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Essere ed esistere

Aperto da Jacopus, 29 Giugno 2024, 15:23:12 PM

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iano

Citazione di: Alberto Knox il 30 Giugno 2024, 12:31:57 PMriprova e controlla iano :D
Fai prima a dirmi dove sbaglio, secondo te.
Io di errori logici non ne vedo.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#16
Citazione di: Ipazia il 30 Giugno 2024, 16:26:26 PML'essere nasce metafisicamente, insieme all'anatema del non-essere (evolutosi poi in tormentone nichilista), con Parmenide, che evidentemente ne aveva le scatole piene di non-essenti imperversanti non solo nella superstizione, ma pure nell'aurea location dei filosofi.

Come spesso accade, il suo erede ed estimatore più celebre anche presso i contemporanei, invece che proseguire la missione del maestro, aggravò ulteriormente la sindrome ontologica, standardizzando forme ideali nel mondo delle idee, che sciaguratamente prenderanno il sopravvento sugli essenti che ci sono.

Quantomeno ha provato a dare conto dei diversi gradi con cui l'essere ci appare, perchè del fatto che in diversi gradi appare bisogna darne giustificazione se si vuole che la definizione  dell'essere, come  ''ciò che è'' valga per ogni essente, mentre di fatto questa definizione vale solo per ciò che è evidente che sia al grado massimo, e non tutti gli essenti hanno pari grado di evidenza. E quindi per il resto che definizione diamo?
Se vogliamo mantenere la stessa definizione, dovremo spostarlo in un altro modo, laddove ogni mondo possiede essenti di pari grado di evidenza.
In alternativa non vedo altro modo di risolvere la questione se non rinunciando al presunto rapporto diretto con la realtà, rapporto diretto che proprio la natura di ciò che è evidente ci suggerisce.
Ma siccome ciò che evidente è solo una parte della presunta realtà, sarebbe allora un rapporto diretto incompleto.
Questa seconda soluzione ha il pregio di scongiurare il fatto che per spiegare le cose si moltiplichino a dismisura i mondi, perchè se due sono possibili, allora perchè non mille?

Il materialismo ha fallito per aver nascosto sotto il tappeto filosofico i diversi gradi dell'essere, ammettendo solo ciò che appariva in massimo grado evidente, la materia, salvando in tal modo il nostro rapporto diretto con la realtà senza bisogno di intermediari né divini ne di altro tipo che non fossero puramente materiali.
L'idealismo che questi inetrmediari ha ammesso non ha avuto però miglior fortuna.
Potremmo chiamare l'alternativa a questi tentativi falliti ''virtualismo''?
In effetti il termine è improprio, ma non ne trovo di migliori.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
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Ipazia

#17
Citazione di: iano il 30 Giugno 2024, 18:15:37 PMQuantomeno ha provato a dare conto dei diversi gradi con cui l'essere ci appare, perchè del fatto che in diversi gradi appare bisogna darne giustificazione se si vuole che la definizione  dell'essere, come  ''ciò che è'' valga per ogni essente, mentre di fatto questa definizione vale solo per ciò che è evidente che sia al grado massimo, e non tutti gli essenti hanno pari grado di evidenza. E quindi per il resto che definizione diamo?
Se vogliamo mantenere la stessa definizione, dovremo spostarlo in un altro modo, laddove ogni mondo possiede essenti di pari grado di evidenza.
In alternativa non vedo altro modo di risolvere la questione se non rinunciando al presunto rapporto diretto con la realtà, rapporto diretto che proprio la natura di ciò che è evidente ci suggerisce.
Ma siccome ciò che evidente è solo una parte della presunta realtà, sarebbe allora un rapporto diretto incompleto.
Questa seconda soluzione ha il pregio di scongiurare il fatto che per spiegare le cose si moltiplichino a dismisura i mondi, perchè se due sono possibili, allora perchè non mille?

Il materialismo ha fallito per aver nascosto sotto il tappeto filosofico i diversi gradi dell'essere, ammettendo solo ciò che appariva in massimo grado evidente, la materia, salvando in tal modo il nostro rapporto diretto con la realtà senza bisogno di intermediari né divini ne di altro tipo che non fossero puramente materiali.
L'idealismo che questi inetrmediari ha ammesso non ha avuto però miglior fortuna.
Potremmo chiamare l'alternativa a questi tentativi falliti ''virtualismo''?
In effetti il termine è improprio, ma non ne trovo di migliori.
Come ho già detto nel mio primo post, l'essere è un verbo, non un ente. Non ci sono vari gradi dell'essere, ma vari predicati, relativa alle differenti prospettive gnoseologiche, che il verbo attribuisce agli essenti rispettando i postulati onto-logici razionalmente condivisi. Il fatto che tutto ciò sia mediato dal linguaggio non pregiudica la verità delle definizioni, la loro ontologia, certificata dai dizionari, secondo lo stato dell'arte delle conoscenze in essere.

