Il diavolo da Giobbe e l'anticristo in casa Nietzsche. Oltre le troppe ombre.

Aperto da PhyroSphera, 05 Agosto 2024, 19:02:22 PM

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Freedom

Citazione di: Visechi il 18 Novembre 2024, 19:20:54 PMOvviamente nessuna prova. Non si è atei perché si possiedono prove sull'inesistenza di Dio, lo si è perché non si crede minimamente alla possibilità di una divinità trascendente, anche in foggia non teista... insomma, non possiedo un briciolo di fede che possa esserci un qualcosa di divino oltre e sovra la nostra miserrima realtà. Anche se non rifiuto di pormi nella prospettiva di uno che riponga fede nell'esistenza di un Dio
Il tuo saperti mettere nei panni altrui dimostra buon senso, sensibilità e soprattutto desiderio di ascolto. Dunque capacità e volontà di dialogo. Vorrei quindi introdurre un elemento di riflessione.

Al quale non credo sia necessario (almeno per il momento) un proseguimento della discussione. Non lo dico per scortesia, ci mancherebbe! Lo dico per rispetto. Infatti diversi anni fa, ci siamo confrontati in profondità e, credo, esaustivamente, sull'argomento. Non so se te lo ricordi, io molto bene perchè fu una bellissima discussione, anche se, dal mio punto di vista, dispiacque non scalfire il tuo negare qualunque possibilità di esistenza del divino. Era l'altro Forum. Bei ricordi.

La riflessione a cui accennavo è la seguente: esiste una possibilità, tu pensi irrilevante, che Dio esista. Nel senso che non abbiamo la matematica certezza che Dio non esista. Tutto qua.  8)

Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

PhyroSphera

Citazione di: Visechi il 16 Novembre 2024, 21:16:35 PMCome esordio mi preme compiere un tentativo, estremo e vano, ne son conscio, di farti notare la singolarità dei costanti inviti che, anche in modo indiretto, rivolgi ad un'immaginata platea di lettori, forse estasiata dal tuo eloquio. Appelli che, a mio parere, sono sufficientemente emblematici e sintomatici del tuo particolare approccio alle tematiche che volta per volta ti vedono impegnato (l'ho notato abbastanza spesso) e dello specioso e autoreferenziale modo di porti nei confronti non solo dell'interlocutore di turno, ma, ben più singolare, rispetto ad un auditorio che, stante il tuo atteggiarti a magister, presumi avvinto dal tuo argomentare. Insomma, singolare è che, nell'esprimere il tuo pensiero (più che lecito), non ti esimi dal montare in cattedra per riprendere e rampognare il discente: "Il lettore può prendere atto che..."; "il lettore avveduto saprà capire che..." e via appellando, richiamando ed invitando.
Che necessità hai di richiamare un immaginato auditorio a convenire con i tuoi fraintendimenti? Insicurezza? Probabile si tratti dall'avvertito scricchiolio di certezze indefettibili più volte espresse ma mai dimostrate, solo enunciate. In effetti, nel prosieguo del tuo ultimo intervento qualcosa ribolle e trans-pare.
Non siamo su un palcoscenico, attorniati da un pubblico avvinto che possa simpatizzare per l'uno o per l'altro. Non immaginarti neppure su un pulpito. Te lo faccio notare perché se dovessimo proseguire a concentrare la nostra attenzione sul rispettivo interlocutore, non faremmo troppi passi avanti nella comprensione della tematica testé affrontata. Discuteremmo di noi, non d'altro, e cadremmo in una noia mortale – almeno io -, mentre il tuo estasiato auditorio ben presto ci scanserebbe, con poco danno per me, ma grave nocumento all'ipertrofia dell'ego... tuo.
Orsù, dunque, compiamo un piccolo sforzo ed asteniamoci dal focalizzarci sulle nostre persone... argomenti!
Entriamo nel merito.
 
Stamattina non ho tempo sufficiente per leggere e rispondere a tutto.
Mi limito a una osservazione necessaria sul preambolo che Visechi ha fatto.
Non c'è mai stato da parte mia un discorso o una illusione di discorso a tu per tu.
L'illusione del palcoscenico non è stata la mia. A parte questa continua proiezione psicologica che Visechi fa - non dico che è patologica o malata - devo pure far notare, non a un palcoscenico ma alla comunità dei lettori (di solito ce ne sono sempre alcuni anche non scriventi), che la manifestazione di un pensiero non sempre rivela l'intimità del pensiero. Visechi non sa neanche se io qui scrivo col mio stile personale e neanche che rapporto c'è tra me e gli argomenti che tratto su questo forum.
Dunque proiezioni e superficialità psicologiche... e mettersi a parlare di ipertrofia dell'ego mentre se ne è vittima è assurdo.
Io avevo specificato che lo scopo principale della mia risposta era mettere a nudo per gli altri qualcosa. Il Visechi finge che io non lo abbia indicato, che abbia scritto altro; è uno di quelli che non accetta le dichiarazioni. Al posto di occuparsi di filosofia potrebbe pentirsi della sua prepotenza e studiare la Convenzione di Ginevra, per non andare oltre. Impari a rispettare le dichiarazioni degli interlocutori e la smetta di fingere a fare lo psicologo, e forse avrà qualche comprensione che adesso gli sfugge proprio.

MAURO PASTORE

Visechi

Citazione di: PhyroSphera il 19 Novembre 2024, 08:07:15 AMStamattina non ho tempo sufficiente per leggere e rispondere a tutto.
Mi limito a una osservazione necessaria sul preambolo che Visechi ha fatto.
Non c'è mai stato da parte mia un discorso o una illusione di discorso a tu per tu.
L'illusione del palcoscenico non è stata la mia. A parte questa continua proiezione psicologica che Visechi fa - non dico che è patologica o malata - devo pure far notare, non a un palcoscenico ma alla comunità dei lettori (di solito ce ne sono sempre alcuni anche non scriventi), che la manifestazione di un pensiero non sempre rivela l'intimità del pensiero. Visechi non sa neanche se io qui scrivo col mio stile personale e neanche che rapporto c'è tra me e gli argomenti che tratto su questo forum.
Dunque proiezioni e superficialità psicologiche... e mettersi a parlare di ipertrofia dell'ego mentre se ne è vittima è assurdo.
Io avevo specificato che lo scopo principale della mia risposta era mettere a nudo per gli altri qualcosa. Il Visechi finge che io non lo abbia indicato, che abbia scritto altro; è uno di quelli che non accetta le dichiarazioni. Al posto di occuparsi di filosofia potrebbe pentirsi della sua prepotenza e studiare la Convenzione di Ginevra, per non andare oltre. Impari a rispettare le dichiarazioni degli interlocutori e la smetta di fingere a fare lo psicologo, e forse avrà qualche comprensione che adesso gli sfugge proprio.

