Menu principale

Esiste il male assoluto?

Aperto da bobmax, 08 Maggio 2022, 15:36:11 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

bobmax

Vi può essere cioè un male che non abbia altra motivazione che non sia il male stesso?

Esiste il puro male?

La questione è secondo me fondamentale.
Perché l'effettiva realtà del Male, quale principio ineliminabile del mondo, renderebbe vana ogni fede. Che è tale solo in quanto fede nel Bene.

Il Male, in quanto ontologico, non potrebbe infatti mai essere sconfitto.

L'eterna lotta tra il Bene e il Male sarebbe la realtà ultima.

E pure la relativizzazione del bene e del male che altro è, una volta diventata "realtá", se non l'accettazione del Male assoluto?

Il Male assoluto non deve esistere!

Ma grande è la paura di illudermi...

L'architetto che fa strage della sua famiglia, sembra davvero quel mostro che lui stesso dichiara di essere.
Ma la sua mostruosità è assoluta?
È il Male?

O là dietro vi è qualcosa che non vedo e che fa sì che quel male assoluto comunque non sia?

E Putin, mi illudo percependo sul suo volto la sofferenza di una vita tragica? È un agente del Male, senza se e senza ma, o pure lì vi è qualcos'altro?

E Lavrov, questo suo mentire senza mostrare remore, è una manifestazione del Male o vi sono altre ragioni?

E io stesso, che mi condanno giustamente all'inferno, sono espressione del Male?

L'imperativo che il Male assoluto non sia, chiede a me l'impossibile.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

viator

Salve bobmax. A me un uccellino (ti assicuro che non era una gallina), tempo fa, disse che il male non esiste proprio.

Mi tocca essere monotono e ripetitivo : come non possono esistere le mancanze-assenze di qualcosa  (luce?, calore?, Uno?) (il buio non è - il freddo non è - lo zero non è)..........il cosiddetto male altro non è che relativa assenza di bene.

Tu, che citi così frequentemente Dio, l'Unigenito, l'amore, il bene e diversi altri elevati e nobili (anche se poco pratici) concetti............dovresti averlo intuito da solo, no ?. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

Jacopus

Buongiorno bob. Per rispondere alla tua domanda, bisognerebbe rileggere il racconto dell'inquisitore nei fratelli karamazov. Il bene è silenzioso, ascolta e finirà sul rogo. Il male parla, attraverso la figura del cardinale. Ed il male, che tu chiami male assoluto, è il male che proviene dalle istituzioni. "Ma come? Dice il cardinale, "noi ci siamo aggiustati tanto bene con la tua parola ed ora tu torni, magari con altre parole, a disfare le nostre istituzioni? E noi ti dovremmo perfino festeggiare? No caro. Finirai sul rogo!".
Il male assoluto non è dell'uomo antropologicamente e biologicamente inteso, in senso generale. È dell'uomo in quanto portatore di una specifica scelta evolutiva, che ognuno di noi (chi più chi meno), conserva dentro la scatola cranica. La complessità del nostro cervello, insieme alla sua neuroplasticità, ci consente di progettare, di pensare "altrimenti", come nessuna altra specie conosciuta. Solo noi riserviamo agli istinti un così ristretto spazio. Uno spazio ancor più rosicchiato dalle istituzioni culturali nelle quali viviamo da circa diecimila anni, e che ci ripetono secondo varie declinazioni, che dobbiamo saperci controllare, che la ragione domini le passioni.
In questo "pensare altrimenti" tipico di noi umani, possiamo inserire qualunque file, "exe", compreso quello del male assoluto. Un male assoluto che può riguardare singole persone come il geometra sterminatore, ma che riguarda soprattutto le istituzioni, che si riproducono indipendentemente dalla specie umana e che possono anche distruggerla, almeno in parte, come la storia ci insegna.
Per concludere, il cervello umano ha creato le istituzioni culturali e queste due entità, in continua interazione fra di loro, hanno creato il male ed il bene assoluto, qualità non osservabili in altri animali, perché anche laddove vi sono animali guerrieri, la loro aggressività è determinata dai loro codici istintivi. Nessun animale "guerriero" (scimpanzé, termiti, formiche) si domanderà il senso del male assoluto. Solo noi lo facciamo e ancora una volta a causa di questo ingombrante organo che ci portiamo appresso.
Ciò che distingue la mia visione da quella di Rousseau è credere nella possibilità di lavorare affinché le istituzioni siano sempre meno malvagie, poiché le istituzioni culturali, infinitamente malvagie sono anche quelle stesse istituzioni " infinitamente buone". Per un approfondimento del tema sono stati, per me, molto istruttivi due film: "apocalypse now" e "Full Metal Jacket".
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Jacopus

