Menu principale

Il "vuoto" ed il "nulla"

Aperto da Eutidemo, 09 Ottobre 2024, 12:29:44 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

iano

Citazione di: Bruno P il 15 Ottobre 2024, 17:15:56 PMEd in tal senso non mi soddisfa neppure la teoria di Santiago secondo la quale "essere significa conoscere".
Mizzica, pure Santiago mi devo andare studiare ora? :))
Essere non significa conoscere, ma non si può divenire senza conoscere, laddove per conoscenza non intendo necessariamente un processo cosciente, per quanto in seguito possa diventarlo, ma intendo che se l'essere è vivente la vita gli lascia dei segni, anche quando non si tratta ancora dei simboli con cui l'essere cosciente descrive la realtà che vive.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#91
Citazione di: Bruno P il 15 Ottobre 2024, 17:15:56 PMSiamo davvero solo figli del Caos?
Se il caos è un altro nome del caso, noi non ne siamo figli, perchè il caos non esiste come non esiste il caso, anche quando ci appaiono.
Le cose non esistono in quanto ci appaiono, perchè non siamo noi gli addetti alla verifica dell'essere, anche se possiamo presumerne l'esistenza a seguito della sua apparenza.
Su questa presunzione però non ci fonderei sopra la realtà, o almeno non lo farei senza prevedere ristrutturazioni continue a relativa breve scadenza, cioè, non sò se posso dire, una specie di autopoiesi della conoscenza , usando un concetto appreso testè. :)
La conoscenza rinnovandosi rimane conoscenza, se non ha un fine, come io credo non abbia, ma semmai una funzione.
Per la conoscenza io credo possa valere il detto ''chi si ferma è perduto'' o forse è solo che questo concetto, nuovo per me dell'autopoiesi, ha stimolato oltremodo i miei neuroni, e qui mi fermo quindi per non andare fuori giri.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

