Il diavolo da Giobbe e l'anticristo in casa Nietzsche. Oltre le troppe ombre.

Aperto da PhyroSphera, 05 Agosto 2024, 19:02:22 PM

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green demetr

Citazione di: InVerno il 31 Ottobre 2024, 22:16:31 PMquando pigli fischi per fiaschi, la dimensione e forma del fiasco non sono il problema...
Siamo d'accordo, però non puoi negare che le religioni considerino il testo quacosa di sacro, nè più nè meno che l'islam.
il problema sono i contenuti di quei testi, e della riflessione che ne consegue (vedi gli hadit che riflettono la stessa religione dell'odio e della conquista).
Bel altra cosa il Talmud che invece è quasi un testo giuridico che parla della comunità.
Per quanto riguarda la grandezza umanista e liberale del critianesimo non sto nemmeno neanche a parlarne.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Visechi

Citazione di: green demetr il 01 Novembre 2024, 07:44:14 AMSiamo d'accordo, però non puoi negare che le religioni considerino il testo quacosa di sacro, nè più nè meno che l'islam.
il problema sono i contenuti di quei testi, e della riflessione che ne consegue (vedi gli hadit che riflettono la stessa religione dell'odio e della conquista).
Bel altra cosa il Talmud che invece è quasi un testo giuridico che parla della comunità.
Per quanto riguarda la grandezza umanista e liberale del critianesimo non sto nemmeno neanche a parlarne.
Guarda che la madonna dormiente, assunta in cielo è un dogma della chiesa cattolica. Poco da interpretare. La baggianata d'Elia è una narrazione che lascia pochi spazi a diverse interpretazioni. Che il testo debba essere interpretato in maniera allegorica dovresti provare a spiegarlo ad un ebreo ortodosso... rischi la lapidazione.

InVerno

Quando si fruisce un opera artistica in "buona fede" subentra una condizione chiamata "sospensione dell'incredulità", quel tacito accordo tra autore e lettore per cui le cosidette "licenze poetiche" vengono accettate in virtù della loro funzione e del messaggio che conveiscono, e del canone\genere in cui si presentano. Sarebbe assurdo che un padre si rifiutasse  di raccontare cappuccetto rosso alla figlia giustificandosi dicendo che "il lupo che parla non esiste", quello che accade  invece è che sospende la sua incredulità e racconta una storia che nel suo genere (la favola) è totalmente razionale, come fosse veramente accaduta, per poter conveire il messaggio. Il concetto chiave è "sospensione", nel senso che l'incredulità, data come "status di base", viene temporaneamente sospeso, non superato, prima di affrontare la finzione in oggetto. Il fondamentalismo è l'esatto opposto, anziché sospendere il giudizio riguardo la credibilità della storia, vi raddoppia il carico, è il padre convinto della bontà della favola non tanto per il suo contenuto nobile, ma perchè il lupo è veramente esistito. Nota bene che se qualcuno si comportasse con qualsiasi altro libro come i religiosi si comportano con il loro "sacro", probabilmente verrebbe internato o isolato socialmente...
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

green demetr

Citazione di: Visechi il 01 Novembre 2024, 08:46:15 AMChe il testo debba essere interpretato in maniera allegorica dovresti provare a spiegarlo ad un ebreo ortodosso... rischi la lapidazione.
:D Vero, però penso siamo d'accordo che a noi interessano le interpretazioni moderate, comunque il dogma pone problemi, me ne sto accorgendo avendo iniziato a leggere Matteo (sapevo che era il testo più difficile per certi versi, ne parlerò-parleremo a breve).
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Visechi

Citazione di: InVerno il 01 Novembre 2024, 09:53:09 AMQuando si fruisce un opera artistica in "buona fede" subentra una condizione chiamata "sospensione dell'incredulità", quel tacito accordo tra autore e lettore per cui le cosidette "licenze poetiche" vengono accettate in virtù della loro funzione e del messaggio che conveiscono, e del canone\genere in cui si presentano. Sarebbe assurdo che un padre si rifiutasse  di raccontare cappuccetto rosso alla figlia giustificandosi dicendo che "il lupo che parla non esiste", quello che accade  invece è che sospende la sua incredulità e racconta una storia che nel suo genere (la favola) è totalmente razionale, come fosse veramente accaduta, per poter conveire il messaggio. Il concetto chiave è "sospensione", nel senso che l'incredulità, data come "status di base", viene temporaneamente sospeso, non superato, prima di affrontare la finzione in oggetto. Il fondamentalismo è l'esatto opposto, anziché sospendere il giudizio riguardo la credibilità della storia, vi raddoppia il carico, è il padre convinto della bontà della favola non tanto per il suo contenuto nobile, ma perchè il lupo è veramente esistito. Nota bene che se qualcuno si comportasse con qualsiasi altro libro come i religiosi si comportano con il loro "sacro", probabilmente verrebbe internato o isolato socialmente...
Tutto vero e condivisibile, ma parlando della Bibbia, del Talmud o del Corano non stiamo certamente parlando di romanzi... per cui.

PhyroSphera

Citazione di: Visechi il 20 Ottobre 2024, 22:41:24 PML'animale uomo agisce ed è agito in funzione di due moventi, istinto o emozione (che è assai più del semplice istinto) e ratio. Questi due moventi (tali sono, perché entrambi concorrono, spesso in disputa fra loro, a determinare l'agire umano) convivono all'interno della camera magmatica che offre loro ostello, in un equilibrio instabile e assai precario. Giacché siamo ANCHE e soprattutto animali di relatio, l'impegno che profondiamo quotidianamente, che altro non è che il vivere d'ogni giorno, è proprio cercare di mantenerli in equilibrio entro un range di compatibilità col mondo circostante.
La precarietà è praticamente la norma per l'essere umano, non un accidente, come mi pare tu voglia raccontarci. Fra l'altro, non capisco per quale motivo se l'istinto (continuerei a definirla sfera emotiva/sentimentale) dovesse essere soggiogato (utilizzi il verbo prevalere) dalla razionalità 'bisogna lasciarlo agire'. Perché mai e a qual fine... per recuperare un equilibrio 'rotto'? Direi che è assurdo. Né la psicologia né l'antropologia(?) – forse alludi alla psicologia sociale, che appunto dell'interazione fra individuo e sistemi antropici complessi si occupa – sosterrebbero una cosa simile.