Un'altra cosa vorrei aggiungere prima che il corso della vita mi porti altrove. Vi è un volto positivo dietro la maschera terribile del male assoluto. Ed è di questo volto positivo che ci parla Dostoevskij in tutta la sua opera. Il male assoluto è possibile solo in un mondo dove opera la libertà dell'uomo. Se non ci fosse quella libertà di operare il bene ed operare il male, vi sarebbe un male ancora maggiore, quello della riduzione ad automi dell'umanità. Il prezzo da pagare alla libertà è, secondo F.M. Dostoevskij, il possibile accesso del male, del male dell'uomo contro l'uomo, non del generico male. E ancor di più del male contro gli innocenti, del male dell'uomo contro i bambini. Questo è il male assoluto, secondo Dostoevskij.
Ma quella libertà, di cui parla D., non è forse la stessa cosa di quel "pensare altrimenti" di cui siamo dotati a causa di un ingrandimento evoluzionistico delle nostre connessioni cerebrali?
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Alexander

#4
Penso non esista il male assoluto, come nemmeno il bene assoluto. Il male è assenza di bene. Il bene però necessita di volontà.  Non è semplicemente sentire compassione , amore, ecc. ma è volontà di fare il bene, anche quando il sentimento interiore mi direbbe di fare l'opposto. Esercitando la mia volontà nel volere il bene cresco nella possibilità di guadagnare quel bene interiore che è un tesoro nascosto nel campo (dell'anima). Il male, che sfida la mia volontà di fare il bene, è privato della sua forza nel momento in cui la volontà stessa non è più scissa in se stessa, ma bensì coerente nella ricerca del (proprio e altrui) bene. Quando non cedo semplicemente alle pulsioni istintive che mi spingono verso l'odio e la divisione, esercito già la mia volontà di perseguire il bene. Non vengo travolto dal mio caos interiore naturale. Il concetto di Bene assoluto viene riferito a Dio, ma Dio  (se esiste) è Dio, mentre "Bene assoluto" è solo un concetto umano, filosofico o teologico, ma concetto. E' importante capire che Dio è al di là di ogni concetto umano. Il modo in cui Dio "costruisce" il bene passa anche attraverso la volontà dell'uomo di costruirlo, o di rifiutarlo, ma non si esaurisce certamente in questo.

iano

#5
Escludendo per definizione che esista un male impersonale, mi sentirei di escludere anche un male personale in cui non intervenga il pensiero.
Quindi se il male sta dentro la sfera del pensiero, allora è assoluto se assoluto è il pensiero, se non fosse che io non riesco a vedere il pensiero come assoluto.
Quindi il male come il bene non sono assoluti.
Il male è relativo all'azione consapevole.
Alla possibilità che la consapevolezza si faccia azione.
Siccome il pensiero ci caratterizza come uomini, un idea di male assoluto è la conseguenza di un uomo visto come assoluto, visione umanamente comprensibile, ma priva di senso secondo me.
Nella pratica io più che col male ho a che fare coi sensi di colpa, in base ai quali il mio agire è condizionato dall'effetto delle mie precedenti azioni.
Le mie azioni future sono pregiudicate da quelle passate.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

niko

#6
A parte la speciosità della polemica politica di considerare Putin e Lavrov possibili esempi del male assoluto, tanto più nel contesto di una guerra che sarebbe meglio per noi, occidentali e Italiani in particolare, non combattere per procura tramite l'invio di armi e sanzioni boomerang che ci si ritorcono contro, ma semmai con altri mezzi, cerco di rispondere.

