Menu principale

La sindrome da utopia

Aperto da Jacopus, 17 Aprile 2022, 10:26:23 AM

Discussione precedente - Discussione successiva

Jacopus

Il capitolo cinque del libro "change" di Watzlavick si intitola "la sindrome da utopia". Con sindrome da utopia W. intende quell'attitudine radicata in Occidente, di poter ottenere qualsiasi cambiamento sulla base del "dovrebbe essere", impartito dalla società umana ed in grado di piegare "l'essere" ai suoi voleri. Riporto la chiusura del capitolo, a costo di essere noioso:

"In pratica esistono molte situazioni in cui accade di cambiare la realtà per conformarla ad una premessa. Ma è probabile che ci siano altrettante situazioni in cui non si può modificare in alcun modo lo stato delle cose. Se in una qualunque di tali situazioni le condizioni potenziali (il dovrebbe essere) sono considerate più reali della realtà, allora si tenterà il cambiamento dove non può prodursi e dove neppure si sarebbe dovuto tentare se inizialmente non fossero state postulate premesse utopistiche".

W., forte di una lunga esperienza di vita in India, prima di diventare uno degli esponenti di punta della PNL della scuola di Palo Alto, si pone in modo critico rispetto a tutta l'esperienza tecnico/filosofica dell'Occidente. Esperienza fondata proprio sull'Utopia come "non luogo prima progettabile e poi realizzabile". Al culmine del potere simbolico dell'Occidente, Weber poteva scrivere "perseguire ciò che ancora non c'è è il primo modo per realizzarlo". A tale enunciato risponde il famoso maestro zen a cui un discepolo infervorato domanda come si raggiunge l'Illuminazione (altro luogo utopistico) e al quale viene risposto: "tornare a casa e dormire serenamente".

Noi Occidentali siamo quel che siamo perché ci abbeveriamo da secoli di "dovrebbe essere" e riteniamo "l'essere" come un limite da superare, per ottenere un " super essere" in continuo autosuperamento.
Quello che mi domando è se questo percorso vada oggi ricondotto a più miti ragioni, se si debba tornare al semplice " essere" Orientale e cosa questo comporti. Non è un caso che la dialettica, la democrazia, la filosofia, siano nate e cresciute nell'albero della Sindrome da utopia, mentre il dispotismo, il fatalismo, la resa agli eventi siano tipiche delle culture che preferiscono l'essere al dover essere. Oppure, e questa è la seconda domanda, se è possibile una sintesi proficua fra i valori dal lato dell'essere orientale e i valori dal lato del dover essere occidentale.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

ricercatore

ciao Jacopus, bella riflessione: è un tema a cui penso spesso, questo è quello che ho capito finora.

la nostra evoluzione ci ha portato all'adesione di uno schema fondamentale, dal quale sembra impossibile uscire:
- punto A: dove sono ora (presente)
- punto B: dove dovrei essere (futuro)
- tragitto da A a B: cosa devo fare per poter raggiungere B?

quando eravamo primitivi, B era "avere cibo in abbondanza", "occupare una nuova caverna più spaziosa e sicura", "difendersi dai leoni".
oggi B è "trovare un nuovo lavoro", "fare un figlio", "comprare una nuova casa", "imparare a suonare il pianoforte".
B è la Terra Promessa dove scorre latte e miele, il Paradiso, l'Utopia.

oggettivamente questo schema ci ha fatto realizzare cose incredibili, tipo andare sulla Luna, Internet, curare alcuni tipi di tumore.

B è ciò che dà senso alle nostre vite.


penso che noi Occidentali siamo davvero dentro a questo schema.
eppure, una volta conquistato B, rimaniamo dopo poco delusi: quella felicità dura davvero poco.
ecco che allora quel B appena raggiunto diviene il punto A: e noi individuiamo un altro punto B.
il Cristianesimo tenta di aiutare gli Occidentali, promettendo un super-B (il Paradiso) nell'aldilà.

credo che gli Orientali siano più consapevoli di questa "ruota", di questa Illusione, di questo "ciclo di rinascite" (saṃsāra): non ci sarà nessun punto B a regalarci la felicità, nessun punto B rimuoverà questo dolore.
anzi, è proprio questo meccanismo che ci porta alla schiavitù e alla sofferenza.
arrivare a comprendere questo significa entrare nel Nirvana.

