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OLTRE SCHOPENHAUER

Aperto da PhyroSphera, 01 Maggio 2022, 19:22:02 PM

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green demetr

Citazione di: PhyroSphera il 12 Maggio 2022, 19:34:16 PMIo utilizzo il sistema filosofico di Schopenhauer a prescindere dalla persona dell'Autore, per le possibilità ulteriori che esso ha. Inutile dire che Schopenhauer non la pensava come me. In ogni caso la volontà di vita per Schopenhauer non è solamente ciò che crea il desiderio in più ma anche la radice dell'essere. Quanto a Dio, tu parti da presupposti panteistici che non sono pure i miei. Concordo con te però che la tematica sia simile a un rompicapo zen. Comunque esiste nel cristianesimo il concetto per così dire dell'autosvuotamento di Dio ovvero kenosys, non è una nozione settaria.

MAURO PASTORE
Non conosco la kenosys, comunque mi pare che l'idea di un Dio nascosto sia molto più fruttuosa di un Dio che si nega, o che si auto-esclude.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

PhyroSphera

Citazione di: green demetr il 12 Giugno 2022, 14:15:42 PMNon conosco la kenosys, comunque mi pare che l'idea di un Dio nascosto sia molto più fruttuosa di un Dio che si nega, o che si auto-esclude.
La kenosys è proprio l'abbassamento di Dio, ciò per cui Dio si offre, nessuna autoesclusione. Non c'è contraddizione col Dio nascosto.

MAURO PASTORE 

green demetr

Sinceramente non conosco Schopenauer.
Di certo non sono un panteista come tu affermi.
L'idea della scala ebraica invece la conosco bene, la sto studiano.
D'altronde coincide con l'inizio del paradiso Dantiano.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Socrate78

La compassione non ha proprio niente di disinteressato, anzi, è interesse allo stato puro, poiché se io provo compassione sono spinto ad aiutare dal desiderio (Voluntas quindi) di alleviare o eliminare il dolore che provo vedendo l'altro soffrire, quindi agisco per interesse egoistico, solo che si tratta di egoismo non indirizzato ad un tornaconto materiale, ma psichico. Mentre consolo l'altro io di fatto lo sto "usando" per produrre piacere al mio Ego.


Freedom

Citazione di: Socrate78 il 01 Ottobre 2022, 20:33:32 PMLa compassione non ha proprio niente di disinteressato, anzi, è interesse allo stato puro, poiché se io provo compassione sono spinto ad aiutare dal desiderio (Voluntas quindi) di alleviare o eliminare il dolore che provo vedendo l'altro soffrire, quindi agisco per interesse egoistico, solo che si tratta di egoismo non indirizzato ad un tornaconto materiale, ma psichico. Mentre consolo l'altro io di fatto lo sto "usando" per produrre piacere al mio Ego.
E' un ragionamento per nulla peregrino anzi condivisibile.

Pur tuttavia è solo razionalità pura ed un pochino astratta. Se ci pensi non esiste nulla, nessuna nostra azione, nessun nostro pensiero, nessuna nostra emozione che esuli da quello che, individualmente, ci riguarda nelle conseguenze. E, va da sè, andiamo verso il bene, il piacere, la soddisfazione. E' naturale, mi pare anche giusto.

Quello che fa la differenza è l'oggetto del nostro piacere. Se io lo provo donando tutto quello che ho (alla San Francesco per intenderci) mi pare sia difficile definirmi egoista solo perchè ne provo soddisfazione.

Attento perchè è un loop diabolico. Mi permetto di parlarti confidenzialmente e, addirittura, darti un segnale di "be careful" solo perchè ci cascai anch'io in quel loop lì.

Lo chiamerei eccesso di purezza, di idealismo.
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

