IL CAPITALE E LA MORTE (1/2)

Aperto da Visechi, 24 Novembre 2024, 13:49:43 PM

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Visechi


Ho sempre avuto in elevata considerazione la libertà individuale, anche quella imprenditoriale. La considero senza dubbio un valore da preservare. Soprattutto se e quando si sviluppa in maniera armonica, nel rispetto dell'ambiente entro cui va ad insediarsi. Diverso è il mio parere quando per raggiungere i suoi fini, questa libertà impone le sue regole e tende a deprimere i territori e comprimere le libertà e le convenienze delle comunità.
Non vi è libertà nell'aggressione dell'ambiente, se non quella sterile di chi ama circondarsi dei miasmi putrescenti della morte. Però nessuno può pretendere che la massa segua la libera scelta di chi amerebbe vivere in mezzo ai cadaveri. Chi ama i deserti può benissimo salire sul più elevato ed isolato pennone di roccia e vocarsi ad una vita da anacoreta. 
Ci sono casi, anche non sporadici, in cui l'imprenditoria e l'industrializzazione non hanno consumato suolo uccidendo il territorio, ma pretendere che l'industria chimica o quella di trasformazione non abbiano alcun impatto sull'ambiente naturale circostante è davvero pura follia.
Più frequentemente accade che le élite industriali e capitaliste, in massima parte, non abbiano alcun rispetto dell'ambiente che ospita le loro fabbriche ed imprese. È noto: il capitale non ha olfatto, e i miasmi della morte che le ciminiere eruttano nell'aria o sversano nei terreni mai potranno offendere il suo delicato nasino, troppo avvezzo a ben altri profumi. 
D'altronde, pecunia non olet! 
Novello Erisittone, il capitalismo è massimamente autoreferenziale, proprio perché si nutre di sé stesso e tende a nutrire esclusivamente sé stesso. Non per nulla un antico detto, per nulla popolare, recita: il denaro va dove c'è denaro e ricchezza. Ma la ricchezza non si genera per partenogenesi. Il suo accumulo è sempre, a livello planetario, una sottrazione di mezzi economici e finanziari ad altre parti del mondo. Ricchezze che in quelle zone magari fungono da mero sostentamento. Per questo motivo, sostanzialmente, l'aggressione capitalistica priva di freni e controllo tende a desertificare le aree ove poggia i propri voluttuosi sguardi.
Ciò che il liberismo sfrenato, alleato del capitale, non  può comprendere e non potrà mai accettare è che le regole del mercato non sono dettate semplicemente e solo dalla dinamica domanda/offerta. Il mercato, e con esso l'economia, è un ingrediente imprescindibile della comunità umana. Con essa entra necessariamente in contatto. La troppo spesso mortifera ed onnivora liason domanda-offerta tende sovente ad entrare in conflitto proprio con la comunità umana. Infatti, se e quando si viene a creare un vistoso disequilibrio fra questi due poli (e ciò accade assai spesso), si vengono a determinare conseguenze assai cruente. Ciò ha più volte messo in crisi questa dinamica autoreferenziale, rendendo indispensabile un governo superiore delle forme di economia che al capitalismo, per un verso o per l'altro, fanno riferimento. In sintesi, la variabile umana, folle e mai pienamente governabile, indipendente sia dal mercato sia dalla volontà del capitale, ha in buona misura condizionato la libera e sfrenata espressione proprio del capitale, spesso imbrigliandolo e asservendolo ai bisogni della comunità (soviettismo, per dirla alla Gramsci?). Più sì che no, questo è avvenuto, quando è avvenuto, allorché il liberismo senza vincoli è stato soggiogato alle urgenze umane ed alla necessità di riscatto di vaste frange della popolazione, soprattutto proletaria e contadina.
Il Capitale ha sottoscritto un accordo di reciproca collaborazione con il potere. Vivono in una condizione di osmosi. Si autosostentano. L'espansione dell'uno significa quasi sempre la crescita dell'altro. Il Capitale si è sempre appoggiato al potere, di solito il più becero e cruento, per alimentare se stesso. La storia dell'uomo è ridondante di questa evidenza. La si veda un po' alla stregua di un quadro eseguito con la tecnica del puntinismo. Non v'è alcuna necessità di dover corredare questa tesi con citazioni, basta aprire un qualsiasi libro di storia, di sociologia, di antropologia per averne piena contezza. 
Lo stesso Colombo poté varcare l'Oceano su tre meravigliose barche in grazia e virtù della voluttuosa prospettiva di dar maggior espansione alle brame di ricchezza dei governanti di Spagna. Così fu che popolazioni intere (incivili, cruente etc...) furono sterminate  (c'è necessità di qualche citazione?). La conquista del West fu anch'essa opera sua. La tratta degli schiavi fu una conseguenza della protervia del Capitale. Ma non scordiamo che anche i due massimi e più cruenti conflitti del secolo scorso furono ispirati sempre da questo mostro tentacolare, che se non imbrigliato ed opportunamente asservito rischia oggi, ancora una volta, ma stavolta in maniera definitiva, di soffocare per eccessiva brama l'uomo e la sua umanità. 
