Le Virtù

Aperto da doxa, 07 Dicembre 2024, 22:32:57 PM

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doxa

Del sostantivo virtù è difficile darne una definizione che comprenda tutte le attribuzioni e i modi di intenderla.

Virtù,  in greco antico "aretè": questa parola in origine alludeva alla capacità di un individuo di compiere un atto o una mansione in modo ottimale.

Dante Alighieri nel "Convivio" (IV, XVI  7) dice:  "Ciascuna (cosa) è massimamente perfetta quando (l'individuo) tocca e aggiugne la sua virtude propria".

Nella lingua italiana il sostantivo virtù deriva dal latino "virtus" e questo da "vir" (= uomo), che in epoca romana  designava il valore  dell'individuo durante una battaglia, il suo coraggio, la sua forza (vis), anche spirituale e morale.

Nel nostro tempo la virtù di solito la consideriamo come la disposizione d'animo volta al bene.

Secondo il catechismo della Chiesa cattolica le virtù possono essere umane,  teologali e cardinali. 

le virtù umane sono attitudini, disposizioni dell'intelligenza e della volontà che regolano le nostre azioni e fanno praticare il bene. Sono virtù morali che si perfezionano con l'abitudine vengono acquisite tramite l'apprendimento e la pratica (n. 1804).

Virtù umane:

Virtù intellettuali
quelle che perfezionano l'intelletto.

Virtù morali quelle che orientano la volontà al bene.

Virtù naturali, quelle attinenti al compimento di atti buoni.

Virtù religiose, cristiano-cattoliche, vengono infuse  in ogni anima da Dio, tramite lo Spirito Santo, durante il battesimo. La tradizione cristiana ha individuato un settenario di virtù fondamentali, distribuendole in due versanti: le quattro virtù cardinali e le tre virtù teologali.

Virtù cardinali:  prudenza, giustizia, fortezza e temperanza; così dette perché hanno la funzione di "cardine" della vita virtuosa (n. 1805).  Per esempio,  la temperanza è la virtù morale che dà il dominio della volontà sugli istinti e mantiene i desideri entro i limiti "dell'onestà" (n. 1809).

Virtù teologali: le virtù umane si radicano nelle virtù teologali: fede, speranza e carità; così dette perché è Dio che  le concede  e dispongono i cristiani a vivere "in relazione con la Santissima Trinità" (n. 1812).

Le virtù teologali fondano, animano e caratterizzano l'agire morale del cristiano (n. 1813). 

Non basta,  le virtù sono comprese tra i nove ordini delle schiere di angeli:  Serafini, Cherubini e Troni; Dominazioni, Virtù e Potestà; Principati, Arcangeli e Angeli.


Firenze, battistero di San Giovanni Battista,  le Virtù nei mosaici.

Questo battistero è di fronte la cattedrale di Santa Maria del Fiore


Firenze, battistero di San Giovanni Battista, 

Le Virtù o Fortezze (in greco Dynameis), secondo l'angelogia cristiana basata sulla classificazione di  Dionigi l'Areopagita,  sono il quinto ordine degli angeli e presiedono i sette pianeti conosciuti nell'antichità: Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno.

Paolo di Tarso menziona le Virtù nella  Lettera agli Efesini (1,21).

Il papa Gregorio I, detto Gregorio Magno, pontificò dal 590 al 604, anno della sua morte,  fece conoscere nell'Occidente latino i cori angelici. Pospose rispetto a Dionigi le Virtù al settimo posto della gerarchia angelica: la collocazione fu ripresa nel "Convivio"(II, 5) da Dante Alighieri, ma  ripristinò lo schema originario di Dionigi nella Divina Commedia (Par. III, vv. 73-75, 79-81) con le Virtù nella quinta posizione. Dante li considera angeli combattenti che presiedono ai grandi cambiamenti della storia. 

green demetr

Ciao Doxa.
Stavo seguendo delle lezioni sulla temperanza in S.Tommaso, ma ad un certo punto mi è sembrato che il discorso si facesse contorto, addirittura contradditorio, e infine capzioso.
A mio parere la virtù è semplicemente l'arte per cui ciò che è dentro di noi coincida con ciò che c'è fuori.
Ma poichè fuori tutto è corrotto ad ogni livello, ad ogni passo, sin'anco nelle piccole cose, mi chiedo se queste virtù esistanto a livello teologale.
La mia risposta è no, perciò questo obbligo ad essere qualcosa che non esiste, e addirittura distrugge il nostro mondo interiore, lo vanifica.
La virtù nel mondo greco non so cosa sia, spero che sia qualcosa di diverso, ma forse è un illusione.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

doxa

#2
Ciao green demetr, ti ringrazio per il tuo post.

