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Morte e Verità

Aperto da bobmax, 09 Gennaio 2024, 08:12:31 AM

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bobmax

La verità ha a che fare con la certezza.
Nel senso, che ciò che è certo non ammette più alcun dubbio!

E non essendoci più alcuna possibilità di dubitare... il certo è la Verità che si fa sostanza, da trascendente si fa immanente.

E cosa c'è di più certo della morte?
La morte è, per antonomasia, la Verità in terra.

Epperò forse non ci accorgiamo che la verità della morte, cioè che la morte ci sia, dipende a sua volta da un' altra verità: la verità della vita, che la vita davvero ci sia.
La certezza della morte è condizionata da un'altra certezza, la certezza della vita.

Ma cos'è la vita, di cui sono così certo?
È pure, questa mia certezza sulla vita, una Verità in terra?
Ma Verità di che?

Vi è davvero qui la vita che, in quanto Verità, è incommensurabile rispetto a tutto il resto di ciò che c'è?

Perché se mi si insinua anche solo un piccolo dubbio, che non vi sia in realtà alcuna sostanziale differenza tra ogni cosa del mondo... allora questo dubbio fa inevitabilmente crollare pure la granitica certezza sulla morte.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Pio

#1
La morte vista come processo biochimico appare come semplice trasformazione. La morte vista come fine del soggetto è la morte che appare come certezza e verità. E cosa è la fine del soggetto se non la fine della sua relazione con il mondo? Senza relazione non può darsi soggetto e della morte temiamo proprio questo: la fine della nostra relazione con il mondo ( più precisamente ciò che al soggetto appare come "mondo") e in particolare di ciò che amiamo del nostro mondo. Così la morte è stata vista con orrore quando i legami d'amore con il mondo sono forti, ma anche con sollievo e come fuga quando sono dolorosi per il soggetto. La morte è quindi in primis un problema del soggetto che crea "mondi" per non pensare ad essa o per illudersi di sfuggire alla fine di ogni relazione con essi.
Non ci abitueremo mai ai metodi ruvidi di Dio, Joseph (cit. da Hostiles film)

daniele22

Ma verità di che? Verità del piacere, del dolore, della paura del dolore di morire, veritá infine di quel ciuffo di orgoglio che provoca il mio non essere più tra gli altri, di non poter più dire la mia. Ma nulla dice sul fatto che una volta superata la porta che conduce al non essere possa trovarvi ancora un altro essere, assolutamente ignoto altrimenti non potrebbe appartenere al non essere ... personalmente non mi pongo il problema

Pensarbene

dal punto di vista della materia non esiste alcuna morte ma solo.una trasformazione 
continua.
Per la materia energia esiste solo la vita,l'organica e  l'inorganico,niente morte,nessuna.

Pensarbene

Aggiungo: tanto più questa verità vale per lo  Spirito O:-) 8) :P :))  

iano

#5
Se esiste almeno una verità, allora la verità esiste, e questo è vero anche se fosse una verità condizionata, cioè che la morte è certa solo in presenza di vita.
Ma come si fà a provare con certezza assoluta che ogni vivente morirà?
E' sufficiente constatare che finora è andata così?

Ma non c'è neanche bisogno di chiamare in causa la vita per generare questo tipo di dubbio. Perchè...
... tutto ciò che esiste in genere, anche di non vivente, continuerà ad esistere, seppur trasformandosi?
Cioè, ci sarà sempre qualcosa?
Come possiamo dimostrarlo?
Se non sappiamo neanche perchè c'è qualcosa, come possiamo garantire che ci sarà sempre qualcosa?

Secondo me non si può, perchè ogni certezza dipende da una previsione certa del futuro.
Ma lo stesso determinismo, che pur continuiamo ad usare, è smentito oggi dalle stesse leggi della fisica, come la relatività e il principio di indeterminazione.
Non è possibile conoscere contemporaneamente e con precisione infinita lo stato di tutte le parti dell'universo.
Paradossalmente poi, se anche ciò fosse teoricamente possibile, come dice Novelli nel suo ultimo libro ''Materia'', gran parte di queste parti sarebbero impegnate nelle necessarie rilevazioni, quindi da queste escluse, compreso l'osservatore.

Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Pensarbene

Parliamo chiaramente: la natura esiste e ha le sue leggi
Ci sono 4 forze fondamentali che la regolano e non si scappa.
Secondo quello che sappiamo queste 4 leggi sono così ben fatte che funzionano permettendosi anche probabilità e casualità.
La natura non crea nè  distrugge ma si trasforma,quindi non conosce morte e morti.
La vita organica, in particolare, segue questa regola aurea ma, di certo, non la violano l'organico "non vivente" e l' inorganico.Quando vedete la vostra ombra non vedete niente di esistente e di vivo, ma una mancanza di luce.
Per rassicurare gli esseri umani bisogna rappresentare la morte come una assenza,una mancanza di vita ma solo per rassicurarli .
In realtà,  morte è solo un nome che trasforma un processo di trasformazione naturale in qualcosa di "oggettuale".
Grammaticalmente si chiama "nominalizzazione", un modo per cristallizzare,congelare e oggettivizzare I PROCESSI DI TRASFORMAZIONE!!!

Quindi,gli esseri umani si fanno paura da soli.

niko

#7
Io non ho dubbi sulla verita' della vita in se', e quindi neanche su quella della morte.

Ho dubbi sull'unita' intrinseca del mio psicosoma, ovvero, in due punti:

1) penso che la mia mente potrebbe "comandare", e muovere, un numero indefinito di "miei" corpi (corpi tutti uguali, tutti con dintorni uguali e tutti disseminati indefinitamente nello spazio e nel tempo) e io non me ne accorgerei, stante che quei corpi e i loro dintorni sarebbero tutti uguali, o tutti abbastanza simili da essere sensorialmente da me scambiati per uguali. Essendo un corpo vivente il risultato di una interazione con un ambiente (specificamente nel senso di una registrazione in cui e' coinvolta la coscienza) una volta posta e accettata l'identita' o la simitudine di una serie di corpi, l'identita' o la similitudine di una serie di mondi, abitati da quei corpi, semplicemente ne consegue, e viceversa. La vita, e dunque la coscienza, sa quello che le succede intorno entro una certa distanza spaziale o temporale, ma non sa con certezza, e riguardo a se stessa come fenomeno complessivo, di essere una vita unica, (spazialmente) collocata e (temporalmente) epocale, semplicemente, ai fini della sua stessa sopravvivenza, presume, di esserlo.

Ma la mia vita, dico, e con essa la mia coscienza, potrebbe benissimo essere una potenzialita' diffusa "trasversalmente" nella natura, e attivantesi nei dintorni spaziali o temporali di un certo numero indefinito di centri/corpo. E dunque non avere niente di unico, e conformarsi in ultima analisi alla struttura profonda di un universo a combinazioni finite e ripetute, infinitamente animato dallo stesso quanto di energia e/o infinitamente esteso, che nessun evento unico, di nessun tipo, contiene.

2) penso che a diversi e piu' di uno stati del mio corpo, assolutamente tra di loro distinti, potrebbe corrispondere uno e un solo stato della mia mente, e di nuovo, come nel punto precedente, non me ne accorgerei. Portato all'estremo, questo e' il problema, di implicazioni fantascientifiche, dell'universo simulato o del cervello in vasca. A un livello molto piu' terra terra, la mente non e' l'idea del corpo, o insomma, non e' l'idea adeguata del corpo (Spinoza in questo sbagliava, o meglio: indicava un ideale di difficile realizzazione), e non lo e' perche', e finquando, ci sono microtrasformazioni e microvariazioni del nostro corpo che sfuggono alla nostra mente.

Insomma, il succo di questi due punti e' che l'inganno del genio maligno di Cartesio, potrebbe non riguardare l'oggetto in se', della nostra percezione, ma l'unicita' numerica e fenomenica (la non disseminazione in un contesto piu' vasto), di tale oggetto, e anche di tale percezione stessa.

Non sappiamo se siamo unici, o se un orizzonte di ignoranza e conoscenza limitata ci rende, e ci fa auto-apparire, a noi stessi, unici. Oltre, tale orizzonte, potreppero esserci le nostre viventi "copie", le nostre etimologiche abbondanze.