niko

Citazione di: Bruno P il 15 Ottobre 2024, 17:15:56 PMLe teorie illustrate da niko sono tutte interessanti ed aventi pari dignità in quanto supportate dai relativi modelli matematici.
Provo però a proporre, solo come elemento di riflessione, una "terza via" che rispecchia parte del mio pensiero di fronte agli enigmi che attanagliano l'umanità da sempre.
Vorrete perdonarmi se può apparire una posizione ingenua.
Mi riferisco all'autopoiesi ed a quella branca della Filosofia che è il finalismo.
Come mi insegnate, l'autopoiesi è la capacità di un sistema di "riparare" se stesso. E' un termine ben noto in biologia quando ad esempio si prende come oggetto di studio una cellula. Le cellule del nostro organismo sono costantemente soggette ad autopoiesi, ad iniziare dalla costante riparazione che ha luogo nel DNA. Lo stesso accade in ogni parte della cellula nel corso della sua esistenza (ci sono cellule che hanno una vita di pochi giorni come quelle delle papille gustative, altre che esistono finché siamo in vita come ad es. i motoneuroni). Certo, ovunque abbia luogo la riparazione essa non è completa, altrimenti saremmo immortali. Ma mi chiedo: perché un sistema così complesso prevede l'autopoiesi? Anzi vado ancor più a monte: se prima, nel corso dell'evoluzione filologica, c'era una cellula che non prevedeva l'autopoiesi e dopo, magari quella figlia nata per mitosi o meiosi, ha iniziato ad esistere una cellula che la prevede, come è stato trasmesso il "messaggio" che è meglio possederla? Credo fino ad un certo punto alla teoria darwiniana secondo la quale, a fronte dell'esistenza di entrambe, è sopravvissuta solo quella "dotata": il passaggio dalla non riparazione a quello dell'autopoiesi richiede, oltre ad essere estremamente complesso, un grado di "coscienza" che una singola cellula non possiede. Nulla accade per caso come Darwin vorrebbe farci credere e la sua teoria rimane preda del demone di Lamarck. Ed in tal senso non mi soddisfa neppure la teoria di Santiago secondo la quale "essere significa conoscere".
Se osservo un sistema di qualsivoglia complessità, a fronte di un evento distruttivo e anche di fortissimo impatto, tale sistema ritroverà prima o poi una condizione di equilibrio, non necessariamente, anzi di norma mai, la medesima. Penso a grandi eventi catastrofici: il meteorite che ha colpito la Terra e ne ha distaccato una parte facendola diventare un suo satellite, un altro meteorite che ha eliminato gran parte delle forme di vita esistenti, ecc. A fronte di ciò, se davvero regnasse il Caos ben difficilmente (basta solo accennare al calcolo delle probabilità senza neanche a mettersi a fare dei calcoli) saremmo qui ad esporre i nostri pensieri.
Eppure siamo qui, anche a far danni come il riscaldamento globale. Eppure siamo qui anche ad ammirare una scultura come la Pietà di Michelangelo in cui un uomo, con doti tutt'altro che comuni, ha fissato nella pietra sul volto più bello che si possa concepire, una Donna, la Vergine Maria, il dolore più grave che una madre possa sperimentare come la perdita del Figlio. Siamo davvero solo figli del Caos?
Siamo davvero, e con noi tutto l'Universo, solo un accumulo di atomi diversi (nulla più, e neanche tutti, di quelli illustrati dalla tavola di Mendeleev) opportunamente dosati e disposti?
E se davvero non siamo frutto di pura casualità esiste una Volontà che preveda dunque un certo fine?
Certamente una risposta me la sono data. E certamente questa Volontà non credo abbia la pretesa di guidarci ad ogni piè sospinto altrimenti il libero arbitrio sarebbe sempre e comunque un argomento fuori luogo. Ma ci fornisce la possibilità....come un padre e una madre forniscono ai figli (si spera) una possibilità di vivere serenamente la propria vita. Ben inteso, non ho alcuna intenzione di dimostrare l'esistenza di Dio o di una Volontà suprema dato che non ne ho alcun titolo, anche perché se intendessi spiegare la Fede con la Ragione avrei perso in partenza.

Se dunque l'Universo è destinato al vuoto, a scomparire, mi chiedo: perché? E' una domanda da filosofo che non sono.

Mi scuso per la lunghezza del mio scritto e ringrazio chi avrà la pazienza di leggerlo.


Proprio perche' la nostra esistenza e' una possibilita' amorfa e impersonale della natura, ha senso interessarcene e cercare di migliorala.

La nostra vita e' una cosa prodotta dallo sfondo, sta li', e' una conseguenza certa di cause certe, ma anche, senza nessuna metafisica, anzi in negazione di ogni possibile metafisica, una conseguenza eterna di cause eterne.

Non ha molto senso fregarsene... e' come se dovessimo vivere e rivivere infinite volte. La natura non e' moralistica: succede una cosa? Passa un aereo, miagola il gatto? Cio' dimostra che quella tal cosa puo' succedere. E' questa, la prima lezione da imparare. Appartiene allo sfondo e al ricorrere delle giuste cause... zac! In quanto conseguenza di esse, essa scatta. Se vogliamo, e' come una trappola, e' inevitabile. Noi pure, siamo questa roba qui. Non siamo diversi dalle altre cose e dagli altri eventi. 

Vale la pena di interessarsene anche senza nessun senso recondito e senza nessuna metafisica. Perche' se la nostra vita e' senza gioia, questo non e' un problema per la natura, e' un problema per noi. Siamo molto piu' che eterni. Siamo in agguato sullo sfondo, siamo inevitabili.





Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Bruno P

Citazione di: iano il 15 Ottobre 2024, 18:02:29 PMPosto che io non ho nulla da insegnarti sull'autopiesi, perchè sei il primo da cui ne sento dire....:).....
.....anche io credo che nulla accada per caso, ma in effetti secondo me se pure l'ipotesi del caso funziona nella teoria di Darwin, essa è ridondante, in quanto è sufficiente una ''simulazione'' del caso.
Questa eventuale mancanza del ''puro'' caso, bastando una sua simulazione, non equivale quindi alla necessità dell'azione di una coscienza , seppure il caso possa essere pure coscientemente simulato, lanciando ad esempio dei dadi.
Semplicemente gli esseri viventi hanno diversi possibili modi di rapportarsi con la realtà, e uno di questi è il modo cosciente.
Inoltre diversi modi possono essere usati insieme non essendovi incompatibilità fra di loro.

Per come la penso io, con tutti i miei limiti, la teoria darwiniana ci insegna che le specie viventi si sono evolute da forme "semplici" in forme sempre più complesse e maggiormente capaci di adattarsi all'ambiente circostante. E' stata più di una rivoluzione copernicana in quanto prima di essere formulata vigeva il fissismo, risalente ad Aristotele, secondo il quale le specie viventi così come osservabili erano sempre esistite sia pur con evoluzioni ontologiche davvero minime. Lamarck poi asseriva che le mutazioni delle specie erano per lo più dettate dall'ambiente (mi viene in mente ad esempio la pinna di una balena la cui struttura ossea ricorda una mano) piuttosto che un procedere dell'evoluzione per tentativi ed errori; ed infatti, anche nel dominio della flora, non si è mai assistito alla nascita di forme "mostruose" derivanti da un "assemblaggio" mal riuscito e soprattutto incapace di adattarsi all'ambiente di riferimento.
Ciò che non accetto nella teoria darwiniana, ma sono un ignorante, è l'attribuzione al Caso di questo lungo processo ontologico di adattamento all'ambiente. Ed evidentemente non sono l'unico se è vero che in Biologia si parla del demone di Lamarck che insidia, o secondo me compendia, la teoria darwiniana, come le più recenti scoperte nel campo dell'eugenetica ci insegnano.
Il fatto poi che tra tutte le specie viventi sussista un diverso grado di "coscienza" è un dato di fatto. Ad iniziare proprio dalla cellula che è il mattone fondamentale di un organismo vivente. Infatti, mi chiedo, le primissime forme di vita che erano unicellulari perché ad un certo punto hanno "sentito l'esigenza" di duplicarsi creando cellule figlie? Avrebbero potuto benissimo vivere serenamente il loro ciclo di vita e amen. Basti conoscere i processi di mitosi e meiosi per riflettere un attimo sulla loro complessità per poterle ascrivere al Caso. La si può denominare "coscienza"? Secondo me, nella mia ingenuità, si. Il come, dove e quando ciò è successo spetta alla Scienza scoprirlo, il perché alla Filosofia.

Bruno P

Citazione di: iano il 15 Ottobre 2024, 18:19:07 PMMizzica, pure Santiago mi devo andare studiare ora? :))
Essere non significa conoscere, ma non si può divenire senza conoscere, laddove per conoscenza non intendo necessariamente un processo cosciente, per quanto in seguito possa diventarlo, ma intendo che se l'essere è vivente la vita gli lascia dei segni, anche quando non si tratta ancora dei simboli con cui l'essere cosciente descrive la realtà che vive.
La Teoria di Santiago ha avuto la pretesa, secondo la mia modestissima opinione davvero mal riuscita, di risolvere l'eterno dilemma anima-corpo, dove finisce l'uno e dove inizia l'altro. In pratica asserisce che non c'è un dilemma dato che l'uno coincide con l'altro. Piuttosto che il silenzio ha avuto il pregio di essere una proposta piuttosto che una Teoria degna di tal nome. Ma l'ho citata in quanto sul dualismo anima-corpo nessuno si era più pronunciato dai tempi di Cartesio che sosteneva che l'ipofisi ne è il punto di congiunzione dato che è una struttura unica rispetto alle altre strutture encefaliche che sono discernibili tra destra e sinistra.
Per coscienza, gentile iano, intendo la capacità di una forma vivente di percepire se stesso e l'ambiente circostante. E' il primissimo passo verso l'intelligenza (che non è semplicemente misurabile con il QI come quasi tutti credono oggi dì) bensì la capacità di misurarsi ed interagire con l'ambiente circostante al fine di ottenere un miglior adattamento. Se i virus non fossero formalmente catalogabili come una forma vivente sarebbero gli esseri più intelligenti.

