Politeismo, Spiritualismo, Monotesimo

Aperto da viator, 08 Dicembre 2022, 19:23:47 PM

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niko

#75
Citazione di: Ipazia il 19 Dicembre 2022, 08:10:28 AMBasta posticipare il passato all'origine della nostra specie per eliminare il nulla precedente, e limitare il futuro alla morte del pianeta o dell'universo, per porre nell'immanenza il senso, esente da sensi di colpa, dell'avventura antropologica godfree.

Con tutto lo spirituale e la benevolenza necessari ad accettare i fatti così come sono, senza infingimenti metafisici. Amor fati: la forma di amore più spirituale possibile. Dai greci a Nietzsche. Compresi gli orientali.


Amor fati...

Per me significa che vivere in frammento conchiuso di tempo (cosa che e' empiricamente indubitabile: dalla nascita, alla morte) non e' la stessa cosa che vivere una volta sola.

L'uno non e' l'unico.

Non si implicano.

Ne emerge una sottile differenza.

Eterno ritorno... amor fati.

Amare quello che e' unico proprio e specificamente perche' e' unico non e' amare: e' sopportare, tollerare, non vedere l'ora che finisca.

Soprattutto la vita. Soprattutto la propria, di vita.

L'amore e' pazienza infinita, e desiderio, infinito.

L'amore dice:

"Mille volte tornerai da me, e mille volte ti amero'."

Il contrario esatto del valore dell'unico valorizzato in una qualsivoglia relazione, il contrario esatto di una "occasione".

Arrediamo con saggezza il frammento conchiuso di tempo in cui siamo e in cui ci troviamo a vivere, perche' non e' neanche detto che ci dovremo vivere una sola volta.

E dunque... magari non lo so neanche io a favore di che cosa sono, ma sono contro ogni valore salvifico del nulla, come mi e' capitato di dire sia nella precedente discussione sul "distacco", che, tanto piu', in quella su Schopenahuer e l'ascesi.

Il nulla e' nulla, non ha alcuna funzione, nemmeno quella di ritagliare "giuste misure" per il "nostro" tempo.





Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Ipazia

Citazione di: niko il 19 Dicembre 2022, 15:50:36 PMAmor fati...

Per me significa che vivere in frammento conchiuso di tempo (cosa che e' empiricamente indubitabile: dalla nascita, alla morte) non e' la stessa cosa che vivere una volta sola.

L'uno non e' l'unico.

Non si implicano.

Ne emerge una sottile differenza.

Sottile davvero. L'uno ipazia vive una unica vita, implicandosene assai.

CitazioneEterno ritorno... amor fati.

Amare quello che e' unico proprio e specificamente perche' e' unico non e' amare: e' sopportare, tollerare, non vedere l'ora che finisca.

L'amor fati è un'ouverture, non l'intera opera ...

CitazioneSoprattutto la vita. Soprattutto la propria, di vita.

... che spetta all'uno di cui unicamente disponi: te nella tua vita.

CitazioneL'amore e' pazienza infinita, e desiderio, infinito.

L'amore dice:

"Mille volte tornerai da me, e mille volte ti amero'."

Il contrario esatto del valore dell'unico valorizzato in una qualsivoglia relazione, il contrario esatto di una "occasione".

L'amor fati dice "così volli che fosse".

Molto più di un'occasione tra tante: un'unica occasione.

CitazioneArrediamo con saggezza il frammento conchiuso di tempo in cui siamo e in cui ci troviamo a vivere, perche' non e' neanche detto che ci dovremo vivere una sola volta.

Lo faremmo, saggiamente, anche se dovessimo tornarci un'infinità di volte. Per "amor proprio".

CitazioneE dunque... magari non lo so neanche io a favore di che cosa sono, ma sono contro ogni valore salvifico del nulla, come mi e' capitato di dire sia nella precedente discussione sul "distacco", che, tanto piu', in quella su Schopenahuer e l'ascesi.

Il nulla lasciamolo alle tarantole.

CitazioneIl nulla e' nulla, non ha alcuna funzione, nemmeno quella di ritagliare "giuste misure" per il "nostro" tempo.

