Domande esistenziali senza risposta.

Aperto da iano, 09 Novembre 2024, 08:16:35 AM

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iano

A me pare che le nostre domande esistenziali non hanno risposta perchè con quelle domande andiamo oltre lo scopo d'uso per cui i termini di cui sono composte  sono nati, e cioè per descrivere la realtà.
D'altra parte sarà inevitabile farsi quelle domande nella misura in cui scambieremo la realtà con le sue descrizioni.
Per cui, ad esempio, se per descrivere la realtà termini come ''buono'' e ''cattivo'', ci chiederemo, senza trovare una risposta, perchè nel mondo ci sia tanta cattiveria.
Le risposte dunque non le troviamo semplicemente perchè non avrebbe senso porsi quelle domande, ma allo stesso tempo il porsele ci sollecita  a trovare nuove descrizioni della realtà, per cui farsele  sembra avere comunque una funzione.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Aspirante Filosofo58

Citazione di: iano il 09 Novembre 2024, 08:16:35 AMA me pare che le nostre domande esistenziali non hanno risposta perché con quelle domande andiamo oltre lo scopo d'uso per cui i termini di cui sono composte  sono nati, e cioè per descrivere la realtà.
D'altra parte sarà inevitabile farsi quelle domande nella misura in cui scambieremo la realtà con le sue descrizioni.
Per cui, ad esempio, se per descrivere la realtà termini come ''buono'' e ''cattivo'', ci chiederemo, senza trovare una risposta, perché nel mondo ci sia tanta cattiveria.
Le risposte dunque non le troviamo semplicemente perché non avrebbe senso porsi quelle domande, ma allo stesso tempo il porsele ci sollecita  a trovare nuove descrizioni della realtà, per cui farsele  sembra avere comunque una funzione.
In realtà parlare o scrivere di buono e cattivo, significa usare delle etichette, e queste sono ideate dalla mente per classificare tutto e tutti, ma l'essere umano: non è solamente corpo, come erroneamente i più credono; non è solamente mente; non è solamente corpo-mente. L'essere umano è qualcosa d'altro, oltre al corpo e alla mente. Se io fossi solamente corpo e mente, la mia vita che senso avrebbe? Nessuno, credo. Che senso avrebbe vivere una vita priva di senso? Per esempio, io non so che cosa significhi camminare correttamente, men che meno correre, saltare o arrampicarmi sugli alberi (quando avevo l'età per poterlo fare, mi sarebbe tanto piaciuto farlo, ma non mi  è stato possibile). L'essere umano è soprattutto anima (ma anche spirito), e all'anima  non interessano le etichette, il giudizio e altro del genere. All'anima interessa unicamente incarnarsi in un corpo per fare nuove esperienze, per vivere qualcosa che l'aiuti a crescere, evolvere. Ecco quindi che l'anima si incarna di volta in volta: in un mendicante o un imperatore, in un atleta o un paralitico, un cittadino di un Paese industrializzato o di un Paese del Terzo Mondo, un produttore di armi, o un cittadino di un Paese devastato dalle armi, un uomo o una donna, un ladro o un poliziotto.... ecc... insomma l'anima ha bisogno di provare ciò che la mente etichetta. Da quando ho capito questi concetti, cui sono arrivato per esclusione, dopo un lungo percorso interiore, tutto mi è apparso più chiaro, tutto ha un senso.
Poi, è pur vero che alla fine ci sarà, comunque sia, una domanda senza risposta, esattamente come per lo scalatore che abbia scalato tutte le vette più alte del mondo e, una volta arrivato in cima all'Everest non abbia più vette da scalare, ma questo è un altro discorso.
La teoria della reincarnazione mi ha dato e mi dà risposte che altre teorie, fedi o religioni non possono, non sanno o non vogliono darmi. Grazie alle risposte ottenute dalla reincarnazione oggi sono sereno e sono sulla mia strada che porterà a casa mia!