Certo, fu inoculato in quelle terre selvagge il germe della civiltà. Ma qualcuno è mai andato a domandare se avessero necessità e avvertissero il bisogno di questa nostra civiltà? L'uomo ha esigenze che il Capitale non può e non potrà mai soddisfare. Potrà forse fornire dei surrogati (come un fiore di plastica), ma mai potrà dare risposte ed indicare la strada verso l'unico vero desiderio umano: quello della felicità.
Le attività umane, sono, giustappunto, attività dell'uomo. Questi non può essere visto e considerato alla stregua di una monade: sufficiente a se stesso, essere a se stesso. È, come prima sua caratteristica essenziale, un essere relazionale. La primissima relazione che instaura una volta che viene al mondo è con l'ambiente circostante. Da questo rapporto polemico (da polemos), quindi spesso conflittuale ed assai dinamico, non può mai prescindere. Può vivere isolato, come un eremita, ma con l'ambiente che lo accoglie e circonda deve pur sempre fare i conti.
La Natura non è sempre una madre benigna, sovente si mostra nelle sue acre vesti di mater matrigna - interessantissime a tal proposito le lezioni di Leopardi -. Da qui la necessità di governarla, modificarla, rimodularla per adattarla alle condizioni genetiche del suo ospite. L'uomo è l'unico essere del creato che nasce totalmente privo di difese naturali: "la scimmia nuda".
Essendo la Natura colei che offre asilo a questa scimmia nuda, è gioco forza che, nel riadattarla alle sue esigenze, l'uomo debba necessariamente portarle assoluto rispetto. Tale rispetto si concretizza nel trovare il giusto equilibrio (il kata metron dell'antica saggezza greca) fra le trasformazioni antropiche e le ragionevoli e ben misurabili capacità di assorbimento che l'ambiente mostra di possedere. 
Diversamente, se si eccede, si cade nel peccato che sempre una saggezza che precedette quella di Cristo definiva 'tracotanza' (hybris).
L'uomo per vivere ha necessità assoluta di usare l'ambiente, ma senza eccessi ed evitando di apportare modificazioni tali da ridurre a macerie la casa che lo ospita.
Abbiamo e siamo innamorati (me compreso, ovvio) di un unico modello di civiltà. Lo abbiamo brevettato e lo esportiamo convinti che sia l'unico universalmente valido. Abbiamo così soppiantato altri esempi di convivenza fra umani. Sotto l'insegna della croce e della pecunia abbiamo irriso le civiltà del vicino e lontano Oriente - per riscoprirle solo quando il nostro modello ha mostrato vistose crepe ed incrinature -; cancellato quella precolombiana; reso sterile quella paleocristiana; disintegrato quelle animistiche del centro Africa. Senza rispetto e senza ritegno, le abbiamo quasi tutte cancellate. Mai che alla pecunia ed alla mitra sia venuto in mente di affiancare e non sostituire, accostare e non soverchiare, integrare e non assimilare. 
Il Capitale e il potere hanno un vocabolario assai ridotto, purtroppo.
Da sempre quest'entità acefala si è servita del potere e il potere di lei. La storia del colonialismo è una storia d'amore fra potere e Capitale. E quest'ultimo conserva in sé, nel proprio Dna proprio il sentore e il sapore di quelle calde e voluttuose notti in cui poté, senza remore e senza freni, addirittura con il consenso festoso della più alta autorità morale del tempo, consumare l'amplesso col suo amato. Ne serba il ricordo e tende a perpetuare questa sua vocazione, prescindendo dall'uomo e dalla Natura, che in questa sarabanda ditirambica sovente appaiono come freni – lacci e lacciuoli -.
Il Capitale ragiona in termini di colonialismo. Quando non lo fa è giusto perché la politica, quindi l'uomo, non glielo consente – a tal proposito gli esempi sarebbero ridondanti -. Se fino a ieri assumeva volto e sembianze piuttosto rozze, senza curarsi dell'estetica, oggi, epoca in cui anche l'occhio ha le sue pretese, si ammanta delle candide vesti del progresso. Anche quando a questo progresso sarebbe meglio e più saggio rinunciare . Ma il suo volto è sempre arcigno e il suo sorridere scopre denti aguzzi, come quelli delle fiere pronte all'assalto.
