La virtù della carità descritta da San Paolo esiste davvero?

Aperto da Socrate78, 24 Marzo 2023, 13:42:02 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

Socrate78

Nel capitolo 13 della prima lettera ai Corinzi San Paolo descrive in un famoso brano biblico le caratteristiche della virtù teologale della carità, con queste parole: " Se anche dessi tutte le mie sostanze e consegnassi il mio corpo per essere bruciato, ,ma non avessi la carità, nulla mi gioverebbe. La carità è paziente, benigna è la carità: non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d'orgoglio, non si adira, non manca di rispetto, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia ma si compiace della verità. La carità tutto perdona, tutto spera, tutto crede, tutto sopporta".
Ora, tale virtù della carità (che traduce il termine agape) non rappresenta più che altro un'utopia e non una reale virtù esistente? Risulta infatti oltremodo difficile perdonare ogni cosa, sopportare ogni ingiustizia, non tener mai conto del male che si riceve (anche a livello mentale), non vantarsi mai dentro di noi di azioni buone fatte e compiacersene. Sembra che venga descritto qualcosa che è più simile ad una virtù angelica che umana, o che comunque deriverebbe da una stato di grazia indipendente dalla volontà e dai meriti dell'individuo. Se si confronta però questo brano con altri presenti nelle Lettere paoline, a me sembra di comprendere che in realtà San Paolo voglia dire proprio questo, che la salvezza e la vera virtù non dipende dai meriti della persona, ma da uno stato di grazia divina che cade dall'alto e che viene data quasi per decreto imperscrutabile di Dio, una posizione molto vicina a quella che sarà del protestantesimo. E' corretta questa mia interpretazione del testo?

Aspirante Filosofo58

Citazione di: Socrate78 il 24 Marzo 2023, 13:42:02 PMNel capitolo 13 della prima lettera ai Corinzi San Paolo descrive in un famoso brano biblico le caratteristiche della virtù teologale della carità, con queste parole: " Se anche dessi tutte le mie sostanze e consegnassi il mio corpo per essere bruciato, ,ma non avessi la carità, nulla mi gioverebbe. La carità è paziente, benigna è la carità: non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d'orgoglio, non si adira, non manca di rispetto, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia ma si compiace della verità. La carità tutto perdona, tutto spera, tutto crede, tutto sopporta".
Ora, tale virtù della carità (che traduce il termine agape) non rappresenta più che altro un'utopia e non una reale virtù esistente? Risulta infatti oltremodo difficile perdonare ogni cosa, sopportare ogni ingiustizia, non tener mai conto del male che si riceve (anche a livello mentale), non vantarsi mai dentro di noi di azioni buone fatte e compiacersene. Sembra che venga descritto qualcosa che è più simile ad una virtù angelica che umana, o che comunque deriverebbe da una stato di grazia indipendente dalla volontà e dai meriti dell'individuo. Se si confronta però questo brano con altri presenti nelle Lettere paoline, a me sembra di comprendere che in realtà San Paolo voglia dire proprio questo, che la salvezza e la vera virtù non dipende dai meriti della persona, ma da uno stato di grazia divina che cade dall'alto e che viene data quasi per decreto imperscrutabile di Dio, una posizione molto vicina a quella che sarà del protestantesimo. E' corretta questa mia interpretazione del testo?
La carità è utopia in un mondo distratto da mille sirene di vario genere; in un altro mondo, fatto di collaborazione reciproca tra i vari componenti, da utopia, la carità diventa una realtà.
Non mi pare che San Paolo intendesse privilegiare la grazia divina ai meriti personali. Quello della grazia divina, che va "random", dove capita, capita, mi pare un discorso da protestantesimo. Ci manca solamente che chi vive in una sorta di inferno in terra, e nonostante tutto, non fa male ad alcuno, ma anzi si prodiga per il bene altrui, poi sia beffato dalla mancanza di grazia divina! 
La teoria della reincarnazione mi ha dato e mi dà risposte che altre teorie, fedi o religioni non possono, non sanno o non vogliono darmi. Grazie alle risposte ottenute dalla reincarnazione oggi sono sereno e sono sulla mia strada che porterà a casa mia!

Kobayashi

Noi facciamo ogni cosa in base ad un'affinità estetica, cioè ad un'affinità che passa attraverso i sensi.
Per esempio le mie fasi spirituali sono generate e alimentate dall'attrazione verso i luoghi di culto, verso ambienti pensati per essere uno spazio fuori dal mondo. Per un'umanità minore, essenziale, ascetica.
Le idee stesse che sostengono sul piano teorico quello spazio "protetto", al di là del loro significato puramente concettuale, rimandano a ricordi, sensazioni, suggestioni dell'infanzia.
Nulla si fa che non sia sentito come bello. Non ci si innamora per un giudizio.
La carità non fa eccezione. In essa vedo il gusto di rovesciare la normalità basata sul proprio profitto. Che cosa ci guadagno? Niente, e proprio per questo voglio consumarmi nell'assurdità di un dono verso un'umanità per lo più insulsa.
L'interazione tra gli esseri umani, necessaria per sopravvivere, è quasi sempre insulsa. Questo bisogna alla fine accettarlo. Bisogna partire dal riconoscimento di questa verità antropologica. E andare avanti in un rovesciamento progressivo dei luoghi comuni della civiltà.
La religione, i suoi racconti, fanno parte della storia insulsa degli uomini. Ma essa, la religione, può essere sottratta a questo destino di idiozie fideistiche proprio sul versante della distruzione della razionalità dei rapporti sociali tramite una santità stravagante che alla fine, quasi sempre, riconduce alla solitudine dei boschi, delle grotte, degli eremi medievali.
Bruciare il moralistico altruismo in un dono eccedente fino all'assurdo, e tornare poi alla propria verità nell'isolamento, nel silenzio, nella preghiera come poesia di un mondo perduto.

Discussioni simili (5)