MAURO PASTORE
E con ciò è stata appena officiata la liturgia della letargia. Il nostro letargico magister non rinuncia ad ammannire scipite leziose lezioncine. Bene! Non mi presto a fornirgli materiale che nutra oltre misura il suo ego.

Bye!

PhyroSphera

Citazione di: Visechi il 19 Novembre 2024, 08:31:13 AME con ciò è stata appena officiata la liturgia della letargia. Il nostro letargico magister non rinuncia ad ammannire scipite leziose lezioncine. Bene! Non mi presto a fornirgli materiale che nutra oltre misura il suo ego.

Bye!
Anche da parte mia non c'è intenzione di avviare un battibecco. Il dare del tu io non lo pratico soltanto in un a tu per tu. In quel messaggio avevo usato il tu, ma non per un confronto personale. Non mi esprimevo proprio a livello personale.

MAURO PASTORE

PhyroSphera

Il testo cui replico è sopra su questo forum ed è quello del seguente link: https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/il-diavolo-da-giobbe-e-l-anticristo-in-casa-nietzsche-oltre-le-troppe-ombre/msg93574/#msg93574

Mi attardo ancora su una precisazione: io non ho focalizzato proprio alcuna persona né mostrato la mia persona nelle repliche attuate. Ripeto, scrivere anche col tu non significa per me dare confidenze personali. Detto questo, verrò al dunque nonostante il discorso di tal Visechi sia eticamente del tutto eccepibile (ne dirò alla fine). Di fatto la mia risposta non è accondiscendente e non assume la sua giustificazione della violenza del capro espiatorio. Io non ho da difendere il mondo che un certo ateismo disperatamente vuol sottrarre alle cronache o alle sentenze, comprese quelle dei veri Stati. Con il seguente testo ho da esporre dei contenuti molto seri, con opportune cautele generalizzabili e riferibili non solo a un pensatore ma a tanti. La fatica vale la pena, credo.


Io non ho cominciato a cambiare la mia posizione. Constato che sei tu ad aver assunto un briciolo di moderazione, a fare un po' di chiarezza al lettore sulla tua posizione. Lo hai fatto con tanta confusione sull'altrui però e mettendo a nudo dei fraintendimenti e ignoranze da parte tua sulla realtà religiosa e cristiana.

Attestare la significanza del non-teismo non significa essere in questa prospettiva. Ugualmente sul politeismo. Io mi muovo entro la prospettiva monoteista e cristiana. Tutte le diverse considerazioni del Mistero della Trascendenza sono buone, anche quella panteista, quella enoteista, anche i sistemi misti, purché non vadano oltre le proprie possibilità. Un credente nel Dio unico non deve fingere di avere tanta disponibilità verso le metafore del mito e verso la sola divinità; viceversa un iniziato al mito religioso non deve presumere di avere più di una manifestazione esteriore... e la presenza del divino nell'universo non va pensata se non come l'impressione di un mistero remoto. Il non-teismo è lo stare nella prospettiva del Mistero senza indagarne. Inutile dire che le combinazioni non le ho esplicitate tutte ma non ce ne è bisogno.
L'ateismo non va posto sullo stesso piano. Esso è disimpegno, ma può diventare disastrosa distrazione; è ignoranza, ma può tramutarsi in protervia. E' in ogni caso provvisorietà, per cui eleggerlo a sistema è un'azione perdente, ancor di più contrapporlo ai teismi e non-teismi. Assai semplicemente: prima o poi nella vita, anche alla fine, l'orizzonte ateo si riempie di misteriosità, svanisce. Il punto è questo: tale passaggio, abbandono fatale dell'ateismo, non sempre accade nei tempi giusti o dovuti.

Il Nulla, l'Infinito (Leopardi)... Innanzitutto nell'infinito leopardiano c'è l'idea di Dio; nella finzione di un oltre è contenuta l'idea di Dio. In italiano si dice anche nume. La psicologia della religione di Jung dice del numinoso; gli studi generali della religione anche (R. Otto). La "religione delle illusioni", la illusione poetica che rinfranca dalla disperazione e difficoltà della vita... Per il cinismo ateo, un'aporia, nel senso che il pessimismo leopardiano trovando sollievo nella estetica ovvero nella bellezza e nella invenzione e creatività, nei sogni poetici, si disintegra. Quella disperazione e negazione si rivelano senza vero oggetto. Il ragionamento: "non può esserci un Dio in tanta penuria e dolori" trova risposta nella stessa poesia, dacché quelle penurie e dolori sono svaniti con la bellezza della creatività. Si trova in un altro pensatore e poeta (oltre che notissimo e geniale autore di racconti), E. A. Poe, la risposta: Dio stesso è quel poeta, noi i personaggi, noi che creiamo entro una scena già inventata. Assolutisticamente non possiamo dirci creatori; relativisticamente sì. La illusione rinfrancante contraddice la negazione disperata; Dio riappare sulla scena.
La mistica ebraica, con la Cabala, dice "Ein Sof" e con ciò si può cominciare a decifrare l'idea contenuta nel sentimento dell'infinito. Ma anche il mistico Plotino ci diceva dell'Infinito oltre che dell'Uno e anche, nella Modernità, G. Bruno. Non accade logicamente, ma analogicamente. Non omologamente!!
Bada a quest'ultimo punto se vuoi capire qualcosa della religione e in particolare dei monoteismi e del cristianesimo. Il tuo approccio alla figura di Cristo, che considera blasfema l'interpretazione allegorica e spirituale del crocifisso, proviene non dagli ambienti cristiani ma dai loro paraggi, dove la iconografia è separata dalla iconologia e quindi l'icona vissuta fisicamente. Il corretto e unico approccio possibile è metafisico. Il personaggio storico di Gesù, in particolare di Gesù di Nazareth, ebbe una propria vicenda. Il racconto dice di un martirio e di pezzi di legno reali. Ebbene, tralasciando l'alternativa: sopravvissuto o passato a miglior vita direttamente, si può affermare che la sua missione era di rivelare Dio, non di descrivere i valori del cristianesimo con la sua sventura. Questa religione pratica un forte ricorso al negativo perché proclama la salvezza ultima (estrema, dicevo) e questa è necessaria solo in presenza della massima negatività. Non si basa su quest'ultima ma è un modo per il suo superamento - e questo non significa illudersi che non esista il limite, ma comprendere la presenza di Dio nei labirinti più critici della vicenda umana. In tal senso: allegoria. Non nel senso che Gesù è solo figura ideale.