Filosoficamente (e non solo) si può dire:
 che la sfera irrazionale precede e motiva quella razionale - così avviene la e  nascita dell'uomo, nell'irrazionalità, ma così è anche la genesi del pensiero, di ogni pensiero ogni giorno!;

Il fatto che la sfera irrazionale preceda e motivi (non sempre) quella razionale attesta e testimonia semplicemente circa la nostra primigenia animalità. Da questa quasi tautologia non puoi dedurne o inferire che l'innegabile naturale tensione (non una necessità) dell'animale uomo verso la trascendenza sia necessitata dall'esigenza di "trovare la possibilità di un autentico e favorevole agire umano nel mondo". Questa è una forzatura indebita ove il necessitante è necessitato in maniera ideologica.
In poche parole: il paralogismo testé evidenziato espone l'ideologismo a base e fondamento dell'intera tua requisitoria. Poco dopo, infatti, scrivi in maniera spericolatamente assertiva che "la dottrina teologica nota..." la necessità di un'inclusione che solo una radicata ideologia (non fede) può notare, poiché indimostrata ed indimostrabile. Dio non è necessario per dare senso e direzione giusta alla nostra vita. Troppe biografie smentiscono categoricamente questa assurda pretesa ideologica. L'agire umano si "salva (e si danna) dal non senso" da sé, senza alcun bisogno di ricorrere ad entità soprannaturali, che nella tua algida esposizione appaiono (appare) come un tappabuchi voluto e preteso non da un sommovimento emozionale, ma da una ratio indagatrice che, seppur negandolo, tende ad escludere o tacitare il caos in cui e da cui siamo generati. Quel che tu pensi come 'impossibilità di vivere' (in chiusura del tuo intervento) che chiama Dio e la fede a garantirci dal Nulla entro cui saremmo destinati a sprofondare, è sempre e solo frutto del paralogismo che lo genera e che lo tiene in piedi.


Te ne scrivo un'altra, di risposta.

Il lettore può prendere atto che tu non hai mai compreso cosa sia una prospettiva antropologica e una scienza antropologica. Non ti commisuri alle mie affermazioni. Io non avevo fatto ontologia col mio messaggio; non ho mai detto che la necessità di Dio imponga a tutti una religione o di affidarsi in un tempo specifico o da prima a Dio. L'Assoluto agisce sul relativo anche a prescindere dalle decisioni che provengono dalla sfera del relativo.
Dicevo, antropologicamente, di istinto mortificato che deve esser lasciato libero per compensazione. Non si tratta infatti di trovare un bandolo con la psicologia, ancor meno con la psicoterapia, se il dissidio riguarda la totalità psicofisica. L'istinto represso, in tal caso, ha bisogno di prendere il sopravvento. Ciò non significa una soluzione ai problemi della nostra vita; significa anche incapacità a continuare ad essere civili e ovviamente non c'è garanzia che si possa fare i primitivi senza morire. In definitiva se c'è una crisi antropologica totale c'è un'ambientalità che ne crea le condizioni perché l'uomo da sé non si mette nei guai fino a tal punto; per questo nel caso estremo il ricorso alle relazioni col mondo peggiora tutto. Allora cosa resta? L'ulteriorità. Lo scientista resta fisso a pensare le cose ultime senza riconoscere che sono un adito. Lo scienziato non nega né afferma qualcosa di ulteriore; il filosofo lo attesta metafisicamente, cioè in astratto pensa un Assoluto. Teologicamente si può riconoscere questa ulteriorità diversa dal nulla, dal vuoto, anzi colma di possibilità vitali. La trascendenza pensata così non ha nulla di insostenibile; i negatori della trascendenza intesa come una cosa separata sono allo stesso tempo quelli che la hanno affermata: come te.
Tu dici di un irrazionale retaggio della nostra presunta origine bestiale (perché non vuoi chiamarla così, se così credi?). La scienza e la filosofia autentiche parlano di un irrazionale originario, non originale. Nella umanità non c'è alcun resto bestiale: lo nega la Teoria psicologica degli archetipi, la fisiologia che trova una incompatibilità di fondo tra umanità e non umanità... E l'antropologia basterebbe da sola a dimostrarlo, con la propria esistenza, possibilità; tanto che tu, con la tua prevenzione evoluzionistica non ne vuoi proprio concepire. Studiare l'uomo non significa studiare un poco anche le bestie.

MAURO PASTORE

PhyroSphera

Citazione di: Visechi il 23 Ottobre 2024, 00:12:00 AMLa tua replica non è commisurata al mio messaggio, giacché essa si basa su una riduzione psicologica:
 