Questa naturale alleanza impone che quanti permangono ai suoi margini o relegati oltre il suo perimetro debbano sottostare alle sue ferree regole, che statuiscono l'imperio delle élites sulle masse. La dittatura del Capitale si estrinseca e realizza con la sottrazione alle masse delle opportunità di sviluppo organico ed armonico. È sufficiente dare una scorsa alla storia della Sardegna. Cercare di comprendere cosa sia accaduto con la grande industrializzazione dell'isola - capitale, potere e, purtroppo in quel caso, anche cieco, se non addirittura venduto sindacalismo, uniti all'insegna del progresso -. Una visita guidata a Sarroch, Ottana, Porto Torres, Portovesme è sempre assai didattica. Lì, in quei deserti, fra quelle cattedrali, potranno essere reperite le dotte citazioni che io non includo in questo testo. Se per un solo attimo si ha avuto la sensazione che stia filosofeggiando in maniera astratta, una visita al museo della morte di Porto Torres rasserenerebbe chiunque sulla veridicità di quanto affermo.
Non vi è naturalità nell'operare del Capitale, solo un'inesausta ricerca del profitto. Ciò va a danno, troppo spesso, di tutto quel che entra in conflitto con le sue mire. La Natura non è un'entità amorfa del complesso ecosistema definito terra. Ne è parte viva e pulsante. L'ambiente, intendendo terra, acqua e cielo, elementi primordiali che rinnovano e celebrano ogni giorno i fasti e la sacralità della vita, è elemento vivente. Come tale esposto anche al rischio di essere sopraffatto dalla morte: tutto ciò che vive è esposto alla morte (cit. U. Galimberti e mille altri ancora, ma soprattutto il buon senso).
L'uomo, intendendo con questo termine l'intera umanità, in esso (ambiente) è immerso, da questo è circondato e con questo deve convivere, pena la scomparsa di entrambi. 
La Natura, quindi l'ambiente, ha un'enorme capacità di assorbimento delle attività antropiche. La Natura è resiliente. Questo afferma la scienza. In un rapporto osmotico, si modella, modula, adatta e conforma alle modificazioni apportate dall'attività umana. Così è sempre stato. È questo che ha consentito il progredire della tecnica e la crescita del livello e della qualità della vita della comunità umana. Altro che Capitale. Una Natura rigida non avrebbe mai potuto consentire l'antropizzazione del pianeta. Merito assai più elevato rispetto a quello ascrivibile al mercato e al Capitale. Se le cose sono andate in un verso favorevole all'uomo, non è detto che domani possa essere così. O per meglio dire, così è sempre stato fino all'avvento della rivoluzione tecnologica, quella dei tempi coevi... Di oggi.  
Dicevo, l'ambiente ha un'immensa capacità di adattamento. Certo, è risaputo e comprovato, ma è anche scientificamente provato che questa adattabilità ai mutamenti, soprattutto quando indotti in maniera eccessivamente repentina, non è infinita, bensì definita e, mi si passi la tautologia, quindi anche limitata. Il che significa, senza meno, che vi è una soglia (altra sgraditissima tautologia, ma serve per comprendersi), un confine oltre il quale il sempre labile diaframma che separa il rigoglio della vita dal tanfo della morte e del disfacimento si lacera e non sarà più rammendabile con interventi tampone come gli accordi di Kyoto (tali sono, servirebbe ben altro per mettere in sicurezza il bene più prezioso che abbiamo, ovverosia la vita futura nostra, in quanto specie e del pianeta, in quanto ecosistema globale).
Il capitale è figlio di un sistema imprenditoriale che si è sempre nutrito attingendo linfa vitale dall'eco coloniale dei secoli trascorsi. Non si è mai abbeverato ad una fonte che non scaturisse dalla silicea roccia della necessità di rincorrere se stesso. Avendo come unico obiettivo quello di potersi sempre superare (accumulo, in economia), non si è mai nutrito dell'esigenza di operare per un bene più elevato e meno autoreferenziale: quello, per esempio, delle comunità entro cui è andato ad insinuare le sue voraci membra. Ha stretto un patto serrato e pare inscindibile con l'autoremunerazione. 
È così diventato alieno alle tematiche di più elevato profilo etico e sociale (se ne fotte, in un francesismo assai più esplicativo). È refrattario a misurarsi in termini di eco-sostenibilità (tutto ciò che entra in contatto con il termine ambiente o ecosistema, assume per lui i connotati dei no global, scordando e non volendo vedere che a Genova nel 2001, per esempio, sfilavano madri di famiglia, padri con prole al seguito, sfilavano pacificamente inseguendo l'utopia di pacificare la Natura con l'umanità che il capitale tende a disumanizzare). Recalcitrante ad ascoltare le voci dissennate (certo, lo sono, tutte le utopie sono dissennate) e dissonanti che pongono sulla linea dell'orizzonte del guadagno fine a se stesso la necessità di espandere le possibilità per costruire i presupposti di un'esistenza migliore, che non sia dunque esclusivo appannaggio di già pingui capitalisti. 
Non avendo a cuore altri che se stesso e la sua spiraliforme remunerazione, ha in uggia tutto ciò che tendenzialmente o anche potenzialmente possa recare con sé un gradiente o una screziatura di pericolosità al suo eterno, vano e vacuo indefinito espandersi

