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Io e Dio

Aperto da bobmax, 15 Febbraio 2023, 08:51:49 AM

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iano

#15
Riepilogando:
C'è un uno e c'è L'ALTRO posti in relazione asimmetrica,
e un altro modo di dirlo è che uno è colpevole e l'altro è innocente alludendo che la relazione sia di tipo etico, secondo un etica definibile, ma non definitivamente definibile, quindi in sostanza una relazione indefinita, cioè non giustificata, non ricavabile a partire dall'uno e dall'altro, quindi da porre come terzo incomodo, e caratterizzata dall'avere una direzione, chiamata amore o compassione, che và dall'uno all'ALTRO.
Abbiamo quindi tre elementi di partenza dai quali non ricaviamo altro , dopo giri di parole,  che sempre i tre elementi di partenza, con l'inferno che non si capisce cosa sia e che relazione abbia con gli altri tre elementi, ameno che non sia il solito nulla che diversamente non apparirebbe qui, ma che anche se apparisse non ci aiuterebbe parimenti a capire.
Insomma il tuo sembra il racconto in diverse salse di una illuminazione.
Ma noi, oltre a compiacerci con te per la tua illuminazione, che ruolo dovremmo avere in tutto ciò, considerando oltretutto che ci hai tenuti fuori dal discorso, perchè noi non siamo l'uno, in quanto l'uno sei tu, e non siamo l'altro, perchè non siamo Dio?
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

iano

#16
Citazione di: bobmax il 16 Febbraio 2023, 13:29:48 PMSì, Dio è il mio Dio.
Dio ha bisogno di me, per esserci.
Per cui ciò che è vero, dipende, per la sua Verità, da me stesso.

Ma non può essere che così, visto che vi sono solo io e... l'altro.
Se la Verità venisse dall'altro, io non potrei che esserne annichilito, non potrei proprio esserci.

Questo sembra un modo fin troppo contorto e distorto di dire qualcosa che condivido.
Contorto perchè la mia verità non è la Verità.
E allora perchè chiamarla verità?
Io aggiungerei ,in senso positivo per quanto possibile, che il motivo per cui io parlo di verità è lo stesso motivo per cui tu parli di verità, senza che nessuno di noi sappia bene di cosa stia parlando.
E questa mi sembra una cosa notevole : percepiamo cose allo stesso modo senza sapere perchè le percepiamo, ma del fatto che non sappiamo perchè le percepiamo ce ne rendiamo conto quando in modo ridondante vorremo convergere a parole, senza riuscirci, su ciò su cui di fatto già convergiamo.
Il logos è stato un bel gran passo avanti per noi, ma su ciò che lo ha preceduto non ha nulla da aggiungere, se non limitarsi a dare un nome che indichi una sensazione, senza poter aggiungere altro, perchè qualunque altra cosa si aggiunga può solo negarla.
La verità, l'altro non la porta a me, come io non la porto all'altro, essendo secondo me solo uno dei tanti prodotti della relazione fra l'uno e l'altro, ma non capisco perchè questo dovrebbe essere il motivo per cui ci dovremmo o non ci dovremmo essere.
Magari non lo sai neanche tu.
Magari è semplicemente qualcosa che senti, ma non sai ben dire, e questo è il problema, perchè non essendo una sensazione condivisa, se il logos non ci soccorre,  come facciamo a capirci?
Hai la consapevolezza che non è possibile capirti, essendo tu portatore di una percezione tua soggettiva, non esprimibile a parole?
Intendiamoci, non è una cosa sorprendente che ciò possa succedere.
Sorprendente è che possa succedere, e che di fatto succeda il contrario, che percezioni potenzialmente soggettive tali non siano, perchè se di verità balbettiamo, è perchè condividiamo una percezione alla quale quel nome abbiamo dato, senza poter aggiungere una parola di più.
La verità è uno dei tanti prodotti della relazione fra l'uno e l'altro, per cui siamo autorizzati a dare un nome ''uno'' a una moltitudine, per che quei tanti condividono quei prodotti come fossero uno, e le hanno condivise senza l'ausilio del logos, che evidentemente ha la funzione di condividere, ma in un modo diverso.
Condividiamo la verità, ma non a parole.
A parole condividiamo cose nuove rispetto alla buona vecchia verità,  diverse dalla verità.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
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iano

#17
Citazione di: Kobayashi il 16 Febbraio 2023, 08:51:20 AMPenso che si tratti solo della fase iniziale, poi viene la consapevolezza di essere, come gli altri, "portatore" del divino.

In ottica cristiana Giovanni Vannucci scriveva: "Attesa da millenni, preannunciata da generazioni di ispirati, la Parola ha costruito la sua dimora in Cristo [...] , punto di comunione tra la luce divina e la densità terrestre, il ponte benedetto dell'incontro tra la materia e lo spirito".