Koba II

Citazione di: iano il 09 Novembre 2024, 08:16:35 AMA me pare che le nostre domande esistenziali non hanno risposta perchè con quelle domande andiamo oltre lo scopo d'uso per cui i termini di cui sono composte  sono nati, e cioè per descrivere la realtà.
D'altra parte sarà inevitabile farsi quelle domande nella misura in cui scambieremo la realtà con le sue descrizioni.
Per cui, ad esempio, se per descrivere la realtà termini come ''buono'' e ''cattivo'', ci chiederemo, senza trovare una risposta, perchè nel mondo ci sia tanta cattiveria.
Le risposte dunque non le troviamo semplicemente perchè non avrebbe senso porsi quelle domande, ma allo stesso tempo il porsele ci sollecita  a trovare nuove descrizioni della realtà, per cui farsele  sembra avere comunque una funzione.
Cosa c'è di più nichilistico del considerare la domanda filosofica come il prodotto di un fraintendimento linguistico?
Se sono i termini del linguaggio a produrre rompicapi esistenziali, i quali come dici tu "non avrebbe senso porsi", vuol dire che la condizione umana di per sé non li suggerirebbe affatto, e allora ti chiedo: sicuro che lo stato da cui proviene questa visione si possa definire vitale, aperta alla vita e alla conoscenza?
Non è piuttosto proprio questa visione ad essere costruita solo in base a giochi di parole, sullo sfondo di una rimozione globale di tutto ciò che è la vita degli uomini?

iano

Citazione di: Koba II il 09 Novembre 2024, 10:04:11 AMCosa c'è di più nichilistico del considerare la domanda filosofica come il prodotto di un fraintendimento linguistico?
Cosa intendi per fraintendimento linguistico?
Comunque se il nichilismo  è fine a se stesso  hai ragione.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

green demetr

A mio modo di vedere la domanda esistenziale non riguarda affatto la realtà, ma bensì il senso del vivere.
Alla base della mia ricerca c'è sempre stato il bisogno spirituale, la domanda fra il mio esser finito e l'oltre.
Penso che la poesia del diciottenne Leopardi sia lì ad immortalarla per sempre.

Ma poi si cresce, come è cresciuto Leopardi.
Finita la parte più propriamente metafisica, si arriva alla vita del singolo, schiantata dalle istituzioni, dalle morali, dall'ignoranza insopportabile della gente.

E' proprio da questo muro di dolore, che la domanda fra bene e male dovrebbe essere recuperata.

Purtroppo l'occidente che l'ha sempre avuta in mente si è disintegrata.
I monaci che la conservavano nelle loro biblioteche, e che ne facevano tesoro per le loro discussioni dotte, quel tempo è finito.

Lasciando da parte il periodo rimosso dell'umanesimo italiano, forse unico momento di mecenatismo alto.

Il Mondo è stato prosciugato dall'istituzione dello Stato, padre-padrone delle vite.
Fino ad arrivare alle società di massa dell'800 con l'abbandono anche dell'intelligenza che accomunava le corti illuminate.

Avendo ceduto l'accademia, è ceduto insieme tutto il resto.

Da qui lo strillio quotidiano degli adulti infanti, oh no: tutto è malvagità.

Il fatto che il Mondo è sorretto dalla mavalgità non dovrebbe essere un alibi a depensare, ma a rimboccarsi le maniche e combattere.

La sparizione della spiritulità a favore di questa new age messianica di carattere fantastico, non rende giustizia all'antichità.
Non rende giustizia all'idea di bene.

Io stesso che di fronte al male a 35 anni ho posato le mie armi migliori, ossia l'energia e l'entusiasmo dei miei vent'anni.

Mi sono fatto sbranare vivo dalla nevrosi contemporanea: la ripetizione.

Proprio io che non c'era bisogno di Hegel per capire che l'io puro e l'io che vogliono farmi diventare sono cose totalmente opposte.
Esattamente opposte.

Proprio io che non ho mai tradito la mia anima, nemmeno per un istante, mi sono dovuto all'età sonante di 42-43 anni rendere conto di come non riuscissi più ad aprire un libro.
Nemmeno la batosta del 2020 è servita.

Altro che essere ai piedi della montagna di Nietzche, qua io sono ai piedi della montagna di cosa è il bene e il male.
Cioè non so leggere una favola di Fedro...
Figuriamoci gli altri. Su una cinquantina di interrogati, solo una persona con gravi problemi psichiatrici ha risposto correttamente...
Ho sorriso e insieme mi sono sentito schiacciato da un destino malevolo.

Non è un semplice dire, una volta si sapeva cosa fossero bene e male.
Il fatto che oggi si fa spallucce è qualcosa che segna, probabilmente irremidibilmente il destino dell'occidente, a me fa venire i brividi e lo sconforto. 
E invece sebbene i forum non li caghi più nessuno ancora qui a combattere con la mia cultura ridotta al lumicino.