Volendo ci si può anche astrarre dall'indagine psicologica (fraintendi, io alludo ad una psicologia delle masse, non ad un'analisi coinvolgente in modo esclusivo l'individuo, da qui il tuo equivocare).
Potremo 'limitarci', se vuoi, ad approcciare il tema rivolgendoci alla letteratura (Dostoevskij, Leopardi ti può aiutare, soprattutto se letto da Severino), oppure alla sociologia, ma anche l'esegesi di testi a carattere religioso tanto raccontano del fraintendimento di fondo che informa il tuo vagolare nell'erto cammino della comprensione umana, soprattutto in un campo nel quale ho la sensazione che ad accompagnare ogni tuo passo sia il dogmatismo ideologico, e non il buon senso o l'avvertita intelligenza.
Ma anche una più attenta lettura di quel che provi maldestramente a confutare – invero un tantino in modo spocchioso, ma non ce ne faremo un cruccio – ti potrebbe aiutare a comprendere che io sostengo che la precarietà, l'insicurezza e la sofferenza sono la cifra e il segno della vita dell'uomo, dacché fece la prima comparsa sulla terra (in grassetto così richiama la tua attenzione ed aiuta la comprensione). Non è dunque vero ed ammissibile attribuirmi un concetto che io mai ho espresso nei termini da te riportati: "non per sostenere che la precarietà umana non è veramente tale, come fai tu".
L'uomo è scaraventato fin dalla nascita e fin dai primordi in un ambiente ostile che ha dovuto addomesticare e piegare ai suoi bisogni. Non ha mai percepito l'ambiente naturale come un Eden, bensì come un teatro di scontro e guerra, conflitto che deflagra in tutta la sua sofferenza nell'intimo di ciascuno di noi. Nessuno è preservato dalla propria Notte oscura dell'anima. Il Polemos greco è la traduzione in versi tragici proprio di questa cruenta battaglia in cui il Male contende il cuore degli uomini.
"Mio Dio... perché?" È anche il titolo di una raccolta di brevi quanto profonde riflessioni dell'Abbè Pierre, il fondatore di Emmaus. È opportuno leggere con attenzione ed animo scevro da pregiudizi... si tratta di un cattolico morto non troppo tempo fa, alla veneranda età di 93 anni, quasi tutti dedicati ad inseguire un sogno... il suo sogno, concreto quanto astratto, vero e reale, quanto onirico e chimerico: combattere il Male (lui lo scriveva con l'iniziale maiuscola) e la povertà.
"Ho appreso di recente che sulla terra sarebbero vissuti circa ottanta miliardi di esseri umani. Hanno avuto un'esistenza dolorosa, hanno penato, sofferto... e per che cosa? Sì, Dio mio, perché?"
Si può subito notare che non esprime solo una domanda, afferma che hanno patito, che hanno sofferto; egli è certo che abbiano penato. Poi si rivolge al Padre definendolo 'mio'. L'Abbè Pierre era un innamorato del Padre e lo definisce 'mio'. Mio quanto può essere 'mio' per chiunque del Padre sia innamorato. Resta inteso che ci si può innamorare anche di un'illusione. A Lui si rivolge, a Lui domanda... credo non fosse insensato rivolgere a Lui, al Padre 'suo', la domanda... si chiede perché, per quale motivo abbiano sofferto. È così peregrino e stupido farlo?
Prosegue:
"Mio Dio, fino a quando durerà questa tragedia? Nei catechismi di tutte le religioni si dice che la vita ha un significato. Ma quanti uomini e donne, su decine di miliardi, hanno potuto scoprire tale significato? Quanti hanno potuto prendere coscienza di una vita spirituale, di una speranza? Quanti altri al contrario hanno vissuto come animali, nella paura, schiacciati dagli imperativi della sopravvivenza, nella precarietà, nel dolore della malattia? Quanti hanno avuto la fortuna di meditare sul significato dell'esistenza?".
L'Olocausto stesso, i genocidi, le tragedie umane attestano lo stato di precarietà in cui siamo immersi. Dove vedi ottimismo se non all'interno e nell'ambito dei tuoi fraintendimenti?
Questa precarietà è fortemente incisa a chiare lettere anche nel Libro più bello del mondo. Dio ha revocato il dono già una volta e più volte è intervenuto perché pentitosi della sua opera. Le tradizioni dei popoli arcaici attestano, a fortiori, questo stato di precarietà: l'intero paradigma del capro espiatorio ed il connesso meccanismo di vittimizzazione sono testimonianze preclare della percezione della precarietà della condizione umana.
Ed è proprio questo senso di insufficienza e di instabilità che inclinano l'uomo verso una trascendenza che offra riparo dall'abnorme che ci circonda. Non è una necessità (di una necessità non potresti farne a meno... invece), ma una propensione che è pretesa proprio dalla coscienza dell'autosufficienza (anche qui mostri di non aver capito ciò che ho scritto). Il richiamo della Trascendenza è niente di più che un appiglio cui l'uomo si aggrappa in assenza di certezze. Ma è un invocare che ancora una volta non disegna un orizzonte solido che garantista dal caos e dal Nulla.
Affermare che l'uomo si salva o si danna da sé non può indurti ad affermare che sosterrei l'autosufficienza dell'uomo. No! Non è così. L'uomo, dopo aver decretato la morte di Dio, dopo che la Shoa lo ha definitivamente inquisito e condannato si è ritrovato solo con sé stesso, a dover fare i conti con sé stesso e le sue determinazioni. Condannato a vivere ed a costruire sé stesso confidando in sé stesso. Deve assumere in sé l'improbo compito di riappropriarsi della sua libertà – per troppi secoli consegnata alle e nelle amorevoli mani di istituzioni (in special modo monoteiste) che hanno preteso e pretendono, ancora oggi, di attingere la propria autorità affondando mani e gomiti lordi di sangue entro una sacralità utile solo come alibi per gestire uno sporco potere di subornazione delle masse. La fatica di vivere è proprio l'immenso lavoro di ricostruire sé stessi come umanità (da qui la forza e l'importanza della relatio) cacciando i grandi inquisitori ancor oggi presenti ed urlanti. Oltre e dopo Dio c'è l'uomo... l'uomo solo che dispiega sé stesso e costruisce il senso della propria esistenza (ancorché fruibile e fittizio, almeno quanto quello che si fonda sulla fede di un Dio otiosus o absconditus) a prescindere dall'inganno della trascendenza cui l'animo umano spontaneamente tende, Siamo condannati a costruirci giorno per giorno, questo è l'impegno che attende ciascuno di noi. Solo così l'essenza dell'uomo si sostanzia, solo così l'agire e le opere assumono il significato che nutre di senso l'esistenza... seppur effimero (il senso).
 
Pensare anche a Dio non significa essere infantili.
 Questa tua puntualizzazione, in assenza di accusa (almeno da parte mia – mai mi sognerei di sostenere o pensare un'idiozia simile) denuncia una excusatio non petita.

 
 
la fede è in un modo o nell'altro necessaria alla vita
Parrebbe che le scienze siano propense a sostenere proprio quel che ti affanni ad affermare tu, con grande enfasi ed un eccesso di spocchia. Ma ciò racconta solo della carenza innata dell'animale uomo e della sua tensione verso un approdo che consenta sicurezza e certezze. La fede in Dio offre la stessa stabilità che può conseguirsi in una fede priva di trascendenza (a te lascio immaginare quali e quante fedi che non attingono alla trascendenza possano esserci). Quel che il tuo ideologismo dogmatico non ti consente di vedere, o anche solo valutare come possibilità, è che l'utilizzo di un dio alla stregua di un farmaco (questo in soldoni proponi e, per certi versi, prometti) lo desacralizza, lo priva del ctonio, del luciferino, dell'ineffabile che impregna l'area del sacro entro cui neppure l'orma di un piede può essere impressa, è, in poche parole, un'offesa al dio.
Senti, io ho detto che la crisi antropologica non è una malattia, perché tu scrivi che per me Dio è come un farmaco? Ho detto, fatto capire che l'affermazione dell' autosufficienza umana è una forma di disastroso ottimismo. La fede in Dio non nega le difficoltà del mondo, chi nega la necessità di questa fede non ha capito le reali difficoltà del mondo e si autodestina a una varietà di guai e disastri.
Inoltre tu dici di precarietà e fai l'esempio del capro espiatorio, cioè confondi la trasgressione della colpa e del delitto (di una falsa attribuzione e di una azione cieca e violenta) con le fatali difficoltà, che sono anche per la pura innocenza o l'ingiudicabilità. Il cristianesimo annuncia la crisi del meccanismo del capro espiatorio con l'esempio di Gesù di Nazareth e soprattutto la possibilità di una vita al di là di questa negatività, con l'esempio della fede nel nome di Cristo, cioè non nella vicenda di un messia umano.

Prova a fare ordine nei tuoi propositi filosofici e nelle tue conoscenze prima di lanciarti nelle tue incaute repliche. Dicendo di crisi antropologica e di rimedio teologico io faccio affermazioni vitali; non dovete abusare della critica. Questa ha i suoi limiti e voi forzandola diventate interlocutori assurdi.


MAURO PASTORE 

PhyroSphera

Riguardo ai libri sacri...
Maometto diceva delle genti del Libro. Indubbiamente solo l'Islam è centrato sul libro, ma le moltitudini degli ebrei e dei cristiani pure ne fanno riferimento fortissimo.
I libri sacri dei monoteismi non sono prontuari. Al contrario, necessitano di previa o immantinente disposizione, altrimenti rimandano al lettore le proprie stesse mancanze.
La teologia cristiana dice di un evento Cristo. I Testamenti biblici ne sono in relazione. L'Islam invece si identifica nel Messaggio del Corano; ma si tratta di un significato riposto. L'ebraismo avvalora i propri testi sacri entro l'appartenenza all'Alleanza di Dio col suo popolo. Nel giudaismo questo può essere una varietà di genti e storie. Mi risulta che nel Medio Evo i kazaki fossero divenuti un tale popolo, ma senza confluire nella vicenda degli ebrei antichi (mi risulta che attualmente siano musulmani, altra vicenda). Ugualmente, i Testamenti biblici non implicano la confluenza nelle vicende che li rappresentavano. Per il Corano è uguale. V'è stato più di un Maometto (non è questione di omonimia), si sa che nell'Impero Ottomano nulla era lo stesso e nella odierna Turchia le donne accedono alle moschee.
Inutile prendere esempi cattivi giudicando le fedi; ci si confonde soltanto.


