Menu principale

L'orrore e la verità

Aperto da bobmax, 08 Novembre 2023, 20:15:00 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

Ipazia

Citazione di: bobmax il 10 Novembre 2023, 07:41:46 AMSu quanti specchi vogliamo arrampicarci pur di non affrontare l'orrore?
E l'orrore qui è che evidentemente i palestinesi odiano gli ebrei più di quanto amino i propri figli!
L'odio è ragione di vita, più della stessa vita dei figli.

Ma l'odio consuma energia.
E chi fornisce questa energia?
Come fanno a campare i palestinesi?
Dietro le quinte vi è una forza corruttiva, che mantiene un popolo purché continui a odiare? Affinché odii più di quanto ami i propri figli?

L'orrore si approfondisce e sembra spalancarsi l'inferno.

L'inferno palestinese si chiama Israele ed è tale da 75 anni di oppressione e pulizia etnica impunita. L'inferno nazista durò solo 12 anni e venne duramente punito.

Si arrampica sugli specchi chi tergiversa di fronte a questo orrore chiedendosi ipocritamente: "perché ci odiano (israeliani e complici) così tanto ?"
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Koba II

Buongiorno bobmax.

Non è che io abbia bisogno di confrontarmi con altro orrore per convincermi di non avere un'anima ma solo brandelli di coscienza. Anzi, sono ancora vivo proprio per questo, perché tra questi stati mentali provvisori ritorna, di tanto in tanto, quello luminoso, capace di immaginarsi una missione, per se stessi, diciamo di tipo religioso, ma modesta, povera, domestica, senza teologia, alla Charles de Foucauld per intenderci, ma non nel deserto algerino, piuttosto nei nostri di deserti, più spaventosi.

Ma non capisco nel tuo discorso come immaginandomi un nulla io possa poi liberarmi dall'orrore. L'essere è nulla? Ovvero non c'è niente? Ma ciò che ha provocato l'orrore che cos'è? Non è un qualcosa che in realtà non si può neutralizzare giudicandolo solo apparenza? Rimane. Ha una sua positività. Non c'è nessun discorso che possa cancellarlo.

Per la stessa ragione, in riferimento all'intervento di Niko, non capisco come si possa dire sì alla vita. Come se si potesse dare un giudizio complessivo ad una serie infinitamente variegata di condizioni che vanno dalla gioia immensa alla disperazione e alla miseria.
Siamo in vita, per ora. Tutto qua.

Ipazia

Dire sì alla vita, ovvero fondare su di essa la propria scala di valori, è il primo passo per umanizzarla e togliere il terreno sotto i piedi del nichilismo.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

niko

#18
Citazione di: Koba II il 12 Novembre 2023, 07:51:43 AMBuongiorno bobmax.

Non è che io abbia bisogno di confrontarmi con altro orrore per convincermi di non avere un'anima ma solo brandelli di coscienza. Anzi, sono ancora vivo proprio per questo, perché tra questi stati mentali provvisori ritorna, di tanto in tanto, quello luminoso, capace di immaginarsi una missione, per se stessi, diciamo di tipo religioso, ma modesta, povera, domestica, senza teologia, alla Charles de Foucauld per intenderci, ma non nel deserto algerino, piuttosto nei nostri di deserti, più spaventosi.

Ma non capisco nel tuo discorso come immaginandomi un nulla io possa poi liberarmi dall'orrore. L'essere è nulla? Ovvero non c'è niente? Ma ciò che ha provocato l'orrore che cos'è? Non è un qualcosa che in realtà non si può neutralizzare giudicandolo solo apparenza? Rimane. Ha una sua positività. Non c'è nessun discorso che possa cancellarlo.

Per la stessa ragione, in riferimento all'intervento di Niko, non capisco come si possa dire sì alla vita. Come se si potesse dare un giudizio complessivo ad una serie infinitamente variegata di condizioni che vanno dalla gioia immensa alla disperazione e alla miseria.
Siamo in vita, per ora. Tutto qua.

Perche' il SI' ALLA vita, se detto in modo saggio, e' sempre un SI' NELLA vita.

E' un SI' della voce, che, che proviene da qualche ben precisa parte, e che dalla vita si fa comprendere, e non un SI' del pensiero, che la vita pretenderebbe di comprendere.