c'è un paradosso anche da loro: "desiderare il Nirvana" non è anch'esso un punto B? "desiderare di non desiderare" non è anch'esso un desiderio?
lo Zen sembra risolvere il paradosso: l'Illuminazione è già qui, non c'è nessun percorso da fare, nessuna "fase" da superare: sei già un Buddha!

non ho trovato ancora una conciliazione tra i due mondi, però credo che abbiamo bisogno di entrambi.

nella concretezza di tutti i giorni ho bisogno dello schema "occidentale" A-B, per poter sopravvivere e condurre una buona vita materiale (avere una casa, un buon lavoro, sostenere la mia famiglia, curarmi se sto male, etc.).

tuttavia nella ricerca spirituale, nella ricerca di una filosofia di vita da adottare per "gestire" il dolore che mi provoca la mia auto-consapevolezza (coscienza), credo che la via Orientale sia la migliore.
sento che gli Orientali siano i più vicini alla Verità.

hystoricum

#2
Il cervello umano è attivo 24/24 oreha bisogno,di stimoli variati,interessanti e gradevoli,non ama lapigrizia  e lo spegnimento.
Per questo l'essere umano pensa,oltre al resto dell'attività mentale.
È un fatto biologico innato,che poi diventa psicologico e culturale.
Io non ne so il motivo ma ritengo che il cerebro,paradossalmente e al contrario di quello che sembra,SI SPEGNEREBBE PER CONTO SUO E NON SI SVEGLIEREBBE PIÙ.
Vi faccio un esempio:i bambini iperattivi venivano curati fino a pochissimi decenni fa,con farmaci tranquilizzanti  senza risultati apprezzabili.
Poi,alcuni ricercatori scoprirono che i bambini erano iperattivi nel continuo tentativo di evitare l'avvento del sonno e del crollo mentale vigile e quotidiani.In questo modo mantenevano fuori gioco le aree preposte al sonno rimanendo svegli.
Fu così che vennero somministrati loro ECCITANTI LEGGERI che facevano  lo stesso lavoro da soli permettendo ai bambini di darsi una calmata.
Mi chiedo quante centinaia di milioni di persone soffrano questo problema nei due sensi:
a)spegnendosi mentalmente senza peraltro attivarsi a sufficienza per riprendersi
b)iperattivandosi per non spegnersi

Questo problema è stranamente assente sottovalutato dall'OMS e dalla medicina in generale.
Nel contempo si bombarda la gente mediaticamente e facendo della terra un chiassoso e banale pianeta Il silenzio fa paura ,in generale,un po' a tutti:il cervello ha paura di spegnersi a livello cosciente e vigile,quotidiano?
L'uomo,a differenza degli animali che seguono tranquillamente i ritmi sonno/veglia loro e quelli naturali,ha qualcosa di innaturale o di guasto postnaturale nel suo cerebro.
Scrivo queste osservazioni qui,perchè l'ossessione umana così ben denunciata da W  è uno dei sistemi per tenere sveglio il cervello di giorno.
Secondo me e non solo,infatti,il cervello sembra essere una specie di crescita tumorale benigna e funzionale più che un organo naturale ipso facto
Questo spiegherebbe il suo dover essere sempre attivo giorno e notte ma spiegherebbe anche il suo spegnimento  lento e progressivo nell'umanità attuale.

PhyroSphera

Citazione di: Jacopus il 17 Aprile 2022, 10:26:23 AMIl capitolo cinque del libro "change" di Watzlavick si intitola "la sindrome da utopia". Con sindrome da utopia W. intende quell'attitudine radicata in Occidente, di poter ottenere qualsiasi cambiamento sulla base del "dovrebbe essere", impartito dalla società umana ed in grado di piegare "l'essere" ai suoi voleri. Riporto la chiusura del capitolo, a costo di essere noioso:

"In pratica esistono molte situazioni in cui accade di cambiare la realtà per conformarla ad una premessa. Ma è probabile che ci siano altrettante situazioni in cui non si può modificare in alcun modo lo stato delle cose. Se in una qualunque di tali situazioni le condizioni potenziali (il dovrebbe essere) sono considerate più reali della realtà, allora si tenterà il cambiamento dove non può prodursi e dove neppure si sarebbe dovuto tentare se inizialmente non fossero state postulate premesse utopistiche".

