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SOLIPSISMO 2

Aperto da daniele22, 12 Dicembre 2022, 09:47:08 AM

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niko

Citazione di: Ipazia il 13 Dicembre 2022, 16:17:55 PML'io solipsistico può ritenere la sofferenza umana come una illusoria proiezione della sua mente, al pari della felicità umana.j Vana ogni ricerca di senso in questa proiezione cinematografica in cui tutto si equivale e diventa reale solo nel regista dello spettacolo: l'io solipsistico.

Forse qui non si e' capito che non si tratta solo di un film: il termine "proiettare", ai fini di questo discorso, significa "essere causa".

Nel solipsismo, l'io ha piu' realta' del mondo perche' l'io e' causa del mondo, e non vale il viceversa.

Questa, e non un'altra, e' la nostra premessa, naturalmente se vogliamo argomentare per assurdo che il solipsismo valga.

Ora, io penso che nessuno, potendo scegliere, sceglierebbe quel fritto misto di felicita' e sofferenza che e' mediamente la vita.

Tutti, potendo scegliere sceglierebbero la perfetta felicita'.

Quindi, se io proietto il mondo, e il mondo mi rimanda il misto di felicita' e sofferenza, se proprio mi incaponisco e per qualche ragione non voglio scartare l'affermazione di base che:

"io proietto il mondo" (quindi ne sono unica causa)

devo mio malgrado ammettere che non ho il controllo della mia stessa proiezione, insomma che  io si' proietto il mondo, ma un po' a casaccio, con dei notevoli errori di sistema che creano problemi non solo ai personaggi di finzione con cui l'ho popolato, ma finanche a me che ne sono il "regista", non come lo farebbe un dio onnipotente e beato.

E' per questo che io trovo l'ipotesi del solipsismo estremamente inquietante.

Se uno la guarda bene, in fondo non e' un'ipotesi paranoica, di controllo sopra ogni cosa, ma angosciosa, di assenza del controllo.

Io proietto un mondo che non e' quello che voglio. Quindi al mondo non c'e' nessun altro che me, a cui domandare il perche', di questa strana differenza, intercorrente tra volere e realta'.

Tanto che potrei dubitare di essere trasparente a me stesso e di avere in me una volonta' univoca in grado di risolversi nel decidere qualsiasi cosa, pur mantenendo il potere "sommo" di proiettare, come la causa l'effetto, il mondo.


Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Ipazia

Molto bello questo sviluppo critico, ma l'attività creatrice dell'io solipsistico "proiettivo" la vedo alquanto forzata. 

Mi pare piuttosto una resa di fronte alla realtà, percepita per qualche strano motivo così  com'è,  ma senza alcuna possibilita di verifica dall'antro in cui l'io solipsistico confina se stesso.

Se la creazione ha a che fare con la volontà di potenza, quella dell'io solipsistico è inesorabilmente condannata ad una condizione di impotenza.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

daniele22

Citazione di: niko il 13 Dicembre 2022, 12:51:17 PMForse sono stato troppo lungo e non chiaro...

Sostanzialmente il solipsismo si puo' intendere in due modi, quindi, possiamo dire ci sono due tipi di solipsismo: o (1) io proietto il mondo come un Dio gnostico o biblico, quindi secondo autocoscienza E secondo volonta' , facendone di fatto un sogno lucido in cui io decido cosa succede e chi incontro, oppure (2) io proietto il mondo si', ma come un semplice e scalcagnato IO (tipico di certa filosofia moderna da Cartesio in poi), cioe' in qualche modo lo proietto SOLO secondo autocoscienza, in maniera "meramente" proiettiva ed illusiva, con la volonta' che resta sullo sfondo e puo' ben essere frustrata, lasciando spazio all'implicazione della sofferenza.

Ora, la 1 la si scarta subito perche' chiunque con un minimo di sale in zucca puo' constatare che lui non e' onnipotente e beato  come il Dio biblico: al mondo c'e' la sofferenza, e lui stesso soffre.

Con cio', fine del solipsismo del Dio, resta solo da analizzare il solipsismo dell'io.

La 2 e' aporetica, nessuno puo' dimostrare ne' che sia vera, ne' che sia falsa.

Pero' e aporetica ed inquietante, perche' io, proiettando il mondo a prescindere dalla mia volonta', sono RESPONSABILE, di tutta la sofferenza che c'e' nel mondo, e della mia sofferenza; se il mondo e' interamente e senza residuo proiezione dell'io, e l'io soffre, e l'io non sa e non "ammette" di voler soffrire, allora ci sono parti e frazioni dell'io, altrettanto proiettive del mondo, ma non manifeste e non espresse, che in qualche modo vogliono soffrire e lo fanno soffrire.