Il problema e' che se cosi' fosse, la morte non solo non potrebbe distruggere le nostre vite, ma non potrebbe nemmeno minimamente modificarle. Quasi tutti quelli che non pensano che la morte verra' ad annullarli, ad esempio i credenti delle moderne religioni o i credenti nella reincarnazione, pensano (invece) che la morte verra' a cambiarli, in qualche modo. Paradiso, inferno, eccetera. Al di la', e piu' vasta e "capiente" della speranza di cambiare in meglio, nell'attimo della morte di un uomo, c'e' sempre la mera speranza di cambiare. Che riguarda pure gli atei senza ultraterrene speranze, che possono immagginare il trapasso come una "variazione", sia pure assoluta, dall'essere al nulla della loro coscienza del mondo. Un trapasso che e' pace, toglimento del dolore, la cui unica conseguenza retroattiva, e quindi il cui unico prezzo, e', o almeno, dovrebbe essere, la valorizzazione dell'effimero in quanto tale, il godersi la vita finche' si puo'. Eternizzandosi al limite solo nella storia, poetico/tribale, della comunita' umana di appartenenza, o solo nella plasmazione causale, sia pure dimenticata dai posteri, di un futuro glorioso indefinito,
o solo nella genetica, tanto per dire le tre speranze tra virgolette "ultraterrene", di rimedio al non senso della morte, tipiche anche degli atei occidentali.

Se invece assumiamo l'eterno ritorno di ogni vita, ne consegue che la morte non verra' a cancellarci, e questo puo' sembrare bello, ma nemmeno a cambiarci, non verra' in nessun senso a fare di noi qualcosa di diverso da quello che gia' siamo, dolore e orrore intrinseco alla vita compreso. E questo dovrebbe sembrare terribile, soprattutto se non ci accettiamo completamente per come gia' siamo. Siamo consegnati a noi stessi, al caso e agli altri viventi per quanto riguarda ogni variazione, ogni attraversamento di stato e movimento della nostra vita. Nel senso che la morte, in tutta questa danza, non e', e non sara', un ulteriore variazione, un ulteriore movimento. Ma il sigillo dell'eternita' ricadente sulla danza stessa. La misura e il limite di quello che siamo. Non esistono anestesie, non esistono trapassi indolori, non esistono valorizzazioni retroattive dell'effimero ai fini di un futuro immagginario e immagginato di qualche tipo, che sia esso un futuro di giudizio ultraterreno, o uno di annientamento e oblio non importa. E' la vita, a farci divenire, non la morte. Tutto il dolore, connesso al divenire, tutto il dolore di ogni perdita, e' destinato ad essere provato.


Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

iano

#8
Si possono soggettivamente non avere dubbi, ma questo non comporta alcuna verità.
Vale allora come ipotesi di lavoro traendone le conseguenze, come dall'ipotesi opposta, e di quest'ultima le conseguenze mi sembrano più paradossali.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Ipazia

#9
No life, no party. E neppure verità. Tutti i viventi muoiono è il secondo postulato della verità.  Sotto il manto incontrovertibile di mamma Natura nel segno mai falsificato dell'immanenza biologica, che non offre appiglio alcuno all'immortalità individuale.

Al dubbio di @niko rispondo che una copia sincronica e/o diacronica di me non sono io e non vive la mia vita. Non vi è via d'uscita dall'unità psicosomatica nel regno biologico. Solo nella fantascienza, variamente semanticata.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

bobmax

Ma la certezza della morte può avere due modalità ben distinte.

Perché può essere una previsione, certa quanto si vuole, ma pur sempre una conclusione razionale che deriva dalla osservazione di come il mondo funziona.

Oppure questa certezza può invece derivare da una costatazione diretta, ti ritrovi davanti il morto! E non è più questione di ragionamento. Quel corpo prima era vivo e adesso è morto.

In entrambi i casi è indubbiamente la certezza della vita a donare certezza alla morte.
Ma nel secondo caso, vi è qualcosa in più...

E l'evidenza, di questo qualcosa in più, è in funzione del tuo amore. L'amore per il morto. Che prima era vivo.
Perché la morte, che hai davanti indubitabilmente, ti interroga.
E' la Medusa, che ti fissa, sfidandoti a sostenere il suo sguardo.