W., forte di una lunga esperienza di vita in India, prima di diventare uno degli esponenti di punta della PNL della scuola di Palo Alto, si pone in modo critico rispetto a tutta l'esperienza tecnico/filosofica dell'Occidente. Esperienza fondata proprio sull'Utopia come "non luogo prima progettabile e poi realizzabile". Al culmine del potere simbolico dell'Occidente, Weber poteva scrivere "perseguire ciò che ancora non c'è è il primo modo per realizzarlo". A tale enunciato risponde il famoso maestro zen a cui un discepolo infervorato domanda come si raggiunge l'Illuminazione (altro luogo utopistico) e al quale viene risposto: "tornare a casa e dormire serenamente".

Noi Occidentali siamo quel che siamo perché ci abbeveriamo da secoli di "dovrebbe essere" e riteniamo "l'essere" come un limite da superare, per ottenere un " super essere" in continuo autosuperamento.
Quello che mi domando è se questo percorso vada oggi ricondotto a più miti ragioni, se si debba tornare al semplice " essere" Orientale e cosa questo comporti. Non è un caso che la dialettica, la democrazia, la filosofia, siano nate e cresciute nell'albero della Sindrome da utopia, mentre il dispotismo, il fatalismo, la resa agli eventi siano tipiche delle culture che preferiscono l'essere al dover essere. Oppure, e questa è la seconda domanda, se è possibile una sintesi proficua fra i valori dal lato dell'essere orientale e i valori dal lato del dover essere occidentale.

Essere e dover essere non sono ovvi. Si tratta di trovarne l'equilibrio. Gli orientalismi per noi occidentali non sono utili a riguardo più del postmodernismo.
Tra i filosofi che smascherano il mito del progresso: Schopenhauer, Nietzsche, Kierkegaard.

MAURO PASTORE

bobmax

L'occidente si è incamminato lungo il sentiero della notte.
Mentre l'oriente ha sostato a lungo sul bivio da cui si dipartono il sentiero del giorno e quello della notte, per poi seguire l'occidente.

Diversamente da Severino, non ritengo che la direzione presa dall'occidente sia stata errata. Perché non è stata neppure una scelta: doveva necessariamente andare così.

Il fascino della filosofia orientale è tutto espresso da quel suo sostare sul bivio, senza decidersi.
Accontentandosi dei rari lampi di intuizione su cosa dovrà trovarsi lungo il sentiero del giorno... Senza però mai inoltrarvicisi davvero.

Intuizioni preziose, ma insufficienti se non si sperimenta concretamente il sentiero della notte.

È lo sguardo della Medusa che deve essere affrontato!
Solo allora, forse, la notte potrà diventare giorno.

La mia impressione è che in oriente vi siano menti brillanti. E che stia avvenendo un proficuo sincretismo, con la scoperta della ricchezza del pensiero filosofico occidentale, alla luce delle antiche intuizioni orientali.
Un connubio ottimale. Che potrà dare buoni frutti.
Tardi ti ho amata, bellezza tanto antica e tanto nuova, tardi ti ho amata. Tu eri con me, mentre io ero lontano da te.

Ipazia

Concordo con bobmax. La scuola di Palo Alto è il santuario del realismo borghese, un McDonald di pensieri finalizzati all'omologazione. Dalla padella dell'utopia alla ghiacciaia del conformismo. Ancor più sponsorizzato.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

viator

Citazione di: Ipazia il 17 Aprile 2022, 16:49:02 PMConcordo con bobmax. La scuola di Palo Alto è il santuario del realismo borghese, un McDonald di pensieri finalizzati all'omologazione. Dalla padella dell'utopia alla ghiacciaia del conformismo. Ancor più sponsorizzato.

Salve Ipazia. Certamente nessuno è esente da contraddizioni. Ma la mia solita ironia trova veramente impagabile il fatto che tu ed altri, finchè stanno ideologicamente fuori del liberismo, lo trovino opprimente e nefastamente omologante.

