[GDL]Fenomenologia dello Spirito di Hegel

Aperto da green demetr, 30 Novembre 2021, 11:26:27 AM

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niko

Citazione di: green demetr il 30 Novembre 2021, 11:26:27 AMPerchè Hegel e non Kant.
Questo domande che ci facevamo al bar dell'università di Milano, fra gli sguardi increduli delle bariste.
Ma come non ripetono la lezioncina, come facevano alla tavolata poco distante da noi 2?
Eravamo in 5 siamo rimasti in 2.
Ora sono rimasto solo soletto. Come al solito.
Hegel si, Kant no.
Kant molto bene, ma no.

Il fatto è che l'imperativo categorico, mi pare proprio un cascame del più ampio problema del suo carattere ossessivo.

Hegel sì, perchè sebbene lo critichi, è comunque sulla scia di Kant.
Certo chiama Ragione quello che Kant chiama intelletto, e chiama Intelletto quello che Kant chiama ragione.

Sinceramente sono d'accordo con Hegel, la ratio, come dice la radice latina, è la capacitò di divisione, una qualità più che una sostanza dell'uomo.
Ma a bocce ferme, stanno dicendo la stessa cosa.
Ossia che la qualità fondamentale dell'essere uomini è proprio il fatto di venire da categorie apriori.
E che la Ragione o l'Intelletto sono la parte fondante e fondamentale dell'essere filosofi, essere filosofi che è una questione morale naturalmente.
Noi non siamo filosofi, noi lo diventiamo, cosi raccontava la sfinge ai suoi ricercatori.
Ma la sfinge va comprensa non guardata. Non ci si guarda allo specchio, se no, si finisce impietriti, e si diventa dei somari e non dei filosofi.
Così non si guarda in volto la Sfinge, la si comprende.
E così è il domandare, il domandare va domandato.
La biblioteca non serve a niente se non la si domanda.
Credere ciecamente nella biblioteca è rimanere impietriti dalla sfinge.
E il domandare che si domanda, richiede il pensiero che si pensa.
E il pensiero pensante è la FILOSOFIA. Pensiero di pensiero.
Pensiero al quadrato.

La fenomenologia è il massimo prolegomena a questo pensante.
(mi pare) Io non l'ho mai letta (tutta).

Leggiamola insieme!!  8)


Io posso concordare fino a un certo punto sull'affermazione che:

 l'uomo venga da categorie a priori,

e la credo vera quantomeno per quanto riguarda l'uomo attuale, per come esso si e' storicamente determinato.
Ma credo anche che l'uomo sia un ente volente, e identificabile con una volonta' piuttosto che con una coscienza; quindi non accetto il "venire da categorie a priori" come un "destino", e penso che l'uomo venga si' da categorie a priori, ma (solo) perche' egli VUOLE, da esse provenire, perche' questa e' la sua volonta'.

Dunque sprofondare nella retrospezione, o sprofondare nella datita' del cosciente e' sprofondare in un proggetto dell'uomo che (liberamente) vuole, e sceglie, per se stesso, di essere coscienza, e quindi, nel contemplare il realizzarsi del suo stesso proggetto, e' sempre piu' immemore e inconscio della verita' soggiacente di essere (invece) volonta'.

Avendo la coscienza in se' tutte le emozioni positive e negative, tutti i sentimenti di cui si vorrebbe spiegare la bellezza, l'identificazione con la coscienza e' cio' che incatena l'uomo a se stesso; perche' non ci sara' mai un motivo reale di superare nel tempo e nel divenire l'identificazione, diciamo cosi', parmenidea, di essere e coscienza, in quanto essa si propone come la possibilita' e la fonte unica del bene: possibilita' del sentimento e dell'esperimento umano del bene, un sentire il bene che sia insieme anche essere, ed esser vero.

Cio' che puo' provare, il bene e il male, e dunque la coscienza umana, ha in se' tutti i fini, e cio' che ha in se' tutti i fini, non puo' mai servire ad altro, non puo' mai diventare mezzo.

Insomma un paradigma dell'uomo come fine si presta a rimodulazioni infinite di se stesso, ma non mai a nessun superamento, di se stesso.

Invece, se si riuscisse a contemplare la retrospezione del passato, o la primigeneita' e superiorita' "gerarchica" del dato di coscienza sul soggetto come un voluto, ovvero come un effetto e un appagamento della volonta' si potrebbe forse "esaurire" quel tipo di esperienza e voluzione, e iniziare a volere altro. 








Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

daniele22

Premesso che non so un accidente di Hegel, proprio per questo chiedo lumi non avendo alcuna intenzione di mettermi a studiarlo.
Per come la vedo, io pongo da una parte la sensazione. Dall'altra faccio tutto un fascio tra ragione, intelletto, mente, e coscienza. Tralascio la conoscenza a priori per un eventuale dopo e tralascio ingenuamente forse la dimensione onirica. Io vi chiedo come mai i due tedeschi tengano in piedi una differenza tra intelletto e ragione?

viator

Salve. Differenza tra intelletto e ragione.

Non so cosa ne pensassero i Grandi Maestri. Leggerli genera solo confusione e mai chiarezza.

L'intelletto serve a comprendere i concetti e le nozioni.

La ragione serve a decidere quale debba essere - in conclusione - la scelta più utile o meno dannosa tra tutto ciò che si è compreso o creduto di aver compreso.

Le tre righe sovrastanti potrebbero tranquillamente permettere di evitare la lettura di intere biblioteche di filosofia. Saluti.

Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

green demetr

Citazione di: niko il 20 Marzo 2022, 13:10:57 PM
Citazione di: green demetr il 30 Novembre 2021, 11:26:27 AM....
Ossia che la qualità fondamentale dell'essere uomini è proprio il fatto di venire da categorie apriori.
E che la Ragione o l'Intelletto sono la parte fondante e fondamentale dell'essere filosofi, essere filosofi che è una questione morale naturalmente.


Io posso concordare fino a un certo punto sull'affermazione che:

 l'uomo venga da categorie a priori,

e la credo vera quantomeno per quanto riguarda l'uomo attuale, per come esso si e' storicamente determinato.
Ma credo anche che l'uomo sia un ente volente, e identificabile con una volonta' piuttosto che con una coscienza; quindi non accetto il "venire da categorie a priori" come un "destino", e penso che l'uomo venga si' da categorie a priori, ma (solo) perche' egli VUOLE, da esse provenire, perche' questa e' la sua volonta'.

Dunque sprofondare nella retrospezione, o sprofondare nella datita' del cosciente e' sprofondare in un proggetto dell'uomo che (liberamente) vuole, e sceglie, per se stesso, di essere coscienza, e quindi, nel contemplare il realizzarsi del suo stesso proggetto, e' sempre piu' immemore e inconscio della verita' soggiacente di essere (invece) volonta'.

Avendo la coscienza in se' tutte le emozioni positive e negative, tutti i sentimenti di cui si vorrebbe spiegare la bellezza, l'identificazione con la coscienza e' cio' che incatena l'uomo a se stesso; perche' non ci sara' mai un motivo reale di superare nel tempo e nel divenire l'identificazione, diciamo cosi', parmenidea, di essere e coscienza, in quanto essa si propone come la possibilita' e la fonte unica del bene: possibilita' del sentimento e dell'esperimento umano del bene, un sentire il bene che sia insieme anche essere, ed esser vero.

Cio' che puo' provare, il bene e il male, e dunque la coscienza umana, ha in se' tutti i fini, e cio' che ha in se' tutti i fini, non puo' mai servire ad altro, non puo' mai diventare mezzo.

Insomma un paradigma dell'uomo come fine si presta a rimodulazioni infinite di se stesso, ma non mai a nessun superamento, di se stesso.

Invece, se si riuscisse a contemplare la retrospezione del passato, o la primigeneita' e superiorita' "gerarchica" del dato di coscienza sul soggetto come un voluto, ovvero come un effetto e un appagamento della volonta' si potrebbe forse "esaurire" quel tipo di esperienza e voluzione, e iniziare a volere altro.


Intanto vi ringrazio perchè siamo tornati sui binari giusti, purtroppo sto avendo una involuzione che mi sta cominciando a preoccupare, perciò mi prendo un pò di tempo per gestire quella che chiamo la questione intellettuale.

Il tuo intervento Niko è come al solito ricco di spunti.
Mi fa piacere che riecheggi non solo i motivi di Hegel e Kant, ma anche quelli di altri autori a me cari, tirando in ballo il destino (Heidegger) e il superamento del sè (Nietzche).
Mi pare che tu metta nel mix la questione sollevata da Schopenauer.

Schopenauer non segue il modello Hegeliano, ma quello Kantiano, cercando di superare il pericolo di solipsismo latente del Kant.
Introducendo la dimensione della volontà e del suo carattere drammatico e conflittuale, che rende l'inanimato della materia come se fosse cosa vivente.

Naturalmente come sai, questa dimensione viene riadattata da Nietzche proprio in chiave di superamento del sè, cosa che non avviene in Schopenauer, che si ferma ad una noluntas universale.

Quindi mi piace la tua idea di un soggetto che sceglie di essere cento, mille volte cosciente del proprio sè, riadattandolo potenzialmente all'infinito.

Il punto di queste filosofie vitaliste è però che poi si spengono proprio a contatto con la realtà, il loro soggetto, è un soggetto che perisce.
Ora ricostruire questa strada è faticoso. A livello di intuito rozzo te la dico così: queste filosofie sono animate dalla volontà di collassare su se stesse.

Ecco rispetto alla tua filosofia e al netto del suo esito, non mi dispiace.

Diverso però è la questione del soggetto, che in fin dei conti è un pò il banco di prova, a cui la filosofia non ha mai più saputo rispondere dopo.

Infatti tu parli del soggetto come uomo.

Ma l'idea di uomo è un costrutto del soggetto.

Dunque dire soggetto e dire uomo non è la medesima cosa.

Come dire che la tua filosofia non si interroga sulla costruzione che tu sei, che noi siamo.


Il concetto di uomo (e tutte le sue declinazioni filosofanti o scientiste che siano) è un esito.

Di questo esito si tratta di capire le forme di composizione.

Come ci ha spiegato Kant sono le categorie di spazio e tempo, regolate dalla ragione.
La critica contemporanea è destabilizzante, perchè la ragione fruisce delle datità sensibili: e oggi come oggi si è aggiunta la categoria di propriocezione.
Ma se vi fosse la propriocezione come i neo-kantiani suppongono (e i transumanisti seguono, perchè si tratta di neo-kantiani, neo-cartesiani) allora l'intero edificio kantinao imploderebbe.
Perchè se il soggetto è una categoria, e non l'esito di categorie, allora a che servirebbero le categorie?

Lo Hegel va oltre il kant, e si chiede quale sia la funzione della categorie, rispetto all'entità che oggi potremmmo chiamare per estrema semplificazione DIO.
Mentre il Kant non ammette logicamente DIO, lo Hegel lo premette.

Ma appunto entrambi usando categorie fuori dal tempo e fuori dallo spazio e ammettendo invece che l'uomo sia il frutto del pensiero (che poi uno lo chiami ragione e l'altro intelletto non ha per me importanza nessuna).