-----------------------------------------------------------


Io considero il bene l'oggetto della volontà

(quello che si vuole, è bene).

e il male la volontà considerata in sé stessa priva di oggetto, quindi la volontà che vuole se stessa e che vuole all'infinito

(quando non otteniamo quello che volgiamo o quello che abbiamo ottenuto si rivela insoddisfacente, la volontà, in quanto priva di un oggetto voluto, in quanto priva di un voluto, si continua indefinitamente, e con essa la sofferenza: ovviamente propongo quindi anche l'equazione tra male e sofferenza).

Alla concordanza della volontà con un oggetto degno, penso anche che consegua la cessazione della volontà: le cose veramente buone, sono quelle che una volta ottenute non ci fanno più volere ulteriormente, diciamo le pochissime cose fuori dall'inganno schopenhaueriano per cui la volontà si continua sempre e comunque al raggiungimento dell'oggetto inducendo sofferenza, le cose veramente buone sono le pochissime cose che fanno eccezione a questo inganno, che è inutile stare a definire, variano da individuo ad individuo.

Il bene è ciò che ci mette in condizione di volere per non volere, quindi di avere un progetto dialettico interno alla nostra stessa volontà, in cui del tempo, che in tale processo rientra, si invoca non la capacità di conservare l'ente, ma di scatenare tra gli enti la danza degli opposti, il sovvertimento dei posti e dei ruoli.


Il male è tutto il resto, che ci mette in condizione di volere per volere, di avere a che fare con un tempo-risorsa ad uso esclusivo della "positività" della volontà, del suo voler essere; un tempo che serve solo per la sua sopravvivenza.

Il bene e il male stanno alla volontà come la finitudine, propria del bene, sta alla cattiva infinità, propria del male.

La parte migliore e più liberatoria della metafisica, anche se essendo nichilista io alla metafisica non mi fermo, è
l'essere-per-la-morte, il concetto che la vita sia preparazione alla morte, che si contrappone all'uso capitalistico del tempo come risorsa.

Il superamento anche della metafisica è comprendere che la volontà nella sua profonda ed intima essenza, non progetta né la sua cessazione né la sua continuazione infinita, non progetta e non vuole né il bene, né il male.
Quantomeno per quello che il bene e il male sono e significano per la volontà, per la relazione della volontà con il suo oggetto e con l'insieme dei suoi possibili oggetti, relazione che decide il destino stesso della volontà. Nell'essenza più istintiva e vitale della volontà non è veramente voluto né un destino di continuazione indefinita dello stesso, tramite l'assenza di oggetto, né un destino di finitudine, tramite la presenza di oggetto.

C'è un solo un grande calcio, al male e al bene per quello che vitalisticamente male e bene significano, un grande rifiuto.

La differenza stessa, tra presenza e assenza dell'oggetto del volere è tolta.

E qui non affermo che il bene e il male siano relativi, affermo proprio che l'uomo, e il vivente in generale, non è né buono né cattivo. E questo non cambierebbe, dunque, se il bene e il male fossero assoluti. E anzi, mi piace pensare che lo siano, assoluti una volta compreso che questo non fa comunque effetto condizionante sulla vita.

Io mi rifiuto di scegliere, tra il bene e il male, perché la vita non sceglie, perché l'istinto, non sceglie.

Noi non vogliamo l'identico per sempre e non vogliamo smettere di volere. Abbiamo una volontà diveniente. Per essere felici dobbiamo accettare il divenire, e il divenire è per noi soprattutto il divenire della nostra stessa volontà, che si muove tra gli estremi del bene e del male senza mai toccarli, senza mai essere, l'uno o l'altro.

