Male, se tu credi a Dio, non può che provenire da Lui. L'handicap è un Male, quindi un peccato, non cagionato dall'uomo...
Se il Male è l'assenza di Dio (Einstein docet), come può un male provenire da Lui?

Il peccato delle origini, voluto dall'Uomo, ha generato la sofferenza, la caducità e la morte dell'Universo, e nessuno può esentarsi dal contrarre (pur non avendolo commesso) questa dimensione o sentirsi immune dal peccato.

Certo uno può illudersi che sia una favola, ma il racconto prosegue con un Messia che ha detto: sono qui per rendere più sani del sano i portatori di handicap (sconvolgendo la fede del popolo eletto, che ghettizzava i lebbrosi e le sterili poiché credevano che fossero maledetti da Dio)...
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

InVerno

Citazione di: anthonyi il 09 Gennaio 2025, 13:52:29 PMMa ci credi in quello che scrivi, inverno?
Portare Dio in tribunale, e sulla base di quale autorità? Se Dio esiste l'autorità assoluta é lui, se Dio non esiste non c'é nessuno da portare in tribunale.
E' suo figlio, nella teologia trinataria sé stesso, a portare suo padre, nella trilogia trinataria sempre sé stesso, in tribunale. Questo meraviglioso essere la cui data di nascita abbiamo fatto coincidere con il nostro anno zero, tanto buono e tanto eccelso tanta bontà emanava che la gente si svegliava all'alba per baciargli i piedi, l'archetipo terreno del bene vestito in sandali e tunica ha camminato tra noi, mai nessuno potrà usare il libero arbitrio meglio di lui.... eppure arrivato al culmine della parabola della sua storia, al pinnacolo narrativo dove tutti i significati si intrecciano, viene condannato a morte e inchiodato in croce. Come decine di migliaia di altre persone prima di lui e insieme a lui, ma lui è diverso perchè chi meno di lui, il buono per eccellenza, poteva meritarlo? E allora prima di spirare: Eloi, eloi, Lema sabactani? gemeva sulla croce il maestro del libero arbitrio, accingendosi ad essere esaltato al cielo dai farisei di tutte le epoche ma allo stesso tempo diventando il primo ateo cristiano nel mondo. La sua tradizione continua ancora oggi, quando un buon uomo che non ha mai fatto torto ad una mosca viene chiamato al reparto di oncologia pediatrica per conoscere la data di morte di suo figlio, anche lui se crede si chiede "Eloi, eloi, lema sabactani?" , le pseudorisposte sul libero arbitrio non lo soddisfano minimanete, e il suo dilemma risuona nelle epoche come un eco che non finisce mai Eloi, eloi, lema sabactani?
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

InVerno

Citazione di: Visechi il 09 Gennaio 2025, 15:04:21 PMÈ necessario, talvolta, provare ad indossare i calzari altrui e provare ad immaginare la strada che quei calzari percorrono. Ho troppo profondo rispetto per l'amore fra umani per potermi permettere di irridere la fede.


Corretto il tuo avvertirci che le narrazioni delle civiltà arcaiche convergono quasi tutte nel riferire eventi soprannaturali, soprattutto quelli legati alla nascita dell'eroe. Ma non si può perciò, per il solo loro convergere, dedurne che si tratti di semplici leggende o favole. Tutt'altro, il racconto reiterato, anche quando presenta vistose difformità ma preserva il nucleo centrale della storia, attesta proprio che si tratta di eventi in qualche modo e misura accaduti veramente,

Non letture e favole, semplicemente domande diverse. La nascita soprannaturale risponde ad una domanda sulla natura di Gesù, le contraddizioni in queste risposte evidenziano altre domande, ovvero che cosa si ritenesse importante al tempo e cosa no, cosa potesse esser lasciato alla fantasia senza interrompere l'incredulità del lettore. Io penso che la maggior parte dei lettori del tempo si rendesse benissimo conto che l'idea di un "censimento universale" fosse abbastanza bizzarra, se fossero stati interessati alla veridicità di questo tipo di informazioni un iperbole del genere non sarebbe passata, passa invece come metafora di un "mondo in subbuglio" attraversato da grandi mutamenti, tra cui un censimento che sposta famiglie. La domanda non è se c'è stato o meno un censimento, la domanda è se il mondo in cui era nato Gesù era stabile e ben governato, o instabile e dispostico. Lo stesso si applica a Genesi, per spararne una a caso: i popoli che adottano stessi miti dell'origine sono popoli amici, credere nello stesso inizio è una forma di allenza, con questi strumenti si contaminano le tradizioni.. Non sono preti che "pensano forte" all'inizio del mondo e accedono a universi paranormali platonici dove disvelano qualcosa, sono decine di pulsioni diverse sedimentate in una tradizione..Ma tutte queste chiavi per la maggior parte sono perse o solamente ipotizzabili, il lettore moderno entra in questi testi con le proprie domande (principalmente una: sopravviverò alla morte?) e come un elefante in un negozio di cristalli sbraga pareti semantiche e tradizioni come un conquistadores in un tempio maya alla ricerca della vita eterna. Non dico che sia il tuo caso, perchè non ho ancora capito se ti interessa ricostruire il messaggio originario, oppure prendere i termini della teologia cristiana e vedere se riesci a cavarci un ragno dal buco, personalmente per quanto sopra scritto sono abbastanza scettico di entrambi.

