DIASTOLE E SISTOLE - IL RESPIRO DEL NULLA

Aperto da Visechi, 15 Novembre 2024, 20:41:55 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

Visechi

 
E' presumibile che ogni tempo abbia vissuto e patito un senso di smarrimento analogo a quello che si patisce nei tempi odierni. Anche il tempo dei nostri padri, suppongo anche quelli dei nonni e degli altri avi, hanno condiviso questo comune sentire. Forse può risultare agevole trarre la ragione dell'usuale formula 'perdita di punti di riferimento' in Thomas Mann, specificamente nel bellissimo tomo dal titolo Doctor Faust. Anche Roth, nella sua bellissima Cripta dei cappuccini, ha marcato il sentimento di scoramento che impregna i tempi di transizione (talvolta non è necessario rivolgersi alle scienze sociali per aver contezza e cognizione che la percezione crepuscolare della storia è un leit motiv che ha attraversato i tempi, le latitudini e gli spazi).
 
Niente di nuovo sotto il sole, dunque?
 
Non sono i riferimenti ai grandi della cultura universale che debbono marcare e dare la cifra dell'odierna sensazione di decadenza. Sarebbe davvero un troppo comodo rifugio affidare le nostre sensazioni a chi ha vissuto in altri tempi e con notevole maestria ha cantato il tramontar del sol.
 
No! Sotto il sole odierno c'è ben altro.
 
Non l'usuale, non il banale, non un normale periodo di transizione. Le transizioni hanno sempre – dico e confermo sempre – maturato nel proprio seno risposte e qualità che si sovrapponevano a quelle avviate al tramontar. I fattori del senso, i significanti della vita erano in nuce nella decadenza stessa, e la decadenza si presentava non come una dissoluzione, piuttosto come un'evoluzione dei fattori sociali e psicologici che fornivano sostanza e significato all'esistenza stessa. Per effetto di questo evolversi sociale, non s'avvertiva una cesura netta fra un tempo e l'altro. La transizione, a parte lo spleen di fondo, che attiene più all'umanità che all'essere sociale dell'uomo, si poneva nel limine fra crepuscolo ed aurora, e la società avvertiva contemporaneamente il tramontare del vetusto senso e l'aurora del nuovo. Fra scoramento e speranza, si muoveva nell'unica direzione concessale dal progredire e dallo scorrere del tempo... ne seguiva la direttrice. Neppure la Grande Guerra, evento fra gli eventi, poté nulla – allora – contro questo ineluttabile mutar di forme e senso, resi necessari e istituiti proprio dalla e nella trasformazione, dal e nel divenire, dalla e nell'esigenza congenere alla vita di dissolvere e creare: rispettivamente diastole e sistole della vita e della società che vive, rappresentandone, infatti, il respiro: il respiro del NULLA.
 
I nostri giorni, piuttosto, hanno perso per strada la diastole, sono fermi alla sistole, alla contrazione che scorda e svanisce il moto d'espansione, permanendo, così nella buia via della dissoluzione: un cupio dissolvi. La transizione dei giorni nostri non si porta più appresso il gene del senso e di un significato nuovi. Essendo priva di culla che accolga la nascita di un nuovo senso, niente ha da cullare, nutrire e far crescere, mantenendosi così nel suo status embrionale di transizione inespressa. Che vede il crepuscolo ma non approda all'aurora, pur bramandola.
 
Niente più ideologie! Ciò che, nel bene e nel male, seppur sovente concepite e coltivate in maniera violenta e del tutto distorta, tenevano coese nell'individuo la brama di conseguire un repentino mutamento di forme e la spinta motivata all'azione, che di questo struggimento è, appunto, l'effetto più naturale. Eppure, nel passato, furono proprio le ideologie a dischiudere un orizzonte cui confidare e credere, e tanti, tantissimi, piuttosto che lasciarsi uccidere dalla verità del nulla, che si apre alla noia, pretendendola e istituendola, in questo orizzonte ideologizzato hanno investito, come si può investire in un amore. E quando l'idea o l'amore, tramontando, tradiscono, naturale è il vuoto che si espande, cacciando via il senso, ed è allora consueto che la verità del non sense ecceda nel suicidio... come sempre è stato.
 