Bruno P

Citazione di: iano il 15 Ottobre 2024, 18:28:37 PMSe il caos è un altro nome del caso, noi non ne siamo figli, perchè il caos non esiste come non esiste il caso, anche quando ci appaiono.
Le cose non esistono in quanto ci appaiono, perchè non siamo noi gli addetti alla verifica dell'essere, anche se possiamo presumerne l'esistenza a seguito della sua apparenza.
Su questa presunzione però non ci fonderei sopra la realtà, o almeno non lo farei senza prevedere ristrutturazioni continue a relativa breve scadenza, cioè, non sò se posso dire, una specie di autopoiesi della conoscenza , usando un concetto appreso testè. :)
La conoscenza rinnovandosi rimane conoscenza, se non ha un fine, come io credo non abbia, ma semmai una funzione.
Per la conoscenza io credo possa valere il detto ''chi si ferma è perduto'' o forse è solo che questo concetto, nuovo per me dell'autopoiesi, ha stimolato oltremodo i miei neuroni, e qui mi fermo quindi per non andare fuori giri.
Qui entriamo in un campo davvero insidioso.
Il caso davvero non esiste? Prendiamo in considerazione il classico lancio del dado: a fronte di un possibile esito desiderato ci sono complessivi sei esiti osservabili (tralasciando quello in cui il dado rimane in equilibrio su uno spigolo, improbabile ma non impossibile) tutti equiprobabili. Acquisisco una conoscenza nel momento in cui affermo che la probabilità che abbia luogo l'evento desiderato è pari a un sesto. Ma il fatto che sia uscito l'uno piuttosto che il quattro è dettato dal caso nel momento in cui ho piena certezza che il dado è perfetto, privo cioè di qualsivoglia microscopico difetto che lo faccia ribaltare su un lato piuttosto che su un altro. Nel lancio del dado ci sono sufficienti i primi rudimenti del calcolo delle probabilità per acquisire una certa conoscenza sul fenomeno osservato.
Se andiamo però su un evento più complesso necessitano, ammesso che li possediamo, strumenti significativamente più importanti. Affidandomi alla matematica, che è il linguaggio principe della scienza, devo individuare tutte le variabili dipendenti e indipendenti che possono influire anche in misura la più infinitesimale nell'evento osservato, dando loro un nome (x, y, z, ecc.). Da buon sperimentatore di laboratorio identifico e isolo quelle indipendenti indesiderate, rimuovendole così dall'evento ed evitando così possano influire su quelle dipendenti. Ammesso riesca in questo compito, cosa che non accade mai, a seguito di n osservazioni individuo un'equazione capace di descrivere perfettamente il fenomeno studiato. A quel punto, grazie a questa equazione sarò sempre e ovunque capace di prevedere questo evento.
Soffermandomi con la veste di ricercatore sul risultato ottenuto ho descritto un mondo che funziona in maniera deterministica: a causa segue quell'effetto. Nulla, come si suol dire, è stato lasciato al caso.
Come dici tu, gentile iano, possiamo fondarci sopra la realtà? Semplicemente no. Basti pensare al principio di indeterminazione. Certo, ne sappiamo più di prima ma non possediamo la Verità ultima e incontrovertibile. Le "ristrutturazioni" della conoscenza, come tu le definisci, sono il succedersi dei paradigmi che meglio descrivono quel fenomeno (Einstein chiese scusa sulla tomba di Newton per aver proposto un nuovo paradigma che sostituisse il suo).
La conoscenza dell'Uomo ha un suo fine: quello di ridurre l'angoscia derivante dal divenire. E come funzione quella di consentire un miglior adattamento dell'Uomo all'ambiente in cui è immerso.
La Scienza ha la pretesa di sostituirsi, a torto o a ragione, alla Filosofia in questo infinito cammino.