Stando fuori di esso, tu e loro sognate di sostituire l'omologante liberismo capitalborghese con qualcosa di MOLTO più omologante : l'egualitarismo forzato delle dittature "proletarie". Auguratevi che nessuna "nomenklatura" mai vi faccia sperimentare il vero significato della espressione "conformismo di Stato". Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

niko

#7
In realtà la parte malata dell'utopia è proprio il punto di vista metafisico, che vorrebbe l'essere, o comunque la permanenza di qualcosa, in un mondo in continuo divenire.

Permanenza di Dio, dell'idea, o anche solo della soddisfazione/felicità. La felicità fa parte della vita e quindi non può permanere in modo statico, dato che la vita è dinamica.

Il punto di vista non-utopico è il punto di vista che dice che bisogna accettare ciò che c'è, ma ciò che c'è è il divenire, non l'essere, (potrei dire è Eraclito, non Parmenide), quindi anche il problema del ricercare la felicità nella non-utopia, e dunque l'atteggiamento umano che cerca la felicità nell'accettazione, al netto dell'immaginazione metafisica, è un problema relativo al fare i conti col divenire, non con l'essere. In questo senso, il buddismo mi sembra paradigmatico.

Quindi direi che al netto del punto di vista metafisico, il punto di vista orientale accetta il divenire (così come esso, tra mille virgolette, "è"); mentre la parte sana e vitale del punto di vista "utopico" occidentale il divenire cerca di direzionarlo, di condizionarlo, per "costruire", appunto, sane e vitali utopie, che non si riducano alla pretesa di costruire l'essere nel divenire, alla pretesa di fermare il tempo. Fare essere il divenire in un modo, piuttosto che in un altro.

E' comunque sempre fondamentale la non collocazione interamente futura dell'utopia, in questo senso tutte le utopie, politiche, o religiose, finanche quelle capitalistiche, seriose, come il punto di vista weberiano, o pacchiane, come la pnl o il new tought, hanno qualcosa in comune, ovvero nell'ideologia sottesa all'utopia si suppone che l'utopista sia in grado di agire entusiasticamente a favore dell'utopia nel presente, e quindi che l'utopia stessa non abbia bisogno di realizzarsi interamente ed esclusivamente nel futuro per dare il suo frutto e raggiungere suo scopo, che è quello di generare felicità, manifestando la potenza di poter rendere felice l'utopista finanche nel presente, e quindi la sua sostanziale indipendenza, dal tempo e dalle forme fenomeniche.

L'utopia è retroattiva, è un futuro che fa effetto (un effetto che, quantomeno nelle intenzioni degli utopisti, dovrebbe essere benefico ed apotropaico) sul presente.

Va controvento rispetto alla direzione del tempo, perché rappresenta il desiderio dell'uomo, di andare controvento rispetto alla direzione del tempo, di non morire mai.

Le varie utopie poi si distinguono, e tendono ad essere incompatibili tra di loro, per la concezione e definizione delle cause/future, che possano generare questo effetto retroattivo.

L'utopia mostra insomma quell'aspetto dell'animo umano tale per cui, quando quello che crediamo essere un effetto è per noi positivo, è generativo di potenza o di felicità, poco ci importa di sapere quale sia la singola causa di quell'effetto in sé: ci interessa solo la classe di cause simili più o meno ampia che possa riprodurre o conservare quell'effetto.

Siamo disposti a sacrificare tutto per la felicità, quindi il nostro vero interesse è chiederci quale parte del tutto non si possa sacrificare ai fini della felicità stessa, quale parte del tutto sia generativa della felicità. Quali zavorre solo apparentemente inutili e neutre, si porti con sé l'utile e il buono, e quali siano le vere, zavorre inutili e neutre.

In tal modo, nella logica dell'utopia, si auspicano trasformazioni che salvino e potenzino l'indispensabile, e distruggano il superfluo, e in tal senso si cerca di "dirigere" il divenire.

Se l'utopista, rapito nel suo entusiasmo, è felice, da cosa, da quali oggetti e cause, può prescindere mantenendo inalterato il suo essere felice? Da tutto? Da nulla? Dal "superfluo" nel senso della ricchezza materiale? Dal volere stesso? Da tutto ciò che non è "giusto", nel senso di astraibile o generalizzabile? Da tutto ciò che, romanticamente o cristianamente, non è amore?