Insomma se al mondo ci sono solo io, la sofferenza non si spiega in altro modo se non che von una mia responsabilita' personale, per quanto non volontaria.




Ciao niko, intervengo perché mi sembrava che il tuo post fosse diretto a me, più che a Pio, comunque Pio può benissimo sentirsi parte in causa, non so. Il tuo discorso non mi sembra più di tanto sensato. Intanto parli di mente sempre dimenticando il corpo. Riguardo al punto 1 non ti sembra che un semplice individuo come E.Musk faccia già quel che vuole abbastanza senza peraltro sapere se si tratti di un solipsista? Forse dovrà accontentarsi di essere un Dio tra altri Dei, ma si dice che chi si accontenta gode. Al punto 2 fai entrare in scena la volontà di cui parlerò più avanti. Ti dirò quindi che il solipsismo è solo un modo di approcciarsi alla conoscenza rispetto ad un altro. Non vi sarebbe nulla di più. O separi il conoscitore da quel che conosce, o non lo separi. Pertanto, visto che almeno nella nostra tradizione abbiamo sempre agito separandolo (il conoscitore dal conosciuto), possiamo ovviamente constatare che i prodotti della nostra conoscenza attuale sono nelle nostre mani, perfettibili ma abbastanza efficienti mi sembra. Ora si tratta di decidere se sia il caso di introdurre l'individuo con la sua conoscenza personale integrandolo con la nostra conoscenza collettiva, oppure no. Cosa cambia? Prima di dire cosa cambia ci sarebbero da fare un paio di osservazioni. La prima è un distinguo tra la conoscenza collettiva e quella individuale. Il distinguo è rivolto alla qualità e non all'adeguatezza o alla quantità. La seconda riguarda la volontà. Per quel che attiene alla volontà bisogna pur dire che tu eserciti più o meno costantemente una volontà: pochi sarebbero cioè i momenti di completo abbandono. Pertanto, quando scrivi qui dentro eserciti una volontà che di sicuro è quella che ti fa digitare i pensieri, ma non è che l'espressione di questi pensieri sia avulsa da una volontà che a noi è senz'altro sconosciuta in tutto e per tutto. E' però cosa certa che quel che scrivi attinge ad una conoscenza, ma questa conoscenza a cui attingi è appunto qualitativamente identificabile con la conoscenza collettiva? No, dico io, qui si tratta di una conoscenza costituitasi su una memoria personale che è al tempo stesso emozionale e razionale, mentre la conoscenza collettiva resta praticamente nei campi di esistenza della sola memoria razionale. Dato che qui siamo in un luogo dove sembra ci sia poco da guadagnare, sia in termini di danaro che di potere, il problema più di tanto non si pone, ma in altri luoghi? Evidenzio quindi un problema abbastanza attuale. Come fai a distinguere una persona onesta nella sua azione o nella sua espressione di pensiero, da una disonesta? In parole povere, quanta vita collettiva è inquinata da coscienze o conoscenze individuali che non agiscono in modo onesto, ovvero agiscono conformemente alle leggi, ma non conformemente all'etica di una persona per bene in tutti i sensi? Per tale motivo io auspicherei che il conoscitore sarebbe meglio integrarlo nel conosciuto, e vedere così da fuori l'unità criticandola sotto una nuova luce, tutto al fine di intervenire in modi più efficaci per noi nella nostra cara realtà umana

Pio

Creiamo anche incubi e paure  con la nostra mente , quindi si , la sofferenza della vita potrebbe essere una nostra costruzione, ovviamente inconsapevole. Quanto dolore ci creiamo inutilmente? Personalmente tantissimo. Non voglio soffrire eppure creo la mia sofferenza in continuazione,   causa ignoranza del mio vero bene, credo.
Non ci abitueremo mai ai metodi ruvidi di Dio, Joseph (cit. da Hostiles film)