Rispetto al tuo discorso è vero che la categoria storica nei nostri 2 eroi è secondaria.
Ci sta fare una critica serrata su questo punto.
Ma se la si fa a livello di datità umana, è a mio avviso un errore di metodo. Non si tratta di fare sociologia ( o, come molti sentono il bisogno, di pensare una nuova antropologia), ma di chiedersi da dove veniamo. Mi paiono esigenze differenti non trovi?
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: daniele22 il 20 Marzo 2022, 14:33:26 PMPremesso che non so un accidente di Hegel, proprio per questo chiedo lumi non avendo alcuna intenzione di mettermi a studiarlo.
Per come la vedo, io pongo da una parte la sensazione. Dall'altra faccio tutto un fascio tra ragione, intelletto, mente, e coscienza. Tralascio la conoscenza a priori per un eventuale dopo e tralascio ingenuamente forse la dimensione onirica. Io vi chiedo come mai i due tedeschi tengano in piedi una differenza tra intelletto e ragione?

La differenza che si pongono è proprio per la riflessione sulla sensazione.

Prima di Kant ed Hegel, la filosofia partiva dalle sensazioni, all'università si fanno i nomi di locke hume e berkley.

Il pensiero era un di più: un costrutto delle sensazioni.

Ma le riflessioni dei 3 erano tutt'altro che banali rispetto al transumanesimo moderno.

Al netto del mio giudizio personale, però si parla di rivoluzione kantiana, proprio perchè per la prima volta si ammette che è il pensiero che decide delle sensazioni.

I livelli di percezione sono indagati rispetto a dei livelli di astrazione il primo che possiamo dire riguarda l'organizzazione delle sensazioni, e il secondo che riguarda l'organizzazione stessa.

Quindi una organizzazione delle organizzazioni, potremmo dire con un brutto giro di parole.

Prima di Kant questa esigenza non vi era, il primo a insinuare il dubbio sulla organizzazione delle organizzazioni fu Cartesio invero, da cui Kant prende spunto senza dubbio.

La domanda di cartesio infatti era e se l'organizzazione delle organizzazioni fosse un demone maligno cosa succederebbe?  ;)

Diciamo che queste cose Hegel le spazza via all'inizio della fenomenologia, dicendo che queste cose (sul percetto) non gli interessano.
Quindi effettivamente al giorno d'oggi Hegel è poco interessante per i più (meglio kant come ho già detto sopra a niko)

Hegel è interessante per la questione della relazione fra DIO e SOGGETTO, laddove si DEVE capire che nessuno sa cosa sia DIO e cosa sia il SOGGETTO. Entrambi i concetti sono "eventualità in fieri".

Cose lontanissime dal dibattito contemporaneo.  ;)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: viator il 20 Marzo 2022, 14:59:50 PMSalve. Differenza tra intelletto e ragione.

Non so cosa ne pensassero i Grandi Maestri. Leggerli genera solo confusione e mai chiarezza.

L'intelletto serve a comprendere i concetti e le nozioni.

La ragione serve a decidere quale debba essere - in conclusione - la scelta più utile o meno dannosa tra tutto ciò che si è compreso o creduto di aver compreso.

Le tre righe sovrastanti potrebbero tranquillamente permettere di evitare la lettura di intere biblioteche di filosofia. Saluti.




Bè ma le biblioteche sono solo degli strumenti per aiutarci nella riflessione, anche semplicemente mettendoci la curiosità delle cose.


Si l'intelletto (la ragione per kant) serve a organizzare i concetti.

Più che la ragione (o l'intelletto) è la morale che deciderà poi della bontà di tale organizzazione.

I nostri 2 eroi danno un peso specifico altissimo alla morale dunque, in quanto è un passaggio ancora superiore rispetto ai primi due (intelletto e ragione).

Certo oggi facciamo fatica a capire cosa fosse per loro l'intelletto (o la ragione) ossia il secondo livello di riflessione, figuriamoci il terzo livello (la morale).

A ognuno la sua biblioteca.  ;)
Vai avanti tu che mi vien da ridere

daniele22

Citazione di: green demetr il 28 Marzo 2022, 06:46:41 AM
Citazione di: daniele22 il 20 Marzo 2022, 14:33:26 PMPremesso che non so un accidente di Hegel, proprio per questo chiedo lumi non avendo alcuna intenzione di mettermi a studiarlo.
Per come la vedo, io pongo da una parte la sensazione. Dall'altra faccio tutto un fascio tra ragione, intelletto, mente, e coscienza. Tralascio la conoscenza a priori per un eventuale dopo e tralascio ingenuamente forse la dimensione onirica. Io vi chiedo come mai i due tedeschi tengano in piedi una differenza tra intelletto e ragione?

La differenza che si pongono è proprio per la riflessione sulla sensazione.

Prima di Kant ed Hegel, la filosofia partiva dalle sensazioni, all'università si fanno i nomi di locke hume e berkley.

Il pensiero era un di più: un costrutto delle sensazioni.

Ma le riflessioni dei 3 erano tutt'altro che banali rispetto al transumanesimo moderno.

Al netto del mio giudizio personale, però si parla di rivoluzione kantiana, proprio perchè per la prima volta si ammette che è il pensiero che decide delle sensazioni.

I livelli di percezione sono indagati rispetto a dei livelli di astrazione il primo che possiamo dire riguarda l'organizzazione delle sensazioni, e il secondo che riguarda l'organizzazione stessa.

Quindi una organizzazione delle organizzazioni, potremmo dire con un brutto giro di parole.