L'emergere di questo "punto di comunione" io me lo immagino come una specie di processo straziante, viscerale, ma necessario (perché verso il suo compimento siamo richiamati da mille segnali), sempre sul punto di regredire.

"Attraverso il ponte che riunisce l'abisso divino all'abisso umano, la silenziosa ed operosa presenza della Parola giunge e si espande su tutta l'umanità. Dio è in noi, l'immenso mistero dimora nella carne umana".
"[...] Dio è in noi, non in pochi privilegiati, ma in ognuno. È in noi nonostante le bassezze, le opacità, le perversioni, gli istinti confusi della nostra natura".
"La più esigente necessità, dopo l'Incarnazione, è accoglierlo [...]. L'ignorarlo od il sopprimerlo è la causa delle più dure sofferenze".

E conclude Vannucci descrivendo come la consapevolezza di questa presenza renda i nostri affetti universali. L'affinità è ora rivolta verso il tutto, verso l'unità dell'umanità.

A mio parere però non è così ovvio questo processo verso l'universale. Non si può semplicemente riprendere la dedizione greca (e poi cristiana) al logos universale, le nostre esigenze di introspezione così finemente trattate dalla letteratura degli ultimi due secoli e studiate da psicoanalisi ed esistenzialismo non possono semplicemente essere messe da parte come materiale di scarto.
Voglio dire: questo tema, quello della mistica greca dell'Uno (che poi ha attraversato tutta la nostra cultura fino a Hegel), la quale parte dall'ascesa dell'eros individuale verso l'universale, l'eterno, un processo quindi alimentato dalla purificazione dal contingente psicologico, da ciò che è più soggettivo, è un tema problematico...
A me questo sembra come un indovinello dove chi lo ha posto non si rende conto di aver messo nella sua affermazione , senza volere, anche la risposta in chiaro, e non se ne è reso conto perchè l'ha espresso in modo circolarmente ridondante, per cui non è facile da estrarre, finché non si trova la chiave giusta.
Se la parola ha costruito la sua dimora nel divino, rendersi conto di essere portatori del divino equivale a rendersi conto di ciò che già sapevamo, di  essere cioè portatori della parola.
O no?
C'è da aggiungere altro che non risulti ridondante?
Sembra tutto un giro di parole, non voluto, per dire che se si possiede la parola allora sei divino, e perciò ti distingui in modo significativo da chi non porta la parola, che divino quindi non è, e noi quindi saremmo propriamente i pochi privilegiati, piuttosto che no.
Si tratta dunque di una favola innocente, il cui destino non poteva essere altro che quello di essere deostruita prima o poi, e che, come ben dici, e appunto  in fase di decostruzione.
Il logos diventa potenzialmente universale nel momento in cui si fà, con mediazione tecnologica , scrittura, e in quanto testo , potenzialmente elevatile da logos al logos.
A questo punto la storia del logos, e quindi la storia di coloro che ne sono portatori, si divide in due percorsi uno dei quali parte da un testo che da contenitore di logos viene promosso a logos, e l'altro che inizia come percorso alla ricerca del testo che contenga il logos, che non sia un semplice contenitore quindi  di logos , ma del logos.
La funzione del logos si riduce quindi da un lato a quella di interpretazione del logos, come se si dovesse interpretare un indovinello che contiene in chiaro la sua soluzione, ma volutamente confusa fra ridondanti giochi di parole.
O in alternativa alla ricerca di un sacro gral fatto di parole, come se un insieme di simboli potesse avere un valore sostanzialmente diverso da un altro insieme, e che perciò ogni insieme contenga in sè un suo valore, senza che siamo stati noi a darglielo... del come cioè la scienza non si sia ancora del tutto liberata dalle scorie del pensiero magico.
La notizia buona è che il verbo una volta liberato da tanti fraintendimenti abbia da esprimere ancora tutto il suo potenziale, quando cioè da portatori ce ne faremo veri utenti.
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iano

Citazione di: Socrate78 il 16 Febbraio 2023, 16:54:00 PMIl significato che dò all'Incarnazione è il seguente: Dio si è incarnato in Cristo come uomo ma non si trattava affatto di un uomo come noi, era un uomo con un DNA diverso (quello del primo Adamo) senza il peccato originale, non era quindi sullo stesso piano dell'umanità intera. Il peccato originale io lo interpreto, come ho anche affermato in altri post, come decadimento morale e FISICO rispetto al primo Adamo, per cui l'uomo da Caino in poi è degradato da ogni punto di vista e non è più l'uomo originario creato da Dio. Dio poi ha pagato sulla Croce per i peccati degli uomini, ma come Dio, non come uomo: infatti solo Dio poteva sobbarcarsi il fardello delle colpe degli uomini, poiché ogni peccato in teoria meriterebbe una pena infinita (essendo contro Dio che è eterno), quindi Cristo ci ha salvati appunto pagando come Dio per le nostre colpe.
Ma non possiamo semplificare tutta questa improponibile complicazione con una perdonabile blasfemia, e perdonabile perchè fatta in buona fede?
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iano

Citazione di: bobmax il 16 Febbraio 2023, 18:19:12 PMNon so se e quando giungerà mai questa consapevolezza.
Una volta all'inferno, non vi è più alcun termine di paragone, alcuna legge evolutiva a cui riferirmi.