Non ci auto-vogliamo in un facile quando tautologico accesso all'eternità, e d'altronde non possiamo smettere di volere. Siamo qui a volere una cosa qualsiasi diversa da noi stessi, quantomeno perché è in noi stessi, che si delinea il sentimento della mancanza della cosa voluta, per quanto amor proprio possiamo contemporaneamente provare. La volontà è estroflessa, è territorio, si muove verso il mondo. Vuole la volontà dell'altro. E può ottenerla sono se originariamente non è una, solo se la volontà dell'altro esiste, in un mondo che sia veramente molteplice, e sia pensabile solo, come molteplice.

Il divenire in genere, è un'alternativa terza, tra non-essere ed essere identico.

Il divenire della volontà, è l'alternativa terza tra non-essere ed essere identica a se stessa della volontà.

Per questo il divenire della volontà si sovrappone alla questione -in un certo senso dicotomica- del bene e del male, e considerarlo è secondo me l'unico modo, non semplicemente relativistico e relativizzante, per supere la dicotomia.


Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

bobmax

Tuttavia, Jacopus, a mio parere Dostoevskij non tratta il male assoluto, bensì il nichilismo.

Che il nichilismo non possa essere male assoluto lo vediamo con il bacio di Cristo.

Tutti i ragionamenti, i perché è i percome, cadono di fronte all'amore.
Questa è la prova, per D., che il male nulla può di fronte al Bene.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

bobmax

Viator, questa idea, del male quale mancanza del bene, è perniciosa.

Perché illude che l'essenza comunque sia il Bene.
Al quale però, sia stata tolta una parte, per qualche non chiaro motivo...

Ma se manca qualcosa, è perché quel qualcosa avrebbe dovuto esserci.
E l'esserci è la condizione che viene prima di quel qualcosa!

Cioè la mancanza di bene nel mondo, non parla solo della relazione bene-male, ma dà per implicito che possono esserci nel mondo così come non esserci.

È perciò il convincimento che il mondo viene "prima" dell'Etica!

E se il mondo prescinde dall'Etica... allora il bene e il male sono relativi.

Questa idea non è che un frutto avvelenato del nichilismo.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

daniele22

Ciao vecchio bob ... mi sembra che tu sia un po' ossessionato, o per lo meno che tu faccia un po' di confusione. In altro topic ... non vado in cerca nè dove e nè quando ... tu mi suggerivi giustamente che il male è pur sempre una produzione del bene ... o svaldo? Se tu pensi che il male esista come assoluto vorrà dire che è vero. Però rischi di fare la fine di Kirilov nei demoni, il quale si spara per dimostrare ai compañeros che esiste il libero arbitrio senza in realtà dimostrare nulla. E se come dice viator questi non esistessero? Insomma, tu hai un mondo davanti ... toglici pure gli umani .... cosa vedi? Il male assoluto? Il bene assoluto? Vecchio bob ... cerchiamo di stare coi piedi per terra