MAURO PASTORE 

Visechi

Citazione di: PhyroSphera il 05 Novembre 2024, 13:38:25 PMMAURO PASTORE
Te ne scrivo un'altra, di risposta.
 
 Il lettore può prendere atto che tu non hai mai compreso cosa sia una prospettiva antropologica e una scienza antropologica. Non ti commisuri alle mie affermazioni. Io non avevo fatto ontologia col mio messaggio; non ho mai detto che la necessità di Dio imponga a tutti una religione o di affidarsi in un tempo specifico o da prima a Dio.


Comprendo meglio il tuo equivoco, inemendabile temo. Continui a ragionare attraverso cliché obnubilanti. Confondi la tensione (vocazione, propensione, inclinazione, predisposizione ecc...) dell'animale uomo (che sia assimilabile alla bestia – colgo il tuo accento spregiativo - forse lo puoi pensare tu) verso la trascendenza – indubitabile – con l'alquanto vaga ed incerta "necessità di Dio". Ripeto: dovresti aggiornare i tuoi files mentali e magari ridurre lo spazio che destini al dogmatismo ideologico (neppure religioso, ma proprio di vero ideologismo si tratta) per consentirne un pochino anche ad altre discipline, forse, in apparenza, poco attinenti alla fede o alla religione. Leopardi, tanto per citarne uno fra i molti possibili (sorvoliamo su Nietzsche), è uno dei più mirabili esempi di tensione verso la trascendenza, senza che però questa sia mai approdata (neppure ispirata) alla vagheggiata "necessità di Dio". Si tratta di due piani di relazione con l'ulteriorità o trascendenza ben differenti. Questa tensione tipicamente umana, pare, è causa determinante della coscienza del vuoto e percezione del nulla che impregnano l'ulteriorità. Non è la trascendenza a rappresentare una risposta al nulla, è perfettamente il contrario: ne è causa. Da qui l'esigenza – stavolta sì – di dar requie all'angoscia che si genera. Guarda un po': il perfetto contrario di quel che semplicisticamente intendi tu. Per questa ragione non c'è fede che ponga al riparo dall'angoscia. Condizione ben testimoniata da Giovanni della Croce (neanche il suggerimento hai saputo cogliere) e tanti altri mistici e credenti. Neppure Dio e la fede in Dio sono talmente radicali da sradicare quel che rappresenta l'humus ove le nostre esistenze sono radicate. Ciascuno fornisce una risposta individuale – seppur vacillante - a questa angoscia che si fa largo nell'intimo con ciò che più gli si confà. C'è chi (probabilmente tu) riempie il vuoto aggrappandosi ad una inconscia menzogna, e compensa con la consolante idea di un Dio Padre; altri, forse più sinceri, negano a sé stessi la possibilità di adeguarsi al falso, anche se consolatorio. Cerca di capirlo, insistendo su un punto che mostri proprio di ignorare o fraintendere dimostri solo un atteggiamento, seppur risoluto, abbastanza infantile.

L'Assoluto agisce sul relativo anche a prescindere dalle decisioni che provengono dalla sfera del relativo.
 Dicevo, antropologicamente, di istinto mortificato che deve esser lasciato libero per compensazione. Non si tratta infatti di trovare un bandolo con la psicologia, ancor meno con la psicoterapia, se il dissidio riguarda la totalità psicofisica.


Appunto! Psicologia e psicoterapia sono strumenti utili per approcciare il problema, per cercare di comprendere ragioni, genesi ed esiti di questa angoscia esistenziale originaria, non originale. Procedure più o meno valide, molto dipende dal professionista cui affidi la tua anima. Al più forniscono un sostegno, un aiuto, una cura palliativa, ma neppure loro, più sincere delle teologie (ne esistono diverse, con esiti differenti), pretendono di sradicare dall'uomo questa percezione angosciosa del nulla che si nutre dell'insensatezza del pieno senso e assurdo significato (apprezza le iperboli, ma tutte pregne di significato) che la morte iscrive fin dalla nascita nell'animo di ciascuno di noi. Vedi, quando parli e straparli "d'istinto represso", forse senza avvedertene, scadi nello psicologismo da quattro cents al chilo. Ed anche quando strafalcioni sui 'primitivi', alludendo in maniera smaccatamente arrogante, nonché ingenua, presumibilmente alle culture arcaiche, dimostri senza meno di avere una concezione dell'essere uomo spiccatamente meccanicistica, nonostante il tuo sproloquiare di Dio e deità. L'uomo è una 'macchina' (chissà che scandalo per chi non è abituato all'interdisciplinarietà) complessa, molto più complessa di quanto il tuo psicologismo o il tuo teologismo o antropologismo raffazzonati possano comprendere, spiegare e amare.
Di ulteriore sprovveduto e disarmante strafalcione ci fai poco gradito dono quando in poche righe ricusi l'intera opera di tale René Girard (anche la lettura de "il codice della vendetta barbaricina", opera insigne di un mio insigne corregionale, potrebbe aiutarti ad inquadrare meglio il tema) scrivendo: "Inoltre tu dici di precarietà e fai l'esempio del capro espiatorio, cioè confondi la trasgressione della colpa e del delitto (di una falsa attribuzione e di una azione cieca e violenta". Qui proprio dimostri di ignorare, ed ignorando sragioni pretendendo di ragionare e di aver pure ragione. Il sacro, caro mio, non è ciò che tu fanciullescamente credi che sia. È sempre stato percepito come un qualcosa di separato (la più probabile origine etimologica del termine 'sacro'), intoccabile, inviolabile proprio perché è da sempre una camera magmatica di caos e violenza. Il rapporto alla deità è sempre stato condito dal terrore. Ti svelo un segreto: le potenze ctonie e luciferine del sacro abitano, impregnano ed intridono di sé la parte più arcaica (non primitiva) del sacro Libro dei Libri (la Bibbia). Rileggiti Mosè e il Dio del Roveto, il Deuteronomio etc... Il sacro e la deità non sono i trastulli piacevoli ove possa riposare l'animo dell'uomo, sono il recinto ove orma di piede non con-sacrato (votata al colloquio con il sacro) non può penetrare, perché sarebbe un sacri-legio ed esporrebbe il sacrilego alla furia violenta del Dio (neppure Mosè potè guardare il Dio del Roveto "faccia a faccia": «Tu non puoi vedere il mio volto, perché l'uomo non può vedermi e vivere»). Il capro espiatorio, che tu da sempliciotto riduci ad "un'azione cieca e violenta", è, invece, un'azione che nelle comunità arcaiche si rendeva necessaria (stavolta sì che puoi parlare di necessità) per ripristinare un equilibrio violato da una trasgressione. Pur essendo un atto violento (non sempre, spesso si concludeva con l'allontanamento dalla comunità dell'innocente vittimizzato), aveva il precipuo scopo di sanare un'infrazione e dar sfogo alla violenza della comunità, incanalandola per esaurirla. Insomma, credo dovresti studiare prima di avventurarti in ambiti a te alieni.
Che dire poi della perla: "La trascendenza pensata così non ha nulla di insostenibile; i negatori della trascendenza intesa come una cosa separata sono allo stesso tempo quelli che la hanno affermata: come te.". Rassegnato, sconsolato, avvilito non posso far altro che specificare, ancora una volta, che io sostengo ed affermo che l'uomo sente la trascendenza (leggiti e medita l'Infinito, il coro dei morti, l'intero Zibaldone di Leopardi, l'inno a Satana di Carducci e svariate centinaia di opere artistiche, anche figurative, se vuoi). Questo sentimento o emozione approssima l'uomo al vuoto, al nulla e all'insensatezza dell'esistenza. La trascendenza e ciò di cui è causa abitano da sempre e pro semper l'animo dell'uomo. Sartre te lo racconta nella trilogia del Rinvio e la cura dell'impegno, cura sempre fugace ed effimera quanto la fede in un Dio morto e risorto.


