Parlando di etica, natura, emozioni, in attesa della fine del mondo

Aperto da Koba II, 27 Ottobre 2024, 09:54:43 AM

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Il_Dubbio

La filosofia è l'arte del farsi una domanda e tentare una risposta. Ma non tutti si fanno le stesse domande.
L'etica è quella forma di coivolgimento sociale dove tutti devono attingere per trovare risposte a domande ricorrenti.

Ad esempio ascoltavo una intervista allo scrittore Carofiglio. Pare che lui voglia indicare un'etica mancante: manca l'etica della fortuna.

In cosa consiste? Nella nostra società attuale va di moda l'etica del successo. Ovvero se sono bravo vado avanti. Quindi se assumo un ruolo apicale vuol dire che me lo sono meritato. Siccome sono pochi quelli che ci arrivano, di conseguenza la frustazione di chi non ci è riuscito ha una platea molto piu grande. L'etica della fortuna invece indica che chi è arrivato al successo, sarà anche stato bravo, ma è stato anche fortunato.
La meritocrazia porta a quella frustazione della maggioranza che non riesce ad andare avanti nel successo. 

Un amico che aveva capito questo gia molto tempo fa, ricorse ad un trucchetto matematico. Solitamente per vincere un concorso, devi presentarti e fare gli esami. Se sei bravo passi gli esami e se sei piu bravo degli altri che si sono presentati vinci il posto messo a concorso. 
Lui aveva capito che per vincere un posto, qualsiasi, non essendo bravo... bisognava farli tutti. Prima o poi a fortuna uno lo avrebbe vinto. Così dopo non so quante volte ci provò, vinse addirittura due concorsi ed ebbe anche la possibilità di scergliersi quale accettare. 
Questa è la dimostrazione che esiste un sistema fortunoso nel successo. Manca però l'etica. 

Koba II

Citazione di: Alberto Knox il 06 Novembre 2024, 17:32:16 PM[...]
Per quanto riguarda l'etica e il filosofare sull'etica mi chiedo quali forme di educazione morale ci sono ancora oggi. Il concetto di educazione odierna è ridotto, quando va bene, alle buone maniere. Ne viene che la parte più importante di un essere umano, ovvero la coscienza morale, è lasciata al caso. Si persegue  e si trasmettono informazioni a scopi conoscitivi ma ci si guarda bene dal trasmettere formazione, cioè valori, criteri di giudizio , modelli di pensiero e di vita . L'educazione quindi si perde, l'etica viene scambiata per buonismo. Ognuno di noi ha delle caratteristiche peculiari quali sensibilità , intelligenza , sapere, professionalità ma la nostra essenza specifica non è data da ciò che sentiamo, capiamo, facciamo , sappiamo bensì dal modo di cui facciamo uso di ciò che sentiamo, capiamo, facciamo , sappiamo. Noi siamo la nostra modalità, è questo il peso specifico di un essere umano. Ci definiamo Sapiens, ma in questa definizione è in gioco da subito l'etica. Sapienza infatti non è semplicemente conoscenza ma è l'unione di conoscenza e di virtù. Il fatto è che nessuno oggi sa più che cosa sono le 4 virtù cardinali considerandole dei fossili del pensiero.  Mentre invece sono i cardini , i pilastri di una vita in armonia con se stessi e con il mondo.


Sull'educazione morale ci si scontra subito con un problema: perché quel determinato insegnamento e non piuttosto un altro? Perché dovremmo addestrare i giovani alle virtù cardinali e non piuttosto al concetto di virtù come "efficacia", come "successo"?
I destinatari di questo disciplinamento infatti prima o poi chiederanno conto del contenuto specifico di tale educazione...
E questi valori, non essendo inscritti nella natura umana ma eredità di una specifica civiltà ormai in declino, quindi "ideali" grandiosi sì ma pur sempre relativi, come possono essere "offerti" in modo persuasivo?

Mah, forse solo nell'ambito di un contesto sociale in cui la cosa più importante sia lo studio paziente, la dedizione per le cose "alte", la critica ragionata e non la polemica fine a se stessa, solo nell'ipotesi di una comunità del genere si potrebbe immaginare un'educazione alle virtù che non sia mero apprendimento basato su una fede religiosa ma riconoscimento di un modello esemplare di convivenza civile.