Una funzione ce l'ha, per le tarantole che avvelenano il mondo: tessere la rete della colpa per "ghermirci e nel buio (annichilente) incatenarci."

Colpa de che ?  >:( Al massimo: "debito": il filo di Anassimandro preso a credito dall'evoluzione naturale, che ci concede l'onore e l'onere di un'autocoscienza evoluta.

Un debito certamente da onorare, con l'unico valore di cui assolutamente disponiamo: l'uno che siamo.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Phil

Si può avere "fame di infinito" (altra faccia dell'horror vacui) al punto da pensare non infinita la retta del tempo, bensì infinite le volte che percorriamo la circolarità del tempo. Si può pensare di essere un'eternità inconsapevole della propria ciclicità. Quello che si fa fatica a pensare, anche solo ad intuire, è il proprio non esserci più; la biologia stessa ci "programma" per essere attaccati alla vita, tanto che la voglia di non vivere più viene letta da molti come una "malattia", più che una radicalizzazione della padronanza della propria vita (fino a privarsene).
In fondo, la prima salvezza, quella che tutti (o quasi) chiedono a qualsiasi religione, è la salvezza dalla morte. Curioso, ma solo fino a un certo punto, che nessuna religione abbia contrapposto al premio del gaudio eterno e alla punizione della sofferenza per l'eternità, il tertium della mera morte biologica senza un dopo; quasi fosse tabù teoretico il solo pensare ad una spiritualità senza un necessario post-mortem. Questo perché la prospettiva di un'eternità, sia essa premio o punizione (v. comportamentismo elevato alla trascendenza), è quello su cui tutti vogliono "istintivamente" puntare. O meglio, quasi tutti: c'è una "religione" che, in alcune sue diramazioni, propone come traguardo ultimo l'estinzione, la cessazione del ciclo delle (ri)nascite. Tuttavia, non a caso, anch'essa è stata recepita a livello popolare come "promessa di paradiso", mentre "in realtà" (dottrinalmente parlando) il Nirvana è negazione, spegnimento (etimologicamente) dell'"esistenza condizionata", senza più eternità né sete di essa. Al netto delle narrazioni dottrinali e del ruolo etico-spirituale di tale credenza, quella del "sommo traguardo" come cessazione dell'esistenza, se ci si pensa attentamente, è una prospettiva piuttosto disincantata e "oggettiva" della vita; magari non rincuorante per tutti, certo, ma non è detto che la verità debba per forza esserlo sempre.

niko

Citazione di: Phil il 19 Dicembre 2022, 18:13:30 PMSi può avere "fame di infinito" (altra faccia dell'horror vacui) al punto da pensare non infinita la retta del tempo, bensì infinite le volte che percorriamo la circolarità del tempo. Si può pensare di essere un'eternità inconsapevole della propria ciclicità. Quello che si fa fatica a pensare, anche solo ad intuire, è il proprio non esserci più; la biologia stessa ci "programma" per essere attaccati alla vita, tanto che la voglia di non vivere più viene letta da molti come una "malattia", più che una radicalizzazione della padronanza della propria vita (fino a privarsene).
In fondo, la prima salvezza, quella che tutti (o quasi) chiedono a qualsiasi religione, è la salvezza dalla morte. Curioso, ma solo fino a un certo punto, che nessuna religione abbia contrapposto al premio del gaudio eterno e alla punizione della sofferenza per l'eternità, il tertium della mera morte biologica senza un dopo; quasi fosse tabù teoretico il solo pensare ad una spiritualità senza un necessario post-mortem. Questo perché la prospettiva di un'eternità, sia essa premio o punizione (v. comportamentismo elevato alla trascendenza), è quello su cui tutti vogliono "istintivamente" puntare. O meglio, quasi tutti: c'è una "religione" che, in alcune sue diramazioni, propone come traguardo ultimo l'estinzione, la cessazione del ciclo delle (ri)nascite. Tuttavia, non a caso, anch'essa è stata recepita a livello popolare come "promessa di paradiso", mentre "in realtà" (dottrinalmente parlando) il Nirvana è negazione, spegnimento (etimologicamente) dell'"esistenza condizionata", senza più eternità né sete di essa. Al netto delle narrazioni dottrinali e del ruolo etico-spirituale di tale credenza, quella del "sommo traguardo" come cessazione dell'esistenza, se ci si pensa attentamente, è una prospettiva piuttosto disincantata e "oggettiva" della vita; magari non rincuorante per tutti, certo, ma non è detto che la verità debba per forza esserlo sempre.