PhyroSphera

Citazione di: Visechi il 05 Novembre 2024, 19:34:44 PMTe ne scrivo un'altra, di risposta
Il testo che segue è assai lungo, perché tal Visechi è un... rappresentante tipico, non dico caratteristico; e mi premeva assai confutarne il dovuto.
Il testo di tal Visechi cui replico è visibile interamente a questo link:  https://www.riflessioni.it/logos/tematiche-spirituali/il-diavolo-da-giobbe-e-l-anticristo-in-casa-nietzsche-oltre-le-troppe-ombre/msg93295/#msg93295 
Il sito non recepiva la mia intera replica e ho dovuto ricorrere a questo stratagemma per ragioni di spazio.



Innanzitutto una notazione: come tu vivisezioni il mio testo nel citarlo (senza rispetto per la forma della mia scrittura), così fai a pezzi il pensiero contenuto in esso e non puoi intenderlo. Assurdo che poi provi a criticarlo. Però metti in gioco delle dinamiche non stupide, le quali hanno un potere sociale politico... ma subculturale, anticulturale in fin dei conti.

La tua obiezione, secondo cui non ci sarebbe alcun bisogno di Dio per vivere la trascendenza, sposta i termini del tuo discorso e fa sembrare che io volessi dire cose che non ho detto. Sei passato dal sostenere integralmente una posizione atea ad aggiungerci ambiguamente una non-teista, imputandomi una contrarietà al non-teismo che io non ho. Io infatti non ho mai detto che sia necessario a tutti in tutte le situazioni avere una concezione esplicita di Dio. Ho stimato tanto Eckhart che definiva Dio, anzi il suo apparire, un Nulla e non meritavo la tua replica da camaleonte dispettoso. Ho anche precisato che non penso che i tempi del nostro rapporto con Dio e i modi siano uguali per tutti... tu nel prenderne atto contraddittoriamente non me lo hai riconosciuto.
Il fatto è che il tuo tenace ateismo è in antagonismo al teismo e porti avanti la tua competizione anche a fronte di discorsi vitalmente necessari, senza riguardo per ciò che veramente dice l'interlocutore per l'esistenza. Mi hai chiamato ignorante tanto ingiustamente e con una sequela di rimandi di cui non ho proprio bisogno. Ne capivo già; semmai tu li decontestualizzi. Così usi il non-teismo per abolire i discorsi teisti; ma la prospettiva non-teista non serve a questo scopo. Essa rappresenta una non esplicitezza dell'Assoluto, della Trascendenza, che vengono pensati senza ciò che la parola e l'idea di Dio significano. Questo significato verbale aggiunto non è infantile; infantile è chi, pensando che la trascendenza sia una strada che non porta da nessuna parte, scambia se stesso per l'assoluto. La tesi che tu sostieni sulla autonomia completa dell'uomo attesta questa tragica inversione.
Dipendiamo dall'acqua e da altro di materiale per sussistere fisicamente, dallo spirito per continuare a vivere psichicamente; e non esiste solo questo innegabile piano naturale, ma anche le incognite del caso. I monoteismi a queste ultime riferiscono la propria ragione d'essere (da qui la metafora, che realmente significa delle coincidenze, delle neagatività, del diavolo). Il cristianesimo pensa la necessità dello spirito di Dio per controbilanciare situazioni altrimenti esiziali. Si pensa all'altra dimensione, a sostanza spirituale non a materia; senza negare alcuna scienza anzi trovando nelle scienze un indizio. La parola Dio serve a indicare, non a descrivere come un oggetto; a voialtri il suo vero utilizzo pare uno sproposito perché tendete a oggettivizzare l'Assoluto; e allora il mito politeista vi pare poca cosa o illusione, l'allegoria monoteista un modo per scambiare il nulla per l'essere. Inutile che andate citando i mistici, che il nulla lo menzionavano al rovescio; e non è giusto l'accanimento che avete nel chiamare ignorante chi non ha prevenzioni. Semplicemente il sentimento del mondo attesta che il mondo stesso non è tutto; si sente che c'è altro e ovviamente non si può trattare del nulla, che resta tale. Questa intuizione è spontanea ed il vostro ateismo non sorge da una originarietà, ma da un artificio (da moribondi). Non trovi che invece di fare tante illazioni contro di me potresti provare a studiare l'obiezione che la filosofia ha mosso contro il nichilismo, inteso come oblio dell'essere? Certo troveresti qualche scritto di E. Severino a far da padrone e partendo dal tuo fanatismo potresti innamorarti delle sue critiche anticristiane, su un Dio che non è veramente l'Essere e sulla necessità di intendere l'Essere quale superdio... Ma codesti pensieri di E. Severino sono validi nei confronti di un falso cristianesimo.