Bruno P

Citazione di: niko il 15 Ottobre 2024, 21:24:22 PMLa nostra vita e' una cosa prodotta dallo sfondo, sta li', e' una conseguenza certa di cause certe, ma anche, senza nessuna metafisica, anzi in negazione di ogni possibile metafisica, una conseguenza eterna di cause eterne.
Gentile niko, aiutami per favore a capire meglio il tuo pensiero.
Se non esiste alcuna metafisica, nessuna episteme, è ragionevole affidarsi esclusivamente al divenire.
Se però lo sfondo da cui proveniamo è una causa eterna che costituisce il prodromo da cui origina la nostra esistenza devo necessariamente prendere in considerazione "un qualcosa" che si situi al di fuori del Divenire.
Grazie

iano

#97
Citazione di: Bruno P il 16 Ottobre 2024, 09:07:58 AMPer come la penso io, con tutti i miei limiti, la teoria darwiniana ci insegna che le specie viventi si sono evolute da forme "semplici" in forme sempre più complesse e maggiormente capaci di adattarsi all'ambiente circostante.
Darwin preferiva al fuorviante termine ''evoluzione'' trasmutazione, che non comporta una finalità, di cui come esempio  possiamo prendere appunto la crescita di complessità, cioè che la finalità dell'evoluzione sia ad esempio la crescita di complessità, complessità che comunque non equivale ad un maggior potenziale adattativo, come proverò a dimostrare alla fine di questo post.
il problema è che la conoscenza deve ricorrere necessariamente alle semplificazioni della realtà per poterla descrivere, ma quando successivamente ci si dimentica delle semplificazioni, o non se ne ha coscienza a priori, la conoscenza da semplificata diviene semplicistica.
Quindi, se ci pensi, non sembra ovvio che noi si parta con l'intenzione di descrivere l'evoluzione delle specie, ma bensì le dinamiche della vita, e la prima cosa che notiamo è che la vita è composta di individui generalmente diversi uno dall'altro.
Descrivere le dinamiche di questa complessità appare subito impossibile.
Dovremo quindi raggruppare gli individui in sottoinsiemi, di modo che la descrizione che vogliamo attuare sia possibile.
Per cui se Darwin già preferiva parlare di trasmutazione e non di evoluzione, io preferirei parlare di di dinamiche della vita descrivibili necessariamente attraverso le specie in cui possiamo raggruppare gli individui secondo criteri che per quanto possano apparire stringenti, come se venissero da sole incontro alle nostre esigenze descrittive, restano comunque sostanzialmente arbitrari, per cui fra tutti i impossibili sceglieremo quelli che riterremo più convenienti.
E' veramente tanta la carne che abbiamo messo al fuoco, quindi  ho scelto questo argomento  fra tutti perché è quello che mi preme di più, riguardante la conoscenza in generale, laddove ho preso ad esempio l'evoluzione delle specie come caso particolare, per esternare un problema comune ad ogni descrizione della realtà.

Per chiudere il discorso si può dimostrare con argomenti logici che la finalità della vita non può essere la complessità, perseguendo essa piuttosto la diversità, e questa diversità comporterà necessariamente individui diversi sotto ogni possibile aspetto, compresa la complessità, a cui quindi non bisogna dare un valore diverso dagli altri, nella misura in cui ognuno è portatore di diversità.
Se quindi noi questo maggior  valore diamo, allora ciò non può che derivare da un pregiudizio.