A quanto pare le domande oggi come oggi hanno una risposta esistenziale: ed è esiziale.

Come diceva qualcuno Non siamo stati ancora salvati.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

iano

#5
Citazione di: green demetr il 09 Novembre 2024, 21:09:30 PMA mio modo di vedere la domanda esistenziale non riguarda affatto la realtà, ma bensì il senso del vivere.
Quello che io voglio dire è che i termini che usi per chiederti il senso della vita non sono nati allo scopo di farsi questa domanda, ma che quei termini una volta creati sono andati oltre lo scopo per cui sono nati.
Non sto gridando allo scandalo però, ci mancherebbe, sarebbe come rinnegare la storia della filosofia.
Mi chiedo solo se abbiamo sufficiente coscienza di questo fatto, coscienza che quantomeno allevierebbe la frustrazione di non trovare una risposta.
Anche le teorie fisiche vanno oltre lo scopo per cui nascono, che è quello di spiegare alcuni fatti, prevedendone di nuovi.
Però quando una teoria scientifica si mostra incapace di spiegare fatti nuovi, si prova a modificarla, e al limite la si mette da parte, per costruirne una nuova, così che ipotesi precedentemente assunte vengono dismesse ed altre ne prendono il posto.
In tal modo le domande che si pongono gli scienziati trovano una risposta, e di solito la risposta è che la domanda non ha senso alla luce delle nuove teorie, per cui più nessuno se la pone, anche se poi queste nuove teorie produrranno magari più domande di quelle cui hanno dato una risposta, se la perdita di senso di una domanda può dirsi una risposta..
Essendo ignorante in filosofia mi chiedo se dinamiche simili, magari in un arco di tempo maggiore siano state, o siano in atto, perchè a me  pare che i filosofi sembrano farsi sempre le stesse domande, senza che nessuno di loro trovi risposta, anche in presenza del fisiologico rinnovo del linguaggio che i filosofi usano.
In altri termini sembra essere sconosciuto ai filosofi il ''trucco'' che usano gli scienziati, per cui quando una domanda non trova risposta, esempio ovviamente da non prendere alla lettera, dichiarano decaduto il linguaggio in cui è stata formulata.
Vorrei raccontare meglio di così quello che penso, ma al momento mi trovo a corto di termini nuovi, e quelli vecchi non bastano.

Detto in altro modo, noi formuliamo domande in un senso che  crediamo assoluto, ma con un linguaggio nato per motivi relativi, quindi facendoci queste domande noi di fatto indirettamente attribuiamo al linguaggio un valore assoluto, se è vero che la mancata risposta può essere fonte di frustrazione.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Jacopus

A me sembra Iano che il tuo discorso, molto interessante, non riguardi tanto le domande sul "perchè della vita" o sul "conflitto bene-male", quanto su "cosa è la realtà". Mentre in fisica, nelle scienze dure, la realtà è stata convenzionalmente fissata nella sua misurazione, in filosofia ancora una convenzione condivisa da tutti non c'è. Ci aveva provato il marxismo ma è finita come sappiamo. E quindi mentre il metodo scientifico conosce le sue leggi che sono (bene o male) sempre quelle, appena ci discostiamo da quel modello, arrivano le suggestioni delle "mille chiese": junghiano, freudiano, sistemico-relazionale (psicologia, e potrei continuare ma sono clemente), epistemico, esistenzialista, funzionalista, francofortese (filosofia), determinista, compatibilista, libertarista, epifenomenologo (dibattito sul libero arbitrio, ovviamente). Per non parlare della politica: finiti i tempi platonici, quando esistevano solo tre modelli (in realtà sei) e solo uno era quello giusto.
Inevitabilmente proprio perchè siamo animali molto complessi, non possiamo più separare realtà e mappa della realtà ed anzi ci avviamo in una direzione dove la realtà sarà sempre più mappa, e già lo è, al punto che non solo è mappa, ma è mappa di mappe di mappe. Per questo motivo siamo così disorientati e privi di un centro di gravità permanente, ed è anche per questo che la scienza ci affascina così tanto. Cavolo, loro il centro di gravità permanente lo hanno. Peccato che il centro di gravità permanente della scienza assomigli più ad un buco nero, visto che è animato solo dal criterio della funzionalità. La scienza è eminentemente "tecnica" e in quella tecnica butta dentro tutto ciò che può, anche contro ogni criterio di sopravvivenza della stessa specie umana. La scienza è sovraumana. Forse è la scienza l'Ubermensch di Nietzsche, altro che stirpe di padroni.
E allora, che fare? Intanto umilmente riconoscere che l'umano non è riducibile a misurazioni assolute e che quindi dovremo sempre "misurarci" con la parzialità e il dubbio delle posizioni. Punto due, assumere le posizioni nostre e altrui sempre con beneficio d'inventario e connetterle al periodo storico, alla biografia, all'ambiente di ognuno di noi. Non viviamo in un laboratorio d'analisi. Punto tre, praticare gentilezza e riconoscimento reciproco, abbandonando questo tossico amore per il proprio ego, che sta portando alla sesta estinzione di massa (comunque tranquilli...noi potremmo anche non esserci più, ma sarà dura far estinguere i batteri e i virus).
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