A seconda delle risposte a queste domande si generano le varie utopie, che possono essere di ascesi, di amore del fato, o più classicamente politiche, o religiose, o comunitarie eccetera.


Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

PhyroSphera

Citazione di: niko il 18 Aprile 2022, 13:30:57 PMQuindi direi che al netto del punto di vista metafisico, 
È una illusione quella della estromissione o estinzione della metafisica. L'epoca della metafisica è tramontata ma la metafisica è rimasta una modalità necessaria in molte occasioni necessarie.

MAURO PASTORE

Ipazia

Perchè ci sia divenire è necessario che qualcosa divenga. Non darei Parmenide per morto tanto facilmente. La realtà è essere in divenire, ovvero esistenza. L'esistenza autocosciente si pone degli obiettivi che il realismo borghese chiama utopie se sono aliene ai suoi interessi, e programmi se sono in funzione di essi. Un po' come chiama filantropi i propri miliardari, e oligarchi quelli del nemico di turno.

A prescindere dall'utopia capitalistica, che non va oltre l'accumulazione e il profitto, la progettualità del futuro non è necessariamente sindrome patologica ma, saggiamente condotta, è motore collettivo dell'evoluzione umana; imparando dagli orientali e da Eraclito, che poco concedono alle "sindromi del soggetto", e molto focalizzano sulla dimensione transeunte dell'esperienza umana, allargando lo sguardo oltre la mera soggettività individuale, divenuta polo dialettico effimero, ingannevolmente antitetico, della forma peculiare della socializzazione capitalistica, la massificazione.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

Alberto Knox

Mi sento di introdurre, nella vostra discussione, Jean-Paul Sartre , filosofo esistenzialista vissuto fra il 1905 e il 1980.

Per tutta la storia della filosofia i filosofi hanno cercato di rispondere alla domanda riguardo a cosa sia un essere umano, o di individuare quale sia la natura umana. Secondo Sartre,invece, l'uomo non possiede nessuna "natura eterna"  cui fare riferimento. In altre parole, siamo condannati a improvvisare; siamo come attori che vengono mandati in scena senza avere un ruolo, un copione e un suggeritore che possa sussurrarci all'orecchio cosa quello che dobbiamo fare. Noi stessi dobbiamo scegliere come vogliamo vivere. Sarebbe troppo bello se bastasse consultare la Bibbia , o gli scritti del buddismo o un manuale di filosofia per scoprire come si deve vivere. Sartre dice inoltre che l'uomo si sente estraneo in un mondo privo di significato. Quando descrive l'alienazione dell uomo Sartre descrive l'uomo del xx secolo. La sensazione umana di essere un estraneo nel mondo crea un sentimento di disperazione, noia, nausea e assurdità. è molto diffuso sentirsi depresso e frustrato.
Mi piace parlare a tu per tu col lettore mentre scrivo , come si parla al tavolo di un bar.
Ricordi che gli umanisti rinascimentali avevano affermato quasi trionfalmente la libertà e l'idipendenza dell uomo?  Sartre sentiva la libertà umana come una maledizione. "L'uomo è condannato a essere libero" disse. E questa libertà fa si che , per tutta la vita, l'uomo è condannato a scegliere. Non esistono ne valori eterni ne norme alle quali possiamo appellarci . Per questo è ancora più importante quale scelta facciamo, perchè siamo totalmente responsabili delle nostre azioni. Sartre mette in evidenza il fatto che l'uomo non può mai sfuggire alla propria responsabilità. Deve fare le proprie scelte, e non può, per sottrarsi a quelle responsabilità, dire che "tutti dobbiamo lavorare" o " che tutti dobbiamo adeguarci a determinate aspettative borghesi circa il modo in cui dobbiamo vivere". Chi scivola così nella folla anonima è soltanto un massificato e impersonale: è in fuga da se stesso e vive una vita di menzogne.
La libertà umana , invece, ci impone di fare qualcosa di noi stessi, di esistere "autenticamente".
Sartre non era un nichilista , per lui la vita deve avere un significato , ma siamo noi che dobbiamo crearlo per la nostra vita. esistere è creare la propria esistenza. Per concludere Sartre ha toccato un punto importante quando ha detto che le domande esistenziali non troveranno mai una risposta definitiva: una domanda filosofica è per definizione qualcosa che ogni generazione, si, ogni essere umano deve porsi ogni volta.
Non deve essere motivo di sconforto. Non è propio il porsi queste domande che ci fa sentire vivi?
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