Vi sono solo io.

E a poco vale qualsiasi considerazione su cosa avvenga ad altri.
Sì, ascoltare l'altro può essere un utile spunto. Ma nulla più.
Perché poi tocca sempre a me.
E se la mia strada vuole il Vero (e come si fa a non volerlo?) non posso che constatare l'impossibilità di uscirne.

Ritengo comunque che l'esito fausto, se mai avverrà che se fosse solo per me sarebbe impossibile, non consista nel ritrovarsi in comune con gli altri.
In quanto gli altri, me lo dice il mio amore, sono nulla.

Ecco l'esito fausto dovrebbe consistere nel ritrovarmi io stesso nulla.
E quel Nulla è Dio.



Ha veramente ragione Green Demetr a dire che siamo anime barocche.La questione è molto più semplice.Tocca a te in quanto individuo, accomunato in questo destino agli altri individui, per cui non si può dire che tocca solo a te, indipendentemente dagli altri.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
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Ipazia

(D)Io è un gatto che si morde la coda. Un bel gattone metafisico che dà spettacolo. Perché decostruirlo ? E non godere piuttosto i suoi funambolici volteggi ?
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Kobayashi

Citazione di: iano il 17 Febbraio 2023, 01:24:36 AMA me questo sembra come un indovinello dove chi lo ha posto non si rende conto di aver messo nella sua affermazione , senza volere, anche la risposta in chiaro, e non se ne è reso conto perchè l'ha espresso in modo circolarmente ridondante, per cui non è facile da estrarre, finché non si trova la chiave giusta.
Se la parola ha costruito la sua dimora nel divino, rendersi conto di essere portatori del divino equivale a rendersi conto di ciò che già sapevamo, di  essere cioè portatori della parola.
O no?
C'è da aggiungere altro che non risulti ridondante?
Sembra tutto un giro di parole, non voluto, per dire che se si possiede la parola allora sei divino, e perciò ti distingui in modo significativo da chi non porta la parola, che divino quindi non è, e noi quindi saremmo propriamente i pochi privilegiati, piuttosto che no.

È ovvio (ma non credevo di doverlo chiarire...) che la Parola, il Verbo, etc., non sono le parole, il linguaggio degli uomini, o la razionalità umana, ma, nel discorso teologico, simboli della trascendenza.

Simbolo: termine designante due metà di un oggetto che, spezzato, può essere ricomposto riavvicinandole.

Tu vedi solo una parte del simbolo. O meglio pensi che tutto si esaurisca nella parte materiale, strumentale, del simbolo. Non sentendoti chiamato verso ciò a cui rimanda la parte visibile rimani con la sola parte spezzata "terrena", e pensi che non ci sia il mistero, ma solo un gioco di parole, un indovinello, facilmente risolvibile una volta liberati dalla nebulosità del discorso teologico.

iano

#22
Citazione di: Kobayashi il 17 Febbraio 2023, 15:28:56 PMÈ ovvio (ma non credevo di doverlo chiarire...) che la Parola, il Verbo, etc., non sono le parole, il linguaggio degli uomini, o la razionalità umana, ma, nel discorso teologico, simboli della trascendenza.

Simbolo: termine designante due metà di un oggetto che, spezzato, può essere ricomposto riavvicinandole.

Tu vedi solo una parte del simbolo. O meglio pensi che tutto si esaurisca nella parte materiale, strumentale, del simbolo. Non sentendoti chiamato verso ciò a cui rimanda la parte visibile rimani con la sola parte spezzata "terrena", e pensi che non ci sia il mistero, ma solo un gioco di parole, un indovinello, facilmente risolvibile una volta liberati dalla nebulosità del discorso teologico.
Forse andiamo fuori tema, ma più che un rimando vedo una identificazione: ''Dio è verbo e il verbo è Dio'', quindi un ricadere nell'idolatria dalla quale si vuol fuggire.
Per esorcizzare questo pericolo i musulmani restringono il pantheon dei simboli ammessi ai soli  ''alfageometrici'', ma rimane l'idolatria della scrittura, che si inserisce storicamente nell'alveo dell'idolatria delle tecnologie.
Nella misura in cui quindi non sentiamo come nostre le tecnologie si ricade,  senza volere, nella solita trita e ritrita idolatria dell'uomo verso se  stesso, che in questo modo ricuce le sue alienazioni.
Così c'è un rimando, è vero, ma sempre a se stessi, nella misura in cui non si abbia piena coscienza di sè.
Piena coscienza del fatto che noi siamo il verbo, noi siamo la scrittura, e se la scrittura siamo noi non può essere sacra.
E nella misura in cui rimane sacra non riuscirà ad esprimere tutte le sue potenzialità, e noi con essa.
La scienza è un progresso, ma non c'è una sostanziale differenza fra una preghiera, una formula magica e una formula scientifica nella misura in cui crediamo che la realtà ne venga condizionata, finché non capiremo che quella formula non è fuori di noi, perchè è uno dei modi con cui interagiamo con la realtà.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
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Jacopus