iano

#7
Citazione di: Jacopus il 11 Novembre 2024, 01:09:05 AMInevitabilmente proprio perchè siamo animali molto complessi, non possiamo più separare realtà e mappa della realtà ed anzi ci avviamo in una direzione dove la realtà sarà sempre più mappa, e già lo è, al punto che non solo è mappa, ma è mappa di mappe di mappe. Per questo motivo siamo così disorientati e privi di un centro di gravità permanente, ed è anche per questo che la scienza ci affascina così tanto.
In effetti questo 'centro di gravità permanente'' esiste ancora, ed è il nostro rapporto diretto con la realtà che genera evidenze, cui si affiancano nuovi rapporti indiretti proposti dalla scienza, dal che il sospetto che nessuno di questi sia veramente diretto, senza che questa consapevolezza scalzi però le evidenze di realtà.
Se però questi diversi approcci sono fatti della stessa sostanza, allora abbiamo solo moltiplicato il numero di mappe, ma dove la mappa appare si perde l'evidenza.
Quando diciamo di non comprendere le nuove teorie fisiche, in effetti stiamo solo lamentando il fatto che esse non produco più evidenze, e al posto delle evidenze ci sono solo parole che veicolano il pensiero, che nella sua versione più critica è capace di negare pure le ovvietà, capace di affermare che non è vero ciò che appare, portando anche prove a ciò, senza però che questa consapevolezza sposti di un centimetro il nostro centro gi gravità, che permane indifferente alle parole, come mappa non fatta di simboli , e per questo indifferente ad ogni critica.
Detto in altri termini, non potendo ridurre i rapporti indiretti a quello diretto si può teoricamente fare però il contrario, confortati comunque che questa consapevolezza non farà sparire il buon vecchio mondo fatto di panorami da contemplare commuovendosi.
Il risultato che otterremo è che,  mantenendoci il nostro mondo fatto di panorami più o meno idilliaci, non ci affanneremo più a cercare di ridurre i nuovi mondi a quello, ciò che per noi equivarrebbe a comprenderli, accettandone allo stesso tempo la pacifica convivenza.
Di questo affanno mi pare che la filosofia abbia acquisito ormai l'esclusiva, e da ciò vorrei sollevarla.

Ma non è propriamente un problema di misure, perchè queste si possono fare ancora ad occhio, anche se meno precise.
Gli strumenti di misura sono in effetti una esternazione dei nostri sensi, ma non diversi nella sostanza, come le mappe sono i prodotti delle elaborazioni dei dati raccolti che stanno per le evidenze, che svolgono però la stessa funzione.

Ma alla fine perchè abbiamo portato tutto fuori di noi, non riconoscendo più quel che abbiamo esportato come nostro, producendo alienazione?
Forse perchè non siamo stati noi a farlo, ma l'evoluzione di cui poi abbiamo seguito l'esempio, e la filosofia nella sua nuova versione, la psicologia, continua questa operazione di scavo ed esternazione di ciò che in noi è sepolto.
Il problema della filosofia è che appena fa qualcosa di buono, la scoporano dalla disciplina e gli cambiano nome.