Quanto alla psicologia e a Jung, esistono studi junghiani che si focalizzano sulla funzione allegorica dei simboli psichici. Negare questa possibilità e realtà della nostra mente significa tentare di ridurre tutto o accentrare tutto alla dimensione semiotica, del segno. Ma proprio questo Jung mostrò essere un pregiudizio, una ignoranza, una distrazione.
Tra i postjunghiani J. Hillman rimase alla dimensione del puro mito, perché quello era il suo campo di ricerca; ma c'è la psicologia complessa e quella transpersonale.
Tu confondi spirito e psiche. Io non dicevo di sola spiritualità, anche di spirito. La scienza psicologica considera al livello della supercoscienza la presenza di un non-psicologico che è coincidente con la dimensione culturale della spiritualità; quale presenza di ulteriorità alla psiche, non della stessa psiche. Si chiamano, queste così, teorie scientifiche di confine (nel nostro caso: psicologia transpersonale (Maslow, Assagioli) psicosintesi (Assagioli)...).

Sulla tragedia greca hai esposto delle astrazioni: ethos e nomos... Ben detto, ma solo se vogliamo ritrarre, in senso universale, anche qualsiasi altra tragedia. Io invece mi riferivo alla lettura antropologica di Girard della figura di Edipo; e mi riferivo alla vicenda esistenziale degli antichi greci, che io conosco; quindi stavo facendo dei riferimenti non astratti, storici ed esistenziali. Cosa aveva a che vedere Edipo (e anche gli altri personaggi tragici) con la vita dei greci elleni, quelli che si recavano nei teatri per vedere in scena le opere di Eschilo, Sofocle, Euripide? Si tratta di ritratti della grecità? Io dicevo di no, perché dovevo indicare da quale parte della storia si trova la prospettiva criminologica del capro espiatorio, o almeno da quale parte non si trova.

Il pastrocchio che commetti accomunando Leopardi, Baudelaire, Sartre, Spinoza, Bergson... forse in altra sede tu ne hai fatto riferimenti sensati, ma in questo discorso è solo come una macedonia riuscita male.

Tu dici di un quid, restando all'apparenza della mistica religiosa, cioè a un vuoto o nulla che si para innanzi e che invece è -aggiungo io- Dio... ma appunto lo definisci quid, cioè lo oggettualizzi. Riflettere autocriticamente su questo passaggio ti porterebbe a trovare il modo di accedere al divino, la divinità, Dio, evitando di porti in antagonismo senza valido motivo. Dio non è un oggetto, diceva il teorico del Pensiero Debole G. Vattimo, dopo essersi avvicinato alla tradizione cattolico-cristiana mostrandone la possibilità di coerenza oltre i falsi miti della modernità... Non tronco il discorso così, con la menzione di una filosofia che ebbe dei meriti solo in particolari contesti, ma che in altri sarebbe disastrosa e che ad oggi, nella versione che ci è rimasta del prof. Vattimo, risulta sorpassata nel vivo del dibattito filosofico, politico, culturale che riguarda questo dialogo. Faccio presente che io non dicevo di 'fondamento' a proposito degli studi di Girard, ma di contesto sociale fondamentale; è proprio diverso! La oggettualizzazione del contenuto della Trascendenza impedisce di decifrare il simbolo cristiano del Crocifisso, anche la relativa teologia. Se il non-teista buddhismo è un sistema per difendersi dalla illusorietà della realtà, il monoteista cristianesimo è un sistema per difendersi dagli inganni della esistenza. La dottrina cristiana non può essere compresa se si rifiuta una perdita dell'ingenuità; che non è quella dei miti greci e degli altri miti religiosi.
Col racconto evangelico della missione di Gesù e del tradimento di Giuda e della rabbia delle folle, ci troviamo di fronte a un caso di pertinenza criminologica. Certo, si sono fatte anche ipotesi, secondo cui Giuda voleva solo mettere alla prova Gesù, la folla gridando non voleva invitare alcuno a procedere e neppure farsi ragione, Gesù di Nazareth non aveva trovato niente di meglio che passare un guaio per concludere il proprio còmpito... Ma anche così, la questione resta di tipo criminologico. La meditazione di R. Girard su tale episodio biblico aveva innegabilmente uno sfondo criminologico; ma pure quella su Edipo, perché la violenza efferata, quandanche fosse frutto solo di circostanze sfortunatissime e inevitabili, è pur sempre argomento specifico della criminologia. Questa non sempre è parte attiva di un processo a qualcuno.
E' una esigenza universale la stigmatizzazione o condanna di ciò che agisce contro la logica della vita; e la logica della vita umana differisce da quella delle capre; neanche quest'ultima può sempre ammettere la fine violenta (per i particolari sui mondi pastorali, rimando al mio precedente messaggio). Gesù di Nazareth fu vittima di un tradimento ed accettò la sciagura senza ricusare Dio. La dottrina cristiana non ha mai affermato la bontà di questa evenienza, tanto che il crocifisso simboleggia oltre che la presenza di Dio anche l'opera del diavolo. Quest'ultima però rimane smentita, incompiuta; il divisore non riesce nella sua impresa.
Dio crocifisso non significa che il Nazareno, quale eroe divino finito in una inspiegabile ristrettezza, era irreale, incubo blasfemo nel suo rivolgersi ancora a Dio. Significa che Dio si fa carico delle sciagure umane. Lo significa quale dimostrazione non della bontà della sciagura ma di Dio che in esse è proteso ad aiutare le vittime. Dunque Dio, non l'uomo Gesù, si sacrifica sulla 'croce'; e Dio ovviamente non ne reca danno, ne resta esente.
La dottrina cristiana ortodossa nega che in Gesù Cristo vi sia una sola volontà. Ciò significa che si può fare considerazione separata dell'uomo Gesù e di Cristo Dio, distinguendo personaggio storico da figura teologica!! Non è una invenzione postmoderna.

Comunque: per capire la prospettiva monoteista entro il contesto aperto da tale dialogo, non l'Infinito ma l'Eterno è ciò che fa da giusto supporto filosofico. Nel caso del cristianesimo, l'iniziazione filosofico-mistica all'Eternità non fornisce gli strumenti per capire la fede cristiana, solo per descriverla filosoficamente; e ancor meno la tensione metafisica verso l'Infinito. Questa può servire per definire qualcosa. Insomma il primo passo è una ispirazione.

Non bisogna spingere la critica oltre il dovuto. Altrimenti si finisce col negare assieme alla spiritualità delle religioni anche le scienze e col mandare in fumo la stessa ragione filosofica. Bisogna prendere nella dovuta considerazione le tesi teiste (monoteiste, nella fattispecie), altrimenti si finisce in una totale contraddizione nello stesso procedere del discorso, rivolgendosi a una materia che non si vuol riconoscere. Cioè: come a dimostrare che in un armadio non ci sono abiti mentre li si sta muovendo con le mani.



MAURO PASTORE

misummi

Dio e il Diavolo così come dono visti e definiti sulla Terra sono una caricatura di un quid che ci sfugge completamente 
Si può evitare la caricatura ma quel quid occhieggia sempre dentro e fuori la gente!