Socrate78

#20
@Freedom: Il problema è però che se tu ci pensi in ogni nostra azione sostanzialmente noi facciamo spesso il male, o verso gli altri (è quello che chiamiamo egoismo propriamente detto, indifferenza,  sadismo, prepotenza, ecc.) oppure verso noi stessi. Quindi il male è sempre presente, anche quando apparentemente facciamo del bene. Un personaggio come San Francesco io non lo vedo affatto come un santo (per me nessuno è santo, anzi, nessuno per me è buono!), ma sostanzialmente come una persona con pulsioni masochiste inconsce (accompagnate da una forma di delirio mistico) che ha fatto del male a se stesso, anche se ha fatto bene agli altri. Donare tutto agli altri che cosa significa? Significa farsi del male perché ci si PRIVA DEL BENE CHE ABBIAMO (privazione=sempre male), lo si fa in nome di un Dio o per aiutare il prossimo, ma sta di fatto che compiamo il male verso noi stessi. E secondo me è sbagliato e se ne proviamo soddisfazione si tratta di personalità masochista. Madre Teresa di Calcutta infatti elogiava la sofferenza dicendo che avvicinava a Dio, era masochismo puro quello. Anche quelli che definiamo eroi, che salvano delle vite esponendosi a rischi o morendo, secondo me stanno facendo comunque del male a loro stessi e non è affatto detto che facciano davvero il bene agli altri, se infatti non sappiamo che cosa ci sia dopo la morte come possiamo dire che salvare una persona dal morire sia una cosa davvero buona? Non ne sappiamo nulla, ma sta di fatto che chi si espone a rischi e muore per un altro ha fatto del male a se stesso. Il male è quindi sempre presente nelle azioni umane, non si può eliminare. Inoltre è vero che l'altruismo porta alla conservazione della specie umana, ma se, seguendo Schopenhauer, la vita umana è dolore, allora l'altruismo è male poiché porterebbe a perpetuare la specie umana e con essa la sofferenza, sarebbe un inganno supremo! Quindi forse meglio essere cinici e calcolatori, almeno si ottengono vantaggi obiettivi per se stessi, piuttosto che ammantarsi di un altruismo che è un inganno e che ti porta di fatto a spendere tempo, energie, a rischiare la salute o persino la vita, compiendo di fatto il male verso se stessi e a perpetuare anche le possibilità dell'altro di soffrire ancora.

Jacopus

Schopenhauer è un pensatore controverso, segnato da un gravissimo trauma, quando era ancora giovane: il suicidio del padre. Già questo evento biografico può essere illuminante sulla sua filosofia pessimistica. Ma Schopenhauer non è solo il pessimista misantropo che ha aperto delle nuove domande che rischiavano di essere seppellite dal positivismo e dall'idealismo. Con spirito eroico è anche il filosofo che incita al superamento dell'egoismo naturale dell'uomo attraverso le tre azioni della "noluntas", arte, etica ed ascesi e nell'etica egli riconosce il valore massimo della carità, come bisogno di aiutarsi l'un l'altro e ciò è già scritto nel primo libro di S., il mondo come volontà e rappresentazione.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Duc in altum!

#22
Citazione di: Socrate78 il 02 Ottobre 2022, 22:07:26 PMDonare tutto agli altri che cosa significa? Significa farsi del male perché ci si PRIVA DEL BENE CHE ABBIAMO (privazione=sempre male), lo si fa in nome di un Dio o per aiutare il prossimo, ma sta di fatto che compiamo il male verso noi stessi. E secondo me è sbagliato e se ne proviamo soddisfazione si tratta di personalità masochista.
Esatto: "secondo me". Il giuoco è tutto lì. Stai scommettendo sull'evenienza che il BENE CHE ABBIAMO sia dovuto dal fato, dal determinismo, dal nulla, oppure, addirittura, che sia merito tuo.

Altro, invece, è per chi (San Francesco di Assisi o Santa Teresa di Calcutta ...per esempio) crede, ha fiducia, scommette, che quel BENE CHE ABBIAMO non sia proprio, ma bensì ricevuto.

Certo è surreale: "...il bene (materiale, psichico e spirituale) che ho non è mio?!...", ma è ben poca cosa sta riflessione, sto quesito, se paragonato al fatto che quei due beati hanno creduto, nientemeno, che un giorno resusciteranno (fantascienza, pazzia pura).

Nella sequela al vangelo di Luca: "...date e vi sarà dato!..."  - in definitiva è questo lo stoicismo che hanno applicato i due canonizzati -, non c'è soddisfazione o personalità masochista, ma semplicemente adesione e cooperazione a un progetto di amore per tutti.