Secondo la mitologia ebraica il Creatore ha dato agli umani il potere di nominare le cose. Strumento potente, ma non esente da rischi, come la leggenda della torre di Babele esemplifica. Risolta con dizionari e traduttori automatici in modo che sia chiaro, confermato dal dna, che quando dico cane in qualsiasi lingua, intendo proprio quell'(ess)ente là. Non esiste un "grado di cane", e nemmeno un'opinione arbitraria di che cosa sia un cane. Se un giorno risulterà che il cane è l'anima reincarnata di mio nonno ne terrò conto. Ma non esiste un grado di verità di tale ipotesi.

Ontologicamente è o non-è. Inteso, a scanso di equivoci metafisici: esiste o non-esiste. Sia lode a Parmenide, sempre sia lodato.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

iano

#18
Citazione di: Ipazia il 30 Giugno 2024, 19:36:42 PMCome ho già detto nel mio primo post, l'essere è un verbo,

Ma allora siamo d'accordo?
Tu parli di verbi , io parlo di rappresentazioni.
Dov'è la differenza?
Però io intendo una rappresentazione che si fa mondo, come il verbo si fa carne.
Per questa traduzione si può consultare il vocabolario, mentre una volta bastava aprire gli occhi per vedere la traduzione istantanea.
Sono due modi diversi di fare la stessa cosa.
L'evidenza dell'essere deriva da una traduzione appunto istantanea, che ne esce dal confronto relativizzata, non più in grado di sostenere l'essere come ciò che è.
L'essere come ciò che è , è l'essere che evidentemente non può essere altro da ciò che è, ma nel momento in cui ad esso si presenta un alternativa confrontabile tale definizione non può più essere sostenuta.
L'alternativa al mondo come in modo evidente ci appare, è il mondo delle descrizioni della realtà, privo di ogni immediata evidenza, per il quale la definizione di essere come ciò che è più non si attaglia.
L'essere diventa allora il prodotto della nostra interazione con la realtà dove il suo diverso grado deriva dall'abitudine che vi facciamo, la quale , come lo sguardo della medusa arriva fino a solidificarlo, passando per i diversi gradi dell'esistenza.
Sforzandoci forse riusciamo a trovare dentro di noi questo tipo di esperienza, per quanto i suoi tempi siano per lo più quelli evolutivi.
Accettando questa origine dell'essere si spiegano le sue relazioni di causa ed effetto, perchè esso nasce comprensivo di esse.
Lo spazio e il tempo di Newton direttamente derivati dalla geometria euclidea, per fare un esempio, sappiamo adesso che non esistono, eppure l'abitudine a pensarli ce li ha fatti vedere, ed ancora siamo in grado di vederli.
l'essere non è ciò che esiste, ma ciò che noi attraverso il nostro rapporto con la realtà promuoviamo ad esistente per confidenza d'uso, quando questa confidenza si stabilisce.
Che simile confidenza si instauri con enti come i quanti possiamo scordarcelo.
Ma nonostante tutto possiamo dirci fortunati perchè di questa confidenza, per quanto desiderabile, non c'è stretta necessità.
Però saremo condannati da adesso in poi ad usare il vocabolario.
Non ci sarà più nulla di evidente per noi d'ora innanzi, ma allo stesso tempo nulla di tanto apparentemente innegabile nella sua evidenza si parerà a sbarrarci la strada con la sua inerzia, passando da un vocabolario all'altro.
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iano

#19
Non si tratta di limitarsi a dare nomi a cose che esistono già, ma a furia di nominarle evocarne l'esistenza.
E se con ciò si griderà allo scandaloso recupero del pensiero magico, non dimentichiamo che l'azione a distanza che esercita la forza di gravità solo un mago come Newton ha potuto evocarla fino a farcela vedere ancor con un buon grado di evidenza.
Questo miracolo non si ripeterà più.
Vivremo sempre più dentro mondi virtuali, anche se virtuale non è il termine giusto, perchè il termine giusto temo sia ancora da inventare, e prima lo nomineremo, prima inizierà ad ''apparirci''.
Che il mondo risponda a formule magiche o a formule matematiche rimane comunque una magia, la seconda delle quali non ci appare più tale, per la confidenza che vi abbiamo stabilito a furia di considerarla.