Visechi

Vedo che non rinunci al tuo solo immaginato auditorio. Lo appelli, lo chiami in causa per offrirgli una delucidazione "sulla mia posizione" (presunzione grottesca), per rendere chiaro quel che chiaro proprio non ti è. In tutto questo motteggio da imbonitore, redarguisci, ammonisci e rimbrotti. Vabbè, transeat, ce ne faremo una ragione, non mi va di spendere troppe parole per insegnarti il dialogo e farti gustare il piacere del confronto. Spero comunque che alcuni messaggi riescano a scalfire l'involucro che hai eretto a protezione della tua vacillante tetragona sapienza e che il florilegio vaporoso di mal comprese casuali lezioni studentesche si apra al dubbio. Vedremo.
 
Noto che da subito non ti fai sfuggire l'occasione per compiere un peccato di presunzione quando sostieni con tracotante eccessiva enfasi che l'ateismo sia 'disimpegno che può sfociare in disastrosa distrazione", negando d'un sol fiato l'esperienza di decine di pensatori convintamente atei che hanno inciso tracce indelebili nella storia della cultura universale, ai quali certamente non puoi addebitare disimpegno e men che meno mancanza di profondità nell'analisi. Sostenere che sia ignoranza è un'altra delle tue perle di arroganza, ma la sciocchezza più evidente è la pretesa che l'ateismo sia un approdo provvisorio destinato a svanire come orizzonte esistenziale. Credi che certe sciocchezze, peraltro smentite dall'esperienza quotidiana che coinvolge tutti noi, meritino dei commenti o di essere confutate? Ho già scritto che sei autoreferenziale, ma qui più che altro mi pare che il tuo pensiero sia del tutto alieno dal confronto e conforto con e della realtà. Più spesso si è assistito all'abbandono fatale della fede, soprattutto dopo gli eventi cruenti del secolo breve.
 
In ragione delle tue poco accorte parole circa l'Infinito leopardiano, trova conforto la mia marcata e già evidenziata opinione che tu tenda a con-fondere Trascendenza (ribadisco, innegabile) con Dio. Non si tratta di sinonimi. È concepibile e percepibile una trascendenza che sia l'approdo speculativo, ma anche emozionale, della coscienza della finitudine e della limitatezza umane. Perciò ti scrissi, senza che tu abbia capito alcunché, che il dialogo con il proprio animo, col profondo (potrei inondarti di parole su questo tema), porta a lambire la percezione di un oltre, di una trascendenza che al suo fondo abissale non incontra alcun Dio (fattelo raccontare da Husserl), se non quando questo è posto e preteso dalla necessità di dar conforto per acquietare un animo che ribolle, un animo in tramestio. Nietzsche sosteneva che il cristianesimo e Dio stesso fossero la rivalsa e la risposta del risentimento dei deboli. Si tratta di una risposta pretesa dall'ansia, edificata da un'angoscia esistenziale, istituita da un male di vivere che ha impregnato di sé l'intera opera leopardiana (almeno dal 1819 – se insisti nel mostrarti ottuso ti inserisco i brani) e di cui l'Infinito è preclara testimonianza (vuoi la parafrasi del poema?). Sartre l'ha battezzato con il termine Nausea, cui diede un rimedio vitale come l'Impegno (l'uomo si edifica da sé, scaraventato nel mondo, nasce come una tabula rasa, da qui la necessità di edificarsi esistendo); Baudelaire con l'ennui e i suoi paradisi artificiali. Ma tu, ovviamente, limitato oltre che 'finito', non sei riuscito a capire nulla... non mi stupisco! Mentre faccio ammenda per Spinoza e Bergson: rileggendo mi son reso conto di essermi fatto prendere dalla fretta ed aver costruito un pastrocchio. L'elan vitale, il conatus essendi, come anche in buona misura la volontà di potenza di N., o l'arte di Shopi rappresentano delle vie di fuga, la cura alla percezione del non senso della vita.
In poche e conclusive parole, è nel fondo abissale dell'anima che si entra in contatto con il tramestio della trascendenza, dell'ulteriorità che ci abita. Questa percezione, questo lambire l'orizzonte degli eventi dell'oltre non ci collega ad una dimensione metafisica esogena, ontologicamente collocata e stabilmente ubicata all'esterno dell'essere; è l'essere stesso che sprofonda in sé stesso, come un astro in un buco nero. Dio o Marx (spero capisca l'allegoria di Marx... sii allergologo, una volta tanto) sono quel tanto che forniamo come risposte ultime e transeunti a questo richiamo abissale. Dio è l'ipostasi (credo inconscia) della percezione del Nulla (quello trovi oltre quell'oltre che ci abita); parimenti, Marx è l'idea (logica) che edifichiamo coscientemente per non udire la Nausea, l'ennui, la Noia, il Male di vivere che, se non calmierata, conduce alla follia. Perciò Dio o Marx (sii allergologo nel leggere Marx) hanno svolto un compito terapeutico come cura dal Male. Qui non hai torto. Ma si tratta di cure da farmacopea, entrambe. Volute e cercate o istituite dalla necessità espressa dal Nulla. Sono le illusioni (per tornare a Leopardi) che offrono riparo dal dolore che il non sense espresso dalla nullità di tutte le cose si trascina appresso, almeno fintanto che "Nobil natura è quella/ che a sollevar s'ardisce/gli occhi mortali incontra/ al comun fato, e che con franca lingua,/ nulla al ver detraendo,/ confessa il mal che ci fu dato in sorte..."
 
A grandi linee (perdonami la semplificazione di un pensiero complesso), Mircea Eliade, con piena ragione, ha sostenuto che l'umanità è una storia di religione. Innegabile, almeno fintanto che la ratio non sopravvenne per inverare questo predominio, che in un mondo secolarizzato è oramai sfumato e reso labile come non mai. È un bene? Un Male? Non sta a me dirlo... ma quantomeno è vero. Colgo anch'io nel respiro del Nulla la caducità dell'esistenza umana e i rischi insiti in questa fase storica di transizione.
 