Jacopus

@Bob. D. Tratta molte cose e una di queste è il nichilismo. Un'altra è il male assoluto, che è sempre male dell'uomo sull'uomo, ma il male imperdonabile, secondo D. è il male dell'uomo sul bambino. Poco prima di raccontare la storia del grande inquisitore, Ivan racconta un raccapricciante episodio di protervia di un nobile nei confronti del figlio di uno dei suoi servi. È quello il momento che scatena la discussione fra Alioscia ed Ivan e che culminerà nel racconto dell'Inquisitore. Perché Dio rende possibile quel male assoluto? L'oltraggio dell'uomo sul bambino. È quella la prova per Ivan di affrontare il problema della teodicea. Quel male è così terribile da non poter aspettare la fine dei tempi per essere riparato. L'occidente non è altro che questo: la ricerca di una teodicea prima della fine dei tempi. Una teodicea terrena. E cosa c'è di più terreno del ritorno di Gesù, in una giornata qualunque a Siviglia? A quel ritorno, a quella teodicea, divina ed umana allo stesso tempo, si oppone il grande Inquisitore, che diverrà qualche secolo dopo, il grande Fratello. Per quanto possa essere azzardata, coltivo l'idea che il ritratto fortemente negativo del grande Inquisitore è il riflesso di un bisogno di superamento della religiosità come istituzione, come struttura che pietrifica le coscienze. Un illuminista senza ragione strumentale, questa è la grandezza di Dostoevskij. Un illuminista che cova nel suo cuore un rifugio anti/illuminista, che non serve altro che come pharmakon allo stesso illuminismo. La teodicea dell'apocalisse e quindi della tradizione, viene così ritratta da D., come un puntello della servitù dell'uomo sull'uomo, a sua volta connessa alla violenza del male assoluto dell'uomo sul bambino, che perpetua la violenza e l'asservimento. La teodicea del l'illuminismo a sua volta, viene rigettata, perché razionale, geometrica, uguale, positiva, scientifica, non libertaria e quindi anch'essa violenta. La via impervia scelta da D. è quella della fratellanza e dell'amore, ma di una fratellanza e di un amore non ingenuo, ma profondamente venato di rabbia, di odio, di compassione. Se solo avessimo avuto 10.000 Dostoevskij, invece di uno solo, l'umanità sarebbe oggi diversa.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Ipazia

No. Bene e male sono categorie etiche relative all'ethos di uno specifico gruppo umano.

Estendere tali concetti oltre il campo dell'universo antropologico, evocando un male metafisico assoluto, è insensato.

Stabiliti i limiti del campo d'indagine si può cominciare ad indagare la fenomenologia del male, individuando gli aspetti più generali, più assoluti nella loro relatività etologica.

Per il vivente il male "assoluto" è la morte, che ne decreta il passaggio da essere a non essere. La ricaduta psicologica e metafisica di tale incontrovertibile dato biologico è, per l'umano senziente, la domanda di senso della vita (bene) e della morte (male). Domanda da cui nasce, finalmente, l'etica.

L'etica è relativa di suo, ma con dati costanti nel tempo ai quali si può agganciare un metro quali-quantitativo del male, relato sempre e comunque ai contenuti del male biologico: sofferenza e morte.

La metafisica esistenziale ha coniato due concetti complementari del male metafisico: morte nell' e dell'anima.

La morte nell'anima è lo stato di "male" individuale, in assenza di risposte soddisfacenti sul senso dell'esperienza esistenziale.

La morte dell'anima è l'esperienza di un disagio collettivo in condizioni sociali disumanizzanti.

Collocherei qui il male assoluto della condizione umana, indotto da processi sociali di mercificazione dell'umano sempre più spinti fino alla transumanazione verso l'uomo-macchina, il robot disumanato, funzionale senza residuo umano alcuno, all'accumulazione capitalistica, nell'esito finale di un processo evolutivo in cui lo "sterco di Satana" si è impadronito "assolutamente" dell'universo antropologico, del suo ethos e della sua anima.

(Processo di fronte al quale Putin e Lavrov sono dei boys scout mattacchioni, pure meno dei capi designati dell'impero canaglia, quanto a marachelle belliche)
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

niko

Citazione di: Ipazia il 09 Maggio 2022, 23:38:29 PMNo. Bene e male sono categorie etiche relative all'ethos di uno specifico gruppo umano.

Estendere tali concetti oltre il campo dell'universo antropologico, evocando un male metafisico assoluto, è insensato.

Stabiliti i limiti del campo d'indagine si può cominciare ad indagare la fenomenologia del male, individuando gli aspetti più generali, più assoluti nella loro relatività etologica.

Per il vivente il male "assoluto" è la morte, che ne decreta il passaggio da essere a non essere. La ricaduta psicologica e metafisica di tale incontrovertibile dato biologico è, per l'umano senziente, la domanda di senso della vita (bene) e della morte (male). Domanda da cui nasce, finalmente, l'etica.