Visechi

Parte 2/2

Nel passato i mutamenti erano scanditi da tempi lunghi, non improvvisi e mai eccessivamente invasivi. Compatibili con i tempi di rigenerazione. Gli ecosistemi trovavano il tempo indispensabile per adattarsi e fagocitare, assimilare e metabolizzare i cambiamenti. L'uomo e le sue attività prosperavano (quando prosperavano) e la Natura proseguiva il suo corso. 
Mai come oggi abbiamo gli strumenti tecnologici per modificare in maniera repentina ed irrimediabile lo status della Natura. Mai come oggi abbiamo in mano i dispositivi ed i congegni sufficienti per distruggere l'intero pianeta, con noi dentro. Poco rileva che le aspettative di vita siano cresciute fin oltre gli 80 anni, se poi la vera prospettiva rischia di essere solo quella di sopravvivere in un deserto. Questa è la vera unica novità rispetto al passato. Noi siamo in condizione di distruggere il pianeta, abbiamo a disposizione gli strumenti per farlo. E la grande preoccupazione è legata al fatto che questi strumenti siano in massima parte in mano a personaggi come Trump, Putin, Netanyahu o al pazzo nordcoreano di turno.
In Lombardia, nel triangolo industriale Brescia-Bergamo-Milano, il consumo del suolo ha raggiunto e forse superato il punto di non ritorno. Quella è la zona geografica più antropizzata d'Europa. La Natura soffre, non ha il tempo di assimilare e di rigenerarsi e s'impregna della putredine che le cattedrali del progresso riversano indisturbate in foggia di materiali di scarto delle lavorazioni, vuoi di derivazione chimica, oppure organica. Non si tratta di qualche industrialotto che inquina e non rispetta le leggi, si tratta di eccesso antropico.
Il modello di sviluppo che il capitale (soprattutto finanziario) ha imposto al potere (perché nel binomio potere/capitale il soccombente e l'asservito è il primo dei due poli), e di riflesso alle comunità, è sbagliato. Eccessivamente aggressivo, eccessivamente mortifero. Per perpetuare se stesso e sostentarsi sottrae spazi alle attività più naturali e congeneri al territorio. Basti un esempio preclaro ed eclatante (ma ce ne sono migliaia, non quindi casi sporadici): il termodinamico di Gonnosfanadiga è ipotizzato in un'area ad elevata vocazione agricola. La sua realizzazione sottrarrebbe suolo alle attività produttive di specie che quei territori sono in grado di esprimere. Nondimeno, nonostante le resistenze mostrate dalle popolazioni del luogo, non vi è una chiusura preconcetta contro il termodinamico, ma solo limitata alla sua localizzazione.
Il buon senso, non la filosofia radical chic, non l'ideologismo che fa rima con psicologismo, vorrebbe ed imporrebbe che per la sua realizzazione sia individuata un'altra ben diversa area geografica. Diversamente, qualora la spoliazione divenisse un dato di fatto, quelle colture sarebbero destinate a sparire o migrare in altre aree, magari meno fertili. 
Buon senso, cribbio! Non altro. Non comunismo, non ecologismo, non terrorismo. Purtroppo la volontà acefala del Capitale e del potere ad esso asservito impone altre scelte. Il territorio e le sue comunità insorgono. Mi si spieghi, chi in questo malaugurato esemplificativo caso ha più ragioni? Il Capitale che se ne fotte delle reali esigenze umane o il territorio che chiede gli spazi che più gli si confanno?
Altra caratteristica, forse la più inquietante: il Capitale tende naturalmente e caratterialmente ad soggiogare l'uomo alle sue brame, e per far ciò piega la Natura al suo imperio. Utilizza per i suoi fini il potere, spesso in armi. La Natura, invece, chiede all'uomo il rispetto dei suoi ritmi di vita ed in cambio offre i suoi prodotti, utilizzando per questo fine anche il capitale e l'imprenditoria. Ora, sarà pure un pensiero da soviet, ma credo ed immagino che il bene delle comunità, quindi dell'uomo, risieda proprio in questo rapporto simbiotico, di interscambio: rispetto contro frutti.
Se non adeguatamente governati, i modelli di sviluppo portati ed offerti dal Capitale e dal mercato sono tesi ad ottenere la massimizzazione dei profitti: in pratica sortiscono l'effetto di uccidere la mucca che da' loro il latte, la carne e le pelli, senza attendere che questa si riproduca per perpetuare il ciclo produttivo. Credo che si abbia necessità di nuovi modelli che utilizzino il capitale, la tecnica, la tecnologia, l'imprenditoria e il mercato e che evitino che siano questi a direzionare ed istituire l'organizzazione sociale e i bisogni delle genti. Che siano quindi l'uomo e la comunità umana a dettare le regole e non il Capitale ed il potere.
Il pensiero espresso dal capitale è acefalo e retrogrado. Non porta ad un progresso sociale, se per progresso s'intende crescita armonica della qualità della vita. Porta ad una necrotizzazione dell'ambiente, e il percorso che traccia è contrappuntato da un pullulare di morbilità, che se ben osservata (la morbilità) rappresenta il marchio e la cifra del progressivo divenire della morte. 
Bisogna imparare a leggerli questi segnali.