Non penso e non immagino di certo un'ideologia tirannica o totalitaria – il vulnus del XX° secolo, e forse la causa della fine d'ogni ideologia -, penso più che altro all'idea che ha intriso l'esistenza dei vari Gramsci, Nenni, Pertini, Berlinguer (che piacere poterne trovare almeno due della mia terra). Ideologie intrise di fede, talvolta cieca ed acritica, ma pur sempre impregnata di senso. La stessa fede che, con la morte di Dio, si è tramutata più che altro nel laido bigottismo militante di CL o di Azione Cattolica. Non alludo, in questo caso, alla fede che ha infervorato don Milani, don Sturzo, o i tanti altri che si sono lasciati travolgere dall'amore militante. Ho in uggia e disdegno la cupida voluttà d'appartenenza, che coglie le anime piccine, ed esalto, invece, con un senso di piacevole meraviglia la militanza voluta e imposta dalla fede o dall'idea, che impregna di sé, della loro essenza, le anime di uomini grandi e nobili.
 
Sono, questi, tempi che si consumano in fretta, e di corsa corrodono e dissipano ogni ricchezza umana, soprattutto le relazioni, i momenti d'incontro. Ne sono esempi eclatanti l'uso compulsivo di chat e forum... di Internet in generale, della tecnologia, che usa l'uomo, che s'impossessa delle coscienze e s'installa nell'animo, svuotandolo d'ogni altro contenuto... sia esso il sentimento, vuoi pure le emozioni. Le stesse che nascono dall'incontro di donne e uomini veri, fatti di carne, di ossa, di paure e gioie e di sentimenti ed emozioni. Emozioni che non si esauriscano nel breve arco di tempo concesso da una fugace scopata: veloce, clandestina, nel corso della quale forse neppure il nome dei partner è mai pronunciato, perché non è elemento essenziale dell'effimero e transeunte piacere, che mai si traduce in emozione che arricchisca l'animo.
 
L'eccessivo utilizzo di 'k' e i flash da pixel, sono sintomo evidente che l'utilitarismo si riverbera e manifesta in ogni particella della nostra esistenza quotidiana. Anche nel linguaggio, il quale, per molti, non è più uno strumento di comunicazione, cioè di unione, anche momentanea, che deve quindi trasmettere per ricevere. Oggi il linguaggio, sempre più povero e scarno, non comunica, se non la superficie, rifiutando di porsi al servizio del profondo, dell'anima, del sentimento. Il linguaggio asservito alla tecnologia chiede, domanda, pretende... non è più comunicativo.
 
La transizione che viviamo è uno stare, non un andare, è cioè un qualcosa che non va oltre, che non si apre a nuove proposte e scoperte, che surroghino fede e idee, che, nel bene e nel male, hanno rappresentato il punto di riferimento di tantissimi giovani negli anni scorsi.
 
Un tempo ci si uccideva per un'idea – certo, mal interpretata -. Si era però disposti alla manganellata pur di affermare un'idea, un proprio punto di vista, seppure attinto acriticamente; oggi è la noia – non lo spleen, che è altra cosa, Baudelaire non è passato invano – ad uccidere, a muovere l'azione, a costringere l'esistenza di troppi ragazzi e ragazze, disposti a buttar via la propria gioventù nel vano inseguimento del troppo facile piacere di un attimo che ottunde il vuoto che li/ci abita. Piaceri veloci che, proprio perché troppo facili e a portata di mano, non richiedono un investimento di energie, di sentimento, non impegnano la persona, il suo intimo, ma solo l'epidermide. Superficie che è espressa anche dall'eccesso di 'k', utili per volere, pretendere, ottenere... mai per dare qualcosa, per uno scambio.
 
La transizione appare come un mastodonte che goffamente si muove nel pantano della tecnica, ed in esso resta imprigionato. Una tecnica che promette il paradiso oramai disabitato dall'ideologia, il cui tramonto ha svelato l'effimera illusione del farmaco contro il nulla che si espande. Paradiso sempre più disabitato anche a seguito della rinuncia e del rifiuto dell'eterna, irrisolta promessa della fede. Il paradiso della tecnica è freddo come il metallo e la plastica che utilizza per proporsi; effimero e falso come la pubblicità che la propone.
 
L'abbondanza di modi e mezzi di comunicazione ha ottuso la propensione a comunicare; l'enorme disponibilità di piaceri ha offuscato la gioia e il piacere all'incontro vero; l'emozione pret a porter ha reso inutile e vano l'investimento emotivo; la spiritualità da banco ha intristito e impoverito l'anima degli uomini, svuotandola della speranza, promettendo in cambio una conoscenza impossibile e la futile coscienza del Sé Superiore; l'io è diventato Dio, e la solitudine colloquia solo con le altre solitudini di cui si circonda, divenendo l'ambito e l'area entro cui, monadi, muoviamo i nostri passi. L'incontro fra persone sempre meno si coniuga nel sentimento o nell'emozione. Sempre meno si apre all'impegno, all'investimento emozionale. Sempre più assomiglia a un cleanex: lo si usa, lo si getta via, non lascia tracce.
 