Un SI che prevede dei NO, ma non si ferma ad essi, un SI alla qualita' della vita. Il tempo niente nega, ma ha qualita' sovvertitrici e qualita' conservatrici apparentemente opposte che ognuno vorrebbe distribuire e far valere per i vari aspetti della sua vita in modo diverso. Il SI e il NO, illuminati dall'esperienza, diventano BASTA e l'ANCORA, cominciano a riferirsi alle potenzialita' conservative ed enantiodromiche proprie ed interne del tempo nel suo agire sulle persone e sulle cose, di un tempo che in fondo e' sempre lo stesso.

Ed e' un SI nella vita che tiene conto del si' DELLA vita, cioe' del residuo imperscrutabile della "nostra" corporea e molteplice volonta' che, anche contro il nostro consenso, vuole vivere, e vuole riprodursi, e, oltre la riproduzione stessa e a completamento di essa vuole morire, vuole fare spazio, al servizio della altrui, e non solo egoicamente cocepita, vita.

Dobbiamo la vita ad una animalita' impersonale e cieca che, tra le altre simpatiche cose che vuole "per noi", vuole il nostro nichilismo, soprattutto sessuto e sessuale, e la nostra morte.

E se gli dobbiamo la vita, la dobbiamo amare, nella misura in cui se amiamo una cosa, amiamo le sue cause, vicine e remote.

Darwin, prima ancora di Marx.

Come la penna non e' il
non-essere della matita, e la luce non e' (solo) la negazione della tenebra, tu, rispetto alla tua vita, non sei la negazione di quello che non ti piace, ma l'affermazione di quello che ti piace.

Il fatto e' che tuoi SI' si portano dietro i tuoi NO, i tuoi NO, non si portano dietro i tuoi si'.

La rivelazione che si puo' essere felici per il passato, avviene nel presente.

Tutte le identita' basate sulla negazione sono eterodeterminate ed eterodeterminanti. Se basi la tua identita' sull'odio non sei qualcuno, sei il contrario di qualcun altro. Che nel suo (eventuale) autonomo determinarsi certamente ti determinera'. L'odiato, l'oggetto dell'odio, ti precede logicamente, e quindi, in un certo senso, siano sempre li', anche temporalmente.

Quando il passato e' voluto, il vuoluto e' passato, e si puo' incominciare a volere qualcosa di relativamente nuovo. Diventare tu la cosa, o meglio il valore, o se vogliamo il simbolo, di cui chi ti odiera' sara' finalmente (lui) il (mero) contrario.

Perche' essere ombre, meri contrari non e' bello. Ed e' meglio lasciarlo agli altri.



Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Phil

Non può esserci un «sì» davvero consapevole se non si è contemplata autenticamente la dimensione del «no», e la firma di Koba lo dice perentoriamente, anche a chi si rintana nel «sì» proprio per non contemplare la dimensione del «no», ma quello è un «sì» biologico-animale, istintivo, che fugge dal «no» come il dito fugge dalla spina che lo punge; non un «sì» di chi sceglie consapevolmente il «sì», giorno per giorno.
Fare un salto e dire «sì», non significa "togliere il terreno sotto i piedi" al nichilismo, significa piuttosto togliersi dal terreno, sperando che il salto ce ne tenga lontani; eppure c'è una gravità e il terreno resta lì, inesorabile. Alcune forme di riflessione (o, più concretamente, di meditazione) insegnano a toccare la spina senza pungersi, a restare per terra senza sentire il bisogno di saltare, ma ciò richiede che la "mente istintiva" sia addomesticata, nonostante interagisca in una cultura che da millenni invita costantemente a salti verso il cielo, più che a passeggiate sul terreno. Se ci si riconosce come "terrestri", ogni salto sarà un diversivo, una variazione della passeggiata, mentre se ci si crede destinati al volo, allora la terra, che sostiene il nostro peso, ci farà sentire troppo pesanti.

bobmax

Citazione di: Koba II il 12 Novembre 2023, 07:51:43 AMBuongiorno bobmax.

Non è che io abbia bisogno di confrontarmi con altro orrore per convincermi di non avere un'anima ma solo brandelli di coscienza. Anzi, sono ancora vivo proprio per questo, perché tra questi stati mentali provvisori ritorna, di tanto in tanto, quello luminoso, capace di immaginarsi una missione, per se stessi, diciamo di tipo religioso, ma modesta, povera, domestica, senza teologia, alla Charles de Foucauld per intenderci, ma non nel deserto algerino, piuttosto nei nostri di deserti, più spaventosi.