Quanto alla tua partaccia sul capro espiatorio, al tuo tentativo di tacciarmi di ignoranza per screditare le mie menzioni antropologiche: il contesto sociale fondamentale della realtà considerata da R. Girard coi suoi studi sulla violenza sacrificale è criminologico, quindi i benefici descritti nella sua teoria sono i vantaggi che, per un verso soltanto, sono ottenuti col delitto... Diversa è la questione che verte sulla domanda: quale storia veramente è coinvolta da questa criminosità? A voler esser precisi e informati, si deve riconoscere che il mondo ritratto dalle tragedie classiche greche era quello dell'incertezza e abbandono della grecità, in particolare ellena. La violenza della vicenda di Edipo e delle altre raccontate da quel teatro proveniva dal di fuori, dal tradimento di una identità... Peraltro bisognerebbe pure capire che non è esistita e non esiste una sola grecità. Gli stessi elleni conoscevano pure altre condizioni. Nelle società dei pastori il capro espiatorio era l'animale che doveva soccombere perché pur non avendo fatto il prepotente come gli altri del gruppo si era sottratto dal destino proprio della sua specie, rendendosi una presenza nociva. E' ciò per cui il pastore è accettato anche nel còmpito di portare la morte, anche se non è una belva che ha tale officio per sua propria natura. Questo sfondo o retroterra culturale, background potremmo dire, io lo ho tratto da conoscenze ed esperienze dirette del mondo pastorale; tuttavia se ne potrebbe trovare letteratura che vi rimanda. Invece di screditarmi, va a cercare qualche branco di capre per qualche montagna... stando attento a non confondere un mondo per un altro. La pastorizia storicamente corrispondente agli esempi evangelici-biblici non era la stessa dei greci e neppure affine... ma il discorso biblico è allegorico. Va letto spiritualmente, senza intenderlo per un riferimento al piano naturale. Ad esempio: il simbolo dell'Agnello dei Vangeli non è comprensibile materialmente-zoologicamente; ma spiritualmente-psicologicamente! Ugualmente il simbolo del Crocifisso: non si tratta di pensare materialmente a dei legni e a una tortura, ma a una allegoria che rappresentando le difficoltà della vita allude alla presenza salvifica di Dio in esse...
Facevo presente che questa funzione della religione cristiana, di offrire un orizzonte altro nei casi estremi, è riconosciuta positiva anche dalle scienze antropologiche, sociologiche, psicologiche... Se però tu citi le interpretazioni personali di Girard, allora dovresti studiarti la polemica che G. Vattimo istituì con lui, riguardo a ottimismo e pessimismo. A volte Girard, scommettendo troppo sulla prospettiva scientifica antropologica, cadeva nel pessimismo, in interrogativi che il credente non deve porsi (lui si rivolse anche alla fede, ma ritengo senza tanta consapevolezza). La sua descrizione dell'elemento demoniaco era tragica per via del fatto che non aveva soppesato abbastanza il valore delle affermazioni teologiche. Da una parte egli faceva bene a dire: nei Vangeli e nelle lettere paoline c'è una realtà antropologica ancora compromessa con la violenza... Dall'altra è facile capire che i Vangeli sono annunci, non indicazioni di un presente "tutto ok". Il significato teologico delle lettere paoline è altro e così pure la vera convivenza cristiana che quelle lettere ritraggono... Eccoti allora questo invito: studiatelo meglio Girard, ma non solo, studia meglio tutte le questioni che riguardano la sua scienza.

Che senso ha che tu mentre mi tacci di pensare meccanicisticamente, poi sopravvaluti ed estendi oltremodo il funzionamento-macchina? Hai mai pensato di riflettere attentamente su certi risvolti che metti in campo con le tue repliche? L'interdisciplinarità, lo dice la parola stessa che contiene il prefisso "inter", non è una inesistente intradisciplinarità. Il fatto che domini la malasanità che deforma tutti i concetti non è una disconferma di questa distinzione. Non esiste alcun "uomo-macchina". Esistono funzionamenti del nostro corpo in analogia a quelli delle macchine, ma non sono neanche i fondamentali. I falsi fisiologi che stressano i corpi per fare esperimenti anziché esperienza tengono molto ad ottenere risultanti che fanno sembrare l'uomo una macchina. In realtà sono imitatori dei fisici, imitatori che non vogliono capire che una scienza quale la fisiologia è già di per sé logica, senza bisogno di fare cavie (peraltro finanche i sassi andrebbero rispettati e non lo sono abbastanza negli ambienti della scienza e della tecnica). I presunti dati che dimostrerebbero l'uomo-macchina sono tratti da condizioni artefatte che costringono i corpi a comportarsi come macchine. Anche qui, il rimando è dunque alla criminologia.
Tu pensi esistente "l'uomo-macchina" e quindi vedi nelle dinamiche di repressione dell'istinto un meccanismo... Dovresti prendere coscienza delle tue proiezioni psicologiche invece di andar gettando discredito immotivato... Comunque ripeto: i rapporti tra istintualità e razionalità studiati dagli antropologi non sono dinamiche psicologiche, ma eventi fisiologici e psicologici. Insomma un'altra questione e il lettore avveduto saprà capire che voi sorvolate sui discorsi del prossimo senza intenderli e tentando di forzarne le dichiarazioni. Se tu senti un'affermazione, inutile fingere che sia vuota. Le affermazioni non sono semplici detti.

Peraltro, tu attui uno sviamento nel riproporre la dimensione psicologica quale centrale (mostrando che con l'antropologia vuoi  scherzarci, non prenderla sul serio).
Il mondo è pieno di positivisti: antropologi che pensano che la scienza dell'uomo è la migliore perché è quella centrata su noi stessi... psicologi che pensano che la loro scienza è la migliore perché è centrata sulle premesse mentali... fisici assai accreditati che pensano che la loro scienza è la più scienza di tutte perché essa studia la "natura", la physis... Il fatto è che gli antichi greci parlavano dialetti e in realtà lo statuto della fisica non è veramente quello di studiare ciò che noi oggi intendiamo per "la natura". Esiste infatti anche la natura della mente, una naturalità delle pure energie psichiche, come potrebbero intuire vagamente i chimici se interpretassero i loro studi senza ulteriori illazioni (la chimica non è una fisica ammezzata)... Insomma l'uso che voialtri vorreste fare della psicologia non è proprio consono e neppure quello che vorreste fare di altre scienze, della fisica in particolare.
Io dicevo di decadenza... Inutile mettersi a cambiare discorso e parlare di condizione naturale, esistenziale, di passaggi nella angoscia...
Sarebbe vero ma in un certo senso che evidentemente ti sfugge, altrimenti non ci sarebbe stato lo sproposito delle tue citazioni. Dicevo che una crisi antropologica, che appunto non è psicologica ma riguarda l'interezza del nostro essere, non potrebbe mai esser còmpito di medici e psicoterapeuti e lo stesso antropologo non saprebbe fare altro che dare la sua osservazione ultima (non una diagnosi) ma non risolutiva... A questo punto, dato che tale crisi accade proprio in una situazione socialmente irrecuperabile, il ricorso ad altro è l'unica via possibile. Questa via sarebbe, a detta di chi ha pregiudizi nei confronti di religione e spiritualità, la strada del cretino o del pazzo; eppure dicevo che sociologia, psicologia, antropologia sono concordi nel notare la utilità dei culti religiosi e delle attività spirituali... Per questo la teologia cristiana, nel considerare la Trascendenza e la funzione salvifica che - oltre la scienza e senza dipendere dalla filosofia - si può intuire in essa, è il giusto sèguito. Le bassezze e gli errori diffusi nelle religioni si ritrovano in forma peggiore anche fuori di esse.