Allora, forse, potrà capitare che ti fai coraggio, e accetti la sfida.
Chi, cosa amavo e amo?
Dov'è finito l'oggetto del mio amore?
Prima c'era e ora è diventato nulla...

E più il tuo amore è sincero, e più cercherai l'amato in quel tempo che fu.
E la tua fedeltà non lo lascerà andare! Perché non vi è niente che l'amore lasci andare. L'amore tutto preserva.

Così, tenendo fermo l'amato nel tuo cuore, potrai forse intuire che non se n'è mai andato.
Per la semplice ragione che non c'è neppure mai stato. Non è mai esistito, quell'amato di cui ancora ricordi mille tipicità.

Vi è infatti, e vi è sempre stato, ben di più.
Quel Nulla, che traspare dietro la vita e la morte.
E quel Nulla è Dio.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

niko

#11
Citazione di: Ipazia il 09 Gennaio 2024, 15:27:52 PMNo life, no party. E neppure verità. Tutti i viventi muoiono è il secondo postulato della verità.  Sotto il manto incontrovertibile di mamma Natura nel segno mai falsificato dell'immanenza biologica, che non offre appiglio alcuno all'immortalità individuale.

Al dubbio di @niko rispondo che una copia sincronica e/o diacronica di me non sono io e non vive la mia vita. Non vi è via d'uscita dall'unità psicosomatica nel regno biologico. Solo nella fantascienza, variamente semanticata.

E come fai a saperlo?

Il problema, e l'oggetto del mio discorso,  e' proprio che una tua eventuale copia non saresti tu, perche' neanche tu, saresti tu.

Dati che arrivano allo stesso centro, in forma di percezioni, e che si diramano in uscita, tutti dallo stesso centro, in forma di azioni e volonta': questo e non altro potrebbe essere la vita. Un cuore, con tante vene, oppure un sole, con tanti raggi. E tante situazioni "somatiche", possono circondare, in senso periferico, la stessa psiche, oppure tante psiche, la stessa identica situazione somatica.

Oppure ci puo' essere una corrispondenza non biunivoca intercorrente tra tra due serie, proprie dei due "termini", psiche, e soma, dello "psicosoma", entrambe indefinitamente diffuse.

E nessun cogito, puo' oltrepassare questi dubbi.

Il mondo potrebbe essere unico proprio perche' esso potrebbe non contenere, altre cose, uniche, oltre se stesso. Il mondo non e' come appare, o quantomeno, non e' come appare localmente. Siamo abituati a pensare alla vita come ad una espansione, di conoscenza, rispetto a un grado minimo di conoscenza possibile, in una gerarchia del tipo: il cane (animale) sa piu' del sasso (inanimato), e l'uomo (animale superiore) sa piu' del cane; ma essa, la vita, rispetto ad una eventuale conoscenza migliore e superiore, potrebbe essere una diminuzione, il frutto inoggettivo di un mero sorgere, di un mero delinearsi, di un orizzonte di ignoranza.

O meglio, ci sarebbe bisogno dell'acutezza visiva di un Dio, o del sorvolo di un'aquila, per distinguere dettagli, che, se eventualmente distinti, renderebbero uniche singole parti del mondo, nel mondo, oltre al mondo; dettagli che nessuno distingue. Dettagli che a volte non sono solo dettagli propri delle cose che singolarmente li esprimono, ma rimandano a una inestricabile complessita'. Ad esempio, se vedessi due copie, di te stessa o di qualsiasi altra cosa, in una visione panoramica, potresti ben dire che una e' qui, l'altra e' li'. O una prima, e l'altra dopo. Stante una osservazione di lunga durata. E lo potresti ben dire sebbene le copie in quanto tali ti appaiano ancora come identiche, e quindi perfette. Ad una certa ristrettezza di campo، visivo e conoscitivo, la vita e' impegnata in sforsi produttivi, e riproduttivi: si sta disseminando (e riproducendo, e mantenendo, ed evolvendo, eccetera) nei limiti della immanenza che tanto ti e' cara. Io "allargo" il campo visivo, faccio il contrario dello zoom di una telecamera, e vedo semplicemente quegli stessi sforzi, che altri vedono solo in fieri, nella loro forma compiuta: la vita non si sta, disseminando; e' gia' disseminata. Nel "campo", quando esso e' abbastanza grande da contenere almeno due copie, dello stesso essere, una qui e una li', nel mondo in soggettiva per come lo vedrebbe Dio, o l'aquila, che hanno il campo visivo ampio. Oltre l'immanenza, c'e' solo la compiutezza, del non senso, dell'immanenza stessa, che distrugge finanche le verita' e le finalita' istintuali e di specie, laddove le verita' e le finalita' egoiche e culturali, anche assumendo un punto di vista piu' limitato, gia' si distruggono da sole.