Se e' per questo esiste tutto un filone annichilazionista eretico nel cristianesimo, dagli albori ai moderni noiosissimi testimoni di Geova.

L'idea alla base e' semplice: se Dio e' giusto ma buono, la punizione che egli riserva ai cattivi e' semplicemente il non-premio: i buoni andranno in paradiso, e i cattivi saranno annientati per sempre.

Nessuno, sara' punito per un male finito con una tortura infinita, il che, se Dio e' un padre buono, ci sta tutto.

In questa concezione, in cui non esiste l'inferno, tutti possono sperare nella morte come realta' che pone fine alla sofferenza umana, il che e' la consolazione minima al male di vivere che tocchera' a tutti; chi vuole di piu', e in particolare chi vuole una consolazione oltre la vita terrena che non sia solo un negativo oscuro della sofferenza ma un esperibile e perenne vissuto di gioia, puo', liberamente, mettersi in cammino per cercare la santita', e dunque il paradiso.

Ovviamente, questa concezione senza diavoloni e tridenti, ma basata sull'interrogare molto piu' seriamente le coscienze di ogni fedele su cosa possa essere di positivo e concreto la gioia al di la' del mero negativo "oscuro" e "larvale" della sofferenza e quanto siamo disposti a sacrificare per ottenerla, non metteva paura a nessuno, e quindi non era adatta a fondarci sopra la Chiesa.

Per questo ha avuto poco successo.




Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

baylham

Citazione di: Phil il 19 Dicembre 2022, 18:13:30 PMQuesto perché la prospettiva di un'eternità, sia essa premio o punizione (v. comportamentismo elevato alla trascendenza), è quello su cui tutti vogliono "istintivamente" puntare. O meglio, quasi tutti: c'è una "religione" che, in alcune sue diramazioni, propone come traguardo ultimo l'estinzione, la cessazione del ciclo delle (ri)nascite. Tuttavia, non a caso, anch'essa è stata recepita a livello popolare come "promessa di paradiso", mentre "in realtà" (dottrinalmente parlando) il Nirvana è negazione, spegnimento (etimologicamente) dell'"esistenza condizionata", senza più eternità né sete di essa. Al netto delle narrazioni dottrinali e del ruolo etico-spirituale di tale credenza, quella del "sommo traguardo" come cessazione dell'esistenza, se ci si pensa attentamente, è una prospettiva piuttosto disincantata e "oggettiva" della vita; magari non rincuorante per tutti, certo, ma non è detto che la verità debba per forza esserlo sempre.
Il buddismo non mi appare affatto una prospettiva "oggettiva" della vita. Proporsi addirittura il  "traguardo ultimo dell'estinzione del ciclo delle (ri)nascite" mi appare come la massima esaltazione della soggettività, della volontà e della potenza umana. 
L'ennesima proposta o promessa di un obiettivo impossibile, disumano, di cui personalmente non avverto alcun interesse, desiderio o necessità.

Tornando al tema iniziale non vedo alcun nesso diretto tra politeismo e fatalismo, tra monoteismo e fanatismo, tra spiritualismo e trascendenza.

Sono profondamente distante dallo spiritualismo di qualunque genere, mentre ritengo che il concetto di trascendenza, assieme a quello opposto di immanenza, sia interessante, valido per ogni modello di analisi sistemica.