MAURO PASTORE

Visechi

Come esordio mi preme compiere un tentativo, estremo e vano, ne son conscio, di farti notare la singolarità dei costanti inviti che, anche in modo indiretto, rivolgi ad un'immaginata platea di lettori, forse estasiata dal tuo eloquio. Appelli che, a mio parere, sono sufficientemente emblematici e sintomatici del tuo particolare approccio alle tematiche che volta per volta ti vedono impegnato (l'ho notato abbastanza spesso) e dello specioso e autoreferenziale modo di porti nei confronti non solo dell'interlocutore di turno, ma, ben più singolare, rispetto ad un auditorio che, stante il tuo atteggiarti a magister, presumi avvinto dal tuo argomentare. Insomma, singolare è che, nell'esprimere il tuo pensiero (più che lecito), non ti esimi dal montare in cattedra per riprendere e rampognare il discente: "Il lettore può prendere atto che..."; "il lettore avveduto saprà capire che..." e via appellando, richiamando ed invitando.
Che necessità hai di richiamare un immaginato auditorio a convenire con i tuoi fraintendimenti? Insicurezza? Probabile si tratti dall'avvertito scricchiolio di certezze indefettibili più volte espresse ma mai dimostrate, solo enunciate. In effetti, nel prosieguo del tuo ultimo intervento qualcosa ribolle e trans-pare.
Non siamo su un palcoscenico, attorniati da un pubblico avvinto che possa simpatizzare per l'uno o per l'altro. Non immaginarti neppure su un pulpito. Te lo faccio notare perché se dovessimo proseguire a concentrare la nostra attenzione sul rispettivo interlocutore, non faremmo troppi passi avanti nella comprensione della tematica testé affrontata. Discuteremmo di noi, non d'altro, e cadremmo in una noia mortale – almeno io -, mentre il tuo estasiato auditorio ben presto ci scanserebbe, con poco danno per me, ma grave nocumento all'ipertrofia dell'ego... tuo.
Orsù, dunque, compiamo un piccolo sforzo ed asteniamoci dal focalizzarci sulle nostre persone... argomenti!
Entriamo nel merito.
 
Rilevo che, pur con qualche timidezza, testimoniata dall'utilizzo del termine "esplicita", pian piano, forse, stai prendendo commiato da qualche indefettibile certezza per convenire con il buon senso e l'esperienza umana sul fatto che non sia "necessario possedere una concezione di Dio". L'esplicita trattiene qualche riserva che potrebbe rimettere pienamente in gioco l'irrinunciabile necessità. Rinuncia all'esplicita e il concetto lo ritengo condivisibile. Più avanti riproponi il concetto ("Essa rappresenta una non esplicitezza dell'Assoluto, della Trascendenza, che vengono pensati senza ciò che la parola e l'idea di Dio significano") che, per semplificare, provo a definire "esplicitazione di Dio". Insomma, parrebbe proprio che tu, conscio dell'incombente commiato, voglia comunque aggrapparti alla possibilità che la "concezione di Dio", pur non essendo presente alla coscienza, possa essere ben viva in forma "non esplicita". Un concetto che assimilerei a quello espresso da Mancuso e al suo "principio passione", cioè un'energia eccedente la mera fisicità della realtà, non riducibile e non riconducibile alla vita psichica dell'individuo. Non è chiaro, però, se aderisci o meno a questa prospettiva, giustamente da te definita "non teista", ma non importa scoprirlo. Se non altro hai almeno concesso la possibilità che la tensione umana verso la Trascendenza (che io confermo pienamente), possa prescindere in qualche misura dalla "necessità di Dio" - diversamente da quanto da te a più riprese sostenuto -, almeno in forma "esplicita". Un passo avanti, anche se non del tutto soddisfacente. Confermo e ribadisco che io sostengo che nessuno è sufficiente a sé stesso, non capisco perché continui ad insistere su un punto che non è da me messo in discussione – "La tesi che tu sostieni sulla autonomia completa dell'uomo attesta questa tragica inversione" -. Viceversa, io sarei dell'opinione che la innegabile e ben radicata tensione umana verso la Trascendenza approssimi il suo ospite a percepire il 'pieno senso del Nulla' e la 'proterva violenza del Vuoto', comunicandogli l'intero 'significato della Morte'.
 
(Nobil natura è quella/ che a sollevar s'ardisce/gli occhi mortali incontra/ al comun fato, e che con franca lingua,/ nulla al ver detraendo,/ confessa il mal che ci fu dato in sorte...
 
Sola nel mondo eterna, a cui si volve/ Ogni creata cosa,/ In te, morte, si posa/ Nostra ignuda natura;/ Lieta no, ma sicura/ Dall'antico dolor.)
 