Il vero valore dunque è nella diversità, se essa equivale per la vita a possedere a priori una soluzione per ogni problema che  dovrà affrontare, senza necessità di doverlo prevedere, cosa che può fare quindi senza possedere ''necessariamente'' una coscienza, il che non vuol dire che la coscienza non possa essere utile al processo vitale, ma che non è appunto una condizione necessaria , e che in quanto non necessaria non merita un attribuzione speciale di valore.
Al contempo concordo comunque con te che non c'è motivo di non associare la coscienza alla vita, seppur ogni individuo la possieda in diverso grado.
Sicuramente fare questa associazione, male che vada, è una semplificazione ''illuminante'' per le nostre necessità descrittive.



Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Bruno P

Citazione di: iano il 16 Ottobre 2024, 10:50:31 AMDovremo quindi raggruppare gli individui in sottoinsiemi, di modo che la descrizione che vogliamo attuare sia possibile.
Nelle scienze psicologiche applicate la categorizzazione è un processo che deriva dalle nostre limitate capacità cognitive. Tale processo ha dei pro e dei contro. Tra i pro si può senz'altro annoverare il fatto che è decisamente più semplice studiare una categoria piuttosto che un semplice individuo e garantisce al tempo stesso il processo di deduzione che porta ad inferire determinate proprietà alla categoria ma non necessariamente agli individui che la compongono. Per contro si perde la specificità del singolo individuo il quale, una volta inserito in una data categoria, acquisisce di fatto le proprietà generiche di quella categoria e perde quelle sue peculiari, uniche. Peraltro lo studio del singolo, ma dipende dal campo di applicazione, risulta fine a se stesso, è autoreferenziale. Siamo quindi pienamente d'accordo anche perché, in questa chiave, attribuire le proprietà generiche della categoria all'individuo (che di per se non necessariamente le possiede) crea i prodromi per il pregiudizio.
Citazione di: iano il 16 Ottobre 2024, 10:50:31 AMla finalità della vita non può essere la complessità
Sono assolutamente d'accordo. La crescente complessità è, mi sia consentito, un arricchimento della "cassetta degli attrezzi" che una forma di vita porta con se per meglio adattarsi all'ambiente di riferimento.
Citazione di: iano il 16 Ottobre 2024, 10:50:31 AMperseguendo essa piuttosto la diversità, e questa diversità comporterà necessariamente individui diversi sotto ogni possibile aspetto, compresa la complessità, a cui quindi non bisogna dare un valore diverso dagli altri, nella misura in cui ognuno è portatore di diversità
Pensare al fatto che siamo forme di vita uniche, tralasciando alcune riflessioni quantistiche che prevedono un doppione di tutto ubicato chissà dove, che mai sono esistite, esistono o esisteranno è qualcosa che desta una meraviglia incredibile!!
C'è chi dice che ad un certo punto bisogna superare l'età dei perché ma personalmente non posso non pormi dei quesiti: perché siamo unici?

iano

#99
Citazione di: Bruno P il 16 Ottobre 2024, 11:31:56 AMperché siamo unici?
Direi che l'unicità ha un suo perchè indiretto, essendo essa implicita nella diversità, la quale come ho provato a dire ha un suo  perchè.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Alberto Knox

 Hawking propone un universo senza un origine definita nel tempo , secondo la sua teoria si può anche affermare che l'universo non è sempre esistito. è corretto allora dire che l'universo ha creato se stesso?
io preferirei dire che l'universo dello spazio/tempo e materia è internamente coerente e autosufficente. La sua esistenza non richiede nulla al di fuori di esso , e in particolare non è stato necessario nessun primo motore. Questo significa che l esistenza dell'universo può essere spiegata scientificamente senza bisogno di Dio? in  altre parole, possiamo considerare l'universo come un sistema chiuso , che contiene in sé la ragione della propia esistenza?
Dipende dal significato che attribuiamo alla parola "spiegazione" . Perchè se date le leggi della fisica , l'universò è in grado di badare a se stesso e anche della propia creazione ci si può domandare a buon ragione da dove vengono queste leggi. non richiedono , a loro volta, una spiegazione?
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