Il_Dubbio

E' difficile per me stabilire se il solipsismo sia una filosofia sostenibile. 
Effettivamente ho sempre creduto che per certi versi tutto il mondo, quello che io penso sia reale e che sia fuori dalla mia esperienza mentale, esista "oggettivamente". Però anche questa è una convinzione che mi lascia qualche dubbio. Dopo tutto esisterebbe un mondo reale se non ci fosse una mente che lo percepisca cosciententemente? Un universo senza qualcuno che lo guardi sarebbe reale? Sembrerebbero "reali" molto piu le "relazioni" fra le menti che il mondo esterno alle menti stesse. D'altra parte le considerazioni su un mondo che invece esiste solo perchè è pensato, non avrebbero senso se non ci fosse un mondo reale da pensare. In altre parole perche pensiamo a quel mondo e solo a quello, e che ci sembra reale, anche se sappiamo che non lo è, e non ad altri mondi? Se non ci fosse un mondo reale la fuori allora perche tutti siamo d'accordo su alcuni (o molti) aspetti che ci accomunano? Sembrerebbe che siamo noi a dare al mondo delle sembianze, che riconosciamo in modo comune, mentre il mondo non ha alcuna caratteristica particolare oggettiva. Il mondo come un quadro nero (direi morto) e le menti come tanti pennarelli colorati che ravvivano cose prima inanimate. 
Per certi versi questo non è poi cosi lontano dalla mia visione iniziale (dovrei dire kantiana): vediamo le cose (il mondo la fuori) attraverso la nostra mente, non possiamo vederle cosi come sono, ma possiamo  farcene un'idea alle volte anche troppo colorata rispetto a quelle che sono realmente. Magari sono proprio nere. 
Tutto questo parlare però non mi smove ancora dal dubbio che sta sotto. Ma se io non ci fossi, o non fossi mai stato, o quando non ci sarò più, esisterà qualcosa? Razionalmente mi verrebbe da dire di no. Quindi sono solipsista? Non ho ancora deciso :-\  

Ipazia

#20
È un dubbio che si supera facilmente ogni volta che lo stomaco reclama il cibo e ci si dà una martellata sul dito. La realtà oggettiva incombe beffarda sullo scetticismo metafisico, costretto ad arrampicarsi sul vetro della percezione per conservare una parvenza di razionalità.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Jacopus

Post interessante. Il nucleo dell'indagine è conoscitivo con qualche puntata sul campo dell'azione etica. Puntate inevitabili poiché il modo con cui il soggetto crede di conoscere il mondo, condiziona la sua azione, come ha fatto rilevare Niko.
La mia posizione è inevitabilmente ed ellenisticamente "mesotes", ovvero mediana, sia a livello conoscitivo che a livello etico.
Ma occorre anche fare una premessa. La cultura occidentale rincorre da millenni anche la posizione antidialettica dell'Uno, che riduce le differenze e il polemos. In questo processo i giochi sono sempre a somma zero. C'è un vincitore e un vinto, c'è un soggetto ed un oggetto, c'è una azione e un azionato. Soggetto ed oggetto in questo modo sono entrambi reificati e finisce per non esistere più nessun soggetto vero. La possibile reazione è quella di rifugiarsi nel proprio solipsismo, ed è la soluzione più facile ma anche più sterile. L'altra,  che aprirebbe un'altro vasto discorso è quello di aggiungere un altro elemento alla diade soggetto/oggetto, ovvero, l'intersoggettività, come ha fatto notare Iano e, prima di lui, una corrente molto nutrita di postmarxisti.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Pio

Per me l'intersoggettivita' incombe quasi come una martellata sulle dita o come lo stomaco che reclama, volenti o più spesso purtroppo nolenti. Perché molto spesso si preferirebbe aver poco a che fare con gli altri esseri umani. È un po' pesante psicologicamente questa "pressione" sociale al DOVERE quasi di interagire sempre. Considerato come BENE anche se dentro di te non senti tutto questo bene oggettivamente. Anzi. Il compromesso continuo stanca e logora. Così quando gli anni passano ti va anche bene interagire meno. È quasi in sollievo.
Non ci abitueremo mai ai metodi ruvidi di Dio, Joseph (cit. da Hostiles film)

Ipazia

#23
La prima intersoggettività, di cui è impossibile non farsene una ragione senza impazzire, è il nostro corpo.

Da lì seguono tutte le altre, con i derivati mentali di empatia e antipatia, che il nostro libero arbitrio permette di tarare entro i margini di libertà che ci sono concessi e che abbiamo, anche mentalmente, conquistato.

Ma questo riguarda il solipsismo esistenziale, non quello metafisico che è totalmente insensato nella sua inattuabilità.

pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Jacopus

ciao Pio. Non so quanti anni hai, ma io che ho superato la cinquantina da un pezzo, non posso fare altro che concordare. Ma questa condizione, a mio parere, deriva proprio da quel processo che esclude l'intersoggettività su un piano paritario, per affermare il modello soggetto/oggetto, dove c'è sempre un vincitore e un vinto, un incube ed un succube, che possono anche sostituirsi nei ruoli, come accade di solito dopo le rivoluzioni, ma che non lascia scampo alla logica finale.