 
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Koba II

Green, Jacopus: apprezzabili le vostre divagazioni ma la posizione di Iano espressa nel post di apertura è chiara e può essere descritta come la radicalizzazione del neopositivismo logico. Dico radicalizzazione in quanto la critica feroce dei fratellini minori di Wittgenstein riguardava le questioni metafisiche. La tradizione metafisica e teologica occidentale era vista come un intreccio inestricabile basato sull'utilizzato errato di certi concetti. La filosofia quindi aveva il compito di curare il linguaggio, di sciogliere i rompicapi concettuali che appunto in verità non rimandano a nulla di reale ma solo a questioni astratte prive di un correlato oggettivo che poi la tradizione, ritornandoci su continuamente, ha complicato a tal punto da rendere possibile questo fraintendimento.
La radicalizzazione di Iano sta nell'asserire che anche le domande esistenziali sono prodotte da questo tipo di uso maldestro del linguaggio.
Ma le questioni esistenziali, attinenti il senso della condizione umana, non sono un prodotto della filosofia. Troviamo già tutto rappresentato nella tragedia greca e nella poesia.
La filosofia ha piuttosto accolto la sfida di voler affrontare il carattere paradossale dell'essere umano con il logos e con il dialogo.

Qui non c'entra niente il problema mappa-territorio, non si tratta del problema dell'attendibilità delle nostre descrizioni, ma del fatto che i termini del nostro linguaggio creerebbero in modo automatico le condizioni per falsi problemi, appunto quelli esistenziali:
cit. Iano: "Le risposte non le troviamo semplicemente perché non avrebbe senso porsi quelle domande".

iano

#9
Citazione di: Koba II il 11 Novembre 2024, 10:37:00 AMla posizione di Iano espressa nel post di apertura è chiara e può essere descritta come la radicalizzazione del neopositivismo logico
Sono andato a leggere sulla Treccani alla voce neopositivismo, nel quale, per quanto possa valere la lettura di dieci righi, mi riconosco effettivamente, ma solo in parte.
Ad esempio non riconosco il ''ruolo privilegiato ricoperto dalle scienze sperimentali nel processo di acquisizione di conoscenza'', riferendomi all'agire umano di cui quelle sono solo un espressione, allo stesso modo che matematica e logica sono solo esempi dei linguaggi umani. Tutto ciò con cui abbiamo a che fare sta dentro alla dimensione umana potrei dire, se non fossi consapevole che a questo dire non corrispondono confini così precisi da poter dire cosa sta dentro effettivamente  e cosa fuori, se ciò che sta dentro può essere portato fuori, come si adopera a fare la psicologia, e viceversa, e come ancor prima ha fatto la fisica.
La mia filosofia parte dall'assunzione che non c'è nulla di nuovo sotto il sole, ma che appare nuovo ciò che viene posto in evidenza, passando dalla dimensione inconscia a quella conscia, laddove esse comportando un diverso fare, e sono perciò riconducibili all'agire umano.
Semplificando al massimo questa posizione, fino a rischiare di renderla davvero semplicistica, direi che ciò che si può fare in modo conscio lo si può fare in modo inconscio, e viceversa.
Per quanto questo schemino possa apparire appunto semplicistico, a me pare che spieghi molte cose in modo semplice.
Quindi in particolare non do un maggior valore all'agire cosciente, ma semplicemente constato che questo sembra sembra sempre più caratterizzare l'agire umano, laddove prendere coscienza di se equivale poter esternare ciò che abbiamo conosciuto, alienandoci, ma non necessariamente in senso negativo, seppur emotivamente è facile così intendere.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
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iano

Partendo dal principio che credo logico, per cui l'osservatore può osservare solo altro da se, questo schemino semplice si arricchisce senza complicarsi se si ammette che l'osservatore può effettivamente osservarsi se ciò che di se osserva diventa contestualmente altro da se, in un processo che sarebbe di pura alienazione, ma solo se c'è il rifiuto di continuare a relazionarci con ciò che abbiamo esternato, senza perciò aver perso la capacità di continuare a farlo.
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iano

#11
Citazione di: Koba II il 11 Novembre 2024, 10:37:00 AM"Le risposte non le troviamo semplicemente perché non avrebbe senso porsi quelle domande".
Non hanno presumibilmente senso, perchè se c'è una finalità non è a parole che la si può esprimere, secondo me, cioè non tutto è riducibile a parole, per quanto inevitabilmente proviamo a farlo.
Questo però non significa che non bisogna porsi le domande esistenziali, non fosse altro perchè ci viene naturale porcele, e anzi è bene porsele, perchè scoprirne la mancanza di senso definisce i limiti del linguaggio, che una volta definiti possono essere perciò superati, il che equivale adire che superata una domanda se ne pongono altre cento, laddove le domande senza risposta sono da considerare un indice di ricchezza del linguaggio.