Ma non capisco nel tuo discorso come immaginandomi un nulla io possa poi liberarmi dall'orrore. L'essere è nulla? Ovvero non c'è niente? Ma ciò che ha provocato l'orrore che cos'è? Non è un qualcosa che in realtà non si può neutralizzare giudicandolo solo apparenza? Rimane. Ha una sua positività. Non c'è nessun discorso che possa cancellarlo.

Per la stessa ragione, in riferimento all'intervento di Niko, non capisco come si possa dire sì alla vita. Come se si potesse dare un giudizio complessivo ad una serie infinitamente variegata di condizioni che vanno dalla gioia immensa alla disperazione e alla miseria.
Siamo in vita, per ora. Tutto qua.

Buongiorno Koba II

Scusami se mi permetto, ma ho l'impressione che tu stia attraversando un passaggio cruciale. Dove tutto può essere perduto, oppure ritrovato.
Me lo fa sospettare la tensione oscillante che riscontro in ciò che scrivi.

Affrontare lo sguardo della Medusa, con cui la vita a volte ci fissa, richiede uno sforzo, diciamo così, pressoché sovrumano.
Perché i nostri schemi logici si rivelano inadeguati.

Il riconoscimento della nullità della tua anima, il che significa il tuo stesso non esistere in quanto "io", deriva semmai da quei rari momenti mentali luminosi. Non dalla constatazione di avere solo brandelli di coscienza. Perché questa constatazione è la disperata volontà di mantenere l'esistenza del tuo io.

Certamente le strade della nostra evoluzione sono molteplici.
Ma anche solo per provare a iniziare a percorrerne una, occorre tener fermo ciò che per noi vale sopra ogni cosa.

Non ho detto che puoi liberarti dall'orrore. Ma che l'orrore può liberarti da te stesso, cioè da quello che pensi di essere.

Occorre però cambiare completamente prospettiva. Cioè non intendere più l'etica, il bene e il male, una mera eventualità della esistenza. Ma comprendere come l'esistenza sia invece funzionale all'emergere del bene e del male.
Il bene e il male vengono a me come richiamo dell'Essere.

D'altronde vi è una differenza fondamentale tra "esistere" e "essere".
Perché esiste ciò che sta a valle della scissione soggetto/oggetto.
Esiste cioè solo ciò che è qualcosa. Che può essere oggetto per un soggetto.
Mentre l'essere è a monte della scissione.
L'essere permette l'esistere, ma, non potendo essere ridotto a qualcosa, a sua volta non esiste.

Nulla significa, e significa soltanto, non esistenza.
Solo questo significa Nulla: non esiste.

Abbiamo così il paradosso, solo apparente però, che Essere = Nulla.

E qui vi sono quei tuoi momenti mentali luminosi...
Perché che l'Essere/Nulla sia il Bene, dipende solo da te.
Non è forse questo lo scopo della tua vita?
Figlio unigenito?

Dobbiamo tornare a Parmenide, Plotino, Anselmo, Echkart, Cusano...
I fin dei conti sarebbe sufficiente la mistica cristiana.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

Citazione di: Phil il 12 Novembre 2023, 11:42:04 AMNon può esserci un «sì» davvero consapevole se non si è contemplata autenticamente la dimensione del «no», e la firma di Koba lo dice perentoriamente, anche a chi si rintana nel «sì» proprio per non contemplare la dimensione del «no», ma quello è un «sì» biologico-animale, istintivo, che fugge dal «no» come il dito fugge dalla spina che lo punge; non un «sì» di chi sceglie consapevolmente il «sì», giorno per giorno.

È il "sì" di chi sceglie consapevolmente di fare i conti con la spina.

CitazioneFare un salto e dire «sì», non significa "togliere il terreno sotto i piedi" al nichilismo, significa piuttosto togliersi dal terreno, sperando che il salto ce ne tenga lontani; eppure c'è una gravità e il terreno resta lì, inesorabile. Alcune forme di riflessione (o, più concretamente, di meditazione) insegnano a toccare la spina senza pungersi, a restare per terra senza sentire il bisogno di saltare, ma ciò richiede che la "mente istintiva" sia addomesticata, nonostante interagisca in una cultura che da millenni invita costantemente a salti verso il cielo, più che a passeggiate sul terreno. Se ci si riconosce come "terrestri", ogni salto sarà un diversivo, una variazione della passeggiata, mentre se ci si crede destinati al volo, allora la terra, che sostiene il nostro peso, ci farà sentire troppo pesanti.