anthonyi

Complimenti, Visechi, per l'ennesima dissertazione di stampo vetero marxista.
Il mondo di oggi ha tanti problemi, ma per nessuno di questi il pensiero Marxiano offre una minima accettabile spiegazione o soluzione. Continua a vivere nel tuo mondo, e a non vedere la realtà. 

baylham

Le economie capitalistiche hanno inizio alla fine del 1700 in Europa, il primo paese capitalista è l'Inghilterra, non confondiamo la storia.

Il sistema capitalista ha molti aspetti positivi dal punto di vista economico e sociale, alcuni degli aspetti negativi sono tipici di qualunque economia. 
Qualunque attività economica, indipendentemente dal sistema, è basata su processi entropici, il cui risultato finale è la produzione di scarti, rifiuti, inquinamento. Il sistema capitalistico accentua questi processi perchè è dinamico in modo esponenziale grazie al progresso tecnico.
Le guerre, le colonie, la schiavitù, lo sfruttamento non sono un'invenzione del capitalismo, ma dei sistemi economici e sociali in generale. Che il capitalismo abbia bisogno per sussistere delle colonie o della guerra sono sciocchezze marxiste.

Un aspetto profondamente negativo tipico del sistema capitalistico è la sua strutturale incapacità di assistenza  economica e sociale verso la popolazione che lo adotta, perciò favorisce le disuguaglianze economiche e sociali.
Il compito dello Stato è di porvi rimedio.

Per me il problema principale attuale non è il capitalismo ma la sovrappopolazione umana, all'origine di molti altri problemi economici e sociali che hai elencato.


Visechi

Citazione di: anthonyi il 24 Novembre 2024, 17:22:01 PMComplimenti, Visechi, per l'ennesima dissertazione di stampo vetero marxista.
Il mondo di oggi ha tanti problemi, ma per nessuno di questi il pensiero Marxiano offre una minima accettabile spiegazione o soluzione. Continua a vivere nel tuo mondo, e a non vedere la realtà.
Tranquillo, vedrai che se rileggi riuscirai a capire qualcosa anche tu.