iano

#101
Citazione di: Bruno P il 16 Ottobre 2024, 11:31:56 AMSono assolutamente d'accordo. La crescente complessità è, mi sia consentito, un arricchimento della "cassetta degli attrezzi" che una forma di vita porta con se per meglio adattarsi all'ambiente di riferimento.
Si, però non sono certo che ci siamo del tutto capiti.
Si può in effetti discutere se la maggior complessità comportando maggior coscienza, comporti un vantaggio adattativo, che sarebbe quindi da attribuire  solo indirettamente alla complessità.
Però di base la semplicità, non meno che la complessità, sono  impliciti nella diversità. cioè il diverso grado di complessità è uno dei tanti possibili portatori di diversità.
Ma alla fine a cosa porta di fatto la coscienza?
A un libero arbitrio che comporta scelte imprevedibili allo stesso individuo che le fà, cioè ad un rafforzamento della causa dell'evoluzione , cioè del caso, anche se per me è solo un caso di fatto, cioè una sua simulazione, come una sua simulazione . insisto su questo, è il lancio di un dado.
La dinamica a cui sottosta il lancio di un dado è imprevedibile perchè noi l'abbiamo resa volutamente tale costruendo un dado dalle caratteristiche simmetriche, da cui la stessa probabilità di uscita di una faccia piuttosto che dell'altra.
Il dado obbedisce a determinate cause che noi vogliamo ignorare, o che ci siamo messi nella condizione di non poter determinare volutamente, per simulare il caso, il quale anche quando non volutamente simulato, non esiste comunque in forma pura.
O quantomeno non credo sia saggio basare una teoria su qualcosa la cui esistenza è indimostrabile, se comunque possediamo in subordine qualcosa che avendo lo stesso effetto possa dimostrarsi, ciò che ho chiamato simulazione del caso.
Sembrerebbe una questione di lana caprina, se non fosse che ipotesi fatte nell'ambito di una teoria diventino verità di fatto valevoli per ogni teoria, ciò che porta poi alle nostre domande esistenziali prive di risposta.
Personalemente non ammetto nessuna verità se non a raggio limitato, verità che valgono in ambiti limitati che però tendiamo poi impropriamente ad universalizzare, facendole diventare verità assolute.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#102
Citazione di: Alberto Knox il 16 Ottobre 2024, 11:43:38 AMHawking propone un universo senza un origine definita nel tempo , secondo la sua teoria si può anche affermare che l'universo non è sempre esistito. è corretto allora dire che l'universo ha creato se stesso?
io preferirei dire che l'universo dello spazio/tempo e materia è internamente coerente e autosufficente. La sua esistenza non richiede nulla al di fuori di esso , e in particolare non è stato necessario nessun primo motore. Questo significa che l esistenza dell'universo può essere spiegata scientificamente senza bisogno di Dio? in  altre parole, possiamo considerare l'universo come un sistema chiuso , che contiene in sé la ragione della propia esistenza?
Dipende dal significato che attribuiamo alla parola "spiegazione" . Perchè se date le leggi della fisica , l'universò è in grado di badare a se stesso e anche della propia creazione ci si può domandare a buon ragione da dove vengono queste leggi. non richiedono , a loro volta, una spiegazione?
E' possibile che l'universo non abbia una origine, ma che sia soggetto a continui passaggi di stato.
Se noi abbiamo la presunzione di poter riconoscere ognuno di questi stati come tale, nel momento in cui l'universo si presenta in uno stato che non riconosceremo  come tale, scambieremo quello stato per la sua origine.
In genere tendiamo ad attribuire spontaneità agli eventi le cui cause restano a noi così nascoste da farci credere che non ci siano .
Non è così antica in fondo la credenza che i vermi nascessero nella melma per generazione spontanea.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

niko

Citazione di: Bruno P il 16 Ottobre 2024, 10:03:12 AMGentile niko, aiutami per favore a capire meglio il tuo pensiero.
Se non esiste alcuna metafisica, nessuna episteme, è ragionevole affidarsi esclusivamente al divenire.
Se però lo sfondo da cui proveniamo è una causa eterna che costituisce il prodromo da cui origina la nostra esistenza devo necessariamente prendere in considerazione "un qualcosa" che si situi al di fuori del Divenire.
Grazie


Noi, siamo un evento che succede per cause deteministiche, ma abbiamo diciamo cosi', "interesse" a che tale evento ci renda felici, e non tristi.