Prima di Kant questa esigenza non vi era, il primo a insinuare il dubbio sulla organizzazione delle organizzazioni fu Cartesio invero, da cui Kant prende spunto senza dubbio.

La domanda di cartesio infatti era e se l'organizzazione delle organizzazioni fosse un demone maligno cosa succederebbe?  ;)

Diciamo che queste cose Hegel le spazza via all'inizio della fenomenologia, dicendo che queste cose (sul percetto) non gli interessano.
Quindi effettivamente al giorno d'oggi Hegel è poco interessante per i più (meglio kant come ho già detto sopra a niko)

Hegel è interessante per la questione della relazione fra DIO e SOGGETTO, laddove si DEVE capire che nessuno sa cosa sia DIO e cosa sia il SOGGETTO. Entrambi i concetti sono "eventualità in fieri".

Cose lontanissime dal dibattito contemporaneo.  ;)

Cosa significa fenomeno? Secondo me il fenomeno deve riferirsi all'estensione spazio temporale di un evento. L'evento può essere un discorso, oppure qualcosa che si manifesta nella cosiddetta realtà. A parte che la realtà è in ogni caso comprensiva dei discorsi che in essa si producono, resta da chiedersi cosa produce spazialmente e temporalmente l'evento sensazione. A Hegel sembra non interessare da quel che dici. Ma per me il fenomeno "sensazione" rappresenta solo l'eventuale ricerca che il soggetto che percepisce la sensazione mette in campo per derivarne la causa. E lo fa tramite i sensi

niko

Citazione di: green demetr il 28 Marzo 2022, 06:30:25 AM
Citazione di: niko il 20 Marzo 2022, 13:10:57 PM
Citazione di: green demetr il 30 Novembre 2021, 11:26:27 AM....
Ossia che la qualità fondamentale dell'essere uomini è proprio il fatto di venire da categorie apriori.
E che la Ragione o l'Intelletto sono la parte fondante e fondamentale dell'essere filosofi, essere filosofi che è una questione morale naturalmente.


Io posso concordare fino a un certo punto sull'affermazione che:

 l'uomo venga da categorie a priori,

e la credo vera quantomeno per quanto riguarda l'uomo attuale, per come esso si e' storicamente determinato.
Ma credo anche che l'uomo sia un ente volente, e identificabile con una volonta' piuttosto che con una coscienza; quindi non accetto il "venire da categorie a priori" come un "destino", e penso che l'uomo venga si' da categorie a priori, ma (solo) perche' egli VUOLE, da esse provenire, perche' questa e' la sua volonta'.

Dunque sprofondare nella retrospezione, o sprofondare nella datita' del cosciente e' sprofondare in un proggetto dell'uomo che (liberamente) vuole, e sceglie, per se stesso, di essere coscienza, e quindi, nel contemplare il realizzarsi del suo stesso proggetto, e' sempre piu' immemore e inconscio della verita' soggiacente di essere (invece) volonta'.

Avendo la coscienza in se' tutte le emozioni positive e negative, tutti i sentimenti di cui si vorrebbe spiegare la bellezza, l'identificazione con la coscienza e' cio' che incatena l'uomo a se stesso; perche' non ci sara' mai un motivo reale di superare nel tempo e nel divenire l'identificazione, diciamo cosi', parmenidea, di essere e coscienza, in quanto essa si propone come la possibilita' e la fonte unica del bene: possibilita' del sentimento e dell'esperimento umano del bene, un sentire il bene che sia insieme anche essere, ed esser vero.

Cio' che puo' provare, il bene e il male, e dunque la coscienza umana, ha in se' tutti i fini, e cio' che ha in se' tutti i fini, non puo' mai servire ad altro, non puo' mai diventare mezzo.

Insomma un paradigma dell'uomo come fine si presta a rimodulazioni infinite di se stesso, ma non mai a nessun superamento, di se stesso.

Invece, se si riuscisse a contemplare la retrospezione del passato, o la primigeneita' e superiorita' "gerarchica" del dato di coscienza sul soggetto come un voluto, ovvero come un effetto e un appagamento della volonta' si potrebbe forse "esaurire" quel tipo di esperienza e voluzione, e iniziare a volere altro.


Intanto vi ringrazio perchè siamo tornati sui binari giusti, purtroppo sto avendo una involuzione che mi sta cominciando a preoccupare, perciò mi prendo un pò di tempo per gestire quella che chiamo la questione intellettuale.

Il tuo intervento Niko è come al solito ricco di spunti.
Mi fa piacere che riecheggi non solo i motivi di Hegel e Kant, ma anche quelli di altri autori a me cari, tirando in ballo il destino (Heidegger) e il superamento del sè (Nietzche).
Mi pare che tu metta nel mix la questione sollevata da Schopenauer.

Schopenauer non segue il modello Hegeliano, ma quello Kantiano, cercando di superare il pericolo di solipsismo latente del Kant.
Introducendo la dimensione della volontà e del suo carattere drammatico e conflittuale, che rende l'inanimato della materia come se fosse cosa vivente.

Naturalmente come sai, questa dimensione viene riadattata da Nietzche proprio in chiave di superamento del sè, cosa che non avviene in Schopenauer, che si ferma ad una noluntas universale.

Quindi mi piace la tua idea di un soggetto che sceglie di essere cento, mille volte cosciente del proprio sè, riadattandolo potenzialmente all'infinito.

Il punto di queste filosofie vitaliste è però che poi si spengono proprio a contatto con la realtà, il loro soggetto, è un soggetto che perisce.
Ora ricostruire questa strada è faticoso. A livello di intuito rozzo te la dico così: queste filosofie sono animate dalla volontà di collassare su se stesse.