Una sorpresa non è per sempre.
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Donalduck

Ora che ho una serie di definizioni, più o meno chiare, di questi due termini (che per quanto mi riguarda non trovo motivi per distinguere e contrapporre), posso farmi un'idea di quale sia o possa essere l'argomento in questione.

Provo quindi a fare un riassunto delle definizioni date fin qui, sperando di non aver frainteso:

Bobmax:
  • L'esistente è ciò che un soggetto percepisce come oggetto
  • L'essere è ciò che sta al di là del "limite dell'esistenza" ciò su cui questa si fonda e su cui quindi si fondano soggetto e oggetto e coincide (in qualche modo) col nulla

Ipazia:
  • L'esistente è ciò che è empiricamente verificabile
  • L'essere è "solo la presa d'atto di quello che c'è (e di quello che non c'è)" e come concetto filosofico distinto da esistente è solo un "fossile metafisico"

Il_Dubbio:
  • Nessuna definizione di esistente
  • L'essere è la condizione con la quale riconosciamo le cose che esistono

Iano:
  • L'esistente è la rappresentazione (relativa) dell'essere (da parte di un soggetto, ovviamente)
  • L'essere è l'assoluto che dà origine alle rappresentazioni (e anche al soggetto, suppongo)

Riguardo ai problemi filosofici connessi sono stati individuati:
  • assoluto / relativo
  • soggetto / oggetto (coscienza / mondo)
  • realtà / rappresentazione
  • essere / nulla (non essere)

In relazione a quanto sopra, provo a dare la mia "versione dei fatti".

Cominciamo con la contrapposizione essere / non essere, che tenderei semplicemente a liquidare come non sussistente. Anche se il significato che gli do non è lo stesso, penso, che gli attribuiva Parmenide, trovo del tutto appropriato dire che "l'essere è, in non essere non è", nel senso che non ci sono "cose che non esistono". Qualunque "cosa" a cui si possa in qualche modo far riferimento, esiste per il fatto stesso che ci si fa riferimento. Quello che cambia è la "modalità di esistenza" che può essere quella fisica, quella mentale, quella emotiva eccetera. Le illusioni sono soltanto errori d'interpretazione che scambiano una modalità con un'altra. Ad esempio non è vero che "la Befana non esiste". Esiste in quanto prodotto dell'immaginazione umana. Non esiste in quanto entità fisica, essere vivente che porta regali il 6 gennaio, ma in qualche modo comunque esiste. Una cosiddetta allucinazione (o un sogno) sono ben reali, esistono, ma diventano illusioni se li si scambia per percezioni del mondo fisico.

Questa visione delle cose fa piazza pulita di ogni concezione fisicalista / riduzionista che dia la patente di reale o esistente solo alle entità fisiche (tralasciando la problematicità del definire cosa è fisico) a cui mi pare che vadano a parare i discorsi di Ipazia. Per non parlare della concezione della coscienza come prodotto dell'evoluzione darwiniana, che trovo irrazionale e infondata, come del resto l'idea stessa alla base di quell'evoluzionismo (mutazione casuale + selezione naturale come motore dell'evoluzione) che deriva a sua volta dall'idea della vita come risultato di interazioni "spontanee" (termine alquanto problematico) ossia "meccaniche" (in senso lato), cieche - non guidate direttamente o indirettamente da una volontà cosciente - di varie forme di energia. Ritengo che l'unica posizione ragionevole sia innanzitutto riconoscere che si tratta di misteri, non di cose per cui si possa arrivare, ora come ora a qualche "verità" sia pure provvisoria. Riconosciuto questo mi sembra che l'unica ipotesi logica che non sia in contraddizione con l'esperienza sia che coscienza, intelligenza, volontà, finalità, siano elementi intrinseci e fondamentali della realtà allo stesso modo delle interazioni fondamentali della fisica, come fattori attivi e imprescindibili della realtà stessa.