Concordo con la tua opinione

CitazioneA mio parere la virtù è semplicemente l'arte per cui ciò che è dentro di noi coincida con ciò che c'è fuori.


Non sono uno studioso di filosofia. All'università feci un paio di esami dedicati a quella disciplina, sufficienti per sapere di cosa si tratta e le opinioni dei tanti filosofi nei secoli.

Comunque l'argomento odierno lo dedico ad alcuni filosofi. Abbi la pazienza di leggere anche questo post, poi fammi sapere cosa ne pensi. ;D :'( Sono graditi anche gli interventi degli esperti per errori ed omissioni nel testo, in particolare da Ipazia.  ;)

Nel precedente post ho scritto che in greco antico la virtù è denominata  "areté", ed allude all'individuo  che si dedica al "bene" e ad agire in modo ottimale.

Nell'antica filosofia greca, la concezione dell'areté non era connessa all'azione per il conseguimento del bene, ma indicava  come qualità il coraggio, il vigore morale e anche fisico, come  gli eroi omerici,  o alcuni statisti ateniesi, indicati da Platone nel "Menone": Temistocle, Aristide e Pericle; essi ebbero la capacità di ben governare con moderazione e giustizia ma non furono in grado di trasmettere le loro virtù morali ai figli.

Per Platone le virtù corrispondono al controllo delle passioni. Ne "La Repubblica" indica per la prima volta le quattro virtù, che  nella seconda metà del IV secolo dal vescovo  di Milano,  Ambrogio (meglio conosciuto come Sant'Ambrogio),  furono denominate "cardinali", cioè "principali":

la temperanza, intesa come moderazione dei desideri che, se eccessivi, sfociano nella sregolatezza;

il  coraggio, necessario per mettere in atto i comportamenti virtuosi;

la saggezza o "prudenza", considerata la base delle altre virtù;

la giustizia è quella che realizza l'accordo e l'equilibrio di tutte le altre virtù presenti nell'uomo virtuoso e nello Stato perfetto.

Mentre Platone indica la saggezza per l'esercizio della virtù, Aristotele nel secondo libro dell'Etica Nicomachea specifica che le virtù etiche non si possiedono per natura, anche se l'uomo ha dimostrato di avere la capacità di acquisirle; vengono individuate soltanto in base a determinate azioni, nella disposizione a scegliere "il giusto mezzo" fra  due estremi.

La saggezza la considera  una "virtù  dianoetica" ( dal greco "dianoètikòs" e questo da "dianóēsis" = pensiero): nella gnoseologia aristotelica allude all'attività mentale, che viene agita dal pensiero e  ispira la condotta umana, inoltre permette l'esercizio delle "virtù etiche" nell'azione concreta.

Le virtù dianoetiche che presiedono la conoscenza sono cinque: l'arte , la scienza, la saggezza  o prudenza, l'intelletto e la sapienza.

La saggezza è propria di colui che, pur non essendo filosofo, è in grado di agire in modo virtuoso. 

Aristotele dice che se si dovesse acquisire la sapienza filosofica per praticare le virtù etiche questo comporterebbe che solo chi ha raggiunto l'età matura, divenendo filosofo, potrebbe essere virtuoso mentre invece con la saggezza, grado inferiore della sapienza, anche i giovani possono praticare quelle virtù etiche che permetteranno l'acquisto delle virtù dianoetiche.

La saggezza permette una vita virtuosa, premessa e condizione della sapienza filosofica, intesa come "stile di vita" slegato da ogni finalità pratica, e che pur rappresentando l'inclinazione naturale di tutti gli uomini solo i filosofi realizzano.