Per quanto riguarda Cristo con questo intervento, per certi versi apprezzabile, chiarisci meglio rendendo maggiormente condivisibile il tuo pensiero. L'unico approccio possibile, concordo, non può che essere metafisico. Può anche non esserci un approccio e ritenere la narrazione dei Vangeli e le successive (stupende) interpretazioni solo filosofiche per la e della mente. In ogni caso, da ateo convinto, ti riporto un brano, interamente pensato e scritto da me ed inserito in un breve racconto che non ricordo se ho pubblicato su questo forum.
Son due personaggi che s'incontrano dopo tanti anni. È lei che parla:
"Io, dentro di me, sento che il Logos, facendosi carne, ha patito sulla croce non solo come carne, ma anche come divinità. Gesù è un paradosso. Non puoi pensare di scindere la divinità dall'umanità di Gesù; è la sua stessa natura che non lo permette. Diversamente, la morte sulla croce e l'intera vita di Gesù, sarebbero solo una finzione, una bugia – forse pietosa – raccontata all'uomo, poiché la divinità non avrebbe partecipato al dolore e non sarebbe stata quindi partecipe delle afflizioni dell'umanità. L'incarnazione, invece, impone proprio questo. Dio si è fatto uomo, nella sua interezza: carne intrisa di gioia e dolore, certezze e dubbi. E' per questo motivo che ti ripeto che è Dio stesso che soffre. Anche il dubbio insinuatosi sulla croce, i cui segni sono rinvenibili nel Getsemani, sono la cifra di un'agonia spirituale che coinvolge la divinità in prima persona, e Gesù, in quanto uomo divino, non poté sottrarsi a questa agonia, la quale trovò il suo epilogo nell'agonia della carne divina sulla croce. Ritenere che la sofferenza abbia coinvolto solo la carne, lasciando intatta la natura divina, significa sostenere un'algida alterità di Dio rispetto alle vicende umane, ciò sarebbe in aperto contrasto e negherebbe di fatto la passione amorosa che dovette convincere Dio a dare sé stesso per riscattare la creazione dal peccato, e sarebbe un'indelicatezza rispetto al mio amore, che non posso concedere".
Il cristianesimo si compie o muore ai piedi di quei quattro legni. Questo ci dice la teologia del Dio crocifisso di Moltmann, teologia del mondo riformato, ben diversa da quella di Benedetto XVI, che si mantiene forzatamente coerente alla tradizione tracciata da Sanctae Romanae Ecclesiae.
 

Ancora una volta ribadisco con ancor maggior enfasi che la vicenda di Gesù nell'analisi girardiana non è incuneata entro un 'contesto sociale criminologico fondamentale'. No, nel modo più assoluto. L'ira popolare descritta nei Vangeli è il momento culminante della tensione che, privata di sfogo, rischia di esplodere in maniera incontrollata. Furia violenta che va incanalata affinché la deflagrante violenza accumulata trovi uno via d'uscita e pian piano sia ricondotta a livelli comunitariamente accettabili. È, per l'appunto, la giusta esposizione di un evento, noto all'intero universo umano, da collocarsi pienamente nell'ambito della vittimizzazione dell'innocente, ovverosia del paradigma del capro espiatorio. Aspetto ben colto anche dalla liturgia cristiana con la definizione di 'agnello di Dio'.
 
Sul 'pastrocchio' ti ho risposto facendo pubblica ammenda per la confusione creata.
Sulla tragedia greca, Edipo, Girard evito di cercare di comprendere pensieri espressi male. Non creare pastrocchi tu, ora.
 
Il quid di cui parlo non è oggettivato o oggettivabile, non essendo neppure definibile né collocabile. È semplicemente quel di più che, pur essendo un prodotto del bios, lo trascende, lo sopravanza e supera. Quel di più che i nostri sensi e il nostro sentimento fugacemente colgono in un baluginare indecifrato ma ben sentito e avvertito. Quel quid tu pare lo riempi di un contenuto impersonale, immateriale che chiami Dio (oggettivandolo). Io mi limito a definirlo 'vita psichica': immateriale e personale (in quanto prodotto del bios individuale). Il tuo Dio si regge appellandosi alla tua filosofia, come la mia 'vita psichica' si aggrappa agli incerti sostegni delle neuro scienze. Non vedo dei nel fondo dell'abisso emerso dai forni di Auschwitz, ancor meno lo scorgo appeso alla forca di Wiesel, non lo vedo nei drammi del dolore degli innocenti. Se credessi nel tuo Dio restituirei il biglietto d'ingresso, perché l'armonia del creato che questo deus absconditus ci offre è costruita sul pianto degli innocenti. Grazie a Dio, Dio non esiste. La sua inesistenza salva Dio dalle giuste bestemmie che l'intero creato dovrebbe tributargli.
Urla Giobbe, urla Auschwitz, urla la madre che perde il sorriso del proprio bimbo, urla una donna stuprata nel corpo e dilaniata nell'anima... Ma la vita continua sorda ai lamenti, sorda a quel che accade... perché quel che accade è proprio ciò che deve accadere, senza finzioni, senza orpelli, senza barocchismi stucchevoli che rendano meno greve la visione di chi piange nell'anima perché ha dissecato la fonte delle proprie lacrime, di chi non ha più voce per gridare ed esigere una mano tesa che si sporga in un gesto d'aiuto, cui è rimasto solo un flebile filo di voce per restituire a quel Dio sì tanto indifferente la responsabilità che si deve accollare: <Padre, Padre perché mi hai abbandonato?>. "
E si ode ancora l'eco della protesta di Cioran: <<...Ecco perché, quando ingiuriamo il cielo, lo facciamo in virtù del diritto di colui che porta sulle spalle il fardello di un altro. Dio non è all'oscuro di quello che ci succede - e se ha mandato il Figlio, affinché ci tolga una parte delle nostre pene, lo ha fatto non per pietà, ma per rimorso.>>. 
La profondità dell'urlo di protesta di Giobbe è tale da solcare il tempo e lo spazio, fino a congiungersi allo scoramento e al gemito di Gesù. Non vi è cesura fra i due eventi, solo un tratto di storia – dell'uomo – in assenza di Dio, costellato dal dolore, contrappuntato dal Male inconsulto che insorge bestiale a nutrire la vita. Non vi è cesura fra Giobbe, Gesù e le baracche di Auschwitz e Darkenau. Vi è continuità nel Male che s'insinua perfido nel cuore e prorompe dalla gola di madri che piangono figli, senza un perché, senza un motivo. Dio non ha mai fornito risposte, non vi è teofania che lo abbia giustificato. Quando, richiamato dall'urlo di Giobbe, fece udire la sua voce, non lo fece per svelare il mistero della vita e del Male, ma solo per accentuarli, per marcare una distanza incolmabile fra terra e cielo. Dio non è crudele, la crudeltà non trova ospitalità fra i suoi misteri. Dio parrebbe perseguire un progetto ineffabile, inconoscibile, intangibile ed inintelligibile, ma questo progetto dissemina la terra di vittime innocenti, le stesse vittime innocenti – i tanti bambini morti per caso, senza un perché - che indussero in un famoso personaggio di Dostoevskji un moto di ribellione, fino a rifiutare la coppa della vita, la cornucopia ricolma di tanti mali, fino ad infrangerla sul il pavimento per non volerne più cogliere i cocci, fino a restituire a Dio il biglietto d'ingresso nella mortifera Vita. L'Anima è ricettacolo di questa discrasia, e l'uomo avverte quest'antinomia presente nella vita, nella creazione. L'avverte in una visione tragica, che dilania, che accentua vieppiù la lacerazione dell'Origine. E non vi è sutura che possa redimerla. Chi soffre non è il corpo, è l'Anima. Quando l'Anima soffre, patisce l'intero corpo, patisce l'uomo nella sua interezza: mente, Anima, corpo."
 