La natura si vive da sola, e il nostro apporto egoico a questo autoviversi della natura e' illusorio, soprattutto nel senso di individualmente, illusorio. Da cui il contrasto, tra vita e natura, e la necessita' di illudersi.

C'e' solo necessita', solo il primo principio, solo possibilita' energeticamente inesauribili, ma combinatoriamente  limitate. La morte, in quanto limite, in quanto misura, dovrebbe essere eticamente "usata", per vivere con serieta', e profondita', e coraggio, la vita. Non sorprende che ad oggi sia "rimossa", o meglio, abusata, per fondare il concetto di individuo. Solo davanti alla morte. E quindi solo davanti alla vita. In attesa di incontrare Dio. O il nulla. O la salvezza intesa come possibilita'. Tutte cose che all'atto pratico e a mio personale giudizio non si incontrano mai, perche' non ci sono. Cosi' come l'individuo.



Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Ipazia

Entia non sunt moltiplicanda praeter necessitatem.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Koba II

Citazione di: bobmax il 09 Gennaio 2024, 08:12:31 AM[...]
Perché se mi si insinua anche solo un piccolo dubbio, che non vi sia in realtà alcuna sostanziale differenza tra ogni cosa del mondo... allora questo dubbio fa inevitabilmente crollare pure la granitica certezza sulla morte.
Il punto è specificare questa "sostanziale differenza tra ogni cosa del mondo".
Se effettivamente non si riuscisse a osservare alcuna "sostanziale" differenza, se tutto fosse veramente una cosa sola, e se le distinzioni fossero solo illusioni, allora non ci sarebbe vita, e quindi neanche morte.
Ma sembra un ragionamento paradossale che per guadagnare l'eternità divina perde la vita umana...

Citazione di: bobmax il 09 Gennaio 2024, 16:14:33 PM[...]
Così, tenendo fermo l'amato nel tuo cuore, potrai forse intuire che non se n'è mai andato.
Per la semplice ragione che non c'è neppure mai stato. Non è mai esistito, quell'amato di cui ancora ricordi mille tipicità.

Vi è infatti, e vi è sempre stato, ben di più.
Quel Nulla, che traspare dietro la vita e la morte.
E quel Nulla è Dio.

Perché non dovrebbe essere mai esistita la persona amata? Non ci sono solo i miei ricordi a testimoniarne l'esistenza, ma mille segni materiali del suo passaggio su questa terra. Dunque, perché dovrei convincermi che è tutta un'illusione, che la vita e la morte sono solo illusioni, che ogni cosa è Dio, che esiste solo Dio?
Non faccio alcuna esperienza di una cosa del genere, anzi. Quindi dovrei essere spinto a ribaltare le mie certezze solo a partire da un ragionamento convincente. Che per ora non vedo.

Ipazia

Citazione di: niko il 09 Gennaio 2024, 21:32:27 PMLa morte, in quanto limite, in quanto misura, dovrebbe essere eticamente "usata", per vivere con serieta', e profondita', e coraggio, la vita. Non sorprende che ad oggi sia "rimossa", o meglio, abusata, per fondare il concetto di individuo. Solo davanti alla morte. E quindi solo davanti alla vita. In attesa di incontrare Dio. O il nulla. O la salvezza intesa come possibilita'. Tutte cose che all'atto pratico e a mio personale giudizio non si incontrano mai, perche' non ci sono. Cosi' come l'individuo.

Non vedo il sequitur. L'individuo non rimuove la morte ma la certifica e nel suo avere coscienza di ciò amplifica il valore della vita che ha avuto in sorte imparando, se ne ha la consistenza, ad amare e riempire di senso questo fato condiviso.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

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