Alberto Knox

Citazione di: Koba II il 08 Novembre 2024, 14:58:28 PMe non piuttosto al concetto di virtù come "efficacia", come "successo"?
ma perchè questo criterio esiste già , si chiama "tecnica" dove la parola d'ordine è maggior efficenza in minor tempo. Ma la tecnica non ha nulla a che fare con il dualismo male/bene . Se funzioni, se sei funzionale al sistema e quindi capace di interagire con la tecnica moderna allora il tuo servizio è richiesto, se non sei capace o dimostri di non essere funzionale vieni licenziato. E non c'è ne male ne bene ne giusto ne sbagliato in questo è semplicemente la modalità dell economina.
Citazione di: Koba II il 08 Novembre 2024, 14:58:28 PMI destinatari di questo disciplinamento
Non si tratta di imparare una disciplina , l educazione ha poco a che fare con l'insegnamento. Infatti "In-segnare" significa mettere, imprimere segni dentro la mente. Mentre E-ducare,  Educere, significa "tirare fuori" . c'è un bella differenza fra in-mettere e tirarare fuori. E cosa si tira fuori? il tuo prendere sul serio il tuo essere pensante . Condizione indispensabile per agire e pensare in maniera etica.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

niko

Citazione di: Koba II il 27 Ottobre 2024, 09:54:43 AMMettendo da parte ciò su cui non possiamo dire nulla di definitivo, ovvero Dio, per quanto riguarda il fondamento della morale non rimane che riflettere intorno all'uomo e alla natura.
Dal punto di vista scientifico possiamo dire che ogni creatura cerca la felicità (benessere, maggiore vitalità, prosperità), e nello stesso tempo che ogni creatura è legata all'altra e al proprio ambiente.
Quest'ultima asserzione (già sostenuta in tanta metafisica, in particolare in quella neoplatonica) può essere dimostrata proprio nel senso della fisica moderna: idealizzando un sistema chiuso (così come nella meccanica si idealizza un sistema con un numero limitato di variabili) si può vedere come la conclusione non possa che essere la seguente: è l'interazione tra le singole creature a decidere la prosperità o la fine della vita nel sistema.
Se ad un'interazione virtuosa, anche se non consapevole, succede un approccio esclusivamente conflittuale (semplificabile in "mors tua vita mea"), la prosperità nel sistema avrà probabilmente all'inizio dei picchi locali per poi estinguersi e lasciare il posto al deserto.

Da una parte la competizione sembra essere un elemento indissolubile di tanti aspetti della natura (la vita dei carnivori e dei parassiti, per esempio), dall'altra è constatabile con tutta evidenza questa interazione virtuosa che sembra essere anche più essenziale, quasi fosse una logica superiore ma immanente la natura stessa e che solo ora abbiamo iniziato a comprendere sul piano scientifico.

La sapienza filosofica (fino a Spinoza) ha sempre cercato di sciogliere questa contraddizione con la conoscenza. Conoscenza di ciò che è essenziale (il legame con il Tutto, la necessità della Natura, l'uomo come espressione del divino e quindi capace di accedere alla Sapienza) rispetto a ciò che è puro accidente (la violenza, l'errore, l'isolamento).
Attraverso la conoscenza filosofica arrivo a capire in modo indubitabile che sono legato a tutte le altre creature, il cui accrescimento in vitalità è quindi anche mio specifico e particolare interesse.
Il sapiente si prende cura degli altri perché gli altri sono parte, per quanto piccola, tenue, di se stesso.
Questo modello era comunque accessibile ai soli filosofi.