Tutto, oramai, è votato all'utile, al consumo: l'uomo e la donna consumano un rapporto sessuale, non fanno più l'amore, perché anche il verbo amare, usato ed abusato, si è svuotato di senso. L'amicizia è solo uno stare insieme, un fare le cose insieme, affinché le reciproche intime solitudini non emergano, facendo così udire l'eco della voce del vuoto che si spande nel nulla. La tecnologia ha ucciso anche la bellissima illusione dell'amore fra umani, quelle dell'ideologia e della fede sono tramontate da tempo, da molto, troppo tempo.
 
Certo! Non tutto è così bigio e oscuro. So bene che resistono enclave d'umanità, ma si tratta appunto sempre più d'enclave, dove la norma dei nostri nonni è diventata eroismo. Un detto popolare – mutuato dal celeberrimo moto di Brecht -, dipinto sul muro di un'abitazione in un paesino del centro della mia terra recita: beato il popolo che non ha bisogno d'eroi: in questo detto c'è davvero tantissima saggezza. L'area del senso s'assottiglia sempre più, indietreggia al cospetto del miasmatico sentore del nulla.
 
Come non atterrire, non essere sgomenti di fronte alle confessioni d'efferati delitti: perché? (la domanda); non so! (la risposta). Ebbene, non mentono: la noia agisce ed opera senza offrire un senso, senza un vero perché. Talvolta s'incappa in un'improvvisa e inattesa sincerità: per vincere la noia!
E'questa la novità, la vera cesura fra le altre transizioni e quella presente. Neppure si odia; sempre più di frequente l'azione è priva di movente: non il furto, né la ricchezza o il potere; non un'idea da dover essere affermata anche con il ricorso alla forza, neppure l'odio... ma solo un 'non so' e tanta noia da vincere. Un gioco, ed è così! E' l'eterno gioco del nulla, che si esprime proprio in noia, in 'non so', in nulla: uniche vere vesti che il nulla sa e può indossare... il resto è belletto, maschera.
 
Il nulla oggi è nudo!
 
In altri tempi, neppure troppo lontani per non averne più memoria diretta, la transizione nasceva dal sapore e dal colore del crepuscolo, e si protendeva ad ammirare il colore e presagiva il calore dell'aurora. Entrambi ben presenti, in nuce, nel tramonto. Il Medioevo si tuffava nell'Umanesimo, il quale annunciava il Rinascimento, che era seguito dall'Illuminismo – grande e fervente fucina di controverse ideologie -. All'Illuminismo fece seguito il Romanticismo, poi il decadentismo, con tutta la cultura che ne cadenzava il passo. Il XX° secolo s'apriva segnato da un evento cruento, controbilanciato, però, dalla speranza, sicuramente anche frivola, della belle epoque. La Grande Guerra nutriva ed era nutrita dall'irredentismo. Il ventennio era il falso riscatto (creduto vero). La successiva tragica guerra si radicava in nuove attese per l'uomo, sfociate in seguito anche nella Carta universale dei diritti dell'uomo; fino a giungere ai giorni nostri, fra alti e bassi, scoramenti, paure e rinnovate speranze. Probabile che nel fondo della cornucopia domani scoveremo l'ennesima, immarcescibile, futile e transeunte nuova illusione che dissimuli la verità del nulla. Ma oggi qual è il nostro orizzonte? E' un futuro in mano alla tecnica! Morto Dio – oramai quasi sotterrato, soprattutto dalla Chiesa -, tramontate le illusorie ideologie, qual è la nuova futura illusione che potrà riuscire a dissimulare la verità del nulla e del non senso? Resta solo un'amara constatazione: forse i giovani d'oggi sono soltanto più sinceri, mostrano senza infingimenti la nudità del nulla, e di questa essenza oscura sono appunto l'espressione più consona e genuina.
 
Nessun pianto da parte mia, solo un'amara constatazione.  
 
La verità, quando si mostra nuda e cruda, intrisa dei suoi miasmatici odori e foschi colori, atterrisce e sgomenta. La società odierna registra nella cultura proprio questo sgomento.
 