Phil

@baylham
L'"oggettività" (non a caso posta fra virgolette) di un certo buddismo non sta nel postulare un ciclo di rinascite, tutt'altro che oggettivo, ma nel porre alla fine (e come il fine) la cessazione della vita, similmente a quanto accade, appunto oggettivamente (senza virgolette), sulla terra. Capisco l'esaltazione della soggettività, tipica della responsabilizzazione individuale che propone ogni religione, ma non colgo in che senso l'estizione del ciclo delle rinascite sia «esaltazione della volontà e della potenza», considerando come tale cessazione non sia solitamente voluta (v. suddetto attaccamento alla vita, "fame di eternità", etc.) e non sia espressione della potenza umana (se non piuttosto espressione dell'impotenza umana di fronte all'impermanenza dell'essere).

@niko
Grazie davvero per la segnalazione, ignoravo esistesse quel «filone annichilazionista eretico», cercherò di curiosare in merito, anche se la tua esposizione mi ha già spiegato bene il nucleo centrale dell'impostazione "eretica".

Duc in altum!

Citazione di: Jacopus il 19 Dicembre 2022, 09:54:00 AMPer Duc. Questo sarebbe il messaggio rivoluzionario del cristianesimo se applicato senza compromessi, come invece il cristianesimo pratica da millenni.
No, questo è F. Dostoevski (per carità, nulla contro di lui), non il Vangelo.

Citazione di: Jacopus il 19 Dicembre 2022, 09:54:00 AMÈ vero che al peccatore si da la possibilità di cambiare, ma se non cambia e muore nel peccato è responsabilità di tutti, non solo del peccatore singolo.
Fino a un certo punto, io non mi sento responsabile per Riina, Castro o Crudelia de Mon.
Anche perché così sta scritto:                                                                                                                                                                               
Al termine di questi sette giorni mi fu rivolta questa parola del Signore: «Figlio dell'uomo, ti ho posto per sentinella alla casa d'Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia. Se io dico al malvagio: Tu morirai! e tu non lo avverti e non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta perversa e viva, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te. Ma se tu ammonisci il malvagio ed egli non si allontana dalla sua malvagità e dalla sua perversa condotta, egli morirà per il suo peccato, ma tu ti sarai salvato.
Così, se il giusto si allontana dalla sua giustizia e commette l'iniquità, io porrò un ostacolo davanti a lui ed egli morirà; poiché tu non l'avrai avvertito, morirà per il suo peccato e le opere giuste da lui compiute non saranno più ricordate; ma della morte di lui domanderò conto a te. Se tu invece avrai avvertito il giusto di non peccare ed egli non peccherà, egli vivrà, perché è stato avvertito e tu ti sarai salvato». (Libro di Ezechiele)

Citazione di: Jacopus il 19 Dicembre 2022, 09:54:00 AMIn realtà il cristianesimo si muove tramite una doppia verità: il perdono e il castigo, ma la percezione finale sembra essere quella di una sovrapposizione con il sistema economico/politico vigente, per il quale la condanna va ai "dannati della terra", mentre il perdono spetta agli "eletti".
In realtà il cristianesimo si muove attraverso gli uomini e le donne che non si oppongono allo Spirito Santo, che è l'unico direttore dell'orchestra.

Per quel che riguarda la percezione politica - essendo la cristianità stata sepolta nel Concilio Vaticano II -  non saprei che dirti, ma, sicuramente, col binomio 'dannati/eletti" stai attingendo più allo gnosticismo (già denunciato da Bergoglio in Gaudete et Exsultate) che al cristianesimo.

Citazione di: Jacopus il 19 Dicembre 2022, 09:54:00 AMIn realtà il cristianesimo se applicato con il criterio dello starec Zosima, sarebbe così rivoluzionario da oscurare ogni rivoluzione marxista.
La rivoluzione marxista - come ogni menzogna di condurre l'essere umano alla verità - si è oscurata da sola.

Il cristianesimo, egregio @Jacopus, non è qualcosa d'applicare - l'alleanza nella Legge è stata sostituita dalla nuova alleanza con le Beatitudini (ecco, se può servirti, politicamente, sarebbero la Costituzione del Regno di Dio) - ma qualcuno da imitare.
Non ci sono altri criteri ...fede concedendo!
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

niko

#82
Citazione di: Ipazia il 19 Dicembre 2022, 17:23:55 PMSottile davvero. L'uno ipazia vive una unica vita, implicandosene assai.