«Ti è mai capitato di ricevere da un amico un dono e di sentire la necessità di contraccambiare? [...] Se succede a te così, puoi immaginare a Dio, a Dio che è Amore. Egli ricambia sempre ogni dono che noi facciamo ai nostri prossimi in nome suo [...] Dio non si comporta così per arricchirti o per arricchirci. Lo fa perché [...] più abbiamo, più possiamo dare; perché - da veri amministratori dei beni di Dio - facciamo circolare ogni cosa nella comunità che ci circonda [...]. Certamente Gesù pensava in primo luogo alla ricompensa che avremo in Paradiso, ma quanto avviene su questa terra ne è già il preludio e la garanzia»
[Chiara Lubic]

"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

niko

Schopenahuer resta pessimista perche' nel suo sistema di pensiero, l'autovolizione della volonta', dipende dalla solitudine, della volonta'.

E l'autovolizione impedisce la soddisfazione, in quanto, se ognuno vuole quello che lo fa soffrire -la volonta' stessa- semplificando un po' e passando dalle cause agli effetti, ognuno vuole soffrire.

Non c'e' un vero "altro" che la volonta' possa volere, essa non puo' nemmeno giocare al "gioco" eterno di volere delle singole parti di se stessa a partire da se stessa e auto-obliandosi parzialmente, il velo di maya in questa filosofia e' falso, e' rimovibile. 

E questa riunificazione delle parti e' l'impresa etica dell' uomo asceta, che "rifonda" la verita' della volonta' nel momento stesso in cui la rimuove, "rimette", in se' stesso, nel suo non volere realizzato, la volonta' davanti all'innegabile verita' della sua solitudine.

La volonta' non e' propriamente l'equivalente di Dio nel sistema filosofico di Schopenahuer, ma certamente porta in se' la stessa solitudine di Dio.

L'evoluzione plurale, e quindi meno pessimistica, di questo sistema filosofico, secondo me consiste proprio nel pensare che l'articolazione in parti della volonta' in qualche modo riesca, sia trionfante nel senso di trionfante sulla verita' stessa, e non ci siano asceti illuminati in qualche angolo del deserto a rovinarla.

Volendo la volonta' dell'altro, volendo delle parti obliate e a tratti recuperate di se stessa, la volonta' ha davanti a se' un velo pietoso tale per cui non vedra' mai quello che mai essa vorrebe vedere, ovvero la propria stessa solitudine.

Un velo simile a quello di maya ma stavolta non rimuovibile, un velo di Lete in una filosofia senza verita', senza a-Leteia.

Volere la volonta' dell'altro e' l'ambiguita' stessa dell'amore come servizio e dell'amore come dominio.

E' tutto un equilibrio tra il volere -noi- quello che vuole l'altro (servizio, o comunque fatalismo) e il volere che l'altro voglia quello che noi vogliamo (dominio, o comunque potenza).

Il concetto e' sempre e comunque che la volonta' non puo' fare niente, non puo' farsi anello circolare per una catena minima di causa-effetto, senza articolarsi in questo dualismo minimo.

Oggettificarsi davanti alla volonta' dell'altro, o volere la volonta' dell'altro oggettificata.

E con cio' ho toccato anche l'argomento di sadismo e masochismo, nella stretta e minimale misura in cui essi sono compatibili.

Non e' tanto, secondo me, l'autocompuacimento di chi fa un gesto di carita', che determina la verita' e la natura disinteressata della carita' , quanto lo stabilire se, e in quale misura; chi riceve la carita' voglia veramente riceverla. In quale misura la carita' sia servizio, e non sia dominio.

E' giusto date a un uomo che ha fame un pesce, quando si potrebbe dargli un amo?

La carita' risolve i problemi dei poveri, o li mantiene nella poverta'?

Volere a breve termine, per il domani ad esempio, e' la stessa cosa del volere per il tra un anno o per il tra una vita?

Ci sono contrasti tra l'oggetto di questi due possibili, a breve e a lungo termine, desideri?

In chi fa la carita' e in chi la riceve?

E se ci sono, come possono essere risolti?

Queste sono secondo.me le vere domande sulla carita' al di la' dell'autocompuacimento.

Condividere un desiderio, che secondo me e' l'utopia e l'ideale della vera carita', (solo un uomo, e non.un oggetto, puo' restituirci  l'immagine speculare e contararia di un nostro desiderio in noi, perche' solo gli uomini, e non gli oggetti, desiderano)...

oppure condividere un oggetto del desiderio (lo spicciolo che diamo al povero), fuori dall'utopia e facendo i conti con la realta', fingendo di non vedere i contrasti di coerenza e di volonta' che ne derivano (quantomeno perche' qui sia noi  che il povero desieriamo lo spicciolo, e il "dono" avviene solo nella supposizione che il povero lo "desideri" piu' di noi; ma i desideri non sono quantificabili, e i contrasti in essi sorgono sempre).


Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Jacopus

Niko. Sono sostanzialmente d'accordo con quanto scrivi. Solo qualche breve precisazione che è comunque implicita nel tuo discorso. Anche insegnare a pescare può far parte della carità. La carità ha la stessa radice di "cura". Non è carità la semplice oblazione di un denaro al povero. O meglio è una carità basica, che è sempre meglio di chi discute di carità e di massimi sistemi senza mai donare nulla. Ma è anche una carità che nasconde il frutto velenoso della dipendenza e del dominio, come fai notare.
Ma la carità, nel suo senso più alto, è anche una attitudine a donarsi agli altri. Carità è l'altra immagine della legge, il suo doppio. L'unica società che può vivere senza leggi è quella che si fonda sulla carità. Nella realtà viviamo sempre in mondi contemporaneamente attivati dalla legge e dalla carità e, come nella metafora degli istrici di Schopenhauer, queste due forze ci allontanano e ci avvicinano in una continua danza ambivalente.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Jacopus

Pensandoci bene oltre a legge e carità a regolare i rapporti sociali c'è almeno un altro elemento, che è la forza.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

green demetr

Qualcuno ha letto l'enciclica "Caritas in veritate" del 2019 dovrebbe essere se non sbaglio i cuore pulante del nuovo cristianesimo (varato dalla Chiesa), me ne potete dire qualcosa grazie?

Il piacere che ricevo dal fare bene ad un altro, in realtà a me non sembra un egoismo: solo perchè provo piacere, allora deve essere un atto egoistico?
Mi pare una (delle infinite) deviazione del significato di relazione con l'altro.
(ovviamente sto parlando di una carità vera, non dico come quella di Chiara Lubic, a proposito guardate il film (se ci dimentichiamo del dedascalico che ogni film del genere soffre) omonimo!!!!
Mi è piaciuto  ;)

Non ho capito la questione della volontà solitaria di Schopenuer comunque.

Io avevo letto l'inizio dei  parerga e paralipomena: diciamo che riprendeva la casistica kantiana, ma ponendo al posto del giudizio critico, la volontà, come raffigurazione dei dati sensibili.

Per lui esiste una volontà di rappresentazione sottesa al nostro giudizio critico (e che quindi lo guasta).

Come può una volontà rappresentativa sentirsi sola?

Potrei capire meglio una volontà distruttrice (o di potenza), che ha come suo fine proprio la distruzione della sua volontà rappresentativa.

In effetti le due volontà mi pare finiscano per cozzare.

E' così? Grazie.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

Jacopus

L'atto altruistico interpretato come atto egoistico nasce dalla necessità di tradurre in termini "capitalistici", tutti i valori e le attività umane. C'è questa frase di Marx che spiega meglio di tante altre, i nostri tempi:

"Quanto meno mangi, bevi, compri libri, vai a teatro, quanto meno pensi, ami, fai teorie, canti, dipingi, verseggi eccetera, tanto più risparmi, tanto più grande diventa il tuo tesoro che né i tarli né la polvere possono consumare, il tuo capitale. Quanto meno tu sei, quanto meno realizzi la tua vita, tanto più hai; quanto più grande è la tua vita alienata, tanto più accumuli del tuo essere estraniato. Tutto ciò che l'economia ti porta via di vita e di umanità, te lo restituisce in denaro e ricchezza.

Quando il denaro diventa il fine ultimo, tutti i beni che non sono di natura economica come l'intelligenza, la cultura, l'arte, la forza, la bellezza, l'amore, per l'avaro cessano di essere valori in sé, perché lo diventano limitatamente alla loro convertibilità in denaro, che, a questo punto si presenta agli occhi dell'avaro come la forma astratta di tutti i piaceri che tuttavia non vengono goduti."

Karl Marx, Manoscritti economico-filosofici, 1844
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

niko

Citazione di: green demetr il 07 Ottobre 2022, 01:11:05 AMQualcuno ha letto l'enciclica "Caritas in veritate" del 2019 dovrebbe essere se non sbaglio i cuore pulante del nuovo cristianesimo (varato dalla Chiesa), me ne potete dire qualcosa grazie?