Ma a che punto siamo arrivati noi, ora?
Qual'è la vera difficoltà nel fare in modo che l'idea dell'interazione virtuosa come espressione dell'essenza stessa della natura e dell'uomo diventi una nozione comune, scontata, come comune e scontata è la cura per il luogo in cui si abita?
I modelli filosofico-sapienziali da che cosa sono stati sostituiti? I discorsi sull'etica della compassione, dell'empatia quale ruolo hanno in questo fallimento? Tutto quel sentimentalismo morale...
Forse dovremmo ricordarci che ogni emozione (quindi anche la compassione) è una reazione istintiva dell'organismo nel suo complesso ad un evento potenzialmente dannoso o benefico.
Nel dolore che si prova per la sciagura dell'altro l'organismo, saggiamente, ci ricorda, non solo che potrei essere io al suo posto, ma che, in un certo senso, quello sono proprio io, anche se solo in parte, alla lontana. Indubitabilmente quella sciagura, ogni sciagura, è una perdita che mi tocca, concreta, oggettiva, quantificabile, per quanto piccola.
Nella compassione forse emerge dalle profondità dell'organismo un sapere antico ma sempre dimenticato, sempre rimosso.
Noi però veniamo subito catturati dalla nostra stessa commozione, prova della nobiltà del nostro animo. Nasce così lo strano spettacolo della sofferenza, terapeutico in quanto muovendoci alla commozione ci rassicura sul fatto di avere un cuore. Ma il vero messaggio, la vera informazione, che è scientifica, oggettiva, non vagamente sentimentale, e che è: "quel corpo straziato sei anche tu, è una parte di te", finisce ineluttabilmente per andare dispersa.


A me sembra fin troppo ottimistico considerare la cooperazione armoniosa la "sostanza" della natura e la competizione, il mors tua vita mea, come un mero "accidente".

Un esempio di mors tua vita mea puo' essere il fatto che il leone e' un predatore, e, per sopravvivere, deve uccidere e mangiare la gazzella.

La gazzella, dal canto suo, deve sempre scappare al meglio delle sue forze , anche se cio' implica far morire di fame il "povero", per modo di dire, leone.

Di solito, l'accidente e' quello che puo' essere rimosso o omesso senza che cambi la sostanza.

Se invece eliminiamo del tutto la competizione e la violenza da un sistema naturale, spesso abbiamo la morte di almeno una delle sue parti.

Se il leone rinumciassa alla sua "violenza" predatoria, cioe' se non inseguisse piu' la gazzella, morirebbe di fame. Non ha un sistema interno in grado di metabolizzare l'erba, o tanto meno di trarre energia dal sole. Se la gazzella diventasse fatalista o apatica, e non fuggisse piu' alla vista del leone, in breve tempo, non ci sarebbero piu' gazzelle.

La realta' e' che le istanze competitive e individualizzanti, e quelle cooperative e tendenti alla riunificazione del tutto, sono alla pari, in natura, e sono entrambi essenziali.

Non c'e' una gerarchia "ottimistica" in natura, che ponga la cooperazione come la sostanza, e la competizione come mero accidente. E' essenziale per il leone ammazzare la gazzella quando ha fame, come e' essenziale per lui che tutto il sistema ecologico della giungla funzioni, certo anche nei suoi aspetti cooperativi e simbiotici, a partire dal suo stesso branco, come branco di leoni.

Del resto perche' la totalita' si ponga come desiderio, desiderio-del-tutto (che giustifica l'altruismo del sapiente come un ponderato e superiore egoismo, perche' l'altro che soffre davanti al sapiente, e' il sapiente stesso) e' necessario che la totalita' sia mancante, come realta', quantomeno nel cuore di chi in un dato attimo la desidera; cioe' che le istanze egoiche ed egoistiche rivelino la loro sostanzialita', non gia' lo loro accidentalita'. Per esserci desiderio, della totalita', deve esserci mancanza, della totalita', e tale mancanza, deve generare, in chi la avverta, sofferenza. Desiderio vero, implica mancanza vera, del desiderato. Se la totalita' fosse gia' perfettamente realizzata, non la desidererebbe, nessuno, anche perche' non ci sarebbe, "nessuno" e intendo nessuno di realmente individuato e individuale, a desiderarla. Per essere in grado di desiderare problematicamente e panicamente il tutto, devi (prima) essere individuo.




Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

iano

Anche l'erbivoro si nutre di esseri viventi, ed esistono pure piante carnivore.



Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Koba II

Citazione di: Alberto Knox il 08 Novembre 2024, 15:29:08 PMNon si tratta di imparare una disciplina , l educazione ha poco a che fare con l'insegnamento. Infatti "In-segnare" significa mettere, imprimere segni dentro la mente. Mentre E-ducare,  Educere, significa "tirare fuori" . c'è un bella differenza fra in-mettere e tirare fuori. E cosa si tira fuori? il tuo prendere sul serio il tuo essere pensante . Condizione indispensabile per agire e pensare in maniera etica.

Potrei anche essere d'accordo con te ma questo è irrilevante mentre non lo è la domanda che il Protagora della situazione ti porrebbe: da dove ti viene il convincimento che ci sia qualcosa di buono da tirar fuori dalle persone? Dall'etimologia della parola "educare"? La tua teoria morale è fondata solo sull'etimologia? O meglio ancora, c'è un fondamento o ci si deve basare solo sulla persuasione sentimentale della retorica umanistica?

Alberto Knox

Citazione di: Koba II il 09 Novembre 2024, 10:09:34 AMPotrei anche essere d'accordo con te ma questo è irrilevante mentre non lo è la domanda che il Protagora della situazione ti porrebbe: da dove ti viene il convincimento che ci sia qualcosa di buono da tirar fuori dalle persone? Dall'etimologia della parola "educare"? La tua teoria morale è fondata solo sull'etimologia? O meglio ancora, c'è un fondamento o ci si deve basare solo sulla persuasione sentimentale della retorica umanistica?
Vorrei tornare a precisare che la premessa del mio discorso non si basa sull ortodossia , norme etiche, morale eteronoma, morale sociale. Non hai a che fare con l'ortodossia, hai a che fare con l'ortoprassi.
Sapete Goethe diceva che  ci sono i fenomeni ma poi c'è ne uno in particolare che egli definiva  urphaenomen il fenomeno primordiale o orgininario che contiene tutti gli altri e da cui  gli altri sono delle semplici esemplificazioni. E qual'è questo urphaenomen?...è  la vita. Questo è il fenomeno oiginario e siccome le persone , credo, si vogliono rendere degne del fenomeno vita è necessario deporre le ideologie , le ideologie del sì , le ideologie del no, le ideologie dei libri sacri, le ideologie dei libri non sacri, le ideologie dei libri rossi, dei libri verdi, deporre tutto questo e mettersi con grande spirito di ricerca interiore. Come la chiamate la vostra interiorità?

Ho introdotto la natura come esempio guida dell armonia  dei sistemi fisici applicati al sistema sociale . Noi siamo sistemi! e quanto più intruduciamo armonia nelle realzioni sociali, famiglia, gruppo , amici, lavoro, che sono anch'essi sistemi, tanto più noi staremo bene.
Il problema è quello che ho esposto, il creare sistemi porta a un noi che si definisce rispetto a un non-noi. Come risolvere il problema? etica, virtù, giustizia . Tutte cose che sapendo come funzionano ci possono aiutare ma poi è la volontà che fa il resto e se non c'è carburante nella tua volontà tu non combini niente di tutte queste belle nozioni. Come ho detto la questione non può venire confinata in un problema teoretico , è pratico e d'è prettamente un problema di motivazioni.


Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

daniele22

Così come è stato messo giù nel tema proposto non penso che si possa dire che da un punto di vista scientifico noi si ricerchi la felicità o il benessere. Direi piuttosto, lasciando la scientificità ad altri temi, che noi si abbia semmai un'inclinazione a tenersi distanti dal nostro malessere. Questo naturalmente nulla toglie che comperando un'auto nuova o una casa ci si senta felici almeno per una settimana, ma non mi dilungherò su questa osservazione che a mio vedere porta a ben poco. Questo cercare di tenersi a distanza dai guai quindi varrebbe naturalmente a livello teorico (si veda la discussione in "Psicanalisi" ... e nel frattempo mi accendo una sigaretta che di sicuro mi fa benissimo). Quando dunque mi alzo al mattino, a livelli non propriamente consapevoli, più che ambire al mio benessere cerco più che altro di non fare cazzate che mi arrechino danno. Tutto questo avviene più o meno all'interno di pratiche di routine. Va da sé che all'interno di questa ripetitività io possa cogliere di tanto in tanto qualcosa che migliori il mio agire rendendomi così un poco più felice, ma tutto sommato mi sembra di poter dire che saremmo ben distanti dalla fantomatica ricerca del benessere. Riprendo quindi la domanda posta da Koba:
"Qual'è la vera difficoltà nel fare in modo che l'idea dell'interazione virtuosa come espressione dell'essenza stessa della natura e dell'uomo diventi una nozione comune, scontata, come comune e scontata è la cura per il luogo in cui si abita?"
A mio giudizio ci sarebbero almeno un paio di cose che sarebbero d'ostacolo all'attuazione di un'etica più "sana" di quella che da sempre viviamo. Con buona pace dei filosofi che fino ad oggi si sono cimentati nell'impresa, il primo ostacolo sarebbe dovuto alla presenza di ciò che noi chiamiamo il "dono" dell'autocoscienza che tanti pomi avvelenati produsse e produce ancor oggi tanto da chiedersi se si tratti più di una malagrazia che di un dono, e il secondo dall'istituto della proprietà privata che sicuramente favorirebbe il "mors tua vita mea"