La saggezza può esser fatta conseguire ai giovani tramite l'educazione, che i saggi, o quelli ritenuti tali dalla collettività, impartiscono anche con l'esempio della loro condotta.

Il giovane apprende che le virtù etiche consistono nella capacità di comportarsi secondo il "giusto mezzo" tra i vizi ai quali si contrappongono (ad esempio il coraggio, considerato  l'atteggiamento mediano tra la viltà e la temerarietà), sino a conseguire con l'abitudine l'agire spontaneamente virtuoso: infatti "La virtù è una disposizione abitudinaria riguardante la scelta, determinata secondo il criterio  che determina l'individuo saggio.

 

green demetr

Si ma Aristotele con la sua teoria del terzo escluso è anche quello che vara l'ideologia che non possano esistere altre posizioni.
Per cui una cosa è o nera o grigia.
A distanza di secoli però gli risponde Shakespeare: esistono più cose tra cielo e terra, di quante la tua filosofia possa comprendere. (vedi note)
Questa politica fatta di paroloni come giusto mezzo, è anche quella che produrrà nei secoli futuri tutti quei filosofi che partendo da Hobbes, intavolano la questioni amico-nemico, come se appunto l'uomo fosse lupo all'altro, senza vie di fuga o di ripensamento, e giù il delirio scende fino a farsi forma stato, e prima al nazismo di uno Schmitt, e infine nelle democrature contemporanee, che ragionano solo in presenza di un nemico, spesso idealizzato.
E' come se il mondo si fosse fermato alla logica spicciola di Aristotele.
Platone invece parla di cose misteriose, di cose che sono nei cieli.
Come dice il mio maestro basterebbe il quadro di Raffaello "La scuola di Atene" a illustrarlo, Platone che parla di cose nobili, e Aristotele che parla di cose terrene.
Platone porta al cristianesimo, Aristotele ai fascismi di ogni tempo.

Quando stavi ragionando sui quadri della carità cristiana (mi pare) mi chiedevo quale fosse il suo valore diciamo così intellettuale.
Per Tommaso la Carità (Fede e Verità sono le altre due virtù teologali) è quella che pone come OBBLIGO (prima non lo sapevo) di fare del bene agli altri.
Ma lo stesso Tommaso da bravo aristotelico, dice anche che la carità possono farla solo i ricchi, e per cui i ricchi devono dare i soldi all'ecclesia.
Questa confusione tra impero e papato, è sì stata debellata dalla grande sconfitta dello stato della chiesa, ma  a favore di qualcosa di ancora più marcio: lo stato moderno.
Laddove in mezzo alla corruzione della chiesa vi era ancora qualche santo, oggi nella corruzione globale, non esistono più santi.
E dunque dove sono finite le virtù?
Si diceva abitassero gli uomini, ma forse come in Tommaso solo come scusa per elemosinare qualche oblo d'oro.
Il cristianesimo ipocrita si è sfaldato.
Il prof che seguivo (sempre su YouTube) però mi ha dato da pensare ad una cosa: va bene si deve lavorare, ma i pensionati, che si dicessero cristiani, che scusa hanno per non partecipare di nuovo ad un progetto comunitario?
Se la carità è fare del bene agli altri, perchè non si torna appunto a parlare di virtù nelle chiese, invece che ripetere a pappagallo le solite quattro storielle del Vangelo?
Penso che questo prof abbia ragione.
Per me la carità è anche il piccolo gesto quotidiano.
Non ci avevo mai pensato. In effetti se riesco ad arrivare alla pensione, penso che proverò, penso che una possibilità bisogna sempre darla agli uomini.
Ma a livello spirituale come giustificarcela? come pura Fede? Io non vedo questa verità.
Eh proprio sul concetto di verità, che non può essere quella aristotelica-materialista, ma quella gnostico-platonica-cristiana, deve essere quella del sogno.
Quella che risveglia non solo i mostri, ma anche le cose positive che l'uomo ha dentro di sè.
Purtroppo siamo sul chinale sbagliato della storia, chinale discendente, direi a picco.
Eppure dobbiamo rimanere fiduciosi, speranzosi, come il cristianesimo, quello vero, fa.
Filosofia e non.
Anzi la filosofia oggi è molto, ma molto sospetta.

note
"AMLETO - Vi sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante non ne sogni la tua filosofia. AMLETO - Perché ora mio zio è re di Danimarca, e quelli che gli facevan boccacce quando mio padre era vivo, ora pagano venti, quaranta, cinquanta, cento ducati per la sua miniatura."