PhyroSphera

Citazione di: Visechi il 20 Novembre 2024, 09:17:08 AMVedo che non rinunci al tuo solo immaginato auditorio. Lo appelli, lo chiami in causa per offrirgli una delucidazione "sulla mia posizione" (presunzione grottesca), per rendere chiaro quel che chiaro proprio non ti è. In tutto questo motteggio da imbonitore, redarguisci, ammonisci e rimbrotti. Vabbè, transeat, ce ne faremo una ragione, non mi va di spendere troppe parole per insegnarti il dialogo e farti gustare il piacere del confronto. Spero comunque che alcuni messaggi riescano a scalfire l'involucro che hai eretto a protezione della tua vacillante tetragona sapienza e che il florilegio vaporoso di mal comprese casuali lezioni studentesche si apra al dubbio. Vedremo.
 
Noto che da subito non ti fai sfuggire l'occasione per compiere un peccato di presunzione quando sostieni con tracotante eccessiva enfasi che l'ateismo sia 'disimpegno che può sfociare in disastrosa distrazione", negando d'un sol fiato l'esperienza di decine di pensatori convintamente atei che hanno inciso tracce indelebili nella storia della cultura universale, ai quali certamente non puoi addebitare disimpegno e men che meno mancanza di profondità nell'analisi. Sostenere che sia ignoranza è un'altra delle tue perle di arroganza, ma la sciocchezza più evidente è la pretesa che l'ateismo sia un approdo provvisorio destinato a svanire come orizzonte esistenziale. Credi che certe sciocchezze, peraltro smentite dall'esperienza quotidiana che coinvolge tutti noi, meritino dei commenti o di essere confutate? Ho già scritto che sei autoreferenziale, ma qui più che altro mi pare che il tuo pensiero sia del tutto alieno dal confronto e conforto con e della realtà. Più spesso si è assistito all'abbandono fatale della fede, soprattutto dopo gli eventi cruenti del secolo breve.
 
In ragione delle tue poco accorte parole circa l'Infinito leopardiano, trova conforto la mia marcata e già evidenziata opinione che tu tenda a con-fondere Trascendenza (ribadisco, innegabile) con Dio. Non si tratta di sinonimi. È concepibile e percepibile una trascendenza che sia l'approdo speculativo, ma anche emozionale, della coscienza della finitudine e della limitatezza umane. Perciò ti scrissi, senza che tu abbia capito alcunché, che il dialogo con il proprio animo, col profondo (potrei inondarti di parole su questo tema), porta a lambire la percezione di un oltre, di una trascendenza che al suo fondo abissale non incontra alcun Dio (fattelo raccontare da Husserl), se non quando questo è posto e preteso dalla necessità di dar conforto per acquietare un animo che ribolle, un animo in tramestio. Nietzsche sosteneva che il cristianesimo e Dio stesso fossero la rivalsa e la risposta del risentimento dei deboli. Si tratta di una risposta pretesa dall'ansia, edificata da un'angoscia esistenziale, istituita da un male di vivere che ha impregnato di sé l'intera opera leopardiana (almeno dal 1819 – se insisti nel mostrarti ottuso ti inserisco i brani) e di cui l'Infinito è preclara testimonianza (vuoi la parafrasi del poema?). Sartre l'ha battezzato con il termine Nausea, cui diede un rimedio vitale come l'Impegno (l'uomo si edifica da sé, scaraventato nel mondo, nasce come una tabula rasa, da qui la necessità di edificarsi esistendo); Baudelaire con l'ennui e i suoi paradisi artificiali. Ma tu, ovviamente, limitato oltre che 'finito', non sei riuscito a capire nulla... non mi stupisco! Mentre faccio ammenda per Spinoza e Bergson: rileggendo mi son reso conto di essermi fatto prendere dalla fretta ed aver costruito un pastrocchio. L'elan vitale, il conatus essendi, come anche in buona misura la volontà di potenza di N., o l'arte di Shopi rappresentano delle vie di fuga, la cura alla percezione del non senso della vita.
In poche e conclusive parole, è nel fondo abissale dell'anima che si entra in contatto con il tramestio della trascendenza, dell'ulteriorità che ci abita. Questa percezione, questo lambire l'orizzonte degli eventi dell'oltre non ci collega ad una dimensione metafisica esogena, ontologicamente collocata e stabilmente ubicata all'esterno dell'essere; è l'essere stesso che sprofonda in sé stesso, come un astro in un buco nero. Dio o Marx (spero capisca l'allegoria di Marx... sii allergologo, una volta tanto) sono quel tanto che forniamo come risposte ultime e transeunti a questo richiamo abissale. Dio è l'ipostasi (credo inconscia) della percezione del Nulla (quello trovi oltre quell'oltre che ci abita); parimenti, Marx è l'idea (logica) che edifichiamo coscientemente per non udire la Nausea, l'ennui, la Noia, il Male di vivere che, se non calmierata, conduce alla follia. Perciò Dio o Marx (sii allergologo nel leggere Marx) hanno svolto un compito terapeutico come cura dal Male. Qui non hai torto. Ma si tratta di cure da farmacopea, entrambe. Volute e cercate o istituite dalla necessità espressa dal Nulla. Sono le illusioni (per tornare a Leopardi) che offrono riparo dal dolore che il non sense espresso dalla nullità di tutte le cose si trascina appresso, almeno fintanto che "Nobil natura è quella/ che a sollevar s'ardisce/gli occhi mortali incontra/ al comun fato, e che con franca lingua,/ nulla al ver detraendo,/ confessa il mal che ci fu dato in sorte..."
 
A grandi linee (perdonami la semplificazione di un pensiero complesso), Mircea Eliade, con piena ragione, ha sostenuto che l'umanità è una storia di religione. Innegabile, almeno fintanto che la ratio non sopravvenne per inverare questo predominio, che in un mondo secolarizzato è oramai sfumato e reso labile come non mai. È un bene? Un Male? Non sta a me dirlo... ma quantomeno è vero. Colgo anch'io nel respiro del Nulla la caducità dell'esistenza umana e i rischi insiti in questa fase storica di transizione.
 