Jacopus

Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Pio

Non ci abitueremo mai ai metodi ruvidi di Dio, Joseph (cit. da Hostiles film)

Koba II

La civiltà greca aveva come presupposto la schiavitù.
Socrate e i suoi amici potevano impegnarsi nella ricerca di cosa fosse per esempio la giustizia, solo perché per ognuno di loro c'erano dieci schiavi che lavoravano nei campi.
Questa libertà ha prodotto grandi cose, ma nel momento del suo declino credo che il giudizio cambi se si interroga il cittadino o lo schiavo.
Certo si troveranno sempre degli schiavi innamorati dei propri padroni, che proveranno nostalgia per quella "naturale" differenza tra liberi e servitori.
Nelle grandi ideologie c'è qualcosa di simile: un apparato che produce o conserva una spiritualità specifica e degli schiavi che mantengono i funzionari (che però ora non sono liberi cittadini, perché i loro pensieri devono essere quelli scelti dall'élite al comando).
Ma in questo caso, rispetto alla schiavitù antica (che si reggeva sulla forza, su nient'altro che una differenza reale di forza), è attraverso la manipolazione e le illusioni che si riesce a mantenere in servitù le grandi masse. Così istupidite da andare felici al fronte a farsi ammazzare. Almeno le mucche al macello si rendono conto di quello che sta per accadere e giustamente esprimono terrore.

In sostanza anziché chiedersi come essere più liberi, o come utilizzare la libertà che si dispone a secondo della propria specifica posizione sul continuum tra l'élite e lo schiavo, dovremmo provare nostalgia per i macelli del Novecento perché è più nobile morire per delle illusioni piuttosto che suicidarsi per il nulla...
La nostra società è semplicemente una società di massa che si fa manipolare non con l'illusione di un futuro radioso, ma con quella di un edonismo da spendere nel presente.
Due forme di stupidità differenti.
Dietro di esse, lasciata la massa al suo destino, rimane l'unica cosa su cui vale la pena lavorare: la propria vita, la propria cultura, le proprie amicizie, i piccoli o grandi contributi all'educazione di qualche persona che da poco si aggira per questo mondo etc.

iano

#4
Citazione di: Visechi il 15 Novembre 2024, 20:41:55 PMNiente di nuovo sotto il sole, dunque?
Non sono i riferimenti ai grandi della cultura universale che debbono marcare e dare la cifra dell'odierna sensazione di decadenza. Sarebbe davvero un troppo comodo rifugio affidare le nostre sensazioni a chi ha vissuto in altri tempi e con notevole maestria ha cantato il tramontar del sol.
No! Sotto il sole odierno c'è ben altro.
Non l'usuale, non il banale, non un normale periodo di transizione.
Questa tua affermazione ha un valore nella misura in cui riusciamo ad immedesimarci nel travaglio degli uomini del passato e/o nella misura in cui riusciamo ad estraniarci dalla centralità che inevitabilmente possiede per noi il tempo che viviamo, laddove decentralizzarsi non è mai facile, richiedendo una forte volontà nel farlo.
Però quello che io vedo, e non mi riferisco a te, è che questa volontà non sia cosi forte , mentre prevale a volte il desiderio di vedersi come potenziali abitanti di un arcadia da restaurare, non potendovi materialmente tornare, e alla fine ci si riduce a dire, secondo un copione scontato, che si stava meglio quando si stava peggio.
Allo stesso tempo non mi sfugge come questo farsi zavorra al cambiamento sia salutare, perchè per procedere il freno non conta meno dell'acceleratore in un veicolo accortamente costruito.
Mi pare che nella misura in cui la cultura si fa carne, veloci cambiamenti culturali letteralmente ci dilaniano, e che non sia facile vincere la scommessa di poter vivere più vite in una come i nostri tempi ci invitano a fare.
Immaginate allora  come saremmo messi in fatto di alienazione se mai si realizzasse il nostro sogno di eternità.
Per tutti arriverebbe allora il momento di spararsi un colpo in testa, perchè c'è poco da fare, ma, per quanto ci sforziamo di adeguarci, certi processi non possono fare a meno del ricambio generazionale, se di noi periodicamente non si possa fare tabula rasa, spegnendoci per riaccenderci, quando il programma vitale si blocca.

Ma , in quanto filosofi mi chiedo, non dovremmo noi riuscire a sollevarci sopra tanta ovvietà ripetitiva, almeno col pensiero, cioè con ciò che al filosofo attiene, se non nei fatti?
Oppure dobbiamo accattare di assoggettarci alla solita recita ripetuta sempre uguale?
In cosa consisterebbe allora il filosofare nella sua specificità se si riduce poi a politica spiccia?
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

Politica spiccia quotidiana incapace di fare un programma che vada e veda oltre il buio della mezzanotte.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

niko

#6
Dopo la rivelazione del nulla non e' possibile, illudersi ancora: o si soccombe, o si accetta la realta'.