In poche righe Shakespeare ha già detto tutto. Da una parte c'è Platone e il sogno che nessuna filosofia potrà mai capire.
Dall'altra c'è l'incapacità di vedere con occhi giusti, quello che prima era nemico ora diventa amico, e il contrario.
Dialettiche dell'incapacità di vedere le cose in grande, con orizzonti, ben più che umani.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

iano

#4
Citazione di: green demetr il 09 Dicembre 2024, 00:14:59 AMSi ma Aristotele con la sua teoria del terzo escluso è anche quello che vara l'ideologia che non possano esistere altre posizioni.
Per cui una cosa è o nera o grigia.
A distanza di secoli però gli risponde Shakespeare: esistono più cose tra cielo e terra, di quante la tua filosofia possa comprendere.
Ci sarebbe poco da aggiungere a questo, ma siccome ognuno vi aggiunge, come è giusto che sia, qualcosa a suo modo, molto appunto vi si è aggiunto fino a perdere di vista il punto di partenza.
Possiamo aggiungere un terzo, o un quarto, ciò che nella mia ignoranza immagino Aristotele avrebbe pure ammesso, volendo egli dire che qualcosa bisognerà comunque escludere se vogliamo comprendere l'incomprensibile, comprimendo l'incomprimibile.
La virtù per me quindi consiste nel mantenere la coscienza di questa necessità, di questa violenza che si fa alla realtà al fine di comprenderla, moderando il proprio comportamento che da questa ingiusta, ma necessaria, esclusione, muove.
Ciò ci consentirebbe  di percorrere con passo leggero la terra accompagnatoci ad una scienza ben educata, da non dovere tenere al guinzaglio come un cane che tira.
Quindi concordo con:''A mio parere la virtù è semplicemente l'arte per cui ciò che è dentro di noi coincida con ciò che c'è fuori.'' a cui aggiungerei l'accortezza di saper riconoscere ciò che senza accorgercene abbiamo portato fuori di noi, considerandolo perciò altro da noi, declinando per esso ogni responsabilità.
Conformarsi all'ordine sociale non in quanto giusto, ma necessario, come qualcosa che viene da dentro di noi e non da fuori, anche quando avendo perso memoria in parte di questa esternazione la contempliamo come fosse potenzialmente altro da noi, come un potenziale assoluto che assoluto non è mai, ma sempre a noi relativo, e se a questo relativo vogliamo un pò di bene, allora perchè fustigarlo?
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

green demetr

Citazione di: iano il 09 Dicembre 2024, 02:04:55 AMConformarsi all'ordine sociale non in quanto giusto, ma necessario, come qualcosa che viene da dentro di noi e non da fuori, anche quando avendo perso memoria in parte di questa esternazione la contempliamo come fosse potenzialmente altro da noi, come un potenziale assoluto che assoluto non è mai, ma sempre a noi relativo, e se a questo relativo vogliamo un pò di bene, allora perchè fustigarlo?
Perchè nel conformismo arriva l'omologazione persino morale, per ciò, ed è questo che fa la democratura, si arriva a pervertire la propria libertà, alla schiavitù al padrone.
Di questo già scrivevano gli antichi, parlando di volontà di sottomissione.
Cosa che le sinistre non hanno mai capito, e ora cavalcano pensandosi nel giusto, nè più nè meno che qualsiasi dittatore del passato.
La via aristotelica porta inevitabilmente alla coppia amico-nemico.
Fino a portarla dentro di noi. Come si evince anche dai grandi romanzi distopici in realtà realisti, di Orwell e Huxley (alla cui complessità mi sto avvicinando, avendo già iniziato a leggere 1984).
Vai avanti tu che mi vien da ridere