Il piacere che ricevo dal fare bene ad un altro, in realtà a me non sembra un egoismo: solo perchè provo piacere, allora deve essere un atto egoistico?
Mi pare una (delle infinite) deviazione del significato di relazione con l'altro.
(ovviamente sto parlando di una carità vera, non dico come quella di Chiara Lubic, a proposito guardate il film (se ci dimentichiamo del dedascalico che ogni film del genere soffre) omonimo!!!!
Mi è piaciuto  ;)

Non ho capito la questione della volontà solitaria di Schopenuer comunque.

Io avevo letto l'inizio dei  parerga e paralipomena: diciamo che riprendeva la casistica kantiana, ma ponendo al posto del giudizio critico, la volontà, come raffigurazione dei dati sensibili.

Per lui esiste una volontà di rappresentazione sottesa al nostro giudizio critico (e che quindi lo guasta).

Come può una volontà rappresentativa sentirsi sola?

Potrei capire meglio una volontà distruttrice (o di potenza), che ha come suo fine proprio la distruzione della sua volontà rappresentativa.

In effetti le due volontà mi pare finiscano per cozzare.

E' così? Grazie.



In che senso "volonta' rappresentativa" ?

In Schopenahuer la rappresentazione non e' l'oggetto della volonta'; non e' il "voluto" della volonta'.

La volota' e' l'essenza del mondo, e' l'abisso incolmabile; e' molto di piu' di una "grande spettatrice" pseudo divina seduta sul trono del mondo che possa in qualche modo soddisfarsi con la rappresentazione o con la realta' della rappresentazione, battere le mani a spettacolo finito.

La volonta' e' senza oggetto, vuole se stessa: se la rappresentazione fosse il voluto della volonta' , la volonta' da un certo punto del tempo in poi non esisterebbe piu', perche' avrebbe ottenuto il suo voluto, si sarebbe realizzata nella rappresentazione, il che per Schopenahuer e' assurdo; la volonta' e' eterna, prova ne e' che esiste nel presente: essa ha attraversato l'abisso del tempo (passato) e dunque ancora lo attraverserà (in futuro).

Il rapporto tra volonta' e rappresentazione va dunque  pensato in modo piu' sottile di un rapporto tra volonta' e voluto: la rappresentazione e' un epifenomeno della volonta' , ha in se' meno realta' della volonta' e dunque non puo' neanche potenzialmente o virtualmente soddisfarla (la questione del velo di maya: il reale non si soddisfa mai con l'irreale; l'illusione non puo' sussistere fino all suo punto estremo quantomeno come illusione rispetto ad un giudizio di gradimento, che poi e' l'unica cosa che conta; insomma l'illusione non paga l'illuso).


In realta' il rapporto tra volonta' e rappresentazione e' un rapporto tra fenomeno e noumeno, tra la realta' come essa appare e la realta' come essa e'.

Data pero' l'assoluta inimmaginabilita' e indicibilita' di un rapporto tra fenomeno e noumeno, perche' il dire e l'immaginare sono e restano nel fenomeno, (noi parliamo e pensiamo nella realta' come essa appare) la migliore approssimazione, la miglior metafora, di questo indicibile rapporto tra fenomeno e noumeno, e' un molto piu' modesto e semplice  rapporto tra fenomeno ed epifenomeno, una dicibile e immaginata  gerarchia tra i fenomeni.

L'asceta, quando squarcia il velo di maya "vede", ovvero conosce, la volonta', cioe' vede una volonta' fenomenizzata, che prima -prima di essere o "diventare" un asceta intendo- non vedeva. E non la vedeva perche' ci era dentro, perche' egli stesso voleva.

L'unico modo di vedere la verita' della volonta' e' separarsene, lasciarla da sola a volere.

Vedere e conoscere,  con quello che e' il massimo sforzo di volota' possibile, lo sforzo di volota' appunto proprio dell'asceta, il grande Tu vuoi che sta "dietro" all' Io voglio. Ad ogni io voglio.

Il Tu vuoi, e non l'Io voglio, sostituisce qui quello che era l'io penso cartesiano, lo scheletro, quello che resta una volta scremati tutti i dubbi.

Ma la volonta' e' sempre sola: e' sola nel monsimo e nell'unicita' finche' non viene smascherata,  e al limite, ma proprio al limite, e' sola in una sorta di dualismo contemplativo quando l'asceta la smaschera.

Manca comunque l'elemento terzo, la mediazione. Nessuno spettacolo appaga la volonta', al massimo l'unica scintilla di speranza e' che la volonta' stessa possa farsi spettacolo per il suo -attualmente impossibile- altro.


Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

green demetr

Citazione di: niko il 07 Ottobre 2022, 13:02:00 PMIn che senso "volonta' rappresentativa" ?

In Schopenahuer la rappresentazione non e' l'oggetto della volonta'; non e' il "voluto" della volonta'.

La volota' e' l'essenza del mondo, e' l'abisso incolmabile; e' molto di piu' di una "grande spettatrice" pseudo divina seduta sul trono del mondo che possa in qualche modo soddisfarsi con la rappresentazione o con la realta' della rappresentazione, battere le mani a spettacolo finito.

La volonta' e' senza oggetto, vuole se stessa: se la rappresentazione fosse il voluto della volonta' , la volonta' da un certo punto del tempo in poi non esisterebbe piu', perche' avrebbe ottenuto il suo voluto, si sarebbe realizzata nella rappresentazione, il che per Schopenahuer e' assurdo; la volonta' e' eterna, prova ne e' che esiste nel presente: essa ha attraversato l'abisso del tempo (passato) e dunque ancora lo attraverserà (in futuro).

Il rapporto tra volonta' e rappresentazione va dunque  pensato in modo piu' sottile di un rapporto tra volonta' e voluto: la rappresentazione e' un epifenomeno della volonta' , ha in se' meno realta' della volonta' e dunque non puo' neanche potenzialmente o virtualmente soddisfarla (la questione del velo di maya: il reale non si soddisfa mai con l'irreale; l'illusione non puo' sussistere fino all suo punto estremo quantomeno come illusione rispetto ad un giudizio di gradimento, che poi e' l'unica cosa che conta; insomma l'illusione non paga l'illuso).


In realta' il rapporto tra volonta' e rappresentazione e' un rapporto tra fenomeno e noumeno, tra la realta' come essa appare e la realta' come essa e'.

Data pero' l'assoluta inimmaginabilita' e indicibilita' di un rapporto tra fenomeno e noumeno, perche' il dire e l'immaginare sono e restano nel fenomeno, (noi parliamo e pensiamo nella realta' come essa appare) la migliore approssimazione, la miglior metafora, di questo indicibile rapporto tra fenomeno e noumeno, e' un molto piu' modesto e semplice  rapporto tra fenomeno ed epifenomeno, una dicibile e immaginata  gerarchia tra i fenomeni.

L'asceta, quando squarcia il velo di maya "vede", ovvero conosce, la volonta', cioe' vede una volonta' fenomenizzata, che prima -prima di essere o "diventare" un asceta intendo- non vedeva. E non la vedeva perche' ci era dentro, perche' egli stesso voleva.

L'unico modo di vedere la verita' della volonta' e' separarsene, lasciarla da sola a volere.

Vedere e conoscere,  con quello che e' il massimo sforzo di volota' possibile, lo sforzo di volota' appunto proprio dell'asceta, il grande Tu vuoi che sta "dietro" all' Io voglio. Ad ogni io voglio.

Il Tu vuoi, e non l'Io voglio, sostituisce qui quello che era l'io penso cartesiano, lo scheletro, quello che resta una volta scremati tutti i dubbi.

Ma la volonta' e' sempre sola: e' sola nel monsimo e nell'unicita' finche' non viene smascherata,  e al limite, ma proprio al limite, e' sola in una sorta di dualismo contemplativo quando l'asceta la smaschera.

Manca comunque l'elemento terzo, la mediazione. Nessuno spettacolo appaga la volonta', al massimo l'unica scintilla di speranza e' che la volonta' stessa possa farsi spettacolo per il suo -attualmente impossibile- altro.



Ciao Niko approfitto della tua tenuta sul filosofo:

Capisco a tratti cosa intenda Schopenauer, ma la volontà di potenza, è dunque la volontà stessa, che qui come la descrivi pare un principio metafisico?
Vai avanti tu che mi vien da ridere

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