Ribadisco, situazione che io immaggino come dicotomica, e irreversibile: davanti alla rivelazione, della verita' del nulla, o si soccombe, o si accetta la realta', ma non ci sara', una nuova era di collettiva e motivante illusione, cioe' la ruota, delle epocali illusioni, e' spezzata punto e basta, non riprendera' mai, a circolare "ordinariamente" davanti ai nostri occhi  come nel passato e come al solito.

Quello che fa epoca, non e' tanto la rivelazione del nulla di per se' (come potrebbe, il nichilismo fare epoca?) ma la condizione, e posizione, dell'uomo che soccombe a causa della rivelazione del nulla, cioe' che posto di fronte al dilemma, che dalla rivelazione del nulla deriva (o annichilimento, o accettazione), non accetta, di accettare, la realta'.

Non verra', insomma, proprio nessuna, ulteriore ideologia. Se non la disponibilita' libera e festosa di tutte le ideologie, come maschera del nulla, una volta che avremo accettato, la realta'.

Pero' sia in senso individuale, che collettivo e sociale, le cose si capiscono molto di piu' se si colloca la fase della rivelazione del nulla nel nostro passato piu' remoto (e' gia', avvenuta, come trauma), la fase del soccombere nel nostro passato "prossimo" e tanto piu' nel nostro presente (e' quello che ora come ora stiamo facendo: stiamo soccombendo), la fase dell'accettare la realta', nel nostro (unico possibile...) futuro.

Medioevo, umanesimo, rinascimento, illuminismo, romanticismo, decadentismo, positivismo, e chi piu' ne ha, piu' ne metta. Tutte le ideologie, torneranno disponibili alla volonta', una volta compereso, a cosa realmente servissero, quelle ideologie. Cioe' non ne tornera' nessuna.

La nostra fase, e' ideologica, perche' afferma che davanti al nulla, si possa solo soccombere.

La tecnica, e' sopravvalutata, perche' la tecnica predispone i mezzi, non i fini. La tecnica, con buona pace dei molti, restera' sempre un mezzo, non diventera' mai un fine (come potrebbe? e' come aspettarsi che il nichilismo in se', e non gia' la nostra reazione, al nichilismo, possa mai in qualche modo fare epoca) e qui molti intellettuali, a vari livelli, sbagliano, a farsi sedurre, o spaventare, dal grande Moloc tecnico, che di per se', non significa nulla.


Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Visechi

Dietro di esse, lasciata la massa al suo destino, rimane l'unica cosa su cui vale la pena lavorare: la propria vita, la propria cultura, le proprie amicizie, i piccoli o grandi contributi  di qualche persona che da poco si aggira per questo mondo etc.

Mi vuoi dire, caro Sancho, che dovrei tirarmi indietro
 perché il Male ed il Potere hanno un aspetto così tetro?
 Dovrei anche rinunciare ad un po' di dignità,
 farmi umile e accettare che sia questa la realtà?

Il Potere è l'immondizia della storia degli umani
 e anche se siamo soltanto due romantici rottami,
 sputeremo il cuore in faccia all'ingiustizia giorno e notte:
 siamo i "Grandi della Mancha",
 Sancho Panza... e Don Chisciotte!

 
Preconizzi o auspichi la resa. Un ritrarsi in noi stessi ed aver cura solo del nostro io. Credo che la cura che caldeggi o vaticini sia più che altro la principale causa del Male che rende evidente la verità del Nulla. Un grande statista della mia regione disse un giorno: "Ci si salva e si va avanti se si agisce tutti insieme".
È il solipsismo individualista, che nutre e si nutre di edonismo, il punctum dolens del vivere comunitario. Abbiamo velato la verità del Nulla investendo in relazioni e tessendo legami. Oggi abbiamo rinunciato ad essere animali di relazione e l'homus technologicus ha preso il sopravvento. L'ordito che apparecchiamo ai nostri sentimenti ed alle nostre emozioni non è più fatto di carni ed animi che s'incontrano, si parlano, si con-fondono, si amano. È costruito su intelaiature costituite da microchip e le emozioni che trasmettiamo o riceviamo sono pixel che non eccitano i sensi, non creano attesa, non producono ansie dovute all'attesa di un incontro. Sono effimere come lo è il display cui le affidiamo. La tecnica non costruisce fini, non li proietta in un oltre escatologico nutrito dalla speranza. La tecnica non ha senso, non lo porta con sé, non lo edifica. Deve solo funzionare. Affidando la nostra biografia a scatole di alluminio che ottundono le speranze, fiaccano lo spirito e annacquano la nostra umanità, stiamo perdendo ciò che più d'altro edifica l'uomo: la possibilità di fare esperienza della vita e il sovrano insegnamento che l'errare ci impartisce. Perso l'insegnamento dovuto all'errore, ci trasformiamo in errabondi dimentichi di essere in primo luogo viandanti. Persi i punti di riferimento, smarrito Marx, ucciso Dio, obliamo l'etica e ricusiamo l'homo moralis. La noia è l'abito che riveste le nostre giornate e uccidiamo il tedio ammazzando il primo che incontriamo per strada, senza un perché, senza odio, senza emozioni. Non c'è bisogno di odio perché ormai abbiamo dissecato la fonte primaria del nostro sentirci parte di un tutto: non ci identifichiamo col prossimo, percepito ormai come un corpo estraneo, neppure ostile, cui non riconosciamo il diritto di abitare il mondo.
La verità del Nulla ci ha resi inadatti alla vita, monadi senza meta, errabondi che non approdano in un porto che dia requie. Noncuranti di tutto, rifiutiamo di partecipare. Indifferenti, mettiamo il nostro futuro nelle mani di esseri privi di scrupoli. Esaltiamo l'ignoranza crassa e avversiamo chiunque ci faccia notare il nostro inesorabile precipitare entro un'area priva di senso e densa di Nulla.