Visechi

Citazione di: baylham il 24 Novembre 2024, 19:01:40 PMLe economie capitalistiche hanno inizio alla fine del 1700 in Europa, il primo paese capitalista è l'Inghilterra, non confondiamo la storia.

Il sistema capitalista ha molti aspetti positivi dal punto di vista economico e sociale, alcuni degli aspetti negativi sono tipici di qualunque economia.
Qualunque attività economica, indipendentemente dal sistema, è basata su processi entropici, il cui risultato finale è la produzione di scarti, rifiuti, inquinamento. Il sistema capitalistico accentua questi processi perchè è dinamico in modo esponenziale grazie al progresso tecnico.
Le guerre, le colonie, la schiavitù, lo sfruttamento non sono un'invenzione del capitalismo, ma dei sistemi economici e sociali in generale. Che il capitalismo abbia bisogno per sussistere delle colonie o della guerra sono sciocchezze marxiste.

Un aspetto profondamente negativo tipico del sistema capitalistico è la sua strutturale incapacità di assistenza  economica e sociale verso la popolazione che lo adotta, perciò favorisce le disuguaglianze economiche e sociali.
Il compito dello Stato è di porvi rimedio.

Per me il problema principale attuale non è il capitalismo ma la sovrappopolazione umana, all'origine di molti altri problemi economici e sociali che hai elencato.


Scrivevo che il capitale, se non governato (anche per questo esistono i governi), pur di conseguire il suo unico fine, cioè accrescere sé stesso per soddisfare i suoi possessori posseduti, non si perita di saccheggiare il territorio. Non avverte i morsi degli scrupoli. È amorale e autoreferenziale. Che lo Stato abbia il compito di incanalarne le 'mortifere' potenzialità (mortifere sé lasciato a sé stesso) è un qualcosa che sottoscrivo pienamente; che non si possa comunque prescindere dal capitale per far crescere un territorio, è un'altra di quelle tautologie che non mi sogno di negare.

anthonyi

Citazione di: Visechi il 24 Novembre 2024, 21:47:51 PMScrivevo che il capitale, se non governato (anche per questo esistono i governi), pur di conseguire il suo unico fine, cioè accrescere sé stesso per soddisfare i suoi possessori posseduti, non si perita di saccheggiare il territorio. Non avverte i morsi degli scrupoli. È amorale e autoreferenziale. 
Non c'é nulla da capire in questi discorsi assurdi e metafisici. Nella "tua" concezione il "capitale" sarebbe un'entità volontaristica che ha dei fini  e non ha morale. Ma il "capitale" non é un'entità personale, queste cose, aver dei fini, rispettare o no una morale le fanno gli uomini. 

Visechi

Citazione di: anthonyi il 24 Novembre 2024, 22:26:47 PMNon c'é nulla da capire in questi discorsi assurdi e metafisici. Nella "tua" concezione il "capitale" sarebbe un'entità volontaristica che ha dei fini  e non ha morale. Ma il "capitale" non é un'entità personale, queste cose, aver dei fini, rispettare o no una morale le fanno gli uomini.
Certo, certo concordo pienamente. Davvero un commento dirimente.

Visechi

Citazione di: baylham il 24 Novembre 2024, 19:01:40 PMLe economie capitalistiche hanno inizio alla fine del 1700 in Europa, il primo paese capitalista è l'Inghilterra, non confondiamo la storia.
Perché mi fai notare questo aspetto della storia del capitale, peraltro più che noto?
In quale punto del mio intervento rilevi confusioni storiche?

iano

#9
Citazione di: Visechi il 24 Novembre 2024, 13:51:42 PMCredo che si abbia necessità di nuovi modelli che utilizzino il capitale, la tecnica, la tecnologia, l'imprenditoria e il mercato e che evitino che siano questi a direzionare ed istituire l'organizzazione sociale e i bisogni delle genti. Che siano quindi l'uomo e la comunità umana a dettare le regole e non il Capitale ed il potere.
Nella mia ignoranza, è la prima volta che sentendo parlare del capitale, sentendolo personalizzare ancora una volta , si, ma con la piena coscienza di farlo per necessità narrativa, non mi sento respinto da questo tipo di discorsi.
E' la prima volta che sentendo parlare di capitale non percepisco la volontà di scaricare su altri da se le responsabilità che sono di tuti, e senza tirare quindi in ballo complottismi vari.
Mi rincuora che vi siano ancora persone come te capaci di leggere la realtà in modo si appassionato, si, ma senza che questa passione si trasformi in una lente distorcente della realtà.
O forse è solo che l'essere sardi è un punto privilegiato di osservazione?
Se è così allora viva la Sardegna e viva i sardi, per quanto strani a volte possano sembrare. :)