C'è chi sostiene, credo non senza ragione, che la percezione, se non la comprensione, dell'ulteriorità (l'Infinito ne è testimone) sia più appannaggio della poesia, cioè della nostra sfera emozionale che di quella razionale, cioè della filosofia.
La necessità di dar requie a quest'ansia, ben colta da Baudelaire e la sua ennui, ne La Nausea di Sartre, il Conatus essendi di Spinoza, l'Elan vital di Bergson (seppur in apparenza diversi nella loro enunciazione, riconducibili tutti alla medesima radice), rende necessaria una risposta. C'è chi, Al ver detraendo, abbraccia una fede (in Dio, ideologica etc...), chi, invece, Nulla al ver detraendo, non si consegna all'Illusione di Dio o di Marx. Sostengo che l'abbraccio divino non sia troppo diverso dall'abbraccio di Marx: entrambi escatologici, entrambi soteriologici, entrambi effimeri. È mia precisa opinione (questo solo posso darti, questo posso dirti) che entrambi (Marx, con i piedi per terra e Dio, con gli occhi volti al cielo) siano effetti diretti del nostro connaturato mal di vivere. Con la differenza che Marx non promette esistenze ultra mondane, non infetta l'umanità con una colpa originaria che andrebbe emendata, non racconta di un Dio crocifisso, non china il capo su un Golgota che non ha mantenuto la promessa del Regno (se vuoi ci intratteniamo su questi meravigliosi concetti).
Quel che tu definisci "spiritualità", alludendo ad un quid di realtà che sia oltre la nostra realtà e che sia pure teista, in altri contesti è definito "vita psichica": sempre un quid di realtà surreale che supera la nostra realtà, senza dei o divinità di sorta. Nessuno possiede la chiave che apre lo scrigno delle certezze, per cui la tua sicumera su questo campo è davvero fuori luogo. Io rinuncio fin dal principio a sostenere che le mie opinioni, il mio sentimento (unico mezzo che ho per collegarmi a questa metafisica priva di dei), siano l'unica vera verità possibile. È mio parere che "il sentimento del mondo attesti che il mondo stesso non sia tutto". Esiste un quid che si sottrae alle capacità speculative della scienza. La stessa – la scienza – poco può dirci sulle emozioni, sui loro perché, sulla loro genesi e sul loro immaginifico mondo. Si trastulla sui come: li descrive attraverso formule chimiche complesse ed algoritmi difficilmente decifrabili, ma senza neppure riuscire a definirli con esattezza; qualcosa le si sottrae. Poco o niente ci racconta sulla coscienza, sul suo emergere, sui suoi metafisici perché. Quel quid di realtà che rifiuta di soggiacere alle leggi che la scienza impone come metodo, riposano fra le misteriose braccia di un mondo che ritengo essere svuotato da divinità ultraterrene e ricolmo di misteri umani (troppo umani) e da byos sofisticato fino al punto da farci intravedere e connettere ad un'evanescente luce divina.
Oddio! Sul capro espiatorio compi un vero e proprio sacrilegio. Volendo ricusarne o anche solo sminuirne il peso antropologico (mah?), t'inerpichi, incespicando vistosamente, nel mondo della grecità e più specificamente della concezione tragica che il mondo classico greco aveva della vita.
Proviamo a far ordine in quel guazzabuglio di concetti mal espressi.
Il fondamento degli studi condotti da Girard non è sicuramente criminologico, bensì pienamente antropologico (mentre può essere in parte vero per quelli condotti da Pigliaru sul "Codice della vendetta barbaricina", un codice non scritto ma vincolante, nato per partenogenesi in un contesto - guarda un po' – socioculturale del mondo agro-pastorale sardo – insomma, proprio non insegni nulla). Cosa tu intenda con contesto sociale criminologico resta un mistero che varrebbe la pena di chiarire, almeno per fugare ogni dubbio sulla correttezza o meno delle tue assertive asserzioni.
Una rilettura da parte tua non guasterebbe.
Non mi dilungo oltre, c'è ben altro da commentare.
La grecità classica – poco rileva che ce ne fossero decine – non racconta la violenza, come vuoi credere tu. O perlomeno, pur essendo infarcita di violenza (Antigone, Edipo, Medea...), non è questa il fulcro e il punto focale della narrazione. La violenza è contorno, o meglio strumento per raccontare l'indecidibile genetico bordeggiare dell'animo umano conteso da forze centrifughe che tendono a dilaniarlo. Racconta il Pòlemos. Questa è la tragedia classica. Due opposte verità, entrambe sostenibili, non conciliabili: ethos vs nomos. In Antigone, per esempio, questa discrasia rappresenta il cuore pulsante dell'opera. La tragedia classica metteva in scena l'animo umano, il cuore dell'uomo in foggia di campo di battaglia, conteso da forze entrambe cogenti, non conciliabili. La violenza che cogli non è l'azione in sé, bensì la decisione (da l'etimo latino tagliare, separare operando un'azione violenta e risoluta) che determina l'azione.
Ma non intendo soffermarmi ulteriormente neppure su questo punto della tua pur sempre stimolante replica.
Ciò che veramente mi lascia stupefatto è lo scarno passaggio che fai sui legni di Cristo e sul simbolo allegorico (sic!) che l'iconica immagine rappresenta.
Innanzitutto, mostri chiaramente di far confusione fra simbolo e allegoria: l'uno non l'interpreti, perché se lo fai non è un simbolo, poiché questo non parla alla mente interpretativa, ma al profondo... Jung ti boccerebbe; l'altra, l'allegoria, devi interpretarla perché esprime il suo significato proprio perché parla alla conoscenza intellettiva dell'uomo e, quindi, alle sue capacità di analisi e decodifica. Due mondi distinti, come puoi ben vedere.
Andiamo oltre ed inoltriamoci nel campo dell'osceno (quel che non poteva essere mostrato sulla scena).
Non ti rendi conto che sminuire il Crocifisso ad allegoria che rappresenta le difficoltà della vita significa sminuirne, minarne, polverizzarne l'enorme portata spirituale? La grandissima innovazione di Gesù (una vera e propria rivoluzione teologica avvertita con la chiarezza dello scandalo dalla casta sacerdotale e dai farisei del tempo) è depositata ai piedi della croce e si esplica nella narrazione della Sua Passione, della Sua morte e della Sua risurrezione. La sua ignominiosa pretesa, la sua follia essoterica (ribadisco, essoterica), lo scandalo più blasfemo, ben enucleati da Paolo di Tarso, furono quelli di dichiararsi un Dio crocifisso, abbandonato ed abbandonate sé stesso sulla croce. In tal senso il Cristianesimo è davvero un'assurdità e il Dio Cristiano un'antinomia insanabile. Non puoi tu, cristiano, banalizzare il dolore patito da quel Cristo sulla croce ad un'allegoria della vita, ti macchi di blasfemia.
 

Freedom

Ammetto che mi sono un pò perso nel leggere questa peraltro interessante discussione.

C'è, tra le tante :D una cosa che non mi è chiara e che tuttavia mi piacerebbe sapere. Puoi perdonarmi Visechi, se ti pongo una domanda leggermente o, forse, anche senza il leggermente 8) Off Topic?

Chiedo scusa anche perché è molto diretta ma, spero, non indelicata.  Vado a bomba: sei agnostico o ateo?

Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

Visechi

Citazione di: Freedom il 18 Novembre 2024, 00:03:02 AMAmmetto che mi sono un pò perso nel leggere questa peraltro interessante discussione.

C'è, tra le tante :D una cosa che non mi è chiara e che tuttavia mi piacerebbe sapere. Puoi perdonarmi Visechi, se ti pongo una domanda leggermente o, forse, anche senza il leggermente 8) Off Topic?

Chiedo scusa anche perché è molto diretta ma, spero, non indelicata.  Vado a bomba: sei agnostico o ateo?


Ateo, assolutamente ateo che però cerca di porsi nella prospettiva del sacro.

Freedom

Citazione di: Visechi il 18 Novembre 2024, 14:42:10 PMAteo, assolutamente ateo che però cerca di porsi nella prospettiva del sacro.
Pensavo agnostico.

Consentimi una domanda un pò banale ma che spero possa aprire un ragionamento di più ampio respiro.

Che prove hai per dimostrare l'inesistenza di Dio?
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

Visechi

Citazione di: Freedom il 18 Novembre 2024, 19:00:22 PMPensavo agnostico.

Consentimi una domanda un pò banale ma che spero possa aprire un ragionamento di più ampio respiro.

Che prove hai per dimostrare l'inesistenza di Dio?
Ovviamente nessuna prova. Non si è atei perché si possiedono prove sull'inesistenza di Dio, lo si è perché non si crede minimamente alla possibilità di una divinità trascendente, anche in foggia non teista... insomma, non possiedo un briciolo di fede che possa esserci un qualcosa di divino oltre e sovra la nostra miserrima realtà. Anche se non rifiuto di pormi nella prospettiva di uno che riponga fede nell'esistenza di un Dio

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