Ma davvero dovremmo arrenderci alla protervia del Nulla e dovremmo tirarci indietro perché il Male ed il Potete hanno un aspetto così tetro? Dovremmo anche rinunciare ad un po' di dignità, farci umili e accettare che sia questa la realtà?
 
 

Koba II

Ma non esiste alcuna "verità del nulla". Ciò cui si riferisce quel nulla è la dissoluzione dello scheletro culturale di una civiltà. Si è capito che certi valori non sono eterni.
Quindi sarebbero niente perché non sono infiniti? Si rivelano nulla non essendo le idee di Dio?
Si vede bene come tutto questo parlare di nulla e di nichilismo non abbia molto senso, ma sia solo una fase di convalescenza, di espulsione di tossine, di notti febbricitanti.
Tutto è iniziato quando ci si è convinti di poter costruire una scienza del Bene. Anziché concentrarsi sulla prassi educativa e sugli esperimenti si è completamente perso la testa per la soluzione di questo enigma teoretico. La soluzione è stata inventata, poi elaborata complessivamente nella metafisica platonico-cristiana, quindi ancorata al potere politico.
Inutile dire che la questione di partenza, "come fare ad allevare degli uomini buoni", si era ormai perduta nelle dispute teologiche.
[Ma veramente c'è una soluzione al problema educativo? Forse una persona di indole buona e curiosa troverà sempre il modo di salvarsi, mentre chi è insensibile e indifferente troverà sempre il modo di perdersi. Questo al di là di tutto ciò che l'ambiente offra loro, sofisticato o povero che sia. Chissà...]

Io non ho affatto invitato a occuparsi solo di se stessi, piuttosto di prendersi cura di ciò che concretamente ci circonda. Mi pare inutile immaginare grandi riforme agrarie se non si è nemmeno in grado di coltivare il proprio giardino.

Non è nemmeno corretto dire che si uccida per noia.
Si uccide o si usa l'altro essenzialmente come strumento del proprio piacere quando si è perso (temporaneamente o per sempre) la capacità si sentirlo come persona. Vedendolo solo come oggetto o strumento si può arrivare anche al delitto, così per vedere che cosa si prova a uccidere.
Se di "nulla" vogliamo parlare allora ciò su cui bisogna riflettere è il nulla in quanto assenza di empatia, e sulle sue cause.
Se è l'assenza di empatia a permettere la crudeltà, va tenuto presente che tale assenza può essere determinata da tutt'altro che da un vuoto: per esempio il ricercatore che fa a fette il cervello di un gatto perfettamente cosciente, o la guardia nazista di un campo di concentramento, sono entrambi pieni di convincimenti rotondi, cosa che permette loro di sospendere la pietà, per poi, finito il "lavoro", con la coscienza pulita, di tornare ad essere le persone affettuose e sensibili che tutti conoscono.
Bisognerebbe quindi cercare di capire se la noia può essere una delle causa di questa sospensione dell'empatia, o piuttosto è la noia, il vuoto della vita, ad essere già l'effetto di tale sospensione.

InVerno

Citazione di: Visechi il 15 Novembre 2024, 20:41:55 PMNessun pianto da parte mia, solo un'amara constatazione. 
 