Il_Dubbio

difficile individuare il tema di questo topic.

Per me, come ho detto inizialmente, la chiave scientifica è il rapporto che noi abbiamo con l'entropia.
Sembra una cosa distante, ma invece la sento piuttosto centrale.

Quando si fanno discorsi morali, su ciò che è bene o male, il tentativo è di trovare il benessere (anche pensare all'etica della fortuna può diventarlo).
Il benessere può essere un concetto concreto se si individua la causa.

La causa del malessere è dovuta allo squilibrio. Per cui il benessere vuol dire equilibrio.

Come una ballerina che affronta le sue numerose forme di equilibrio sulla punta dei piedi.
L'equilibrio vuol dire pesi e contrappesi. In politichese potrei richiamare al compromesso.

Nessuno ha un equilibrio uguale ad un altro, ognuno deve trovarne uno suo. Ogni volta che succede qualcosa si perde quell'equilibrio iniziale, e se ne deve trovare un altro. Questa è una giostra, alla fine però la fatica che si fa per trovare il prossimo equilibrio è troppo grande. Mente e corpo insieme in sinergia affrontano ogni giorno problemi diversi.
E' vero... meno si affrontano problemi meno spendiamo energia per rimetterci in equilibrio. Ma la bilancia non è stabile, anche se tentiamo di rimanere lontani dai problemi quelli ci vengono a trovare, perchè il nostro corpo e la nostra mente non stanno mai fermi del tutto e questi tendono a perdere equilibrio anche senza far nulla (questo corrisponde all'aumento inesorabile dell'entropia).

Il benessere quindi è equilibrio, pesi e contrappesi, un continuo compromesso tra ciò che la vita ci chiede e quello che possiamo fare per non sentirsi male, anzi magari con la gradevole sensazione di stare addirittura bene, cioè felici.

Alberto Knox

#24
Citazione di: Il_Dubbio il 09 Novembre 2024, 20:09:52 PMIl benessere quindi è equilibrio, pesi e contrappesi, un continuo compromesso tra ciò che la vita ci chiede e quello che possiamo fare per non sentirsi male, anzi magari con la gradevole sensazione di stare addirittura bene, cioè felici.
Siamo propio sicuri di questo? Siamo sempre alla ricerca di armonia ed equilibrio, convinti che questi siano l'aspetto fondamentale del nostro benessere. Ma è davvero così? o possiamo vedere il valore positivo anche della perdita dell'equilibrio? del resto ci sono famosi aforismi che dicono propio ""Se vuoi fare un passo avanti, devi perdere l'equilibrio per un attimo" oppure "la vita è come andare in bicicletta , per mantenere l'equilibrio devi muoverti" .
Non è forse nei momenti di crisi e quindi di non-equilibrio che noi ci mettiamo in discussione piu profondamente? mettiamo in discussione noi e il nostro rapporto con il mondo circostante e possiamo individuare ciò per cui vale la pena di vivere.
Ritengo che non si può vivere sempre concentrati a mantenere l'equilibrio per sentirci bene, alcune volte bisogna perderlo l'equilibrio , occorre sbilanciarci a volte , se non ci fosse sbilanciamento la vita sarebbe piatta, uniforme, stazionaria. In fisica c'è un nome specifico che si da alla morte ed è esattemente questo "equilibrio termodinamico".  è quando un sistema fisico è lontano dall equilibrio termodinamico che manifesta energia termica, cinetica, elettromagnetica.. (questo per ricollegarmi un pò alla tua analogia con l entropia)
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Il_Dubbio