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

Citazione di: anthonyi il 24 Novembre 2024, 17:22:01 PMComplimenti, Visechi, per l'ennesima dissertazione di stampo vetero marxista.
Il mondo di oggi ha tanti problemi, ma per nessuno di questi il pensiero Marxiano offre una minima accettabile spiegazione o soluzione. Continua a vivere nel tuo mondo, e a non vedere la realtà.
Condividendo con te in generale questa opinione, però mi pare di individuare nel nostro Visechi una notevole eccezione.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

anthonyi

Citazione di: Visechi il 24 Novembre 2024, 13:51:42 PMIl pensiero espresso dal capitale è acefalo e retrogrado. Non porta ad un progresso sociale, se per progresso s'intende crescita armonica della qualità della vita. Porta ad una necrotizzazione dell'ambiente, e il percorso che traccia è contrappuntato da un pullulare di morbilità, che se ben osservata (la morbilità) rappresenta il marchio e la cifra del progressivo divenire della morte.
Bisogna imparare a leggerli questi segnali.

E infatti le regole le fanno gli uomini, e fanno anche le istituzioni, come quelle che presiedono al libero mercato. Queste istituzioni hanno prodotto crescita e qualità della vita iperdimostrate soprattutto se viste a confronto con quei paesi che si sono affidati alle ideologie collettiviste, i quali, come la Russia, anche dopo aver superato l'errore del comunismo, si ritrovano comunque a pagare un grandissimo tributo di morte e sofferenza come effetto residuale di quella cultura di odio e di violenza che é stata instillata dall'ideologia marxiana del conflitto sociale. 

Visechi

Citazione di: anthonyi il 25 Novembre 2024, 06:48:52 AME infatti le regole le fanno gli uomini, 
A che serve questa inutile pedanteria? Perché insistere nel farmi notare una cosa lapalissiana? 
Saresti altrettanto pedante se un sociologo sostenesse che "Internet ha imposto un modello di relazione...". Salteresti sulla sedia per redarguire il conferenziere contestandogli il fatto che internet non impone nulla, caso mai sono gli uomini...
Così via se si discutesse del Male, della Chiesa... insomma un confronto impossibile quando ci si limita a focalizzare cose inutili.

anthonyi

Citazione di: Visechi il 25 Novembre 2024, 08:46:24 AMA che serve questa inutile pedanteria? Perché insistere nel farmi notare una cosa lapalissiana?
Saresti altrettanto pedante se un sociologo sostenesse che "Internet ha imposto un modello di relazione...". Salteresti sulla sedia per redarguire il conferenziere contestandogli il fatto che internet non impone nulla, caso mai sono gli uomini...
Così via se si discutesse del Male, della Chiesa... insomma un confronto impossibile quando ci si limita a focalizzare cose inutili.
Internet è una struttura reale, il concetto di "capitalismo" invece rappresenta un'ipotesi di rappresentazione dei meccanismi della società. Oltretutto nel tuo esempio tu assegni una causa effetto ad internet, ma non un'azione volontaristica.
Proprietà privata e libero mercato sono strutture reali, l'agire di convenienza individuale tipico degli operatori economici è una struttura di comportamento umana. Tutte queste cose, reali se considerate nella loro specificità, diventano metafisica quando le si ipotizza come organizzate in un'unica struttura volontaristica e decisionale che poi voi chiamate "capitalismo".
Oltretutto si tratta di strutture che non sono specifiche dei periodi storici e delle civiltà alle quali viene assegnato l'attributo di "capitalista", per cui non esistono attributi specifici tramite i quali la si possa identificare.
Lasciami fare comunque una confessione, a me da un sottile piacere decostruire le costruzioni ideologiche marxiane con gli stessi strumenti filosofici del costruttore. 
Come si può definirsi materialisti e poi centrare il proprio discorso su una costruzione ideale e metafisica come un concetto di "capitalismo" al quale vengono addirittura attribuite potenzialità finalistiche,  volontaristiche e atteggiamenti morali?

 

Visechi

Caspita! Faccio ammenda, ora è davvero tutto chiaro.

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