In quanto osservatori noi saremo sempre al centro dell'universo, perchè l'osservazione coincide con questa centralità, ma nella misura in cui non siamo immutabilinquesta centralità si sposta.
Scoprire la centralità da cui osserviamo, senza aspettare che si palesi da sola, significa partecipare in modo cosciente alla nostra trasmutazione, che preferibilmente userei al posto di evoluzione la quale sottende un fine che se c'è, ripeto non è esprimibile a parole.
Direi anche di più, che la nostra tensione spirituale, una volta espressa a parole, così traducendola la tradiamo.
Non ci sono parole per dirlo, perchè anche quando diciamo che Dio è innominabile, la frittata è già fatta, perchè non possiamo dirlo senza nominarlo.
Questo è il punto di partenza contraddittorio di ogni religione che si basa su un testo sacro, e questa idolatria della scrittura non si limita comunque all'ambito religioso.
Questo è l'esempio di ciò che portato fuori di noi in forma di una tecnologia, la scrittura, una volta presa confidenza e ristabilita l'intimità di partenza, essa torni a noi sotto forma di idolo da venerare.
Nel bene e nel male la vituperata teconologia, cioè il noi esternato, tende col tempo a fare ritorno nel suo grembo, in una dinamica che non si è mai arrestata.

In ogni caso noi non siamo riducibili a parole, se siamo noi a produrle, per cui posto che abbiamo delle finalità, sarebbe riduttivo pensare di poterle esprime a parole.
Il farlo comunque non è peccato, e in modo indiretto sono comunque positive le conseguenze di ciò, ma in sostanza, volendo riassumere la ratio di questa mia discussione, vorrei invitarvi a non arrovellarvi su quelle domande prive di risposte fino a farvene una malattia, e affrontare  in modo allegro e leggero la questione, senza scatenare piccole o grandi guerre di religione.
Ridurre per quanto possibile i grandi problemi esistenziali a un gioco al quale, in quanto tale, è sempre bello partecipare, laddove vi è da un lato la determinazione di dover sostenere il ruolo assunto nel gioco, e dall'altro la coscienza che noi non ci identifichiamo con quel ruolo, se è vero che avremmo potuto assumerne un altro.
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iano

#12
Noi siamo di fatto il nostro prossimo, se avremmo potuto esserlo, ma allo stesso tempo dobbiamo difendere la nostra esclusiva individualità perchè da ciò dipende la ricchezza nella diversità, che nei limiti in cui si può esprimere a parole, è la descrizione della vita su questo pianeta, la cui finalità, se c'è, non posiamo sapere, ma sappiamo che se c'è su questa ricchezza di diversità si basa per potervi giungere..
Tutto ciò per dire alla fine quanto mi dispiaccia vedere come alcuni di voi su certi problemi esistenziali si arrovellano soffrendoci.
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Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
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green demetr

Citazione di: iano il 10 Novembre 2024, 23:35:48 PMnon sono nati allo scopo di farsi questa domanda, ma che quei termini una volta creati sono andati oltre lo scopo per cui sono nati.
Infatti se leggi il mio topic su Hegel, il linguaggio essendo una generalizzazione universale non può che alienare il soggetto che la volesse utilizzare nel particolare.
Sarebbe un esercizio di auto-forzamento cioè.
L'errore della metafisica che si fa legge universale è tutto lì.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: iano il 11 Novembre 2024, 15:32:50 PMaddove le domande senza risposta sono da considerare un indice di ricchezza del linguaggio.
Di povertà forse volevi dire, pensa solo al lavoro poetico che tenta tramite il suo lavoro di avvicinarsi il più possibile all'oggetto di questa ricerca.
Mi riferisco per esempio all'uso di parole nuove.
Il linguaggio in un certo senso è un limite e ci vuole un grandissimo lavoro di ricucimento fra dato astratto e sua proiezione sul reale.
Laddove naturalmente è il contrario, dal dato individuale si passa allo spirituale.
Vedi le figure retoriche.

Vai avanti tu che mi vien da ridere

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