Riguardo all'irridere o meno, io sono un pò caustico di mio, ma sicuramente non irrido gli autori e i lettori originari di questi testi, mi posso permettere di irridere i lettori moderni di questi testi, sopratutto quando impongono dogmaticamente delle "regole di lettura" per giungere alla conclusione che tutto ciò che vi è scritto è in qualche modo corretto, come se fosse un equazione dove dall'altra parte dell'uguale ci fosse lo zero di Dio a garanzia. Il monotesimo sa spiegare il male o meno a seconda di quali sono le regole del monoteismo, ai cristiani è vietato immaginare divinità con gli stessi poteri di Dio perchè cozza con la loro dottrina, eppure i credenti spontamente generano nella cultura popolare "maligni, satana" e altri elementi che risolvono il problema, pur contraddicendo la logica monoteista. Forse il problema è nella domanda, spiegare come un binomio sia generato da un Uno richiede tanta chiacchera che non convice nessuno, la trinità prova a spiegare l'uno con tre e ottiene simili risultati. Sono passatempi che non irrido, ma certamente non partecipo..
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

niko

Dio va' in tribunale, ed e' colpevole, perche' a me, in quanto creatura e abitante del mondo, interessa, e soprattutto io desidero, con buona pace del dio cristiano e dei meandri della sua mente contorta, essere liberato (direttamente) dalla sofferenza, non certo dal "non senso della sofferenza".

Che sofisma del cavolo e' mai questo?

Quello che mi libera "dal non senso della sofferenza", qualunqur cosa cio' voglia dire, non potendo, o non volendo,  fare di meglio, cioe' liberarmi direttamente dalla sofferenza, non e' altro che un falso dio (non onnipotente) o al limite, un vero dio falso buono (non buono)

In ogni caso, il tutto, in cui Dio sarebbe onnipotente E buono, non sta in piedi.

E, a parte me e i miei personali gusti, trovatemi un uomo in giro nel quartiere, una sola persona reale e in carne ed ossa, che, potendo scegliere, sceglierebbe di essere liberato "dal non senso della sofferenza", piuttosto che, direttamente "dalla sofferenza" stessa, (facciamo dei questionari: sociologia applicata alla teologia, eccheccavolo) eppoi ne riparliamo...

Dunque, dicevamo, Dio e' colpevole, perche' io voglio essere liberato dalla sofferenza, e lui se ne sbatte, delle mie reali, vere, ed esistenziali necessita', e mi libera, invece "dal non senso della sofferenza", senza che questa sia (minimamente) una delle mie reali ed effettive necessita', e soprattutto senza che nessuno glielo abbia mai chiesto.

Mentre, di essere liberato (direttamente) dalla sofferenza, glielo avro' chiesto, in piu' o meno laica preghiera, forse centomila volte, e centomila volte, sono rimasto inascoltato.

Chi mi ama, fa la mia volonta', non quella che lui suppone essere, la mia volonta'.

E quindi, Dio non mi ama, semmai, pretendemdo egli di conoscere la mia volonta' meglio di quanto la conosca io stesso, fa quello che fanno tutti gli pseudo-amatori ossessivi, mi colonizza culturalmente, e narcisisticamente.

O al limite, fa quello che fanno tutti i pubblicitari: mi crea un (nuovo) desiderio e me lo soddisfa, lasciandomi nella frzstrazione di tutti i preesintenti, e inaffrontati, desideri vecchi.

Ma io resto abbastanza convinto che il papa' che viene chiamato al reparto di oncologia pediatrica per conoscere la data della morte del figlio, voglia essere liberato dalla sua, sofferenza, non dal non semso, della sua sofferenza. E giunto, forse, il momento, in generale come umanita', di non farci colonizzare e abbindolare dai pubblicitari di nessun genere.

Se dio e' colpevole, il teicidio per mano umana e' giusto.