niko

Citazione di: Ipazia il 18 Aprile 2022, 22:34:03 PMPerchè ci sia divenire è necessario che qualcosa divenga. Non darei Parmenide per morto tanto facilmente. La realtà è essere in divenire, ovvero esistenza. L'esistenza autocosciente si pone degli obiettivi che il realismo borghese chiama utopie se sono aliene ai suoi interessi, e programmi se sono in funzione di essi. Un po' come chiama filantropi i propri miliardari, e oligarchi quelli del nemico di turno.

A prescindere dall'utopia capitalistica, che non va oltre l'accumulazione e il profitto, la progettualità del futuro non è necessariamente sindrome patologica ma, saggiamente condotta, è motore collettivo dell'evoluzione umana; imparando dagli orientali e da Eraclito, che poco concedono alle "sindromi del soggetto", e molto focalizzano sulla dimensione transeunte dell'esperienza umana, allargando lo sguardo oltre la mera soggettività individuale, divenuta polo dialettico effimero, ingannevolmente antitetico, della forma peculiare della socializzazione capitalistica, la massificazione.


Ogni cosa è riducibile e riconducibile all'insieme delle sue relazioni con le altre cose, non esiste di per sé. Per buona parte, faccio mio il concetto, appunto orientale, di vacuità e affermo che alla realtà del divenire non è necessario che qualcosa divenga; e non esiste nessun essere in divenire; semmai esiste l'essere del divenire, che è un ritornare.

Il logos non è solo la ragione, altrove si era detto che esso contiene anche la dimensione dell'espressione, e dell'ascolto.

in questo video, piuttosto lungo purtroppo, viene proposta l'interpretazione secondo la quale che alcuni frammenti di Eraclito, più che ragionamenti freddi, sono pura espressione nichilista contro la possibilità stessa l'esistenza.

Una espressione dunque al bivio, tra oriente e occidente.

Se per Heidegher, e in un certo senso anche per Bergson, l'essere è tempo, per Eraclito non c'è tempo, per esistere.

La serie inconcussa degli attimi rende impossibile il segmento, o la durata, di cui ci sarebbe bisogno per esistere.
La sintesi possibile tra gli attimi, effettuabile dal pensiero, non risolve il problema, perché rimane anche essa una realtà istantanea, anche essa pungolata da una necessità di continuo cominciamento.

Principalmente vengono analizzati i frammenti di Eraclito che affermano che:

Stessa cosa sono il nascere e il perire

e

il sole è nuovo continuamente.


Insomma è impossibile la durata, e con essa l'esistenza.

Paradossalmente le stesse espressioni anti-logiche ma vitalisticamente espressive contro il tempo "minimo" necessario all'esistenza, ovvero contro la durata, si trovano anche in Parmenide, solo che in Parmenide la durata è contrapposta all'eternità, e non al divenire.

La continuità inconcussa nel rinnovarsi del sole (Eraclito) è differenza assoluta dalla continuità impenetrabile dello sfero (Parmenide), ma ha lo stesso effetto nel rendere impossibile l'essere per come lo concepiscono gli occidentali i contemporanei, dacché l'essere per come lo concepiscono gli occidentali contemporanei è tempo, e il tempo non c'è, nell'eternità, ma neanche nel divenire inconcusso che si riduce alla sommatoria (e non somma...) degli attimi.

LinK:

https://www.iisf.it/index.php/istituto/archivio-storico/aldo-masullo-l-idea-di-tempo-alla-prova-del-pensiero-nichilista-1-4.html


Naturalmente il logos come ragione testimonia a favore dell'esistenza; si parla qui del logos come espressione e come necessità dell'ascolto: ogni cosa (esistendo solo relazionalmente, e non differendo affatto, nel suo esistere, da un nodo di una rete di causa ed effetto) si porta con sé la totalità, e quindi anche il soggetto, che è imprescindibile, e che è desiderio 
non-giudicante e a-finalistico del ritorno, vita che in un modo o nell'altro ce l'ha fatta, ad arrivare al punto (della rete) da cui osserva.







Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Alberto Knox

Citazione di: niko il 19 Aprile 2022, 10:55:04 AMOgni cosa è riducibile e riconducibile all'insieme delle sue relazioni con le altre cose, non esiste di per sé. Per buona parte, faccio mio il concetto, appunto orientale, di vacuità e affermo che alla realtà del divenire non è necessario che qualcosa divenga; e non esiste nessun essere in divenire; semmai esiste l'essere del divenire, che è un ritornare.
Trovo molto interessante approfondire questo spezzone del tuo discorso...in particolare ci sono alcune parole che han catturato la mia attenzione, come vacuità, realtà, essere, divenire e..ritornare.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Freedom

Citazione di: Jacopus il 17 Aprile 2022, 10:26:23 AMQuello che mi domando è se questo percorso vada oggi ricondotto a più miti ragioni, se si debba tornare al semplice " essere" Orientale e cosa questo comporti. Non è un caso che la dialettica, la democrazia, la filosofia, siano nate e cresciute nell'albero della Sindrome da utopia, mentre il dispotismo, il fatalismo, la resa agli eventi siano tipiche delle culture che preferiscono l'essere al dover essere. Oppure, e questa è la seconda domanda, se è possibile una sintesi proficua fra i valori dal lato dell'essere orientale e i valori dal lato del dover essere occidentale.

A me pare che la filosofia orientale, intesa come modo di essere, stia sparendo se non addirittura sia già sparita. Rimane qualche tratto specifico culturale, resta un qualcosa di comportamentale, un sorriso ineffabile. Ma oramai da Tokio ad Hanoi, da Bangkok a Seul, (presto anche a Pechino) sono proiettati verso i nostri stessi target esistenziali. Come la gente di montagna (di qualsiasi montagna del mondo) un tempo profondamente immersi in una spiritualità naturale, oggi sensibili perlopiù al......... diciamo, visto che non sono in vena di volgarità, criterio orientativo dell'Ovest.

Insomma la spiritualità occidentale cioè la sua negazione, in favore dell'egoismo più sfrenato, mi sembra sia nettamente dominante in tutto il mondo conosciuto. Non vorrei svilire la discussione ma i 7 forse 8 miliardi di esseri umani che attualmente vivono sul pianeta sono attirati dai valori cioè dai disvalori dell'Occidente. E gli unici che possiamo comprendere sono coloro che mancano dei mezzi di sostentamento. Ho sempre pensato, e affermato, che gli unici che hanno diritto di pensare 24 ore al giorno al denaro sono quelli che il denaro non ce l'hanno.

Il....chiamiamolo liberismo per capirci ma è qualcosa di molto più complesso, ha vinto, stravinto, perchè valorizza, assurge a idolo assoluto, alcuni aspetti umani negativi, che ahimè, sono quelli ai quali si è più naturalmente inclinati. E, intelligentissimamente, lo fa seducendo, corrompendo, blandendo, adulando. Purchè non si pronunci la parola sbagliata e si lasci vestire e fare tutto quello che uno vuole, si può, in cambio, sfruttare vecchi e bambini, donne gravide, e bastonare quelli che non si piegano. Oramai pochissimi. Il trionfo del politicamente corretto. Le dittature, sia di destra che di sinistra, sono vecchi arnesi obsoleti e del tutto inefficaci rispetto alla diabolica corruzione dell'anima praticata al giorno d'oggi.

Non ci sono quindi, attualmente, secondo il mio parere, una prospettiva orientale e una occidentale, ma una unica angolatura promossa e cresciuta in occidente. Ma che oramai abbraccia il mondo intero ed ecumenicamente, per osmosi, è diventata una cosa nuova, arricchita dai tratti orientali ma, anche, da quelli sudamericani e africani.

E che, attraverso la finanziarizzazione del mondo e col sorriso sulle labbra e nel rispetto delle minoranze (ahimè solo quelle sessuali), si permette di asservire tutto ciò che sta sopra (e sotto!) il nostro pianeta.
Bisogna lavorare molto, come se tutto dipendesse da noi e pregare di più, come se tutto dipendesse da Dio.

Discussioni simili (2)