Ecco rispetto alla tua filosofia e al netto del suo esito, non mi dispiace.

Diverso però è la questione del soggetto, che in fin dei conti è un pò il banco di prova, a cui la filosofia non ha mai più saputo rispondere dopo.

Infatti tu parli del soggetto come uomo.

Ma l'idea di uomo è un costrutto del soggetto.

Dunque dire soggetto e dire uomo non è la medesima cosa.

Come dire che la tua filosofia non si interroga sulla costruzione che tu sei, che noi siamo.


Il concetto di uomo (e tutte le sue declinazioni filosofanti o scientiste che siano) è un esito.

Di questo esito si tratta di capire le forme di composizione.

Come ci ha spiegato Kant sono le categorie di spazio e tempo, regolate dalla ragione.
La critica contemporanea è destabilizzante, perchè la ragione fruisce delle datità sensibili: e oggi come oggi si è aggiunta la categoria di propriocezione.
Ma se vi fosse la propriocezione come i neo-kantiani suppongono (e i transumanisti seguono, perchè si tratta di neo-kantiani, neo-cartesiani) allora l'intero edificio kantinao imploderebbe.
Perchè se il soggetto è una categoria, e non l'esito di categorie, allora a che servirebbero le categorie?

Lo Hegel va oltre il kant, e si chiede quale sia la funzione della categorie, rispetto all'entità che oggi potremmmo chiamare per estrema semplificazione DIO.
Mentre il Kant non ammette logicamente DIO, lo Hegel lo premette.

Ma appunto entrambi usando categorie fuori dal tempo e fuori dallo spazio e ammettendo invece che l'uomo sia il frutto del pensiero (che poi uno lo chiami ragione e l'altro intelletto non ha per me importanza nessuna).

Rispetto al tuo discorso è vero che la categoria storica nei nostri 2 eroi è secondaria.
Ci sta fare una critica serrata su questo punto.
Ma se la si fa a livello di datità umana, è a mio avviso un errore di metodo. Non si tratta di fare sociologia ( o, come molti sentono il bisogno, di pensare una nuova antropologia), ma di chiedersi da dove veniamo. Mi paiono esigenze differenti non trovi?


Io mi vedo abbastanza costretto a "fare della sociologia", anche se certo non sogno una nuova antropologia, poiché per me c'è una commutabilità e una riflessività -che attende solo di essere disvelata- tra l'intrapsichico e l'interpersonale; intrapsichico e interpersonale che sono due livelli possibili dell'organizzazione dell'umano e del discorso, che, nel profondo, tornano ad essere uno. E direi che c'è anche una priorità ontologica, dell'interpersonale sull'intrapsichico; insomma la genesi del soggetto secondo me non solo è storica, ma è anche politica.

Quello che avviene tra parti, o luoghi, o livelli, della cosiddetta anima, insomma l'auriga platonico alle prese con i suoi cavalli, per fare un esempio celebre, è sempre già avvenuto da qualche parte, o sta avvenendo, o avverrà, allo stesso "livello" di realtà, ma tra persone in carne ed ossa: qualcuno in carne ed ossa farà quello che nella mitica metafora è l'auriga, e a qualcun altro toccherà il ruolo di cavallo.

Insomma, io penso di provenire dal modo in cui gli uomini hanno organizzato il loro vissuto e la loro convivenza, non riesco ad avvertire quel senso di "mistero" che mi sembra avverti tu per concetti come soggetto, o Dio.

Non sono molto socratico nell'atteggiamento in merito, perché penso di sapere.

Il mistero, semmai, me lo suscita solo la natura, di cui penso di essere solo una minima, minimissima parte, e per di più destinata a rimanere tale, a rimanere parte, al di là di ogni ricongiungimento mistico o morale.





Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

green demetr

Citazione di: daniele22 il 28 Marzo 2022, 09:54:30 AMCosa significa fenomeno? Secondo me il fenomeno deve riferirsi all'estensione spazio temporale di un evento. L'evento può essere un discorso, oppure qualcosa che si manifesta nella cosiddetta realtà. A parte che la realtà è in ogni caso comprensiva dei discorsi che in essa si producono, resta da chiedersi cosa produce spazialmente e temporalmente l'evento sensazione. A Hegel sembra non interessare da quel che dici. Ma per me il fenomeno "sensazione" rappresenta solo l'eventuale ricerca che il soggetto che percepisce la sensazione mette in campo per derivarne la causa. E lo fa tramite i sensi

Si è così come dici. Ad Hegel non interessa il ruolo della sensazione come questione, che per esempio dà vita al dibattito contemporaneo sul fatto se le sensazioni siano vere o false, di primo o secondo tipo.
Per Hegel la sensazione è reale, e dunque taglia i ponti con tutti i formalismi che dibattono appunto se la realtà sia tale o meno.
E dunque dici molto bene quando parli del fenomeno come relazione tra soggetto-sensazione.
Siamo anche d'accordo sulla prima parte delle tue considerazioni, l'evento e il discorso sono in uno spazio tempo.
Il fenomeno (ciò che appare, ciò che emerge) è dunque categoricamente qualcosa legato alla storia.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

green demetr

Citazione di: niko il 28 Marzo 2022, 14:37:38 PMIo mi vedo abbastanza costretto a "fare della sociologia", anche se certo non sogno una nuova antropologia, poiché per me c'è una commutabilità e una riflessività -che attende solo di essere disvelata- tra l'intrapsichico e l'interpersonale; intrapsichico e interpersonale che sono due livelli possibili dell'organizzazione dell'umano e del discorso, che, nel profondo, tornano ad essere uno. E direi che c'è anche una priorità ontologica, dell'interpersonale sull'intrapsichico; insomma la genesi del soggetto secondo me non solo è storica, ma è anche politica.