Con il corso della nostra vita, stiamo "scrivendo" una verita' naturale non metafisica.

Come una equazione della fisica, o un grafico, che descrive un evento. L'evento della nostra vita.

Ma cio' significa che la posta in gioco e' ancora piu' alta, di quelle solitamente previste dai punti di vista sul mondo metafisici, non piu' bassa.

Le verita' metafisiche sono "emendabili".

Quelle naturali no.

Se va' bene, va' bene. Se va' male va' male. Se va' cosi' cosi' va' cosi' cosi'.

Ma sempre e comunque, e' come se dovessimo vivere non tanto "in eterno" ma "infinite volte".

Il verificarsi di un evento, non cancella l'equazione che lo descrive.

L'equazione che descrive la caduta di una pallina da un tavolo, se ben scritta, va bene per mille o diecimila cadute di pallina, a parita' di condizioni iniziali.

Non e' che quell'evento, e' andato via per sempre, perche' ormai si e' verificato.

L'equazione che lo descrive, continua ad essere una corretta espressione di una legge della natura, insomma, continua a far parte dello sfondo. Continua a valere anche quando lo sfondo, quello stesso sfondo, venga riempito, e sovrapposto, di cose e situazioni, completamente diverse. Che pero', il ritorno della situazione "pallina che cade dal tavolo" correttamente descritta dalla nostra equazione, non escludono. Sono semplicemente cose ed eventi diversi, descritti e descrivibili, da equazioni, diverse. L'effetto, come correttamente gia' pensavano molti antichi, non esaurisce la causa.

Questo significa che il nostro bene, ha una valenza infinita, e il nostro male, pure, una valenza infinita.

Perche' la nostra vita e' una generica e impersonale possibilita' della natura, ma anche tutto cio' che abbiamo, l'unica possibilita' che espriremo e siamo in grado di esperire.

Non c'e' bisogno di superare causalita' e determinismo, per trovare il senso della vita. Il senso delle vita, la ragione per lottare e' (gia') data, da causalita' e determinismo. Chi ha "buone" cause, o meglio, diciamo cosi', di "fortunate", stara bene per sempre, chi ne ha di cattive, o meglio, di sfortunate, stara' male per sempre. La cosa comunque, non puo' non riguardarci. La inevitabilita', di quello che siamo, e' anche l'intelligibilita' di cio' che genericamente ci descrive, e quindi, la nistra eternita'.
Deleterio semmai, e volerne appiccicare altri, di sensi, alla situazione esistenziale reale, dell'uomo.


Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Alberto Knox

Citazione di: iano il 16 Ottobre 2024, 12:30:51 PMIn genere tendiamo ad attribuire spontaneità agli eventi le cui cause restano a noi così nascoste da farci credere che non ci siano proprio.
l idea dell esistenza di un universo senza una causa prima esterna non deve più essere considerata in contrastro con le leggi della fisica . Questa conclusione si basa , in particolare, sull applicazione della fisica quantistica alla cosmolgia. Date le leggi , l' esistenza dell universo non è in sé miracolosa . Questo fa sembrare che le leggi della fisica agiscano come "fondamento dell essere" dell universo. Ora che si sono fatti numerosi progressi nel campo della fisica e della cosmologia , in seguito alle scoperte che si ritiene essere " leggi ultime dell universo" tornano a galla molti vecchi interrogativi .
Perchè le leggi hanno la forma che hanno? avrebbero potuto essere diverse? da dove hanno origine ? esistono indipendentemente dall universo fisico? 
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.