Non funziona così lo Jasager. Non c'è nessun salto, piuttosto una buca, una fossa, che si scava sotto i piedi del nichilista, che invece ha molto da spartire  coi voli pindarici dell'idealista.

Si resta fedeli alla terra e alle sue inesorabili leggi, spine comprese.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Ipazia

Si resta fedeli alla terra e alle sue inesorabili leggi, spine comprese. Che è quello che si fa spontaneamente, finché non si sceglie il suicidio.

Si tratta solo di dare dignità metafisica a tale atto spontaneo senza complicarsi inutilmente il pensiero con giustificazioni "a priori". Come fanno gli altri viventi, in cui il "no", essendo motivato dalla conservazione della vita, è ancora un "sì": negazione di negazione.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Jacopus

Mettiamola in questi termini. Inizialmente c'era il "Sì" biologico/istintivo (Phil). Poi attraverso millenni di pensiero, dalle grotte di Lascaux in poi, l'uomo ha scoperto il "No". Chiamiamolo "No" originario. Il rimedio a quel No, fu il "Sì" della Metafisica che però non resse al nuovo modello della scienza empirica, che propagò il "Sì" tecnico ( la tecnè di Severino). Quel Sì aveva però un successore nel "No" nichilista, poiché nessuna tecnè sarà mai in grado di spiegare e far accettare i nostri limiti, che destano "orrore". Non resta che trovare nella storia dell'uomo, quei "Sì" che superino la metafisica e la tecnica. La mia predilezione per il Si è di natura pratica. Solo attraverso il Sì, per quanto limitato, possiamo mantenere viva la speranza e restare fedeli al sapere aude di Kant e al suo maestro, Ulisse. Il no è cibo per menti contemplative e di solito contente della loro vita e che trovano nel No, un motivo di piacevole attività, come quella indicata da Lukacs, che le aveva domiciliate presso l'Hotel Abisso. Sinteticamente e retoricamente: il no è otium, il sí è negotium.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Phil

Fuori dalla dialettica bipolare fra «no» e «sì», c'è l'epochè; ma non solo quella che "sa di non sapere", ma anche quella che ha capito, o meglio "visto" (perché è esperienza a suo modo "sensoriale", in quanto de-astrattiva) il "nullo fondamento", il sunyata, che è la base di ogni dire (affermare o negare che sia). Alla fine è la candida semplicità del «bisogna coltivare il nostro giardino» (Voltaire) elevata alla potenza della consapevolezza zen; è il saper toccare la spina senza pungersi, gesto che tuttavia richiede concentrazione, e quando si è davvero concentrati solitamente si tiene la "bocca metafisica" chiusa (né «Si» né «No» titaneggianti).
Partendo da questo (s)fondamento, si può saltare, dedicarsi all'arte, impegnarsi in politica, fare guerre, etc. proprio come chi non è consapevole del(lo) (s)fondamento; la differenza sta tutta nell'incomunicabile "sapore" che si sente nell'agire.

Ipazia

E sempre "sì" rimane (saporosamente metafisico, cullato dalla ninfa Epochè ;D ). Tra vita e morte, essere e non essere, tertium non datur.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Jacopus

@ Phil: "nessun giardino è un'isola".
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Phil

@Ipazia
Quando si annulla la domanda, non c'è più «sì» e non c'è più «no» (e non c'è più metafisica).

@Jacopus
Eppure la morte di ogni giardino, da sempre, è sempre e solo la sua.

Jacopus

CitazioneEppure la morte di ogni giardino, da sempre, è sempre e solo la sua
Scegliendo di non titaneggiare, direi: "sono d'accordo, non concordo". E ho ragione in entrambi i casi.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

niko

Il SI' alla vita non e' un'anestesia contro i molteplici orrori, e' un SI' che si deve (o quantomeno che si puo') dire, ad essa, nonostante tutti gli orrori.

La vita e' divenire, mentre la metafisica vive di assoluti.

Non solo non c'e' dolore senza gioia e non c'e' gioia senza dolore, ma, di piu', questa alternanza e' esperienziale nel tempo del vissuto di ognuno, nel senso che ogni piacere reale ed esperibile termina (proprio temporalmente) o con il dolore o con la morte/oblio, e ogni dolore termina o con il piacere o con la morte/oblio.