Citazione di: Alberto Knox il 10 Novembre 2024, 01:36:11 AMSiamo propio sicuri di questo? Siamo sempre alla ricerca di armonia ed equilibrio, convinti che questi siano l'aspetto fondamentale del nostro benessere. Ma è davvero così? o possiamo vedere il valore positivo anche della perdita dell'equilibrio? 
Dipende da quello che intendi. Se ci piace bere e anche tanto, l'aspetto fondamentale del nostro benessere si sposta verso il piacere. Il corpo per un po' ti sta dietro. Tu pensi che provare piacere nel bere ti porta benessere. Ma senza che tu te ne accorga, stai mettendo a rischio l'integrità del tuo corpo. Per cui non c'è equilibrio fra quello che fai, il piacere che tu provi, e il deterioramento del tuo corpo (e anche della mente). 

Il concetto di "equilibrio" qui non è da intendere esattamente: fare quello che ci piace.

Io comunque stavo più che altro pensando non tanto a quello che noi facciamo in libertà (ci piace bere, ok allora beviamo), ma quello che proviamo quando veniamo messi alla prova da un accadimento. 
Come hai detto tu, ma anche io prima, anche se non facciamo niente, le cose comunque cambiano. Quindi non siamo mai fermi. Siamo esseri in movimento (anche quando crediamo di stare fermi) e le cose cambiano. 

Alberto Knox

Citazione di: Il_Dubbio il 10 Novembre 2024, 10:46:48 AMIo comunque stavo più che altro pensando non tanto a quello che noi facciamo in libertà (ci piace bere, ok allora beviamo)
Davvero pensi di parlare di libertà quando dici  "ci piace bere allora ok beviamo"?  non è piuttosto una dipendenza l alcool? e perchè si beve? se non per stordire un malessere interiore che non si riesce a curare ma solo a lenire provvisoriamente con l alcool? Essere liberi significa non essere dipendenti dai vizi. E in ogni caso non si è particolarmente liberi e indipendenti se si seguono soltanto i propi desideri qualsiasi essi siano, si può diventare schiavi di una cosa o di un altra , si può essere schiavi del propio egoismo ad esempio.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Alberto Knox

Oggi giorno parlare di umanità , bontà e gentilezza appare un discorso da moralisti o da buonisti e io cerco di dimostrare che questa impressione è fuorviante. Non è vero che è da moralisti è la logica del sistema originario che è così. Sapete fra gli anni 40 e 45 del secolo scorso ci fu un uomo che ebbe il coraggio di prendere in giro e di scontrarsi con l'ideologia di colui che all epoca era l'uomo più temuto e più potente del mondo, il suo monologo lo riconoscerete ;

"Mi dispiace, ma io non voglio fare l'Imperatore, non è il mio mestiere, non voglio governare ne conquistare nessuno, vorrei aiutare tutti se possibile, ebrei, ariani, uomini neri e bianchi, tutti noi esseri umani dovremmo aiutarci sempre, dovremmo godere soltanto della felicità del prossimo, non odiarci e disprezzarci l'un l'altro.
In questo mondo c'è posto per tutti, la natura è ricca, è sufficiente per tutti noi, la vita può essere felice e magnifica, ma noi lo abbiamo dimenticato. L'avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha precipitato il mondo nell'odio, ci ha condotti a passo d'oca fra le cose più abbiette, abbiamo i mezzi per spaziare, ma ci siamo chiusi in noi stessi. La macchina dell'abbondanza ci ha dato povertà, la scienza ci ha trasformato in cinici, l'avidità ci ha resi duri e cattivi, pensiamo troppo e sentiamo poco.
Più che macchinari ci serve umanità, più che abilità ci serve bontà e gentilezza, senza queste qualità la vita è violenza e tutto è perduto..."