L'amor fati è un'ouverture, non l'intera opera ...

... che spetta all'uno di cui unicamente disponi: te nella tua vita.

L'amor fati dice "così volli che fosse".

Molto più di un'occasione tra tante: un'unica occasione.

Lo faremmo, saggiamente, anche se dovessimo tornarci un'infinità di volte. Per "amor proprio".

Il nulla lasciamolo alle tarantole.

Una funzione ce l'ha, per le tarantole che avvelenano il mondo: tessere la rete della colpa per "ghermirci e nel buio (annichilente) incatenarci."

Colpa de che ?  >:( Al massimo: "debito": il filo di Anassimandro preso a credito dall'evoluzione naturale, che ci concede l'onore e l'onere di un'autocoscienza evoluta.

Un debito certamente da onorare, con l'unico valore di cui assolutamente disponiamo: l'uno che siamo.


Senza stare a farla troppo lunga perche' fuori tema, il: "cosi' volli che fosse" nietzscheano ha a che fare con il recuperare il passato alla disponibilita' della volonta', sotto forma di futuro, per affermare l'ubiquita' del divenire.

Tutto questo e' in rapporto di opposizione, con tutte le morali e le logiche umane, sia pure molto pratiche ed intuitive, che si basano sull'unicita', della singola vita che ci e' toccata in sorte, come assunto e premessa, e poi cercano di dedurne qualcosa, tanto piu' qualcosa di vincolante o morale; e' in contrasto, insomma, con il  concetto di "occasione", e tanto piu' con quello di "occasione unica": non esiste nessuno stato definitivo e non ulteriormente mutevole del cosmo, neanche il presunto, e non reale, stato definitivo di esso che potrebbe essere il passato; quindi non si possono "perdere" le occasioni.

Insomma ogni "morale dell'unico", di cui Max Stirner possiamo dire che e' il culmine, ma di cui anche il cristianesimo di cui parliamo qui e' un esempio, e' gravata dalla paura, e dalla tristezza, irrealistica per una perdita (ad esempio della vita stessa), o dalla minimizzazione irrealistica del dolore della vita in quanto il dolore stesso e' presunto unico (basta sopportarlo UNA volta, e si presume che poi passi), o dalla sopravvalutazione stolta della vita a causa del suo presunto terminare nella morte, o da un economicismo del possibile contro il desiderio, per cui dall' "unicita' dell'occasione" all' "elogio dell'accontentarsi" il passo e' breve: tutte queste morali, NON sono morali dell'amor fati, sono i sepolcri imbiancati contro cui l'amor fati e' gettato; dire che la vita potrebbe essere parte di una serie molteplice, e' un urlo di rivolta contro tutte le morali dell'unicita' della vita: se fossimo davvero convinti di dover vivere, per esempio, altre centomila volte, cambierebbero le nostre paure e avversioni, e quello che prima ci faceva paura,  smetterebbe di colpo di farci paura, e quello che prima ci era quasi indifferente, e ci suscitava al massimo una scrollata di spalle, magari inizierebbe a farci una paura, appunto, cosmica; cambierebbero le nostre priorita', i nostri obbiettivi, la direzione e il contenuto dei nostri sensi di colpa, anche senza necessariamente superarli.

Una morale dell'infinita' della vita, sarebbe molto diversa, da tutto quello che c'e' sotto il sole adesso.

In parole povere, si tratta di partire come premessa dalla "non unicita' ", della nostra singola vita colta in questo suo singolo tracorrere, e di dedurre "qualcos'altro", rispetto a millenni di sagge, ma che ad alcuni strani uomini possono pure andate strette, deduzioni basate invece sulla sua unicita'.



Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Ipazia

@niko

L'unicità della vita individuale è un dato biologico di fronte al quale anche la metafisica si deve inchinare. Il "così volli che fosse" è la sottomissione della volontà, e di tutte le sue velleità di potenza, al fato, che tradotto in soldoni è il percorso evolutivo della nostra specie. Primum vivere, deinde ...