E arriviamo al problema soggetto/oggetto. Trovo che l'idea di una "realtà oggettiva" che esiste "di per sé" non abbia senso, per il semplice fatto che l'"oggettivo" presuppone necessariamente il "soggettivo" e viceversa. Sfido chiunque a dare una definizione di esistenza oggettiva (che includa anche criteri di differenziazione dal "non oggettivo") che prescinda dal soggettivo. L'oggettivo trae il suo significato dall'opposizione col soggettivo, altrimenti è solo una parola senza significato. L'unica realtà che conosciamo (e quindi di cui possiamo parlare) consiste in entità oggettive percepite da entità soggettive.

Per quanto riguarda le polarità relativo/assoluto la mia posizione ha qualche assonanza con quella di Bobmax, anche se il suo linguaggio mi sembra più poetico, allusivo che razionale. L'assonanza consiste nel considerare l'assoluto come qualcosa di trascendente, inaccessibile alla conoscenza (almeno quella ordinaria) e nel constatare che qualunque concetto portato all'assoluto si dissolve nel nulla o nell'indifferenziato, che più o meno sono la stessa cosa. L'assoluto è il "limite", come dice Bobmax, ma un limite irraggiungibile, asintotico, qualcosa a cui si può solo tendere senza mai arrivarci. Per questo ritengo futile l'idea di una "teoria del tutto" come quella di "fondamenti ultimi" anche solo limitata all'ambito fisico. L'esperienza ci dice che c'è sempre qualcosa "al di là" di quello che conosciamo, e non c'è e non può esserci qualcosa al di là del quale non c'è niente. Per quanto si arrivi a conoscere la struttura della materia (ossia delle forme di energia) si trova sempre qualcosa di "più fondamentale". Questo rimanda alla concezione di infinitamente piccolo o grande, che in matematica è definibile solo dicendo che qualunque quantità si possa prendere in considerazione, ne esiste una ancora più piccola o grande. Mentre l'infinito resta indefinito e indefinibile, se non come "tendenza" di quantità finite. Posso ipotizzare un'esistenza "oggettiva" (ossia in qualche modo percepibile, rappresentabile) dell'assoluto solo come esperienza, stato di coscienza, ma non come entità razionale.

Riguardo alla dualità realtà/rappresentazione ritenendo che l'unica realtà che possiamo conoscere sia relativa (frutto della relazione soggetto/oggetto) ne consegue che la realtà è fatta di rappresentazioni, che possono essere soggettive oppure intersoggettive (quelle che vengono definite "oggettive"). Il che equivale a dire che la realtà è (sia pure sempre imprecisamente) definibile come un flusso di informazioni che parte da un oggetto per arrivare a un soggetto e che quando diversi soggetti sono in accordo in qualche modo su una rappresentazione, questa diventa intersoggettiva (oggettiva nell'uso comune del termine) permettendone la condivisione.

Nonostante questo post sia più lungo di quanto avrei voluto, rimane estremamente succinto e non può sottrarsi al limite intrinseco di ogni comunicazione razionale, ossia simbolica: gira e rigira, si arriva sempre a un circolo vizioso, o a domande senza risposta. Ad esempio il soggettivo presuppone l'oggettivo e viceversa, ma da dove "vengono" entrambi? Dal nulla, direbbe Bobmax, ma a questo punto si tratta solo di parole slegate da qualunque significato esperienziale (l'esperienza è il presupposto di ogni conoscenza) che possono al massimo dare suggestioni o indicare limiti invalicabili: i misteri dell'esistenza, non penetrabili razionalmente.




iano

#21
Citazione di: Donalduck il 30 Giugno 2024, 20:39:58 PMRiguardo alla dualità realtà/rappresentazione ritenendo che l'unica realtà che possiamo conoscere sia relativa (frutto della relazione soggetto/oggetto) ne consegue che la realtà è fatta di rappresentazioni, che possono essere soggettive oppure intersoggettive (quelle che vengono definite "oggettive"). Il che equivale a dire che la realtà è (sia pure sempre imprecisamente) definibile come un flusso di informazioni che parte da un oggetto per arrivare a un soggetto e che quando diversi soggetti sono in accordo in qualche modo su una rappresentazione, questa diventa intersoggettiva (oggettiva nell'uso comune del termine) permettendone la condivisione.