L'etica è relativa di suo, ma con dati costanti nel tempo ai quali si può agganciare un metro quali-quantitativo del male, relato sempre e comunque ai contenuti del male biologico: sofferenza e morte.

La metafisica esistenziale ha coniato due concetti complementari del male metafisico: morte nell' e dell'anima.

La morte nell'anima è lo stato di "male" individuale, in assenza di risposte soddisfacenti sul senso dell'esperienza esistenziale.

La morte dell'anima è l'esperienza di un disagio collettivo in condizioni sociali disumanizzanti.

Collocherei qui il male assoluto della condizione umana, indotto da processi sociali di mercificazione dell'umano sempre più spinti fino alla transumanazione verso l'uomo-macchina, il robot disumanato, funzionale senza residuo umano alcuno, all'accumulazione capitalistica, nell'esito finale di un processo evolutivo in cui lo "sterco di Satana" si è impadronito "assolutamente" dell'universo antropologico, del suo ethos e della sua anima.

(Processo di fronte al quale Putin e Lavrov sono dei boys scout mattacchioni, pure meno dei capi designati dell'impero canaglia, quanto a marachelle belliche)


lapidariamente, ti potrei dire che:

ci sono cose ben peggiori della morte.

------------------------------------------------------------

facendo un discorso un po' più articolato, il tuo supporre l'abborrire universale della morte da parte della vita come fondativo dell'etica non passa certo per il cristiano prima, e heideggeriano poi, essere-per-la-morte, per il discorso alternativo, che qui si potrebbe fare, della morte che dà senso alla vita, e della vita del saggio che è preparazione alla morte; passaggi che secondo me, dovrebbero essere considerati nel loro essere necessari, quantomeno perché hanno fatto la storia, e la storia non si cancella con un colpo di spugna; tu non cerchi di superare la metafisica, a volte, un po' ingenuamente, fai come se la metafisica non esistesse.

Basterebbe considerare quanto il lutto, sia peggiore della morte, come esso sia una delle cose più ovvie nel novero delle cose peggiori della morte che possono capitare ai mortali, per capire come il problema non sia la morte della -nostra- coscienza (già Epicuro insegna), ma la morte dell'altro nella e presso la -nostra- coscienza, il portare il lutto, e quindi la coscienza abbandonata che resta sola con se stessa e prende ad oggetto solo se stessa, la morte del mondo e del corpo, la metafisica stessa e il suo veleno...

Tu vorresti valutare la vita, fare della vita un valore, ma per valutare nella vita, per essere legislatori di noi stessi, per perseguire il valore, secondo me sommo, di poter noi stessi porre limiti e valori ancora e nonostante tutto, bisogna rinunciare, a valutare (e naturalmente anche a svalutare) la vita.

La vita è l'ingiudicabile, per chi ancora vuole dire i suoi sì e i suoi no, per chi ancora vuole giudicare nella vita.

Da dove parla, chi pretende di giudicare della vita? Da dove parlano, tutti questi disprezzatori e tutti questi estimatori della vita? Da che pulpito? Non stanno loro stessi dentro la vita? Non stanno in fondo giudicando, e parlando, solo di loro stessi?  Il problema non è quello che dicono, non è il loro detto o il loro testo, è chiaramente un problema del femminino del logos, un problema della voce.

Poi anche ammesso che il problema sia la morte della coscienza, in che termini ne potremmo parlare?

Se in termini inconsci, se vogliamo dire che il problema è la morte della coscienza in termini inconsci, nel suo non sapersi e mascherarsi da altro in maniera potenzialmente elusiva e distruttiva, non possiamo escludere che esista il freudiano istinto di morte, la morte rende non pochi servigi alla vita (fare spazio, fare evolvere, permettere la riproduzione sessuata essendone contraltare eccetera), ed è improbabile che a certi livelli di complessità gli organismi non siano programmati per avere una pulsione a morire che a tratti nel suo divenire conscia diventa un voler morire e bisogna accettarlo e conviverci;

se il problema è la morte della coscienza in termini consci, se vogliamo fondare l'etica sul fatto che odiamo la morte della coscienza e lo sappiamo, sappiamo di odiarla, bisogna ricordare che l'uomo è l'animale che può suicidarsi, e che per non farlo deve dare senso alla propria vita; non tutti vivono la morte della coscienza come il massimo dei problemi, i suicidi stanno a testimonianza di questo.