Permettetemi a questo punto, un intervento esoterico ed enigmatico come un haiku giapponese ma geneticamente occidentale:

"Al symballein (simbolo) e al diaballein (diavolo), preferisco la dialettica continua che rimanda dall'uno all'altro."
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

iano

Ciao Jacopus.
Io rispondo con un proverbio , credo genovese:
''Nell'acqua che non si vuole bere ci si annega''.  :D
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
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iano

#25
Citazione di: bobmax il 15 Febbraio 2023, 08:51:49 AMIl dato di fatto è questo stesso esserci.
Ossia ci sono io e c'è altro.
L'esser-ci è questa compresenza.

Molto di ciò su cui discutiamo ha origine nella nostra particolare percezione.
Ad esempio ci accorgiamo dell'esistenza di qualcosa quando la perdiamo o l'acquisiamo, mentre magari non la notiamo quando è pur sempre sotto ai nostri occhi.
Io ho perso il pelo e ho acquisito una nuova veste, e adesso IO E DIO siamo come culo e camicia, ma a differenza del pelo ho sempre coscienza della camicia perchè la indosso e smetto ogni giorno, e perciò credo non essere io quella camicia, almeno finché mi percepisco come unità fisica e non funzionale.
Io in effetti morirei di freddo e non ci sarebbe più salvezza per me senza quella camicia.
Non mi resta quindi che porre fede nella camicia, facendone un idolo alla moda,  , o più semplicemente indossarla.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Kobayashi

Dunque, negli ultimi interventi leggo che:
- Dio è un gatto che si mangia la coda
- Io e Dio siamo come culo e camicia
- al simbolo e al diavolo preferisco la dialettica che dall'uno va all'altro (che è come dire che rimango a metà strada perché il simbolo rimanda all'unità, il divisore la spezza l'unità, quindi la preferenza è quella a non concludere nulla? che cacchio vorrebbe dire?).

Mah..., non capisco più il senso di questa roba.
Buona continuazione.

bobmax

Sì, Iano, qui la logica è insufficiente.

Ma non perché il ragionamento sia illogico, semplicemente non sottostà ai presupposti della logica.

Infatti l'Etica viene prima.

E perciò tutto mette in discussione, anche il molteplice, perché ciò che solo conta è il Bene.

Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

bobmax

Citazione di: Kobayashi il 17 Febbraio 2023, 17:34:08 PMDunque, negli ultimi interventi leggo che:
- Dio è un gatto che si mangia la coda
- Io e Dio siamo come culo e camicia
- al simbolo e al diavolo preferisco la dialettica che dall'uno va all'altro (che è come dire che rimango a metà strada perché il simbolo rimanda all'unità, il divisore la spezza l'unità, quindi la preferenza è quella a non concludere nulla? che cacchio vorrebbe dire?).

Mah..., non capisco più il senso di questa roba.
Buona continuazione.

Ritengo che dipenda dal "liberi tutti" causata dalla morte di Dio.

Quando il dogma imperava sui più, questi non avevano motivo di impegnarsi in meditazioni spirituali.
Accettavano le verità della religione senza cercare altro.

Con la fuga degli dei, costoro si sono ritrovati orfani di una guida. E così obbligati a ragionare in autonomia.

Ma il pensiero razionale necessita di generazioni di costante applicazione.
Indispensabile soprattutto per avvertirne i limiti.

Occorre essere davvero logici per cogliere l'insufficienza intrinseca della stessa logica.

È un salto non banale.
Infatti i grandi poeti sono stati grandissimi logici.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

Il titolo stesso della discussione rimanda al gioco di specchi tra Io e Dio. Gioco che ho definito (D)Io.

Che assolutamente non volevo ateisticamente decostruire, affascinata com'ero dall'alata discussione tra teisti. Poi iano ha rotto l'arcano, ed io pure. Mi scuso, e consiglierei di lasciar parlare solo chi crede alla divina trascendenza, e non disturbare la loro disputa sul problematico rapporto Io-Dio.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri