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Realtà e Verità

Aperto da bobmax, 24 Gennaio 2023, 14:22:22 PM

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atomista non pentito

Le verita' e le realta'. Mi pare che ci si posa riferire a queste solo al plurale ( e sono entrambe molto "terra terra"). Se vogliamo usare ( e trovare) il singolare dobbiamo essere in grado di produrre un'equazione che descriva perfettamente il sottostante a partire dal big bang fino ad........................ora. Il prequel lo lascerei perdere , in fondo siamo animali non dei ..... che cavolo , vogliamo proprio sapere tutto ? ( per cosa poi ?)

Phil

I miei soliti "due spicci" sul tema "verità": per me la verità/falsità è una proprietà del discorso (pensato, detto, scritto, etc.) non della realtà che, in quanto tale, non è né vera né falsa, ma semplicemente esistente. Non può essere falso un elemento della realtà, ma solo il discorso che facciamo su di esso. Un quadro è falso solo all'interno di un discorso che lo spaccia per uno autentico; tuttavia, come mero ente, quel quadro è solamente esistente (e non ha senso parlare di vera esistenza o falsa esistenza; poiché ciò che non esiste nella realtà empirica, nel momento in cui viene detto, diventa reale foneticamente o mentalmente, etc.). Possono esistere (essere reali) dei discorsi falsi (nel senso che parlano di enti che non esistono, o non esistono come il discorso li descrive), ma non enti falsi (il discorso in quanto discorso esiste, il suo contenuto può essere falso). 
Lo stesso dicasi per gli eventi: questi accadono solo, è la loro descrizione discorsiva che può essere vera o falsa. Trovare o scoprire la verità significa poter individuare un discorso coerente alla realtà, che è ovviamente indipendente dai discorsi che, più o meno bene, tentano di descriverla (almeno finché tali discorsi non innescano azioni che modificano la realtà).
Se aggiungiamo la maiuscola alla verità, forse vogliamo elevarla a perfezione del discorso, ma in quanto proprietà (finché non si fa discorso reale) non può essere mai un ente; così come non può essere un ente, cambiando livello, la correttezza grammaticale (e non può essere "sgrammaticata" la realtà, ma solo il discorso che se ne fa).

bobmax

Citazione di: Kobayashi il 26 Gennaio 2023, 08:53:10 AMForse ho capito.
Le tue affermazioni paradossali vanno viste come le conclusioni di un ragionamento sulla realtà, che tuttavia non sempre inserisci nei tuoi post.

Requisito fondamentale di tutto questo percorso è la convinzione, tipica dell'idealismo, che non ci siano limiti critici al pensiero, che non ci sia, come voleva Kant, qualcosa di non conoscibile.
Quindi se attraverso un'analisi logica dei fondamenti della realtà si conclude nell'assurdo allora anziché pensare che il problema sia la limitatezza dello strumento (la razionalità) e tornare quindi al senso comune delle cose, si accetta l'esito spiazzante, il quale è il perfetto ribaltamento di ciò che invece la cosiddetta realtà sembra mostrare.

La verità del mondo per esempio non è il molteplice ma l'Uno. Nella filosofia antica si arrivava a una tesi del genere, però, basandosi sulla concordanza tra il logos umano e il Logos che regge il mondo.
Tu invece mi sembra che da una parte mostri con la logica che è proprio il molteplice ad essere assurdo. E poi, nello stesso tempo, che i fondamenti della logica siano fragili. E dici appunto: così andiamo nella terra di nessuno.
Questo punto mi sembra contraddittorio, cioè seguire la logica fino in fondo nelle sue conclusioni paradossali prendendo dunque per vera la visione della realtà che ne esce e, contemporaneamente, dire che gli stessi fondamenti della razionalità siano arbitrari.

E infatti sostenere che la verità ha una fondazione etica non è puro irrazionalismo?

Penso che siamo sulla stessa lunghezza d'onda. Il tuo scritto è una luce nelle tenebre.

Partirei dalla tua osservazione finale: la verità etica.
Che non direi proprio irrazionale... ma piuttosto a-razionale. Cioè non è razionale ma neppure irrazionale.

Perché ogni sforzo deve essere fatto per non cadere nella irrazionalità, portando il pensiero razionale fino al suo limite. Là dove traspare l'a-razionale.
E lì resistere, consci della possibilità di ingannarci, avendo scambiato l'irrazionale per l'agognato a-razionale.

Perciò rischio, coinvolgimento personale, perché quella "verità" necessita di noi. Non può essere  "provata" razionalmente.
È verità etica.
Cioè nasce da dentro di noi e dipende solo da noi.

Difatti l'etica è il motore che avvia la ricerca ed non potrà che essere etica la sua conclusione.

Sto cercando di seguire la strada tracciata da Karl Jaspers. Che implica l'inevitabile naufragio del pensiero razionale.

Che poi è lo stesso percorso di Kant, seppur implicito.
Un pensiero sincero, che non vuole ingannarsi e allora si avvita su se stesso, fino a accettare il limite invalicabile. Senza magari avvedersi del perché: Essere = Nulla.

Ma pure i paradossi di Zenone (che non negano il movimento, ma il molteplice) non fanno che mostrare il limite del razionale.

Un limite di cui il pensiero logico non vuol ammettere l'esistenza.
Quando vi si imbatte... ripiega noncurante: si è trattato soltanto di una assurdità.

Pur di non accettare lo smacco razionale, siamo arrivati al punto di cosificare l'infinito! Che è concetto limite per antonomasia. E quindi c'è e pure non c'è...

Una volta ridotto a "cosa" lo possiamo tranquillamente usare. Ma è solo una forzatura.
Cosa ci inventiamo pur di non fissare la Medusa...

Tornando all'Etica, la realtà può essere davvero investigata solo affidandoci alla nostra fede nella Verità.
Che è fede nel Bene.

Il male ci sospinge, senza il male saremmo perduti. Nel deserto del razionale.

Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

green demetr

Citazione di: atomista non pentito il 26 Gennaio 2023, 10:43:27 AMLe verita' e le realta'. Mi pare che ci si posa riferire a queste solo al plurale ( e sono entrambe molto "terra terra"). Se vogliamo usare ( e trovare) il singolare dobbiamo essere in grado di produrre un'equazione che descriva perfettamente il sottostante a partire dal big bang fino ad........................ora. Il prequel lo lascerei perdere , in fondo siamo animali non dei ..... che cavolo , vogliamo proprio sapere tutto ? ( per cosa poi ?)
A mio parere la verità è una sola ed è quella che concerne un individuo, le verità sono invece quelle datità scientifiche che noi siamo soliti chiamare realtà, e che per la natura umana (che vuole sapere tutto) sono destinate ad aumentare.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: Phil il 26 Gennaio 2023, 12:02:46 PMI miei soliti "due spicci" sul tema "verità": per me la verità/falsità è una proprietà del discorso (pensato, detto, scritto, etc.) non della realtà che, in quanto tale, non è né vera né falsa, ma semplicemente esistente. Non può essere falso un elemento della realtà, ma solo il discorso che facciamo su di esso. Un quadro è falso solo all'interno di un discorso che lo spaccia per uno autentico; tuttavia, come mero ente, quel quadro è solamente esistente (e non ha senso parlare di vera esistenza o falsa esistenza; poiché ciò che non esiste nella realtà empirica, nel momento in cui viene detto, diventa reale foneticamente o mentalmente, etc.). Possono esistere (essere reali) dei discorsi falsi (nel senso che parlano di enti che non esistono, o non esistono come il discorso li descrive), ma non enti falsi (il discorso in quanto discorso esiste, il suo contenuto può essere falso).
Lo stesso dicasi per gli eventi: questi accadono solo, è la loro descrizione discorsiva che può essere vera o falsa. Trovare o scoprire la verità significa poter individuare un discorso coerente alla realtà, che è ovviamente indipendente dai discorsi che, più o meno bene, tentano di descriverla (almeno finché tali discorsi non innescano azioni che modificano la realtà).
Se aggiungiamo la maiuscola alla verità, forse vogliamo elevarla a perfezione del discorso, ma in quanto proprietà (finché non si fa discorso reale) non può essere mai un ente; così come non può essere un ente, cambiando livello, la correttezza grammaticale (e non può essere "sgrammaticata" la realtà, ma solo il discorso che se ne fa).
E' il solito problema che tu ritieni l'ente discorsivo come modale, quando è invece semiotico ossia legato ad un oggetto a cui si riferisce, e dunque l'oggetto contine una verità ontologica sua, nulla a che vedere con la modalità della frase a cui dovrebbe riferirsi. Mi chiedo tra l'altro quale sia questo bisogno intimo segreto di voi analitici di distorcere la realtà (verità).
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Phil

Citazione di: green demetr il 26 Gennaio 2023, 14:18:29 PMl'oggetto contine una verità ontologica sua, nulla a che vedere con la modalità della frase a cui dovrebbe riferirsi.
L'oggetto, in quanto tale, non può "contenere" né verità né falsità ontologica; se è ontologico, esiste, a prescindere che sia refer-ente o meno di un discorso; altrimenti, se non esiste ontologicamente, è solo esistente nel discorso che ne parla. Non è l'oggetto a poter essere vero o falso, ma solo il discorso che ne parla.
D'altronde, qual è un oggetto falso o "falsamente ontologico"? Un oggetto che esiste solo nel discorso che ne parla; ma allora ha davvero senso definirlo "ontologico"? No, perché non ha esistenza (referente) reale se non, appunto, nel discorso che mente.

atomista non pentito

Citazione di: green demetr il 26 Gennaio 2023, 14:12:26 PMA mio parere la verità è una sola ed è quella che concerne un individuo, le verità sono invece quelle datità scientifiche che noi siamo soliti chiamare realtà, e che per la natura umana (che vuole sapere tutto) sono destinate ad aumentare.
La tua realta' che , conseguentemente , genera la tua verita' e' diversa ed ha lo stesso identico valore della mia. Sono 2 (4) e diventano tante quante gli elementi all'interno del "campo". La realta' (una , sovrapponibile peraltro alla verita' a mio parere) e' solamente l'equazione di cui sopra. Nemmeno un osservatore fuori dal campo percepirebbe una realta' e conseguentemente una verita'.

green demetr

Citazione di: bobmax il 26 Gennaio 2023, 13:57:47 PMPenso che siamo sulla stessa lunghezza d'onda. Il tuo scritto è una luce nelle tenebre.

Partirei dalla tua osservazione finale: la verità etica.
Che non direi proprio irrazionale... ma piuttosto a-razionale. Cioè non è razionale ma neppure irrazionale.

Perché ogni sforzo deve essere fatto per non cadere nella irrazionalità, portando il pensiero razionale fino al suo limite. Là dove traspare l'a-razionale.
E lì resistere, consci della possibilità di ingannarci, avendo scambiato l'irrazionale per l'agognato a-razionale.

Perciò rischio, coinvolgimento personale, perché quella "verità" necessita di noi. Non può essere  "provata" razionalmente.
È verità etica.
Cioè nasce da dentro di noi e dipende solo da noi.

Difatti l'etica è il motore che avvia la ricerca ed non potrà che essere etica la sua conclusione.

Sto cercando di seguire la strada tracciata da Karl Jaspers. Che implica l'inevitabile naufragio del pensiero razionale.

Che poi è lo stesso percorso di Kant, seppur implicito.
Un pensiero sincero, che non vuole ingannarsi e allora si avvita su se stesso, fino a accettare il limite invalicabile. Senza magari avvedersi del perché: Essere = Nulla.

Ma pure i paradossi di Zenone (che non negano il movimento, ma il molteplice) non fanno che mostrare il limite del razionale.

Un limite di cui il pensiero logico non vuol ammettere l'esistenza.
Quando vi si imbatte... ripiega noncurante: si è trattato soltanto di una assurdità.

Pur di non accettare lo smacco razionale, siamo arrivati al punto di cosificare l'infinito! Che è concetto limite per antonomasia. E quindi c'è e pure non c'è...

Una volta ridotto a "cosa" lo possiamo tranquillamente usare. Ma è solo una forzatura.
Cosa ci inventiamo pur di non fissare la Medusa...

Tornando all'Etica, la realtà può essere davvero investigata solo affidandoci alla nostra fede nella Verità.
Che è fede nel Bene.

Il male ci sospinge, senza il male saremmo perduti. Nel deserto del razionale.


Il concetto di infinito è già in sè una cosificazione come la chiami tu.
Capisco solo ora a cosa alludi con nullità via kobayashi.
Come nel caso suo però vi rimprovero l'hybris di pensare di potersi sottrarre all'essere soggetto. Anche permanendo nel concetto di limite kantiano, ossia ai confini con l'arazionale, si è sempre dentro il soggetto, per questo kant parla di soggetto trascendentale (appunto che percorre per intero il cammino che va verso il noumeno senza mai raggiungerlo).
Il deserto del reale è certamente un problema gravissimo, per risolverlo a mio parere si deve procedere nella direzione opposta, ossia partendo dal concetto di sè, ossia bucando il soggetto ed accogliendo l'inconscio, il divino etc..
Il noumeno è solo un miraggio, dove cade l'hybris umana, ieri nell'antichità, come oggi nei tempi futuri prossimi (e d'altronde kant era uno che contava i passi, ossia aveva gravi problemi di controllo della realtà).
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: Phil il 26 Gennaio 2023, 14:30:31 PML'oggetto, in quanto tale, non può "contenere" né verità né falsità ontologica; se è ontologico, esiste, a prescindere che sia refer-ente o meno di un discorso; altrimenti, se non esiste ontologicamente, è solo esistente nel discorso che ne parla. Non è l'oggetto a poter essere vero o falso, ma solo il discorso che ne parla.
D'altronde, qual è un oggetto falso o "falsamente ontologico"? Un oggetto che esiste solo nel discorso che ne parla; ma allora ha davvero senso definirlo "ontologico"? No, perché non ha esistenza (referente) reale se non, appunto, nel discorso che mente.
Una persona può dirmi che una mela è una pera, ma tramite i sensi, posso dire certamente che è una mela.
Infatti ontologia si compone delle 2 parole ontos (essere) e logos (legato).
Qualcosa che è Ed è legato (legato ovviamente al soggetto, ma l'antichità non consceva ancora questa invenzione kantiana).
Slegare l'oggetto ontologico significa farlo diventare mera astrazione che a sua volta può essere manipolata tramite falsificazione discorsiva (e a cui kant aveva già risposto nelle sue antinomie).
Ovviamente siamo continuamente immersi nella falsificazione discorsiva, quindi non voglio sminuire il valore analitico, che per me è solo uno strumento di chiarificazione e non di confusione, come a volte mi sembra venga usato.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: atomista non pentito il 26 Gennaio 2023, 14:32:26 PMLa tua realta' che , conseguentemente , genera la tua verita' e' diversa ed ha lo stesso identico valore della mia. Sono 2 (4) e diventano tante quante gli elementi all'interno del "campo". La realta' (una , sovrapponibile peraltro alla verita' a mio parere) e' solamente l'equazione di cui sopra. Nemmeno un osservatore fuori dal campo percepirebbe una realta' e conseguentemente una verita'.
Ma su questo infatti siamo d'accordo. Infatti parlò di realtà fenomeniche. La realtà intesa come verità è sempre una equazione, bisogna vedere come la risolvi però.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Phil

Citazione di: green demetr il 26 Gennaio 2023, 14:43:38 PMSlegare l'oggetto ontologico significa farlo diventare mera astrazione che a sua volta può essere manipolata tramite falsificazione discorsiva
L'oggetto ontologico viene as-tratto nel linguaggio, ma non per questo slegato radicalmente dal suo essere comunque ontologico. Esso infatti rimane, al contempo: in quanto oggetto ontologico, estraneo a verità/falsità; in quanto oggetto del discorso, causa della verità/falsità del discorso stesso.
Riprendendo il tuo esempio: se qualcuno ti dice che una mela è una pera, quell'oggetto ontologico (il refer-ente) non è né vero né falso, ma solo reale, esistente; nel momento in cui vuoi verificare la verità/falsità del discorso sull'oggetto, allora ti rivolgi con i sensi all'oggetto ontologico e constati la falsità del discorso su di esso (non la "falsità dell'oggetto ontologico", che sarebbe un non-senso).
La verità/falsità è dunque tutta interna al discorso, pur avendo la sua "causa" fuori da esso (nella realtà, nell'ontologia, negli eventi, etc.). Il rapporto fra verità/falsità e realtà è dunque profondamente asimmetrico per quanto riguarda le rispettive proprietà: la verità/falsità si applica/aggiunge alla realtà nel discorrerne; la realtà si amplia accogliendo tali discorsi su di essa (in quanto eventi); tuttavia la proprietà dicotomica di poter essere vero/falso non si applica alla realtà (che infatti non è un discorso ed ha un'unica dimensione: l'esistenza), così come la proprietà di essere esistente non può non essere applicabile al discorso (che in quanto tale è sempre evento reale, prima di essere vero/falso).