monologo finale del film "il grande Dittatore" , che cosa significa quindi nominare umanità , bontà e gentilezza per voi?  cioè, tu sei un moralista se vuoi essere trattato con umanità? con gentilezza? No, non sei un moralista se vuoi questo , oppure qualcuno di voi vuole essere trattato male, calpestato nella dignità, offeso se vuoi questo, scusa se te lo dico ma sei uno squilibrato. Nominare queste tre cose significa nominare quello di cui l'essere umano ha più bisogno. Affinchè il sistema società sia fiorente e in armonia , questa armonia è la logica del sistema vita è la stessa logica che permette alla materia di aggregarsi, di trovare relazioni, è la logica cosmica dalla quale veniamo e siamo il prodotto più sofisticato di quella logica.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Il_Dubbio

Citazione di: Alberto Knox il 10 Novembre 2024, 13:23:55 PMDavvero pensi di parlare di libertà quando dici  "ci piace bere allora ok beviamo"?  non è piuttosto una dipendenza l alcool? e perchè si beve? se non per stordire un malessere interiore che non si riesce a curare ma solo a lenire provvisoriamente con l alcool? Essere liberi significa non essere dipendenti dai vizi. E in ogni caso non si è particolarmente liberi e indipendenti se si seguono soltanto i propi desideri qualsiasi essi siano, si può diventare schiavi di una cosa o di un altra , si può essere schiavi del propio egoismo ad esempio.
Questa mi sembra una obiezione capziosa. Il tema qua non è chiarire cosa si intenda essere liberi, anche perchè poi girando intorno al problema il rischio è parlare del fatto che non sia possibile alcuna libertà di agire.
Mangio il cioccolato perchè mi piace. Vado al mare perchè mi piace...
Il piacere è un sintomo di libertà? Non mi interessa qua capire che il desiderio di voler compiere un'azione sia o meno dovuto alla libertà di compierla, o all'appagamento che quell'azione mi crea quando la compio.
Posso farla o non farla. Questo è importante. Ma come detto, questo discorso ci porta lontano inutilmente dalla tema.
Se io mangio e mi piace mangiare, poi l'indomani ho mal di pancia, il mio corpo mi avvisa che ho esagerato. Tra ciò che ho fatto (in libertà o meno)  e ciò che ho subito, per quella azione, si è creato uno squilibrio. Il tuo malessere quindi è ovviamente dovuto a ciò che hai fatto.

Puntualizzo (perchè mi ero dimenticato di farlo nel post precedente) che essendo noi esseri in continuo movimento, equilibrio o squilibrio (cioè anche malessere o benessere) non possono essere una costante. Se si è costantemente in equilibrio, come hai detto tu, si è praticamente morti.

Forse esistono "momenti" di felicità e non una continua e costante vita solo ed esclusivamente di piena felicità (che dovrebbe appartenere al mondo paradisiaco).
 

daniele22

@Alberto Knox
Contesto il pensiero che sostiene che l'essere umano abbia come bisogni fondamentali quelli di amare ed essere amato. Ricordo che la necessità di un'azione qual è l'amare, l'odiare o il coltivare fragole tanto per dire nasce da contingenze del qui e ora. Dal mio punto di vista, oltre alle necessità chiamiamole vitali, il bisogno fondamentale di un essere umano resterebbe confinato a un generico "sentirsi vivo". Inoltre, non pensare che le ferite interiori vengano stordite solamente con droghe, alcool etc.; esistono altre forme di stordimento forse più nocive soprattutto perché socialmente apprezzate.
@Koba II
Visto che hai detto che l'essere umano è ontologicamente problematico, a livello filosofico sarebbe interessante conoscere o sforzarsi almeno di conoscere i motivi per cui egli verserebbe in tale situazione, sempre ammesso che gli "altri" non evidenzino tale problematicità e che un compito della filosofia sia quello di essere d'aiuto al pover 'om.
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Quanto all'educazione e all'istruzione va da sé che bisognerebbe applicarsi a tirare fuori le potenzialità dell'individuo, ma al tempo stesso bisognerebbe istruire su ciò che è ammesso e ciò che non è ammesso nella comunità

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