Questo lo dici apoditticamente, ma non hai mai affrontato nel testo, ben scritto e di piacevole lettura, i bias che invece normalmente inducono a queste prospettive nostalgiche, e che li separano da mere constatazione di fatto. Riconoscerai che "si stava meglio quando si stava peggio" se fosse un genere letterario  sarebbe probabilmente il più abusato nella storia, letteralmente i primi reperti archeologici di forme scritte non numeriche raccontano di scribi che si lamentano dell'empietà dei giovani e del mondo che sta diventando vacuo. La tua esposizione è piacevole e anche condivisibile, ma dal mio punto di vista non mi convince che sia semplicemente una constatazione.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Visechi

"Ma non esiste alcuna Verità del Nulla"

Il Nulla (ex Nihilo)

Non è sicuramente facile definire o stabilire cosa effettivamente sia quella particolare 'condizione' (termine improprio) che noi definiamo il Nulla. Non è neanche facile immaginare se realmente il Nulla esista. Anche i termini che si è costretti ad utilizzare per provare a mettere insieme una sua definizione, appaiono immediatamente dei controsensi, risultando, infatti, immediatamente del tutto inadeguati. È impensabile ipotizzare di arrivare a 'guardare' il Nulla. In effetti, se dovesse esistere non sarebbe più tale. Come si potrebbe definire o spiegare il Nulla? Non credo sia corretto immaginare di farlo coincidere con uno stato o condizione della realtà ... ci troveremmo immediatamente al cospetto di un paradosso insanabile ed irrisolvibile. Non credo neppure che il raziocinio possa venirci in aiuto; non è la speculazione intellettuale che potrà mai avvicinarci a comprenderne l'essenza, attraverso un'indagine 'diretta' circa le sue caratteristiche peculiari- quali caratteristiche poi? -. Non può essere una ricerca delle sue qualità (inesistenti, poiché stiamo parlando di un 'non qualcosa' che racchiude in sé l'insieme di 'tutto quel che non è').
Qualcuno, non ricordo chi, una volta disse: <<Un vero "nulla" non esiste, e non può assolutamente esistere. Se si dice che il "nulla" "esiste", deve necessariamente essere "qualcosa", altrimenti non esisterebbe! Soltanto quello che è qualcosa, può esistere...>>
Credo che sia corretto.
Sto inseguendo questa irrealtà, ho la sensazione che ogni qualvolta arrivo a percepirne o intravederne la coda e mi accingo a coglierne l'essenza, questo (il Nulla) mi sfugga, si mascheri, si trasformi in qualcosa d'altro, riproiettandomi  in qualcosa di diverso, di profondamente diverso. E' probabile si tratti solo di una limitazione umana: l'impossibilità d'immaginare il Nulla: ciò che immagino 'è', quindi non è 'il Nulla'.
Non è certamente l'indagine diretta, che pretenda di guardare "faccia a faccia" questa ir-realtà, ad aver ragione della sua ineffabile presenza. Dobbiamo ricorrere a quella che in altre materie speculative è denominata indagine induttiva. Si deve partire necessariamente da un diverso punto di visuale, da un'altra prospettiva. Se non possiamo inferire il Nulla approcciandolo con un'analisi che osservi il 'fuori', forse si può lambire la sua cogente vuota consistenza attraverso un'osservazione dell'intimo nostro, della nostra sfera emozionale.
Provo a partire da un altro punto. Ad analizzare me stesso, per vedere se nell'intimo recepisco un qualcosa che non c'è (altro paradosso).
Spesso succede che si avverta una strana sensazione di vuoto, di essere circondati dal non senso, di far parte del non senso. Un dolore profondo pervade l'essere. Non vi sono cause apparenti. Non si riesce a risalire a problemi scatenanti questa particolare e dolorosa condizione. Eppure, anche in assenza di motivazioni apparenti, di cause scatenanti, noi subiamo, anche in maniera molto intensa, questa particolarissima situazione, spesso passeggera: una meteora che annichilisce e fiacca le energie e la nostra voglia di fare. Cosa può essere questa sensazione? Chimica del cervello? Che tristezza, no, non credo sia solo questo. Forse, nel nostro intimo, inconsapevolmente, percepiamo ed entriamo in contatto con la vacuità, con 'il Nulla'. Non siamo in condizione di descriverlo. Il Nulla sarebbe impercettibile ed inesistente, ma produrrebbe delle alterazioni della nostra sfera percettiva ed emozionale, per cui non sarebbe corretto immaginare che noi avvertiamo il Nulla in maniera 'diretta', ma che, viceversa, percepiamo, anche chiaramente, le manifestazioni cogenti che lo stesso produce sui nostri sensi.. Le percepiamo e le subiamo ... per cui avvertiamo, appunto, l'esistenza di un 'non qualcosa'. Succede, nessuno lo può negare.
Parlo di microcosmo, di un 'Nulla' a livello umano.