Una ulteriore precisazione, perchè i pensieri portano sempre altri pensieri. L'Uno occidentale è diverso dall'Uno orientale di cui ha parlato Eutidemo. L'Uno occidentale è alimentato dalla Potenza ed il suo simbolo è l'Eroe. L'Uno orientale è alimentato dall'equilibrio e il suo simbolo è l'Alveare. Sono suggestioni, che alimentano altri discorsi ed uno soprattutto. Se l'Uno occidentale è potenza e gioco a somma zero, come è stato possibile che la democrazia sia stata inventata in Occidente?
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

atomista non pentito

Nella mia ignoranza e consapevole di avere convinzioni sul SOLIPSISMO quantomeno fumose sono andato a "vedermi" un po' di pagine relative a tale pensiero traendone una certezza. Difficilmente avremo neo solipsisti fra gli Ucraini che cercano di non morire di freddo quest'inverno , fra i tanti che tentano di non morire di fame nel mondo o anche meno drammaticamente fra i contadini che stanno preparando la terra per il nuovo anno o i muratori che  stanno magari tirando su muri all'addiaccio. Qui la consapevolezza che i disagi piu' o meno drammatici NON sono generati autonomamente dal soggetto sara' evidente.

atomista non pentito

Citazione di: Pio il 14 Dicembre 2022, 09:57:25 AMPer me l'intersoggettivita' incombe quasi come una martellata sulle dita o come lo stomaco che reclama, volenti o più spesso purtroppo nolenti. Perché molto spesso si preferirebbe aver poco a che fare con gli altri esseri umani. È un po' pesante psicologicamente questa "pressione" sociale al DOVERE quasi di interagire sempre. Considerato come BENE anche se dentro di te non senti tutto questo bene oggettivamente. Anzi. Il compromesso continuo stanca e logora. Così quando gli anni passano ti va anche bene interagire meno. È quasi in sollievo.
Mi sembra ( ma posso sbagliarmi) che il solipsismo abbia poco a che vedere con l'essere degli "orsi" ( lo sono anch'io e sempre piu') Anzi , l'essere asociale e' , a mio parere la vera negazione del solipsismo.... ( ossia si individua benissimo che il problema percepito e' generato fuori di noi e non da noi)

Eutidemo

Ciao Daniele22.
Temo di aver fatto un po' di confusione tra il tuo topic e quello mio; il quale, partendo dalla percezione del tempo rispetto alla sua realtà, è finito per scantonare anche quello nel contiguo tema del "solipsismo".
Per cui le mie scuse vanno rivolte principalmente a te, più che a tutti gli altri.
***
Ed infatti devo proprio aver perso il "filo" del tuo ragionamento!
***
Pertanto mi limito alla tua ultima osservazione: "Il nesso causale tra il noumeno ed il fenomeno può essere certamente una fede mentale, ma sarebbe in prima battuta una fede sul fatto che se lasci la mano sul fuoco te la bruci."
***
Il che mi ricorda l'aneddoto di quel saggio indù, il quale cercava di convincere un re che il mondo era illusorio; allora il monarca gli scatenò contro una tigre, ed il saggio indù non perse tempo ad arrampicarsi in fretta e furia su un albero per sfuggirgli.
Allora il re gli chiese: "Se è vero che è tutto un sogno, perchè, non appena ho scatenato la tigre, ti sei arrampicato in tutta fretta su quell'albero?"
E il saggio indù gli rispose: "Perchè anche in sogno, se mi vedo aggredito da una tigre, mi arrampico in tutta fretta su un albero. Tu no?"
***
Pertanto se metto una mano sul fuoco me la brucio senz'altro:
- o a livello "onirico psicologico", se mi sto sognando la cosa come un "io individuale" che dorme, e che ancora non si è risvegliato, nel suo letto, alla sua coscienza "individuale";
- ovvero a livello "onirico fenomenologico", se mi sto sognando la cosa come "Sè universale", che che ancora non si è risvegliato alla sua vera natura cosmica, non avendo ancora perso la sua illusione "individuale".
***
 
In entrambi i casi, evito sempre di mettere la mano sul fuoco!
***
D'altronde, sogni a parte, nel mondo fenomenico esistono alcune malattie mentali a causa delle quali il soggetto crede di stare fisicamente bruciando; ed invece è soltanto un evento "mentale" (come, d'altronde, tutto il resto).
***
Un saluto!
***