Quello che avviene tra parti, o luoghi, o livelli, della cosiddetta anima, insomma l'auriga platonico alle prese con i suoi cavalli, per fare un esempio celebre, è sempre già avvenuto da qualche parte, o sta avvenendo, o avverrà, allo stesso "livello" di realtà, ma tra persone in carne ed ossa: qualcuno in carne ed ossa farà quello che nella mitica metafora è l'auriga, e a qualcun altro toccherà il ruolo di cavallo.

Insomma, io penso di provenire dal modo in cui gli uomini hanno organizzato il loro vissuto e la loro convivenza, non riesco ad avvertire quel senso di "mistero" che mi sembra avverti tu per concetti come soggetto, o Dio.

Non sono molto socratico nell'atteggiamento in merito, perché penso di sapere.

Il mistero, semmai, me lo suscita solo la natura, di cui penso di essere solo una minima, minimissima parte, e per di più destinata a rimanere tale, a rimanere parte, al di là di ogni ricongiungimento mistico o morale.



Per me Dio è una certezza, lo è sempre stato, in quanto il pensiero mi abita fin dall'infanzia.
Diversa è la questione del soggetto, che tu leghi alle relazioni interpersonali.
Ma d'altronde cosa sarebbe questo intra-psichico che dici?

La natura non c'entra niente, essendo essa stessa un esito di categorie del pensiero.
Probabilmente quello che ti manca è proprio la questione della relazione tra sensazione e soggetto.
Per te il soggetto è un soggetto naturale, ma questo non indica nulla di preciso è semplicemente un punto di partenza non pensato, non indagato.
Come dire è il solito pensiero naturalista che infesta l'occidente e che tanti grattacapi mi dà.

Comunque non è che Hegel poi non pensi in termini interpersonali e intrapsichici, è che lo fa da una particolare angolatura metafisica.
Vai avanti tu che mi vien da ridere

niko

#55
Citazione di: green demetr il 30 Marzo 2022, 21:00:35 PM
Citazione di: niko il 28 Marzo 2022, 14:37:38 PMIo mi vedo abbastanza costretto a "fare della sociologia", anche se certo non sogno una nuova antropologia, poiché per me c'è una commutabilità e una riflessività -che attende solo di essere disvelata- tra l'intrapsichico e l'interpersonale; intrapsichico e interpersonale che sono due livelli possibili dell'organizzazione dell'umano e del discorso, che, nel profondo, tornano ad essere uno. E direi che c'è anche una priorità ontologica, dell'interpersonale sull'intrapsichico; insomma la genesi del soggetto secondo me non solo è storica, ma è anche politica.

Quello che avviene tra parti, o luoghi, o livelli, della cosiddetta anima, insomma l'auriga platonico alle prese con i suoi cavalli, per fare un esempio celebre, è sempre già avvenuto da qualche parte, o sta avvenendo, o avverrà, allo stesso "livello" di realtà, ma tra persone in carne ed ossa: qualcuno in carne ed ossa farà quello che nella mitica metafora è l'auriga, e a qualcun altro toccherà il ruolo di cavallo.

Insomma, io penso di provenire dal modo in cui gli uomini hanno organizzato il loro vissuto e la loro convivenza, non riesco ad avvertire quel senso di "mistero" che mi sembra avverti tu per concetti come soggetto, o Dio.

Non sono molto socratico nell'atteggiamento in merito, perché penso di sapere.

Il mistero, semmai, me lo suscita solo la natura, di cui penso di essere solo una minima, minimissima parte, e per di più destinata a rimanere tale, a rimanere parte, al di là di ogni ricongiungimento mistico o morale.



Per me Dio è una certezza, lo è sempre stato, in quanto il pensiero mi abita fin dall'infanzia.
Diversa è la questione del soggetto, che tu leghi alle relazioni interpersonali.
Ma d'altronde cosa sarebbe questo intra-psichico che dici?

La natura non c'entra niente, essendo essa stessa un esito di categorie del pensiero.
Probabilmente quello che ti manca è proprio la questione della relazione tra sensazione e soggetto.
Per te il soggetto è un soggetto naturale, ma questo non indica nulla di preciso è semplicemente un punto di partenza non pensato, non indagato.
Come dire è il solito pensiero naturalista che infesta l'occidente e che tanti grattacapi mi dà.

Comunque non è che Hegel poi non pensi in termini interpersonali e intrapsichici, è che lo fa da una particolare angolatura metafisica.


la corrispondenza dell'intrapsichico con l'interpersonale vuol dire semplicemente che i rapporti tra le "parti" che compongono un individuo, in senso fisico ma anche mentale, rimandano a un mondo politico e artificiale di sottostanti rapporti tra individui.

Il corpo fisico è il corpo sociale, come nella metafora di Menenio Agrippa, per dire e per fare un esempio, senza necessariamente accettare e condividere i dettagli o i fini di tale metafora.

Si può non ben accettare questo mio pensiero, mentre invece è abbastanza innegabile che per indagare l'unità che appare essere l'individuo, dobbiamo in qualche modo suddividerla in parti, e osservare i rapporti tra tali parti, e appare abbastanza innegabile che la società sia composta da individui, da cui la mia idea, che si configura come una sorta di sospetto, nel senso filosofico del termine.