A me sembra corretto ammettere che, oltre a una tendenza alla vita a conservarsi, conservarsi indefinitamente, tendenza che può contemplare l'abborrire assoluto della morte come termine del tempo disponibile ai fini di tale conservazione, come termine del tempo/risorsa, vi è anche una tendenza opposta, tendenza della vita a significarsi tramite la sua stessa finitezza e finitudine, tendenza che coerentemente non può contemplare la morte con il male assoluto, che deve allearsi con la morte e con la prospettiva della morte per realizzarsi, come se la morte stesse alla vita come il suo giusto opposto complementare e non come il suo nemico.

Queste due tendenze sono gli attributi principali del tempo stesso: il tempo è sovversione e danza degli opposti, e il tempo è conservazione. La volizione del tempo come conservazione, abborre la morte in modo schietto e diretto, la volizione del tempo come danza di opposti e potere della sovversione, è la tendenza di maggior saggezza, che, con la morte e il suo potenziale di sovversione, deve allearsi.

Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Ipazia

Citazione di: niko il 10 Maggio 2022, 01:07:35 AMlapidariamente, ti potrei dire che:

ci sono cose ben peggiori della morte.

------------------------------------------------------------

Lapidariamente potrei replicare che:

Tutto è reversibile, eccetto la morte

Citazionefacendo un discorso un po' più articolato, il tuo supporre l'abborrire universale della morte da parte della vita come fondativo dell'etica non passa certo per il cristiano prima, e heideggeriano poi, essere-per-la-morte, per il discorso alternativo, che qui si potrebbe fare, della morte che dà senso alla vita, e della vita del saggio che è preparazione alla morte; passaggi che secondo me, dovrebbero essere considerati nel loro essere necessari, quantomeno perché hanno fatto la storia, e la storia non si cancella con un colpo di spugna; tu non cerchi di superare la metafisica, a volte, un po' ingenuamente, fai come se la metafisica non esistesse.

Non c'è alcunchè da superare, metafisica o tradizione. C'è solo da prendere atto che la metafisica si radica su physis e ne può prescindere solo per via ingenuamente iperuranica.

CitazioneBasterebbe considerare quanto il lutto, sia peggiore della morte, come esso sia una delle cose più ovvie nel novero delle cose peggiori della morte che possono capitare ai mortali, per capire come il problema non sia la morte della -nostra- coscienza (già Epicuro insegna), ma la morte dell'altro nella e presso la -nostra- coscienza, il portare il lutto, e quindi la coscienza abbandonata che resta sola con se stessa e prende ad oggetto solo se stessa, la morte del mondo e del corpo, la metafisica stessa e il suo veleno...

Il lutto è epifenomeno della morte

CitazioneTu vorresti valutare la vita, fare della vita un valore, ma per valutare nella vita, per essere legislatori di noi stessi, per perseguire il valore, secondo me sommo, di poter noi stessi porre limiti e valori ancora e nonostante tutto, bisogna rinunciare, a valutare (e naturalmente anche a svalutare) la vita.

La vita è l'ingiudicabile, per chi ancora vuole dire i suoi sì e i suoi no, per chi ancora vuole giudicare nella vita.

Anche il "senso della vita" è epifenomenico della vita. E della morte.

CitazioneDa dove parla, chi pretende di giudicare della vita? Da dove parlano, tutti questi disprezzatori e tutti questi estimatori della vita? Da che pulpito? Non stanno loro stessi dentro la vita? Non stanno in fondo giudicando, e parlando, solo di loro stessi?  Il problema non è quello che dicono, non è il loro detto o il loro testo, è chiaramente un problema del femminino del logos, un problema della voce.