iano

#6
Citazione di: green demetr il 09 Dicembre 2024, 23:07:28 PMPerchè nel conformismo arriva l'omologazione persino morale, per ciò, ed è questo che fa la democratura, si arriva a pervertire la propria libertà, alla schiavitù al padrone.
Di questo già scrivevano gli antichi, parlando di volontà di sottomissione.
Cosa che le sinistre non hanno mai capito, e ora cavalcano pensandosi nel giusto, nè più nè meno che qualsiasi dittatore del passato.
La via aristotelica porta inevitabilmente alla coppia amico-nemico.
Fino a portarla dentro di noi. Come si evince anche dai grandi romanzi distopici in realtà realisti, di Orwell e Huxley (alla cui complessità mi sto avvicinando, avendo già iniziato a leggere 1984).
A parte Aristotele, che prediligo a Platone, sono d'accordo.
Mi rendo conto quindi di non essermi espresso bene.

E' fin troppo facile convenire su cosa sia bene perchè ciò possa derivare da una libera decisione, se non c'è già qualcosa dentro noi che per noi decide, e che caratterizzandoci ci ''accorda'', però non avendone coscienza possiamo credere che questo patto etico sia fuori di noi.
Che questo patto sia stato scritto su pietra o su papiro in tal modo in tal modo abbiamo tradotto ciò che abbiamo dentro.

Facile convenire su ciò che senza sapere siamo.
Difficile convenire su ciò che sapendo diveniamo.
La diversità che si produce dal divenire può giungere a condivisione, ma non è un bene farvela giungere per principio.
Un accordo forzato è privo di ogni valore.

I diversi mondi ipotizzati da Platone, sono per me uno solo, ed è tutto dentro di noi come ciò che ci fà uomini.

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#7
Una cosa che ci fà uomini è la capacità di ipotizzare diversi mondi, in modo inconsapevole come fa Platone, o in modo consapevole come fa Aristotele, fatta salva l'inevitabile approssimazione che posso aver fatto a causa della mia ignoranza filosofica.
Se ciò pure non avesse riscontro nella storia della filosofia, corrisponde comunque alla mia filosofia, al mio modo di essere non uguale agli altri derivate dal mio libero pensiero.
Ogni volta che qualcuno si dice d'accordo con me mi da un dispiacere, perchè ho perso qualcuno con cui crescere nel dialogo.
Se poi i nostri liberi percorsi si trovino a convergere, se liberi davvero sono stati, considero ciò significativo, piuttosto che come un bene o come un male.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

green demetr

Citazione di: iano il 10 Dicembre 2024, 04:08:05 AMFacile convenire su ciò che senza sapere siamo.
Difficile convenire su ciò che sapendo diveniamo.
La diversità che si produce dal divenire può giungere a condivisione, ma non è un bene farvela giungere per principio.
Un accordo forzato è privo di ogni valore.

I diversi mondi ipotizzati da Platone, sono per me uno solo, ed è tutto dentro di noi come ciò che ci fà uomini.
Ma infatti la filosofia non obbliga nessuno, semplicemente pone un metodo.
Il filosofo perde tempo sul metodo, troppo tempo.
Per questo ho ristretto il numero dei filosofi a coloro che partono direttamente in res delle cose che accadono, e siamo d'accordo, nell'intimo di ognuno di noi, e in quelle, e siamo suppongo in disaccordo, che succedono sotto il cielo degli altri, e da cui appunto possiamo ampliare i nostri orizzonti (o limitarli a seconda che si legga un buon o un cattivo libro, dimmi cosa leggi e ti dirò chi sei).
In questo senso chi parla del sè intimo umano, è un filosofo, magari senza metodo, magari molto più sincero.






Vai avanti tu che mi vien da ridere

misummi

virtù e difetti coesistono in ognuno di noi, al punto che,vedendoli da un punto di vista diverso dal nostro,le une potrebbero diventare gli  altri e viceversa.
Bit e qbit,mai sentito?

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