Solo così, secondo me, l'uomo si smarca e si differenzia dalla natura, con la produzione dell'artificio e dell'artificiale nel suo io e nelle sue relazioni; natura che non è certo un prodotto delle categorie del pensiero, se non appunto secondo Hegel, come decisione dell'idea assoluta.

Se non abbiamo la fortuna/sfortuna di essere Hegel, ci appare a (quasi) tutti abbastanza ovvio, che il pensiero deriva dalla natura e non il contrario.

La relazione tra la sensazione e il soggetto è mediata socialmente, non mi convince molto indagare la relazione tra la sensazione e il soggetto in modo primigenio e non contestualizzato, come se la società non esistesse, come mi sembra che faccia Hegel, e poi da tutte le complicazioni della relazione tra la sensazione e il soggetto considerate inizialmente in astratto e in assoluto, dedurre a posteriori la concretezza della società.

Se Dio è tutto, come dici in un altro argomento, noi siamo la minima parte di Dio, ovvero la minima parte del tutto, e non ci sarà un destino di riunione o di ritorno all'uno, tra noi e il tutto che è Dio, separati siamo, e separati resteremo, da cui la mia personale, di sensazione di mistero, tranne che ovviamente al posto del Dio-tutto, in cui non credo, io considero la natura-tutto.






Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

daniele22

Citazione di: green demetr il 30 Marzo 2022, 20:53:22 PM
Citazione di: daniele22 il 28 Marzo 2022, 09:54:30 AMCosa significa fenomeno? Secondo me il fenomeno deve riferirsi all'estensione spazio temporale di un evento. L'evento può essere un discorso, oppure qualcosa che si manifesta nella cosiddetta realtà. A parte che la realtà è in ogni caso comprensiva dei discorsi che in essa si producono, resta da chiedersi cosa produce spazialmente e temporalmente l'evento sensazione. A Hegel sembra non interessare da quel che dici. Ma per me il fenomeno "sensazione" rappresenta solo l'eventuale ricerca che il soggetto che percepisce la sensazione mette in campo per derivarne la causa. E lo fa tramite i sensi

Si è così come dici. Ad Hegel non interessa il ruolo della sensazione come questione, che per esempio dà vita al dibattito contemporaneo sul fatto se le sensazioni siano vere o false, di primo o secondo tipo.
Per Hegel la sensazione è reale, e dunque taglia i ponti con tutti i formalismi che dibattono appunto se la realtà sia tale o meno.
E dunque dici molto bene quando parli del fenomeno come relazione tra soggetto-sensazione.
Siamo anche d'accordo sulla prima parte delle tue considerazioni, l'evento e il discorso sono in uno spazio tempo.
Il fenomeno (ciò che appare, ciò che emerge) è dunque categoricamente qualcosa legato alla storia.
Resta da chiedersi dove e come Hegel collochi spazialmente e temporalmente la sensazione rispetto alle facoltà della ragione. Quando Kant parla di sensibilità di cosa parla? Parla di cose esperibili nell'ambiente tramite i sensi o di cose che provocano una sensazione?
Da cosa è determinato il tempo secondo il punto di vista dell'individuo? A mio giudizio è determinato dal suo assoggettarsi ad un ordine di attenzione che può durare da un secondo fino a tutta la sua vita. Nell'arco di una giornata, quale intreccio di ordini di attenzione subisce l'individuo nel suo procedere? A mio vedere tutti questi ordini di attenzione sarebbero di natura psichica soprattutto perché spesso li abbattiamo (tipo l'animalista che ammazza una zanzara). Sarebbero cioè dovuti dalla sensazione più che dalla ragione.
Mi sembra che i due filosofi, per quel poco che ricordo di loro, partano dal presupposto per me errato che le cose esistano e siano indagabili, quando invece sarebbero per me subite e successivamente indagabili. Nel senso, che per esistere esse debbano imporsi attraverso la sensazione e non attraverso la ragione. Pertanto, se Hegel colloca la sensazione temporalmente a valle della comprensione si troverebbe di sicuro in errore, sempre per come la vedo io

paul11

Sono numerose le considerazioni che sorgono dalla Fenomenologia dello spirito di Hegel.
Vi sono problematiche sia di contenuti che di metodi.
Se la modernità pone il problema della soggettività e oggettività, dividendole, separandole, in Hegel la triade dialettica che nasce da tesi-antitesi-e arriva alla sintesi è applicabile a tutte le triadi che Hegel espone in Fenomenologia.
Ma cosa contraddistingue Hegel è la fiducia nel pensiero. Quel pensiero che Anassagora per primo pose come Nous, a fondamento della verità.
In Hegel vi è la fiducia che il pensiero soggettivo e l'oggetto del pensiero siano per intrinseca verità del fondamento certa ed assoluta, in quanto a fondamento degli universali vi è il pensiero. Per questo Hegel venne definito anche come "l'ultimo dei greci". Nella modernità invece prima si separa il soggetto dall'oggetto, entrando nel psicologismo soggettivo che contribuisce a individualizzare la conoscenza e ponendo direttamente o indirettamente nell'agone politico culturale uno dei principi di separazione fra individui e società, cioè ogni umano è un pensiero diverso e diviso e anche lontano da una verità oggettiva. Questo nichilismo moderno devastante negando qualunque forma di verità, diventa un piatto freddo nel formalismo logico che non si esaurisce quando si lega alle determinazioni naturali , finendo con negare di fatto qualunque fondamento e creando e proliferando nel paradosso e aporie i fondamenti delle scienze che sono privi di fondamenta, come palafitte prive di fondamenta nel terreno .
Hegel è una particolarità come pensiero filosofico culturale e per quanto il suo pensiero dialettico negativo quando ritiene di giungere ad una certezza di verità, si pone in una ingenua allegoria della realtà, poiché non è chiaro come e perché il risultato delle triadi debbano essere  la verità; ma quanto meno ha capito che il pensiero non può nascere disancorato da una oggettività chiamata realtà. Il pensiero è necessariamente adeguato all'oggetto, diversamente non si capisce a cosa ci servirebbe. Le determinazioni della logica quindi sono già adeguate al passaggio fra intenzione e natura nella costruzione delle logiche. In Hegel quindi vi è un il pensiero primordiale e fondante di tutta la creazione naturale e questo rapporto fra pensiero e materia fisica naturale è tradotta nel metodo della logica dialettica, come esplorazione scientifica di tesi e antitesi , di processi di confronto per giungere ad una sintesi di verità. In altri termini la logica dialettica negativa di Hegel arriva alle sintesi della ragione attraverso il moto della coscienza umana che pone l'lemto concreto della materia fisica insieme al pensiero nei procedimenti deduttivi ,fino a giungere in Fenomenologia allo Spirito, come verità assoluta.