hai fatto un mirabile lavoro di sintesi, che per quanto mi riguarda merita solo qualche precisazione.
Non è che l'unica realtà che possiamo conoscere sia relativa.
La realtà è assoluta, relativa è la conoscenza.
La realtà comprende al contempo soggetto ed oggetto, e questo sdoppiamento della realtà è un mistero che ''ce lo teniamo'', perchè a qualche mistero bisognerà pur sottostare.
Fra soggetto ed oggetto c'è una relazione, che, detto in altro modo, c'è fra i due un rapporto dinamico , o detto in altro modo il soggetto agisce nell'oggetto, potendosi trascurare il contrario.
Da ciò il soggetto deriva una conoscenza che modifica la sua azione, e tutto secondo me diventa più semplice se spiegato in termini di questa azione.
Il fine della conoscenza è l'azione, ma è l'azione a sua volta a generare conoscenza in circolo ''virtuoso''.
L'azione in base alla conoscenza può essere del soggetto come di una comunità do soggetti che condividono la stessa conoscenza.
Il potere della scienza non sta nel suo valore di verità, ma nel potere che comporta un azione collettiva.
In se la conoscenza non è necessaria all'azione, e quindi la conoscenza è un modo come un altro di agire.
Essa comporta il poter fare previsioni per uscire in parte dal meccanismo del tutto potenzialmente casuale dei tentativi per errori.
La conoscenza è fare tesoro dei propri errori, o meglio dei tentativi andati a vuoto.
Agire in base alla conoscenza significa agire indirettamente nella realtà, perchè significa agire direttamente dentro una idea di realtà, e questa idea di realtà è propriamente il mondo entro cui viviamo, e anzi in cui coabitiamo nella misura in cui condividiamo questa idea.
Io non tolgo all'essere il suo carattere assoluto, ma lo relego a soggetto ed oggetto della conoscenza i cui prodotti generano ciò cui tradizionalmente abbiamo attribuito esistenza, esistenza che pure mantengono, ma in via transitoria.
Così che ciò cui tradizionalmente abbiamo attribuito esistenza ieri era una palla da biliardo dai contorni rigorosamente euclidei, o approssimativamente tali secondo le distinzioni fatte da Platone, e oggi è un onda di probabilità priva di confini, ma a cui possiamo ancora attribuire una forma, etc...
Niente di tutto ciò è mai esistito in assoluto, se non come idea di realtà che della realtà è stata capace di volta in volta di fare le veci.
Questa è la madre di tutte le conoscenze, perche adesso potremo costruire esistenze ad hoc che stiano in modo sempre più conveniente al posto della realtà, e nella misura in cui siamo sempre più artefici consapevoli del mondo in cui viviamo, sarà sempre meno possibile confonderlo cn la realtà, e ciò equivale a tutti gli effetti ad una uscita dell'eden biblico, a cui ci ha condannati la sete di conoscenza.
Diversamente è la strada che l'evoluzione ci ha assegnato, una fra le tante possibili.
Che il caso abbia su di noi tanto potere può considerarsi scandaloso solo nella misura in cui ci sopravvalutiamo.
Dal nostro punto di vista soggettivo non è chiaro perchè l'evoluzione ci abbia riservato questa sorte.
Se però usciamo da questo punto di vista ristretto l'evoluzione agisce in piena ignoranza, senza avere alcuna conoscenza, e in questo caso non ci sono casi che ci sia un buon motivo di trascurare.
La strategia della vita è di provarle tutte.
Apparentemente lancia un dado, ma in effetti non trascura mai nessun caso.
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Il_Dubbio

Citazione di: Donalduck il 30 Giugno 2024, 20:39:58 PMIl_Dubbio:
  • Nessuna definizione di esistente
  • L'essere è la condizione con la quale riconosciamo le cose che esistono