Alberto Knox

l esistenza precede l essenza direbbe Sartre. Il fatto che io esista è anteriore a ciò che io sia. 
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

green demetr

Citazione di: Phil il 26 Gennaio 2023, 15:39:01 PML'oggetto ontologico viene as-tratto nel linguaggio, ma non per questo slegato radicalmente dal suo essere comunque ontologico. Esso infatti rimane, al contempo: in quanto oggetto ontologico, estraneo a verità/falsità; in quanto oggetto del discorso, causa della verità/falsità del discorso stesso.
Riprendendo il tuo esempio: se qualcuno ti dice che una mela è una pera, quell'oggetto ontologico (il refer-ente) non è né vero né falso, ma solo reale, esistente; nel momento in cui vuoi verificare la verità/falsità del discorso sull'oggetto, allora ti rivolgi con i sensi all'oggetto ontologico e constati la falsità del discorso su di esso (non la "falsità dell'oggetto ontologico", che sarebbe un non-senso).
La verità/falsità è dunque tutta interna al discorso, pur avendo la sua "causa" fuori da esso (nella realtà, nell'ontologia, negli eventi, etc.). Il rapporto fra verità/falsità e realtà è dunque profondamente asimmetrico per quanto riguarda le rispettive proprietà: la verità/falsità si applica/aggiunge alla realtà nel discorrerne; la realtà si amplia accogliendo tali discorsi su di essa (in quanto eventi); tuttavia la proprietà dicotomica di poter essere vero/falso non si applica alla realtà (che infatti non è un discorso ed ha un'unica dimensione: l'esistenza), così come la proprietà di essere esistente non può non essere applicabile al discorso (che in quanto tale è sempre evento reale, prima di essere vero/falso).
Ma l'ontologia si da solo come una fenomenologia, altrimenti qualsiasi entità sarebbe declinabile in qualsiasi modo capriccioso uno volesse.
E dunque la realtà del sole non è tanto quanto il discorso che se ne fa riguarda una referenza veritativa (che guarda io non contesto) ma sul fatto che direttamente io sento il calore sulla mia pelle.
Lo stesso wittgenstei su questo suo errore incommensurabile ha provato successivamente a mettere una pezza, purtroppo in cosa consista questa pezza non mi è dato di sapere, e nemmeno mi interessa.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: Alberto Knox il 26 Gennaio 2023, 16:24:48 PMl esistenza precede l essenza direbbe Sartre. Il fatto che io esista è anteriore a ciò che io sia.
Esatto, rigiro la tua obiezione a Phil, attendendo con curiosità la risposta.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Phil

Citazione di: green demetr il 26 Gennaio 2023, 22:16:05 PMMa l'ontologia si da solo come una fenomenologia, altrimenti qualsiasi entità sarebbe declinabile in qualsiasi modo capriccioso uno volesse.
E dunque la realtà del sole non è tanto quanto il discorso che se ne fa riguarda una referenza veritativa (che guarda io non contesto) ma sul fatto che direttamente io sento il calore sulla mia pelle.
Proprio l'essere "essenzialmente" fenomenologia di ogni ontologia (e proprio sentire il sole sulla tua pelle), impedisce che ogni entità sia declinata "a capriccio": è possibile un discorso falso (non un ente falso) e ce ne accorgiamo quando la fenomenologia (o la sensazione, nel tuo esempio) ci dimostra che quel discorso è falso.
La dicotomia verità/falsità del discorso, come detto, ha senso solo se rapportata all'ente (o evento, etc.) che può falsificarlo proprio perché l'ente (o evento, etc.) non è compatibile intrinsecamente con verità/falsità, ma solo con l'esistenza, che è ciò che di fatto (e di diritto) verifica o falsifica il discorso.
Il motto sartriano è una conferma, non un'obiezione, di questa prospettiva: onto-logicamente prima c'è l'esistenza (la realtà), poi il discorso (fallace o meno) su di essa, sull'essenza, sul «ciò che io sia», etc.

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