Parlano da physis, dalla loro condizione di viventi senzienti.

CitazionePoi anche ammesso che il problema sia la morte della coscienza, in che termini ne potremmo parlare?

Non nel modo che segue...

CitazioneSe in termini inconsci, se vogliamo dire che il problema è la morte della coscienza in termini inconsci, nel suo non sapersi e mascherarsi da altro in maniera potenzialmente elusiva e distruttiva, non possiamo escludere che esista il freudiano istinto di morte, la morte rende non pochi servigi alla vita (fare spazio, fare evolvere, permettere la riproduzione sessuata essendone contraltare eccetera), ed è improbabile che a certi livelli di complessità gli organismi non siano programmati per avere una pulsione a morire che a tratti nel suo divenire conscia diventa un voler morire e bisogna accettarlo e conviverci;

... ho inteso dire altro. Non mi interessano le scorciatoie psicoanalitiche che rimestano nella cacca, ma la cacca prodotta scientemente e portata ai suoi effetti di alienazione.

Citazionese il problema è la morte della coscienza in termini consci, se vogliamo fondare l'etica sul fatto che odiamo la morte della coscienza e lo sappiamo, sappiamo di odiarla, bisogna ricordare che l'uomo è l'animale che può suicidarsi, e che per non farlo deve dare senso alla propria vita; non tutti vivono la morte della coscienza come il massimo dei problemi, i suicidi stanno a testimonianza di questo.

"Se il problema è la morte della coscienza in termini consci" la soluzione è il contrasto a tutte le azioni sociali che speculano sulla morte nella e della coscienza. Ciò ridurrebbe drasticamente pure il numero e le motivazioni dei suicidi e la montagna di infelicità che schiaccia le coscienze fino ad ucciderle.

CitazioneA me sembra corretto ammettere che, oltre a una tendenza alla vita a conservarsi, conservarsi indefinitamente, tendenza che può contemplare l'abborrire assoluto della morte come termine del tempo disponibile ai fini di tale conservazione, come termine del tempo/risorsa, vi è anche una tendenza opposta, tendenza della vita a significarsi tramite la sua stessa finitezza e finitudine, tendenza che coerentemente non può contemplare la morte con il male assoluto, che deve allearsi con la morte e con la prospettiva della morte per realizzarsi, come se la morte stesse alla vita come il suo giusto opposto complementare e non come il suo nemico.

In linguaggio altro dalla "metafisica della morte": possiamo prendere filosoficamente atto del funzionamento di physis e assecondarlo con saggezza, riconducendo l'etica verso una pacifica presa d'atto delle leggi di natura, liberandoci dalla ridondanza delle dicotomie metafisiche e dall'ossessione del divenire:

CitazioneQueste due tendenze sono gli attributi principali del tempo stesso: il tempo è sovversione e danza degli opposti, e il tempo è conservazione. La volizione del tempo come conservazione, abborre la morte in modo schietto e diretto, la volizione del tempo come danza di opposti e potere della sovversione, è la tendenza di maggior saggezza, che, con la morte e il suo potenziale di sovversione, deve allearsi.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Alberto Knox

Non credo che si possa parlare dell esistenza di un assoluto a cui conferire qualcosa come ad esempio il male. Già il male di per se è per se è una traduzione della mente umana, non esiste. Ma esiste la malvagità, la crudeltà, la malignità, esistono pensieri malvagi, atti malvagi, ma non esiste il male di per se, come una spece di forza metafisica che sta li come ombra minacciosa ad attirirarci ad esso. Dietro la figura spirituale della personificazione del diavolo come soggetto si nasconde una grande verità, che è la malvagità di cui l'uomo è in grado di impastare il propio cuore e la propia coscienza ad opera delle sue attività mentali.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Discussioni simili (5)