La morte, e i suoi surrogati di sonno, oblio ed ebbrezza, rendono non banale, non dicotomica e non diretta l'alternanza tra dolore e piacere ponendo anche l'oblio stesso, il termine neutro, come termine terzo possibile dell'alternanza (e' questo che diceva Epicuro quando diceva che ogni dolore o e' sopportabile o, se e' insopportabile, e' preannuncio della morte: in ogni caso il saggio anche quando soffre non prende il dolore come un assoluto, perche' sa che verra' immancabilmente o il piacere o la morte a liberarlo dal dolore, e ugualmente non prende la gioia e il piacere come un assoluto, perche' anche quando prova gioia sa che verra' inevitabilmente o il dolore o la morte a "guastargliela", per quante "precauzioni" si possano umanamente prendere per conservare questi stati piacevoli).

Ma la "rivelazione" che l'alternanza tra dolore e piacere si produce -anche- da sola ed e' un destino dell'uomo, che non vive di solo piacere, ne' di solo dolore, ma della loro alternanza, e' il primo passo per liberarsi da tutte le esistenze inautentiche e socialmente codificate che ci riducono a cacciatori sistematici di piacere e ad evitatori compulsivi di dolore azzerando la nostra piu' profonda umanita'.

E' cone se la domanda del saggio, soprattutto del saggio orientale, fosse:

"Ma se l'alternanza tra dolore e piacere, secondo la mia esperienza magari riconsiderata con un po' piu' di umilta' e un po' meno di titanismo si produce in me da sola, come le onde del mare che vanno e vengono, perche' io, che sono saggio o almeno che vorrei esserlo, dovrei passare la mia vita a cercare compulsivamente il piacere (come se l'alternanza che da sempre sperimento NON fosse il mare, come NON si producesse da sola), e a evitare compulsivamente il dolore?

Come se il mare dipendesse da me.

Ma non dipende, da me.

Non c'e' colpa, non c'e' merito quando l'onda, una tra le mille altre, nasce, si infrange o si ritira, ma di piu', non c'e' alcun modo pratico possibile per trattenerla, un'onda, o potenziarla, o farla essere in qualche modo diversa da quello che e' "

Il saggio fa lavorare da soli gli automatismi della vita umana per avere tempo ed energie per altro, rispetto a quello che nella vita umana e' automatico. Per questo, si accontenta di una ciotola di riso sciapo ottenuta chiedendo l'elemosina. Perche' la prima cosa che egli ha capito essere automatica e' l'alternanza tra piacere e dolore. Verra' lo stesso il piacere, anche se non lo cerchi, e verra' lo stesso il dolore, anche se credi di cercare di evitarlo. E il libero scopo di una vita che voglia elevarsi ed essere spiritualmente migliore non puo' essere nulla di quello che in essa e' (gia') inevitabile e necessario. Se viene da solo, non e' uno scopo. Ne' il piacere, ne' il dolore sono scopi. Perche' vengono da soli.

La cosa a cui bisigna dire di SI' e' qualcosa di molto piu' complesso, e ha molto piu' a che fare con l'alternanza tra piacere e dolore e la loro struttura complessiva che non con piacere e dolore singolarmente considerati.

Quello che c'e' e' il mare. E al mare puoi dire di SI'.

La vita non e' disposta a soffrire pur di godere, e' disposta a soffrire pur di divenire. Pur di superarsi.

Io non sono un piu' un "io" se porto dentro di me la contraddizione della mia gioia e della mia sofferenza simultaneamente considerate e dico di SI' ad entrambe.

Il desiderio non e' la realta' (forma sintetica della sofferenza), ed e' la realta' (forma sintetica del piacere).

Non e' vero, che c'e' una parte dell'anima fatta per la gioia, poi un'altra diversa fatta per la sofferenza e questo rende sopportabile la contraddizione, della mia gioia e della mia sofferenza costitutive della mia coscienza e del mio passato, distribuendone i termini tra piu' soggetti, uno per ogni termine.

L'anima e' una. E se io dico SI', scompare. Nel mare. Dell'alternanza e del divenire tra i suoi contenuti.

Se dico di SI' a TUTTO quello che c'e' dentro.

Pure se quello che c'e' dentro e' contraddittorio. Pure se non ha dicibilita'. Pure se non ha senso.



Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Discussioni simili (5)