Difficile per me trovare una definizione di "esistente". Forse anche Shakespeare intendeva dire "esistere o non esistere" e gli è venuto fuori un essere o non essere. Hai detto cose interessanti nella tua analisi. Ad esempio la befana esiste come idea. Cos'è quindi la befana, un'idea, un pensiero, una favola, una storia. Se una storia è pensata e poi scritta non aumenta il suo grado di esistenza solo perchè esiste un libro che parla della storia della befana. Ma ci sono innumerevoli altri esempi anche di fisica, proprio perchè la fisica si affida a dei modelli matematici. I modelli sono strutture logiche e queste strutture logiche esistono come idee matematiche. Con queste strutture logiche costruiamo il mondo come è rappresentato in quei modelli. Cosi gli oggetti, soprattutto quando non è possibile osservarle da vicino in quanto troppo minuscole, prendono una loro forma, forse anche una loro esistenza al di fuori della loro rappresentazione (ovvero il modello matematico utilizzato). Esistono per davvero quegli oggetti? Alle volte capita di non riuscire a visualizzarle, sembrano un controsenso della natura, ma allora esiste solo il modello matematico che li rappresenta o sono oggetti reali (esistenti) che però noi non sappiamo dire cosa siano? Alle volte la loro esistenza è messa anche in dubbio, ma abbiamo una loro descrizione. Ma non è abbastanza ne per dire che esistono ne per sostenere cosa sono. Anche sulla coscienza ci ritroviamo con gli stessi problemi. La differenza è che nel caso della coscienza non esiste nemmeno un modello matematico che "rappresenti" al meglio qualcosa che sentiamo esistere ma non sappiamo cosa sia. Per cui ritengo che l'esistenza potrebbe anche non avere una definizione precisa; sappiamo che c'è, in alcuni casi, almeno un modello che  descrive (o rappresenta) ciò che presumiamo esista, e quindi esiste per quel motivo, oppure, come nel caso della coscienza, ci dobbiamo arrendere all'idea che la coscienza esiste almeno per un motivo logico, cioè senza la sua esistenza non avremmo la sensazione che esista qualcosa invece che nulla. 

Ipazia

@Donalduck

Penserai mica che non conosca la differenza ontologica tra Paperino e un'anatra verace ? Ma per quanto Paperino si sforzi non sarà mai un'anatra vera. Su questa differenza ontologica bisogna avere le idee chiare: non tutti gli enti afferiscono al medesimo piano ontologico. L'esserci dell'anatra appartiene al mio stesso piano ontologico di umano. Quello di Paperino allo stesso dei numi. I misteri li lascio al piano ontologico dei numi; anatre e umani sono sufficientemente noti, fuori dalla notte in cui tutte le vacche sembrano nere e le loro flebile ombra sembra una vacca.


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bobmax

Citazione di: Donalduck il 30 Giugno 2024, 20:39:58 PMAd esempio il soggettivo presuppone l'oggettivo e viceversa, ma da dove "vengono" entrambi? Dal nulla, direbbe Bobmax, ma a questo punto si tratta solo di parole slegate da qualunque significato esperienziale (l'esperienza è il presupposto di ogni conoscenza) che possono al massimo dare suggestioni o indicare limiti invalicabili: i misteri dell'esistenza, non penetrabili razionalmente.

Sì la razionalità è insufficiente.
D'altronde non è forse espressione della stessa esistenza?
Come potrebbe la razionalità guardar fuori dal proprio sistema per osservare ciò che la fonda?

Tuttavia non per questo è allora impossibile alcun significato.
Non sarà un significato razionale, ma potrebbe essere invece un significato persino più pregnante e più "vero".

Il Nulla può infatti essere vissuto.
E l'esistenza offre mille occasioni per poterlo sperimentare. È sufficiente non chiudere gli occhi di fronte all'orrore. Resistere.
Il Nulla può diventare così presenza, in ogni momento, anche il più banale.
Occorre però non fuggire, come usa il pensiero razionale che lo rifugge non appena ne ha sentore.

Ma forse è proprio quando ti ritrovi davanti la morte dell'amato, che hai la certezza del Nulla.
Esisteva e ora non più...

Vanamente posso rincorrere i motivi del mio amore e dove era rivolto.
Chi, cosa amavo e amo?

Ora è diventato un Nulla.
Ma nasce la consapevolezza che Nulla... lo è sempre stato.

Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

@Donalduck porta tutte le antinomie sul piano logico dell'esistere, unico piano in cui si può parlare di tutte gli enti, "essere metafisico" incluso. Che ontologicamente ritorna al ruolo grammaticale di verbo identificativo: iddità entificante da cui non si schioda.

Da cui si transita nel piano dell'epistemologia, che per quanto "relativa", "rappresentativa", "limitata", esige dei punti di fondamento "razionali", che non può trovare nient'altro che in una epistéme empiricamente verificabile e intersoggettivamente ("oggettivamente") condivisibile.