Se uno si sente il creatore del mondo (ogni cosa, e' stata creata per mezzo di lui...) , e non e' completamente pazzo, visto quanto fa schifo il mondo, e' normale, che questo qualcuno si senta colpevole, e cerchi espiazione. La riconciliazione, tra dio e uomo, e' possibile, solo se il dio creatore, e onnipotente, paga per le proprie colpe. Perche' l'uomo, e' come e', lo capisce chiunque, e non c'e' verso, che tutto il male del mondo, possa essere colpa dell'uomo.

La responsabilizzazione, dell'uomo, puo' iniziate solo se non c'e' piu' un dio, creatore, da accusare.

Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Visechi

Citazione di: Duc in altum! il 09 Gennaio 2025, 22:23:53 PMSe il Male è l'assenza di Dio (Einstein docet), come può un male provenire da Lui?

Il peccato delle origini, voluto dall'Uomo, ha generato la sofferenza, la caducità e la morte dell'Universo, e nessuno può esentarsi dal contrarre (pur non avendolo commesso) questa dimensione o sentirsi immune dal peccato.

Certo uno può illudersi che sia una favola, ma il racconto prosegue con un Messia che ha detto: sono qui per rendere più sani del sano i portatori di handicap (sconvolgendo la fede del popolo eletto, che ghettizzava i lebbrosi e le sterili poiché credevano che fossero maledetti da Dio)...
Certo, non hai torto: "Se il Male fosse l'assenza di Dio...", ma, stante l'esplicita ammissione contenuta in Genesi, è ancor più immediato e conseguente affermare che: "essendo il Male essenza di Dio, normale che questo provenga direttamente da Dio" - ascolta le terribili parole di Giobbe, ma anche quelle di Gesù sulla croce.

Il racconto prosegue, infatti, con l'unigenito immolato sul Golgota. Ciò lascia intuire che Dio abbia inviato il proprio figlio sulla terra per resipiscenza, per redimere sé stesso dalla colpa di aver abbandonato la sua creazione all'imperio di una sua ipostasi. E Gesù, ben cosciente delle inemendabili colpe del Padre suo, si adoperò come meglio potè per alleviare il dolore dal Padre cagionato. Fallì nell'impresa di sradicarlo, poiché sulla croce fu abbandonato dal Padre, ma la sua opera potè trasmettere all'umanità, come lascito ereditario, il germe che da sempre ammorba ancor più la vita dell'uomo: la lusinga di una speranza, falsa.  

Duc in altum!

Citazione di: Visechi il 10 Gennaio 2025, 21:11:45 PMma, stante l'esplicita ammissione contenuta in Genesi,
In Genesi il male è l'essenza di Dio?!!... ma quale Bibbia leggi?!?

Citazione di: Visechi il 10 Gennaio 2025, 21:11:45 PMascolta le terribili parole di Giobbe, ma anche quelle di Gesù sulla croce.
Giobbe e il Crocifisso sono l'eterno mistero della sofferenza dell'innocente: la "roccia" dell'ateismo che si dissolve come sabbia, innanzi a Gesù che - condividendo la nostra stessa condizione umana - ci rivela che Dio non è indifferente, ma soffre con l'uomo, piange come un uomo.

Inoltre, sia Giobbe, sia Gesù (ossia: sia il mito che la realtà), terminano la loro iniziale imprecazione a Dio, con due delle più belle e commoventi lodi a Dio.

Giobbe passa dal maledire Dio per avergli dato la vita, al pentimento e al ricredersi di ciò che considerava.

Gesù, che non è un mito ed è di un livello di perspicacia unico, alza ancora di più la qualità della glorificazione, invocando il salmo 22, dimodoché solo gli ebrei là presenti, potessero intendere cosa stesse facendo.


Citazione di: Visechi il 10 Gennaio 2025, 21:11:45 PMl racconto prosegue, infatti, con l'unigenito immolato sul Golgota. Ciò lascia intuire che Dio abbia inviato il proprio figlio sulla terra per resipiscenza, per redimere sé stesso dalla colpa di aver abbandonato la sua creazione all'imperio di una sua ipostasi. E Gesù, ben cosciente delle inemendabili colpe del Padre suo, si adoperò come meglio potè per alleviare il dolore dal Padre cagionato. Fallì nell'impresa di sradicarlo, poiché sulla croce fu abbandonato dal Padre, ma la sua opera potè trasmettere all'umanità, come lascito ereditario, il germe che da sempre ammorba ancor più la vita dell'uomo: la lusinga di una speranza, falsa. 
Non è mia intenzione burlarmi (sia ben chiaro!), ma siccome avverto che c'è davvero fede in questo che tu credi, non posso trattenermi dal dirti: penso che in questa tua personale interpretazione "evangelica", ci siano tutti gli elementi per redigere un'eccezionale sceneggiatura di una nuova serie televisiva su Gesù.


"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

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