Costruire sul dato biologico una unicità ideologica stirneriana o percorsi di salvezza trascendenti individuali è operazione fallace, ma lo è pure dissolvere, per non dire "annichilire", il soggetto in un divenire totalmente altro da lui. Per le "occasioni", il carpe diem basta e avanza, e ormai è consolidato nel repertorio filosofico.

Citazione di: baylham il 20 Dicembre 2022, 01:28:54 AMSono profondamente distante dallo spiritualismo di qualunque genere, mentre ritengo che il concetto di trascendenza, assieme a quello opposto di immanenza, sia interessante, valido per ogni modello di analisi sistemica.

Con lo "spirito" si deve, bene o male convivere, altrimenti i teisti ti prendono in castagna sulle domande metafisiche fondamentali: da dove veniamo, dove andiamo, che senso - come direzione e valore - ha la nostra vita, ha il mondo, l'universo, cos'è bene e cos'è male, ecc...?

La mia scommessa è rifondare lo spirito sull'immanenza, scansando tanto la reazione confessionale che l'inumanesimo scientista. Una terza via, come piace a Phil.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

baylham

Citazione di: Phil il 20 Dicembre 2022, 10:23:31 AM@baylham
L'"oggettività" (non a caso posta fra virgolette) di un certo buddismo non sta nel postulare un ciclo di rinascite, tutt'altro che oggettivo, ma nel porre alla fine (e come il fine) la cessazione della vita, similmente a quanto accade, appunto oggettivamente (senza virgolette), sulla terra. Capisco l'esaltazione della soggettività, tipica della responsabilizzazione individuale che propone ogni religione, ma non colgo in che senso l'estizione del ciclo delle rinascite sia «esaltazione della volontà e della potenza», considerando come tale cessazione non sia solitamente voluta (v. suddetto attaccamento alla vita, "fame di eternità", etc.) e non sia espressione della potenza umana (se non piuttosto espressione dell'impotenza umana di fronte all'impermanenza dell'essere).
La cessazione della vita di un individuo, la morte, è un processo oggettivo, nel senso di riconosciuto dagli uomini collettivamente. Ma per quanto riguarda la nascita e la morte, sia individuale che collettiva, per non parlare dello "spegnimento dell'essere", penso che non siano oggettivamente disponibili come traguardo o fine dell'uomo, e che quindi siano l'ennesima missione impossibile alla quale preferisco non partecipare.

niko

#85
Citazione di: Ipazia il 20 Dicembre 2022, 17:17:29 PM@niko

L'unicità della vita individuale è un dato biologico di fronte al quale anche la metafisica si deve inchinare. Il "così volli che fosse" è la sottomissione della volontà, e di tutte le sue velleità di potenza, al fato, che tradotto in soldoni è il percorso evolutivo della nostra specie. Primum vivere, deinde ...

Costruire sul dato biologico una unicità ideologica stirneriana o percorsi di salvezza trascendenti individuali è operazione fallace, ma lo è pure dissolvere, per non dire "annichilire", il soggetto in un divenire totalmente altro da lui. Per le "occasioni", il carpe diem basta e avanza, e ormai è consolidato nel repertorio filosofico.

Con lo "spirito" si deve, bene o male convivere, altrimenti i teisti ti prendono in castagna sulle domande metafisiche fondamentali: da dove veniamo, dove andiamo, che senso - come direzione e valore - ha la nostra vita, ha il mondo, l'universo, cos'è bene e cos'è male, ecc...?

La mia scommessa è rifondare lo spirito sull'immanenza, scansando tanto la reazione confessionale che l'inumanesimo scientista. Una terza via, come piace a Phil.


Cara Ipazia, ben pochi tra gli uomini, (se non proprio nessuno!) vorrebbero la ripetizione esatta della loro vera vita terrena per come essa e' ed e' stata; quasi tutti vorrebbero l'immortalita', o una vita migliore (come si dice, passare a miglior vita!) o trovare un qualche tipo di conforto romantico al male e allo sforzo del loro vivere tra le braccia della morte, o del Nirvana. 