Coi suoi piani onto-logici in bella evidenza tra concreto, astratto, ipotetico e immaginario. Da non confondersi tra loro, pena l'estinzione prematura. Riduzionismo fisicalista ?
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Donalduck

Citazione di: Ipazia il 30 Giugno 2024, 22:16:05 PM@Donalduck

Penserai mica che non conosca la differenza ontologica tra Paperino e un'anatra verace ? Ma per quanto Paperino si sforzi non sarà mai un'anatra vera. Su questa differenza ontologica bisogna avere le idee chiare: non tutti gli enti afferiscono al medesimo piano ontologico. L'esserci dell'anatra appartiene al mio stesso piano ontologico di umano. Quello di Paperino allo stesso dei numi. I misteri li lascio al piano ontologico dei numi; anatre e umani sono sufficientemente noti, fuori dalla notte in cui tutte le vacche sembrano nere e le loro flebile ombra sembra una vacca.
"Piano ontologico" mi sembra un'espressione appropriata per indicare quello che io ho definito "modalità di esistenza".
Ma il problema è come si definiscono e descrivono questi piani ontologici. Una cosa che mi sembra ovvia è che se si parla di piani ontologici ci si riferisce a un'ontologia multipla, o multidimensionale. E' quindi necessario definire un'ontologia (ossia una descrizione del sistema) per ogni piano, e ogni ontologia ha diverse regole e relazioni di tipo diverso tra le sue entità. L'esperienza ci dice anche che i vari piani sono in qualche misura indipendenti tra loro, ma restano comunque in relazione tra loro, dando luogo a un unico sistema composito ma unitario. Qualcosa di molto diverso dall'appiattimento riduzionista nel quale solo uno dei piani è "veramente reale" e tutto il resto è "epifenomeno", privo di potere causale, arbitrariamente riservato alle sole entità fisiche. I fisicalisti di nuova generazione per uscire da questa angusta e arbitraria visione che ormai sta stretta a tutti, hanno introdotto il concetto di "realtà emergente", che mantiene sostanzialmente l'esclusiva dell'esistenza al piano fisico, ma ammette che gli altri piani, ancorché non proprio esistenti perché pur sempre creati da interazioni del livello fisico possano avere un potere causale proprio. In sostanza, a mio parere un modo di cercare di risolvere le incongruenze del riduzionismo senza smentirlo, facendo nebulosamente discendere questo potere causativo, non si sa bene come, da "interazioni complesse" a livello dei componenti elementari, insomma le solite interazioni fisiche di tipo meccanicistico che porterebbero a forme di "auto-organizzazione". In realtà le incongruenze e l'arbitrarietà dei presupposti rimangono. L'idea che "cose" come la coscienza siano il mero risultato fortuito di interazioni elementare complesse (piuttosto che supporre che le interazioni complesse che formano le "realtà emergenti" derivino da un'azione finalizzata guidata direttamente o indirettamente da qualche forma di coscienza intelligente) resta secondo me arbitraria e irrazionale, non essendo suffragata né dall'esperienza né da teorie verificate o verificabili.

E mi sembrano anche abbastanza inefficaci frasi "ad effetto" più o meno ironiche formulate con linguaggio aulico e forbito, che non bastano a dare consistenza logica a confutazioni che risultano alla fine abbastanza nebulose e ingiustificate, oltre che sbrigative e dogmatiche. Discorsi del genere hanno un modesto valore informativo (illustrano - in senso figurativo - più che esporre il tuo modo di vedere) e nessun valore dialettico.

Donalduck

#27
Citazione di: Il_Dubbio il 30 Giugno 2024, 21:59:49 PMSe una storia è pensata e poi scritta non aumenta il suo grado di esistenza solo perchè esiste un libro che parla della storia della befana.
...
 Esistono per davvero quegli oggetti?
La mia visione delle cose deriva proprio dall'intento di superare questo genere di domande prive di risposta e a mio parere anche di senso: nella mia prospettiva tutto esiste, non ci sono entità che "non esistono per davvero" ma solo per finta. Se parlo con un amico immaginario, questo amico esiste comunque, come prodotto volontario o involontario (cosciente o inconscio) della mia immaginazione, nella sua specifica modalità di esistenza o, per usare un termine di Ipazia, nel suo piano ontologico.
Come ho già chiarito, quello che può dar luogo a un'illusione non è credere che esista qualcosa che non esiste, ma confondere i piani ontologici e assegnare un'entità al piano sbagliato (ad esempio se penso che il mio amico immaginario sia una persona in carne ed ossa).
In questa prospettiva la domanda sugli oggetti cambierebbe da "esistono per davvero?" a "in quale modalità esistono?" o "a quale piano ontologico appartengono?"