Per quanto riguarda Cristo con questo intervento, per certi versi apprezzabile, chiarisci meglio rendendo maggiormente condivisibile il tuo pensiero. L'unico approccio possibile, concordo, non può che essere metafisico. Può anche non esserci un approccio e ritenere la narrazione dei Vangeli e le successive (stupende) interpretazioni solo filosofiche per la e della mente. In ogni caso, da ateo convinto, ti riporto un brano, interamente pensato e scritto da me ed inserito in un breve racconto che non ricordo se ho pubblicato su questo forum.
Son due personaggi che s'incontrano dopo tanti anni. È lei che parla:
"Io, dentro di me, sento che il Logos, facendosi carne, ha patito sulla croce non solo come carne, ma anche come divinità. Gesù è un paradosso. Non puoi pensare di scindere la divinità dall'umanità di Gesù; è la sua stessa natura che non lo permette. Diversamente, la morte sulla croce e l'intera vita di Gesù, sarebbero solo una finzione, una bugia – forse pietosa – raccontata all'uomo, poiché la divinità non avrebbe partecipato al dolore e non sarebbe stata quindi partecipe delle afflizioni dell'umanità. L'incarnazione, invece, impone proprio questo. Dio si è fatto uomo, nella sua interezza: carne intrisa di gioia e dolore, certezze e dubbi. E' per questo motivo che ti ripeto che è Dio stesso che soffre. Anche il dubbio insinuatosi sulla croce, i cui segni sono rinvenibili nel Getsemani, sono la cifra di un'agonia spirituale che coinvolge la divinità in prima persona, e Gesù, in quanto uomo divino, non poté sottrarsi a questa agonia, la quale trovò il suo epilogo nell'agonia della carne divina sulla croce. Ritenere che la sofferenza abbia coinvolto solo la carne, lasciando intatta la natura divina, significa sostenere un'algida alterità di Dio rispetto alle vicende umane, ciò sarebbe in aperto contrasto e negherebbe di fatto la passione amorosa che dovette convincere Dio a dare sé stesso per riscattare la creazione dal peccato, e sarebbe un'indelicatezza rispetto al mio amore, che non posso concedere".
Il cristianesimo si compie o muore ai piedi di quei quattro legni. Questo ci dice la teologia del Dio crocifisso di Moltmann, teologia del mondo riformato, ben diversa da quella di Benedetto XVI, che si mantiene forzatamente coerente alla tradizione tracciata da Sanctae Romanae Ecclesiae.
 
Ancora una volta ribadisco con ancor maggior enfasi che la vicenda di Gesù nell'analisi girardiana non è incuneata entro un 'contesto sociale criminologico fondamentale'. No, nel modo più assoluto. L'ira popolare descritta nei Vangeli è il momento culminante della tensione che, privata di sfogo, rischia di esplodere in maniera incontrollata. Furia violenta che va incanalata affinché la deflagrante violenza accumulata trovi uno via d'uscita e pian piano sia ricondotta a livelli comunitariamente accettabili. È, per l'appunto, la giusta esposizione di un evento, noto all'intero universo umano, da collocarsi pienamente nell'ambito della vittimizzazione dell'innocente, ovverosia del paradigma del capro espiatorio. Aspetto ben colto anche dalla liturgia cristiana con la definizione di 'agnello di Dio'.
 
Sul 'pastrocchio' ti ho risposto facendo pubblica ammenda per la confusione creata.
Sulla tragedia greca, Edipo, Girard evito di cercare di comprendere pensieri espressi male. Non creare pastrocchi tu, ora.
 
Il quid di cui parlo non è oggettivato o oggettivabile, non essendo neppure definibile né collocabile. È semplicemente quel di più che, pur essendo un prodotto del bios, lo trascende, lo sopravanza e supera. Quel di più che i nostri sensi e il nostro sentimento fugacemente colgono in un baluginare indecifrato ma ben sentito e avvertito. Quel quid tu pare lo riempi di un contenuto impersonale, immateriale che chiami Dio (oggettivandolo). Io mi limito a definirlo 'vita psichica': immateriale e personale (in quanto prodotto del bios individuale). Il tuo Dio si regge appellandosi alla tua filosofia, come la mia 'vita psichica' si aggrappa agli incerti sostegni delle neuro scienze. Non vedo dei nel fondo dell'abisso emerso dai forni di Auschwitz, ancor meno lo scorgo appeso alla forca di Wiesel, non lo vedo nei drammi del dolore degli innocenti. Se credessi nel tuo Dio restituirei il biglietto d'ingresso, perché l'armonia del creato che questo deus absconditus ci offre è costruita sul pianto degli innocenti. Grazie a Dio, Dio non esiste. La sua inesistenza salva Dio dalle giuste bestemmie che l'intero creato dovrebbe tributargli.
Urla Giobbe, urla Auschwitz, urla la madre che perde il sorriso del proprio bimbo, urla una donna stuprata nel corpo e dilaniata nell'anima... Ma la vita continua sorda ai lamenti, sorda a quel che accade... perché quel che accade è proprio ciò che deve accadere, senza finzioni, senza orpelli, senza barocchismi stucchevoli che rendano meno greve la visione di chi piange nell'anima perché ha dissecato la fonte delle proprie lacrime, di chi non ha più voce per gridare ed esigere una mano tesa che si sporga in un gesto d'aiuto, cui è rimasto solo un flebile filo di voce per restituire a quel Dio sì tanto indifferente la responsabilità che si deve accollare: <Padre, Padre perché mi hai abbandonato?>. "
E si ode ancora l'eco della protesta di Cioran: <<...Ecco perché, quando ingiuriamo il cielo, lo facciamo in virtù del diritto di colui che porta sulle spalle il fardello di un altro. Dio non è all'oscuro di quello che ci succede - e se ha mandato il Figlio, affinché ci tolga una parte delle nostre pene, lo ha fatto non per pietà, ma per rimorso.>>.
La profondità dell'urlo di protesta di Giobbe è tale da solcare il tempo e lo spazio, fino a congiungersi allo scoramento e al gemito di Gesù. Non vi è cesura fra i due eventi, solo un tratto di storia – dell'uomo – in assenza di Dio, costellato dal dolore, contrappuntato dal Male inconsulto che insorge bestiale a nutrire la vita. Non vi è cesura fra Giobbe, Gesù e le baracche di Auschwitz e Darkenau. Vi è continuità nel Male che s'insinua perfido nel cuore e prorompe dalla gola di madri che piangono figli, senza un perché, senza un motivo. Dio non ha mai fornito risposte, non vi è teofania che lo abbia giustificato. Quando, richiamato dall'urlo di Giobbe, fece udire la sua voce, non lo fece per svelare il mistero della vita e del Male, ma solo per accentuarli, per marcare una distanza incolmabile fra terra e cielo. Dio non è crudele, la crudeltà non trova ospitalità fra i suoi misteri. Dio parrebbe perseguire un progetto ineffabile, inconoscibile, intangibile ed inintelligibile, ma questo progetto dissemina la terra di vittime innocenti, le stesse vittime innocenti – i tanti bambini morti per caso, senza un perché - che indussero in un famoso personaggio di Dostoevskji un moto di ribellione, fino a rifiutare la coppa della vita, la cornucopia ricolma di tanti mali, fino ad infrangerla sul il pavimento per non volerne più cogliere i cocci, fino a restituire a Dio il biglietto d'ingresso nella mortifera Vita. L'Anima è ricettacolo di questa discrasia, e l'uomo avverte quest'antinomia presente nella vita, nella creazione. L'avverte in una visione tragica, che dilania, che accentua vieppiù la lacerazione dell'Origine. E non vi è sutura che possa redimerla. Chi soffre non è il corpo, è l'Anima. Quando l'Anima soffre, patisce l'intero corpo, patisce l'uomo nella sua interezza: mente, Anima, corpo."
 