Quello che si vuole in vita, tale e quale si spera di trovare nella tomba o nell'oltretomba, solo un bel po' eternizzato ed amplificato; tutti vorrebbero concretamente stare meglio, ed ecco che il parossismo di questo volere e' il sogno metafisico di andare, dopo morti, in un qualche paradiso; tutti vorrebbero, e a tratti ottengono, una negazione narcotica ed obliante della sofferenza gia' in vita, ed ecco tutti i miti romantici ed ascetici della Morte come grande consolatrice, come angelo della finitudine della sofferenza umana, o come espoliatrice dalla superbia e dal male.

E inoltre, tutti vorrebbero essere unici, tutti vorrebbero vivere nell'occasione, tutti vorrebbero essere resi "speciali" dalla realta' della nascita e della morte, del nutrimento e dell'economia (politica e non); ed ecco tutte le conseguenti morali ideologiche dell'unico. Che confinano con quelle, propriamente emergenziali, della scarsita'.

La volonta' non si sottomettera' al fato mai, perche' volonta' e fato sono la stessa cosa.

Noi vogliamo sopravvivere, e a tratti giochiamo il videogioco che ci passa davanti agli occhi come se avessimo una vita sola, e noi vogliamo vivere, e a tratti giochiamo lo stesso videogioco come se avessimo piu' vite, ovvero costruiamo, pur con tutti suoi difetti, l'umana civilta'.

A partire dal culto dei morti. Che e' la prima apertura della vita alla dimensione del suo stesso non-unico.

Del suo continuo ritorno presso i vivi. Anche solo memorico.








Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

baylham

Citazione di: Ipazia il 20 Dicembre 2022, 17:17:29 PMCon lo "spirito" si deve, bene o male convivere, altrimenti i teisti ti prendono in castagna sulle domande metafisiche fondamentali: da dove veniamo, dove andiamo, che senso - come direzione e valore - ha la nostra vita, ha il mondo, l'universo, cos'è bene e cos'è male, ecc...?

La mia scommessa è rifondare lo spirito sull'immanenza, scansando tanto la reazione confessionale che l'inumanesimo scientista. Una terza via, come piace a Phil.

Non è possibile convivere con lo "spirito". Logicamente la trascendenza significa l'impossibilità di qualunque relazione tra una parte e il sistema di cui è parte. Per cui lo spiritualismo e il teismo mi appaiono ingenui.


Ipazia

Citazione di: baylham il 21 Dicembre 2022, 16:48:43 PMNon è possibile convivere con lo "spirito". Logicamente la trascendenza significa l'impossibilità di qualunque relazione tra una parte e il sistema di cui è parte. Per cui lo spiritualismo e il teismo mi appaiono ingenui.

Noi conviviamo con la nostra psiche che produce le domande che ho esposto sopra. Kant lo chiama trascendentale, Wittgenstein lo chiama mistico, la scienza la chiama psiche. Lo spirito puoi cacciarlo da porta, ma rientra dalla finestra, e i teisti di vanno a nozze. Da a-teista, desidero banchettare anch'io, con le mie ricette, partecipando alla competizione "per l'anima".
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

baylham

Se la coscienza è parte dell'uomo, allora l'uomo non convive con la sua coscienza, sono due livelli logicamente distinti, separati: l'uomo non ha relazione con la sua coscienza e la coscienza non ha relazione con l'uomo di cui è parte.

Ipazia

Citazione di: baylham il 22 Dicembre 2022, 02:27:40 AMSe la coscienza è parte dell'uomo, allora l'uomo non convive con la sua coscienza, sono due livelli logicamente distinti, separati: l'uomo non ha relazione con la sua coscienza e la coscienza non ha relazione con l'uomo di cui è parte.

La convivenza di ogni vivente con la sua (auto)coscienza non è questione logica, bensì bio-logica. 

L'unità psicosomatica è indissolubile, restando nel campo dell'umano che alimenta la sfera "spirituale" di pensiero e azione. La scissione è possibile, ma come patologia: individuale e sociale.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

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