Jacopus

La mia posizione è simile a quella di Ipazia ma non coincidente. L'essere non è altro che un vessillo metafisico, un relitto di altre epoche. Ma l'esistente non è solo fisico. Sono d'accordo con Donald su questo punto: la befana esiste ed anche la Bibbia, o il Libro dei Morti. Tutto ciò che immaginiamo condiziona la nostra vita e le nostre azioni. Sono dei potenti motivatori e fungono da chiavi interpretative della storia. Ma tutto ciò che risiede nella nostra capacità creativo/fantastica non è avvolta nel mistero. È la conseguenza della "combo" SNC complesso e tecnica. Di fronte alle prime schegge di selce, alla conquista del fuoco, alla domesticazione, alla creazione di amuleti e riti funebri, si è dipanata la tradizione dell'homo sapiens "cantastorie", dapprima in forme rudimentali e poi sempre più complesse, grazie alla invenzione delle invenzioni, il linguaggio (che è, a sua volta, un esistente non fisico e del tutto convenzionale ma che racchiude tutto, compresa la descrizione del mondo fisico).
A proposito del darwinismo: il darwinismo non ha una posizione netta o risolutiva rispetto al concetto di coscienza, che tra l'altro è un concetto così evanescente e poliedrico per il quale sono possibili migliaia di definizioni diverse. Il darwinismo ha dimostrato, con la stessa precisione e sicurezza data dalle "scienze dure" che ci sono regole generali che governano i processi filogenetici sul pianeta terra. E queste regole sono indiscutibili. Se volete credere che l'uomo sia stato creato 5000 anni fa e dalla sua costola la donna, liberi di farlo, ma si tratta di una posizione puerile. Siamo certi che l'uomo discende dai batteri primordiali, così come ogni forma di vita. Ciò che l'evoluzionismo sintetico non ci dice è come sia avvenuto il passaggio da inorganico ad organico 3 miliardi e mezzo di anni fa. Il vero mistero è questo e solo questo. I pezzi successivi, dagli archea in poi, sono sufficientemente chiari. Il tema della coscienza è un problema collaterale, ma che non disconferma né conferma, qualsiasi posizione si prenda, la validità dell'evoluzionismo darwiniano.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Donalduck

#29
Citazione di: iano il 30 Giugno 2024, 21:22:53 PMNon è che l'unica realtà che possiamo conoscere sia relativa.
La realtà è assoluta, relativa è la conoscenza.
Beh, non capisco la differenza: se la conoscenza è relativa l'unica realtà che possiamo conoscere è relativa. Ossia la nostra realtà è relativa. Che poi possa in qualche modo esistere una realtà assoluta e cosa mai possa essere resta una questione aperta.

La tua asserzione sembra coincidere con l'idea del noumeno kantiano: una realtà in sé che però resta inconoscibile. Ma altre ipotesi, se così si possono chiamare elucubrazioni a questo livello, sono possibili; ad esempio che la realtà venga in essere nel momento in cui viene conosciuta: più domande fai all'universo, più risposte potrai avere, senza che ci sia mai una fine, né una risposta prevedibile e magari neppure preesistente, anche se è innegabile che in ambiti circoscritti ci siano domande che ricevono sempre le stesse risposte, sia a livello soggettivo che intersoggettivo. Ma questa immutabilità può anche essere attribuita alla relazione stessa e alla condivisione di questa piuttosto che a uno dei due poli del rapporto soggetto-oggetto, (in genere quello oggettivo), o ad entrambi. Ossia ricevi sempre la stessa risposta perché fai sempre la stessa domanda nello stesso modo, mettendo in atto sempre lo stesso tipo di relazione (sintonizzandoti sempre sullo stesso canale).

Certo, come dicevo, il mistero (chiamiamolo così) rimane comunque: nessuna ipotesi è veramente esplicativa. Ma io preferisco attenermi ai dati di fatto e occuparmi di quanto mi risulta conoscibile e rappresentabile, mantenendo la consapevolezza che il resto, anche se non necessariamente trascurabile, sta nel regno dell'immaginazione.
Ossia, dal momento che tutto per me è reale, devo solo preoccuparmi di assegnare a ogni cosa il suo piano, o modo di esistenza, lasciando aperta la questione delle relazioni tra i vari piani e dei loro ruoli nella costruzione della realtà complessiva, da affrontare in relazione a specifiche circostanze e contesti (quindi sempre in modo relativo e non assoluto) piuttosto che in astratto o in generale.

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