daniele22


Ben ritrovato Paul11 ... dall'aforisma 291 è passata un po' d'acqua sotto i ponti ... Se ho ben inteso il senso del tuo discorso Hegel mise in luce la soggettività del pensiero senza chiedersi se l'oggetto del pensiero, pur trovando riscontri sensibili tali da definirlo oggettivo, fosse esso stesso soggettivo. Per come la vedo io invece, l'oggetto tangibile, sia esso un tavolo, o la "guerra del Vietnam", può produrre pensieri soggettivi che emergono da preoccupazioni interiori altrettanto soggettive. Cioè il soggetto realizza mentalmente l'oggetto senza che ciò comporti necessariamente che altri debbano, vogliano, o possano compiere lo stesso atto di realizzazione. Ovvio che ci sono molte cose che tutti realizziamo, i maestri della pubblicità ben sanno questa cosa.
Si negava all'epoca il fondamento emotivo della conoscenza, come del resto ancor oggi, almeno in stretto ambito filosofico

paul11

#59
La soggettività e in quanto tale la divisione fra soggetto e oggetto, fra agente conoscitivo e ciò che dovrebbe essere appreso per conoscenza, sono separazioni che avvengono in epoca moderna da Cartesio in poi fino allo psicologismo soggettivo.
Hegel invece è fuori da questa divisione . E' assurdo che l'uomo conosca e attraverso la tecnica modella la realtà fisica e naturale e allo stesso tempo pensare che soggetto ed oggetto siano divisi.
La fenomenologia di Husserl tenterà questa ricostituzione fra analitica gnoseologica fino allo psicologismo e logica.
Se funziona nella realtà il pensiero che trasforma il fisico naturale, significa che il pensiero, il NOUS di Anassagora è colui che modella la fisica e la natura e l'accompagna, come forma e sostanza dirà Aristotele. La decostruzione che avviene nella modernità da parte dei filosofi, tranne una minoranza, fallisce teoricamente e praticamente.
Non è una questione meramente emotiva e in quanto tale psicologica, è una questione fra logica e metafisica, fra realtà e logica, il pensiero razionale.
Hegel essenzialmente dice che la il pensiero umano non può che nascere da una natura e a sua volta da un fondamento universale, diversamente da dove mai verrebbe il pensiero?
Il pensiero umano quindi è la forma conoscitiva della realtà.
Fra i numerosi errori dei moderni vi è l'interpretazione sulla metafisica che verrà abiurata e distorta.
Le idee di Platone, tanto per essere chiari, sono e appartengono al dominio del sensibile, non sono oltre, non sono pura astrattezza che non esiste, questa è l'interpretazione falsa dei moderni.
Il pensiero è necessariamente legato alla realtà e la realtà appartiene all'universo sensibile.
Ciò che dicevano i greci e in fondo anche Hegel ,è che le forme, che sono le idee, sono l'essere, sono l'ontologia metafisica, se tutto ciò viene annullato culturalmente, rimane solo l'involucro materiale che ha perso il pensiero, la forma che lo accompagna.
Tanto per capirci, un sasso, un albero, un animale, sono prima di tutto un pensiero e poi la sostanza fisica e materiale. Dividere il pensiero dal sensibile significa non sapere più collegare e riunire la forma e la sostanza, il pensiero e la realtà. Per questo lo spirito di Hegel in Fenomenologia corrisponde alla ragione assoluta.


La scienza sperimentale galileana, per indagare la realtà usa la ragione e non solo le mani, gli occhi, le orecchie. E quando scriviamo in simboli matematici una formula fisica e naturale, abbiamo sintetizzato nel pensiero logico un fenomeno fisico.


Quindi per capire Hegel bisogna prima di tutto sapere che era convinto che l'universo fosse  fondato sulla ragione. Se tolgo la forma del pensiero, rimane la solo materia che diviene e sparisce, priva di senso. E' la forma, è il pensiero che costruisce gli eterni.
La logica dialettica scelta da Hegel e costituita da triadi (tesi-antitesi fino alla sintesi) tenta di superare la logica analitica che era aristotelica , ai tempi di Hegel non c'era ancora la logica moderna proposizionale di Frege, Russell, ecc.. Hegel ritiene che i contrari (tesi e antitesi), o si potrebbe dire un pensiero e la negazione di quel pensiero (l'antitesi come negazione della tesi),sono la metafora del mondo sensibile, dove tutto tende al contrasto, allo scontro fra contrari .

Hegel ritiene che la logica dialettica, con la sua negatività antitetica, sia superiore alla logica analitica: il contrario di quanto pensava Aristotele.

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