Koba II

Forse l'errore sta nel pensare che in una condizione neutra l'uomo possa rimanere in uno stato privo sia di malessere che di benessere.
Le osservazioni che facciamo su noi stessi mostrano che non è così.
Tant'è che soffriamo la noia. Nella condizione neutra in realtà soffriamo, anche se si tratta di un malessere di fondo, che facciamo anche fatica a individuare.
Uno dei motivi di questa sofferenza di base potrebbe essere l'insieme dei traumi che ciascuno, chi più chi meno, subisce nel corso della propria vita, e che lasciano tracce che, riattivandosi spesso casualmente, riportano in essere, in una versione molto depotenziata ma con reali connotati fisici (cambiamenti fisiologici come aumento del battito cardiaco etc.), quel dolore che si è subito nell'evento originario.
Certo in questo caso c'è una causa specifica alla sofferenza: il ricordo.
Nulla toglie però che le tracce dei traumi possano agire a livello inconscio.
Quante volte ci si sveglia al mattino con un umore nero o triste senza alcuna ragione?
Dobbiamo immaginare che nei sogni di quella notte, anche se non li ricordiamo, si possano essere riattivati quei ricordi e quindi anche lo stato psicosomatico di sofferenza che gli eventi originari avevano provocato in modo così intenso.
Ma c'è dell'altro. Se tutti noi abbiamo fatte esperienze di grande sofferenza (anche solo fisica), soprattutto nell'infanzia, abbiamo anche sperimentato la vittoria su questa sofferenza, la guarigione.
Un'esperienza di euforia.
Ma finita tale euforia saremo portati a cercare di riprodurla. Sentiremo la sua privazione come disagio.
Non è quindi nemmeno necessario ipotizzare uno sfondo di traumi inconsci per dare conto del malessere generale. È sufficiente l'esperienza del piacere intenso a provocare poi una condizione negativa per il solo fatto che tale esperienza è assente.

Il nulla, il non senso, si possono spiegare come l'effetto dell'assenza di qualsiasi attività finalizzata a ricostruire, in una qualche sua versione, l'esperienza del piacere, del benessere.
Qualsiasi attività: compreso scrivere sul nulla. Perché la ricerca della verità o l'espressione artistica hanno sempre come obiettivo quello di "arricchirci", espressione retorica che però dice bene che il fine, anche inconsapevole, è aggiungere potenza al nostro stato conservativo.
Anche soltanto un modello, uno schema che dia conto del funzionamento di un certo fenomeno ci restituisce potere, forza, un qualcosa in più insomma rispetto all'istante precedente la sua teorizzazione.
Il non senso infatti si sperimenta quando ci fermiamo. Perché il senso è sempre immanente la prassi.

Visechi

Non ci penso nemmeno. L'atarassia, perorata dalla cultura orientale, non può essere la risposta a questo senso di vuoto e alla percezione del Nulla che informa di sé i tempi che viviamo. Tutt'altro, son convinto che sia necessario riprendere ad abitare il sociale e ridurre gli spazi che oggi dedichiamo al solipsismo. Dobbiamo rivitalizzare la stagione dell'impegno nel mondo, non solo attraverso la partecipazione come cittadinanza attiva, ma soprattutto come partecipazione attiva alla vita democratica del Paese e del mondo. Non possiamo rassegnarci ad abbandonare le società nelle mani di personaggi quantomeno discutibili.
Per restare in Italia, non troppi anni fa, assistevamo alle dispute fra i Pajetta, Berlinguer, Nenni, Pertini che dibattevano con personaggi della statura di Moro, Zaccagnini, Spadolini, La Malfa, oggi assistiamo ai confronti tra parolai come Salvini che fronteggia Renzi, Di Maio ministro degli esteri, Tajani vice presidente del consiglio dei ministri, Lollobrigida che straparla di agricoltura, Sangiuliano ministro della cultura, per fortuna solo ex, anche se il fanfarone odierno per certi versi fa rimpiangere il predecessore. Sguaiati personaggi che guidano le imprese e il governo. Insomma, un moto d'orgoglio dovrebbe imporci di riprendere ad interessarci della cosa pubblica, di non abbandonare il mondo per rinchiuderci in noi stessi. Anche perché quel che vediamo è anche frutto, in 7na certa misura, del nostro montante atteggiamento individualista.
Non sono per la resa!

Discussioni simili (5)