Quale preambolo etico, affermo innanzitutto che la vittimizzazione dell'innocente o è incubo, nel pensiero, o è crimine, nell'azione. Si tratta di un'ovvietà, un'autoevidenza, dice il filosofo.
Quale avvertenza estetica, metto in guardia il lettore dai fuochi d'artificio retorici oppostimi: si tratta di un sofisma e i sofismi sono pericolosi per gli ingenui e sprovveduti.


Io dicevo, a proposito di ateismo, di disimpegno nel còmpito prima o poi necessario verso l'Assoluto.
'Visechi' ha tentato di difendersi, alla mia critica contro l'oggettivazione del Mistero, dicendo che il suo quid è un prodotto del bios. Allora, così, nessuna Trascendenza, solo il trascendentale (che è diverso). Perché lui se ne vuol occupare e vuol insegnare agli altri che essa porta al Nulla? (Non si fa! - nel senso che non si "quaglia" così.)
Lui dice che io confondo Dio e trascendenza. Ma Dio è presente nel mondo e lo trascende! Jung notava: dire il mondo è la mia rappresentazione può valere addirittura come sintesi del sistema filosofico di Schopenhauer, ribaltarne l'affermazione dicendo "la mia rappresentazione è il mondo" invece è specchio di follia. Scambiare sé stessi per il Mistero e negare quest'ultimo, come fa tal Visechi, non è sbagliare sulle cose ma è pur sempre, specialmente a livello filosofico, una chiusura sbagliata. O uno si occupa della Trascendenza senza confonderla per una via verso il nulla, o lascia perdere. Wittgenstein, a riguardo, poteva insegnare qualcosa e bisognerebbe farla finita di voler assegnare ai sostenitori della fede in qualcos'altro il ruolo di folli.
Su Dio, sofferenza, unione uomo-Dio, i teologi ne dicono e ne discutono, Moltmann compreso, ma costui a distanza e senza poter raggiungere l'autentico pensiero greco antico sulla apatia divina ma restando alle soglie dell'ellenismo, che era anche oltre i domini romani raggiunti dal ricorso forte al Gesù di Nazareth.
Se si accoglie il pensiero dell'amor fati quale premessa, non quale approdo e per giunta tardivo, ecco che non c'è bisogno di rimproverare a Dio le sciagure del mondo. Questa è saggezza che possiamo fare, mentre quella del Libro di Giobbe è sapienza, di cui poter cogliere i frammenti. Nel primo caso, il cammino della virtù; nel secondo della santità. Se l'evento negativo è estremo, ci possono stare tutte e due anche, ma la prima diversamente. L'ateo ostinato si confina entro i termini della saggezza senza intenderne i limiti e ciò non basta per avere sicurezza anzi è incertezza assicurata.

Aggiungo: il ribadire dell'avversario contro l'affermazione del bisogno antropologico di Dio nella convinzione che sia un'angoscia travestita, il citare le inquietudini e dilemmi esistenzialisti, Leopardi, Baudelaire, Sartre... Per questi ultimi io consiglio di valutare e confrontarsi con l'esistenzialismo positivo formulato da N. Abbagnano senza confondere piani terapeutici per dimostrazioni logico-filosofiche né ingannandosi o illudendosi di autentiche teorie scientifiche che confermino l'ufficio del negatore di Dio... Mentre per la prima insistenza io direi ai malcapitati di notare che l'ateismo aggressivo contro credenze religiose e fedi ad esse connesse coincide e si identifica con l'oblio dell'umano, nel suo aspetto e condotta numinosi. E' questa affermazione che è connotabile scientificamente, anzi è stato già fatto psicologicamente, ma pure antropologicamente e sociologicamente.


Chiudo, con l'impressione di aver interloquito con l'espressione non di un paradigma scientifico (nonostante le pretese dell'interlocutore) ma con un parametro tipico dell'insoddisfazione del mondo ipersecolarizzato.



MAURO PASTORE

Visechi

Premetto che io non sono avversario di nessuno, perlomeno non mi sento tale: ("Aggiungo: il ribadire dell'avversario contro l'affermazione..."), che eccesso di sussiego: guarda che non ci legge nessuno!
 
Il tuo preambolo assomiglia tanto alla saggezza del 'senno del poi', che comunque non può porti al riparo dalla ben fondata accusa di aperta ignoranza sul tema della mimesi e del paradigma della vittimizzazione dell'innocente nelle comunità arcaiche. Ovvio che il medesimo processo in epoca coeva rappresenterebbe un obbrobrio etico inaccettabile, ma essendo l'etica e i valori di cui è testimone soggetti entrambi al divenire e al connesso mutar di forme, la contestualizzazione nel corretto ambito sociale ed il recupero antropologico (qui parrebbe dovremmo essere nel tuo campo d'interesse, ma dubito capisca qualcosa) del significato e del ruolo svolto nelle comunità dal processo vittimario e di mimesi potrebbero indurti a scrivere meno ovvietà e a meditare meglio, senza inutili barocchismi ed ampollosità, su quest'aspetto seminale del mondo arcaico.
 
Ti assicuro che non avverto nessuna necessità di difendermi da alcunché, tantomeno dai tuoi scritti ("'Visechi' ha tentato di difendersi"). "Ma Dio è presente nel mondo e lo trascende...": questa è fede e nei confronti della fede nulla può e deve essere opposto, sarebbe come opporre razionalità ad un innamoramento. Non c'è una ragione per cui ci si innamora di quella determinata persona, non esistono motivi razionali... solo emozione e fede. Che vuoi che possa opporre io alla tua sentimentale convinzione che Dio sia presente nel mondo (ad Auschwitz l'hanno più volte invocato) e che lo trascenda? Nulla, se non un semplice e per nulla animoso monito: quel che incontri tu non è rappresentativo della totalità delle esperienze umane. Evidente che qualsiasi altra esperienza in materia, anche di segno opposto, non può che essere una dichiarazione del soggetto che esperisce, ma ciò non coinvolge, e non può farlo, altri individui in tale dichiarazione. L'ateismo, a differenza della religione, non pretende d'imporre la propria visione del mondo a chi avverte altre urgenze e differenti chiamate.
 
"...così, nessuna Trascendenza, solo il trascendentale (che è diverso)" evito di dilungarmi llimitandomi ad invitarti a cercare una buona definizione del termine trascendenza, che non coincide con Dio. Di più non posso fare per aiutarti a colmare le lacune che emergono copiose e ampie. Non è un compito che intendo assumermi.
 
Per il resto bye.
 

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