niko

#28
Citazione di: daniele22 il 13 Dicembre 2022, 18:23:24 PM
Ciao niko, intervengo perché mi sembrava che il tuo post fosse diretto a me, più che a Pio, comunque Pio può benissimo sentirsi parte in causa, non so. Il tuo discorso non mi sembra più di tanto sensato. Intanto parli di mente sempre dimenticando il corpo. Riguardo al punto 1 non ti sembra che un semplice individuo come E.Musk faccia già quel che vuole abbastanza senza peraltro sapere se si tratti di un solipsista? Forse dovrà accontentarsi di essere un Dio tra altri Dei, ma si dice che chi si accontenta gode. Al punto 2 fai entrare in scena la volontà di cui parlerò più avanti. Ti dirò quindi che il solipsismo è solo un modo di approcciarsi alla conoscenza rispetto ad un altro. Non vi sarebbe nulla di più. O separi il conoscitore da quel che conosce, o non lo separi. Pertanto, visto che almeno nella nostra tradizione abbiamo sempre agito separandolo (il conoscitore dal conosciuto), possiamo ovviamente constatare che i prodotti della nostra conoscenza attuale sono nelle nostre mani, perfettibili ma abbastanza efficienti mi sembra. Ora si tratta di decidere se sia il caso di introdurre l'individuo con la sua conoscenza personale integrandolo con la nostra conoscenza collettiva, oppure no. Cosa cambia? Prima di dire cosa cambia ci sarebbero da fare un paio di osservazioni. La prima è un distinguo tra la conoscenza collettiva e quella individuale. Il distinguo è rivolto alla qualità e non all'adeguatezza o alla quantità. La seconda riguarda la volontà. Per quel che attiene alla volontà bisogna pur dire che tu eserciti più o meno costantemente una volontà: pochi sarebbero cioè i momenti di completo abbandono. Pertanto, quando scrivi qui dentro eserciti una volontà che di sicuro è quella che ti fa digitare i pensieri, ma non è che l'espressione di questi pensieri sia avulsa da una volontà che a noi è senz'altro sconosciuta in tutto e per tutto. E' però cosa certa che quel che scrivi attinge ad una conoscenza, ma questa conoscenza a cui attingi è appunto qualitativamente identificabile con la conoscenza collettiva? No, dico io, qui si tratta di una conoscenza costituitasi su una memoria personale che è al tempo stesso emozionale e razionale, mentre la conoscenza collettiva resta praticamente nei campi di esistenza della sola memoria razionale. Dato che qui siamo in un luogo dove sembra ci sia poco da guadagnare, sia in termini di danaro che di potere, il problema più di tanto non si pone, ma in altri luoghi? Evidenzio quindi un problema abbastanza attuale. Come fai a distinguere una persona onesta nella sua azione o nella sua espressione di pensiero, da una disonesta? In parole povere, quanta vita collettiva è inquinata da coscienze o conoscenze individuali che non agiscono in modo onesto, ovvero agiscono conformemente alle leggi, ma non conformemente all'etica di una persona per bene in tutti i sensi? Per tale motivo io auspicherei che il conoscitore sarebbe meglio integrarlo nel conosciuto, e vedere così da fuori l'unità criticandola sotto una nuova luce, tutto al fine di intervenire in modi più efficaci per noi nella nostra cara realtà umana



Ciao, non posso dirti altro che il vero solipsismo come posizione filosofica si colloca al di la' di ogni possibile distinzione o integrazione tra conoscente e conosciuto, poiche' essa afferma l'esistenza -certa e certificabile- del solo conoscente.

Il conosciuto, e quindi l'altro dall'io, resta in un limbo di pura fenomenicita' ed effettualita' in cui potrebbe anche non esistere; per questo questa posizione e' considerata estrema, e spesso anche criticata in senso etico, poiche' molti si aspettano che il solipsista, proprio per il suo essere solipsista, debba necessariamente essere anche in un certo qual grado superbo, ed egoista (se io "creo" il mondo, in qualche modo io sono Dio, o comunque il centro e il punto di emanazione del mondo: gli altri non esistono, se non al massimo come ombre e fantasmi).

Forse tu fraintendi quello che chiami "solipsismo" per una molto piu' moderata, e diffusa, posizione soggettivista, o spiritualista, in cui, appunto l'integrazione di conoscente e conosciuto e' POSSIBILE, perche' si parte dal presupposto che il conosciuto ESISTA, o quantomeno, SUSSISTA (Heghel, Kant, Cartesio eccetera).

In questo caso sarebbe solo questione di termini, e sul forum saresti in buona compagnia.

Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Ipazia

La storiella  di Eutidemo assomiglia a quella del guru inseguito dall'elefante che risponde all'incirca allo stesso modo: è la mia fallace rappresentazione del guru che fugge dall'elefante, non io.

Ma io, ridotto alla mia mente, chi sono  ? Se la tigre illusoria sbrana il guru, cosa resta della mente solipsistica del guru ? Cosa resta del suo io reale ?
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

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