VINCOLO DI MANDATO o VINCOLO DI DISCIPLINA?

Aperto da Eutidemo, 07 Aprile 2017, 19:46:35 PM

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paul11

#15
Citazione di: Eutidemo il 10 Aprile 2017, 15:26:04 PM
Caro Paul11,
...................................................
Quanto al sistema Presidenziale, con voto diretto del Popolo, credo che sia il sistema meno adatto per un popolo uso a farsi abbindolare da carismatici "istrioni"; che poi li aggiogano come somari al loro carro.
Dio ce ne guardi! ::)
Eppure obbliga i partiti a coalizzarsi subito prima delle elezioni, come con le elezioni dei sindaci e quindi c'è più chiarezza sul mandato


Per quanto riguarda 5Stelle e i partiti in generale, sono d'accordo sulle analisi di Donquixote.

Il grande problema che una volta esisteva una destra sociale e una sinistra sociale. Si è persa la cultura e la capacità di analisi politica de ltessuto civile e sociale e gli opportuni metodi amministrativi e organizzativi delle funzioni dello Stato.
Oggi abbiamo un cretinismo galoppante trasversale, sbagliano persino le stesure delle normative.
Oggi vivono su statistiche di opinioni generali perdendo il contatto con le problematiche che vive quotidianamente il popolo
Se un politico perde la sensibilità sociale, vuol dire che anche un eskimese potrebbe comodamente governarci dal circolo polare artico senza conoscere l'Italia, basta guardare qualche indicatore e pensare di governarla ..........in remoto......ed è quello che si sta facendo.

Eutidemo

Cara Fharenight,
sarei anche d'accordo sulle tue critiche alla sinistra, se la destra non stesse facendo anche di peggio:
Ed invero, la "destra" manifesta palesemente due anime radicalmente diverse:
1) Una "moderata" e "pro-establishement".
2) Una "sciovinista" e  "anti-establishment".
E' un po' la stessa antitesi che c'era, "once upon a time", tra PLI e MSI.
Non vedo cosa mai possano combinare insieme! ::)

davintro

#17
l'essere favorevoli o contrari al vincolo di mandato rimanda a una questione classica e più ampia: la politica è un mestiere o no? Cioè, il fare politica, cioè il saper adeguatamente rispondere alle istanze della comunità presuppone delle doti particolari, un certa formazione culturale, gli inglesi direbbero background, oppure è sufficiente un sapere generico, tanto che a fare carriera politica in modo più o meno brillante, si sono succeduti economisti, avvocati, imprenditori, filosofi, persino calciatori... Nel primo caso il vincolo di mandato andrebbe respinto in quanto sovrapporrebbe alla necessità per un politico di prendere decisioni impopolari ma giuste, decisioni che fanno nel lungo periodo bene alla comunità, ma che la comunità potrebbe nell'immediato non capire, gli umori e gli istinti spesso irrazionali della maggioranza. Nel secondo caso invece sarebbe necessario introdurre il vincolo: cioè nel momento in cui viene negata alla politica un proprio sapere specifico che ne funga da base, l'unico criterio per valutare il bene della politica è il consenso maggioritario quantitativo, dunque se un politico finisce con l'agire in contrasto con il programma con cui è stato eletto a maggioranza allora tradisce il mandato con gli elettori e dovrebbe essere rimosso. Personalmente pur avendo dubbi sulla legittimità della definizione di "mestiere", credo che la politica un proprio sapere tecnico specifico lo abbia, che non possa essere fatta da tutti, (se così non fosse non ci sarebbero politici migliori di altri, che cosa farebbe la differenza?) che spesso le decisioni migliori finiscono con l'essere quelle nell'immediato più impopolari, e quindi che sia necessario, nella dinamicità delle situazioni storiche, che un politico si trovi costretto a modificare il proprio programma elettorale iniziale per garantire il bene comune in modo più efficace che una rigida fedeltà a quel programma, oppure il politico può valutare a posteriori che alcuni punti di quel programma iniziale era in partenza errato e quindi cerchi di approntare delle modifiche. Senza contare che potrebbe essere lo stesso corpo elettorale a cambiare idea rispetto al programma che aveva inizialmente sostenuto a maggioranza, e in questo caso sarebbe proprio la fedeltà al programma che condurrebbe il candidato a non essere più rappresentativo della volontà popolare! Insomma  il vincolo di mandato sarebbe un'inutile stress che intralcerebbe il lavoro del politico che consiste nel prendere decisioni che sono razionali ma a volte impopolari. Io credo che regolari elezioni al termine di un intero mandato, 4 o 5 anni, sia un compromesso sufficiente tra due princìpi entrambi basilari in una democrazia matura, rappresentatività da un lato e rispetto di alcune competenze che il politico dovrebbe possedere e che potrebbero portarlo ad agire per il bene comune meglio di quanto potrebbe nell'immediato concepire la maggioranza della comunità dall'altro. 4, 5 anni dovrebbero essere un periodo sufficiente perché il popolo possa rendersi contro in modo sufficientemente razionale delle competenze di chi ha eletto, un buon equilibrio che eviti gli errori estremi e tra loro opposti della demagogia e della tecnocrazia

baylham

Alcune riflessioni provocatorie sulla democrazia e sul ruolo del politico-amministratore in relazione al vincolo di mandato.

Sebbene non sia un difensore dell'attuale Costituzione Italiana, l'articolo in questione che esclude il vincolo di mandato è una norma saggia, da salvaguardare. Il principio dell'autonomia, indipendenza di ogni assemblea è strettamente correlato al fatto che le decisioni, deliberazioni siano votate dai singoli componenti dell'assemblea in piena libertà.

E' naturale che i sedicenti sostenitori della democrazia diretta non comprendano la portata di questo principio: infatti l'unica assemblea valida in coerenza con il principio della democrazia diretta sarebbe quella formata dall'intero popolo, da tutti i cittadini con diritto di voto. Discutere di vincolo di mandato da parte di chi propone la democrazia diretta è una contraddizione in termini, segno di confusione e di ignoranza. L'unica giustificazione è che esempi di democrazie dirette finora non si sono avuti, il che mi sembra molto indicativo: nemmeno la gestione di una piccola associazione bocciofila è realizzabile sulla base della democrazia diretta degli associati.

Personalmente trovo che il riferimento alle figure giuridiche del mandante o del rappresentante per giustificare il ruolo del politico funzionario pubblico siano fuorvianti, mistificatorie. Un pessimo lascito di una concezione della politica come servizio altruistico: immaginare che il politico faccia gli interessi degli altri sacrificando i propri è un inganno. In realtà il politico è un amministratore che fa principalmente e prioritariamente i propri interessi, sulla base di un proprio progetto o programma, quando prende le decisioni all'interno dell'assemblea, non gli interessi del partito né tanto meno del popolo.

Eutidemo

Caro Paul11
è vero, obbliga i partiti a coalizzarsi subito prima delle elezioni, come con le elezioni dei sindaci e quindi c'è più chiarezza sul mandato; però, dopo le elezioni, le coalizioni si sfaldano, e i "partitini" in Parlamento diventano ancora più numerosi che in un sistema proporzionale.
In quest'ultimo caso, almeno, si sa a cosa si va incontro, ed il numero dei partiti in parlamento è limitato dalle "soglie di sbarramento".
Quanto al passato, in effetti, il panorama era un po' più articolato, perchè esistevano:
- sia una destra sociale (fascista) rappresentata dal MSI;
- sia una destra economica (capitalista) rappresentata dal PLI;
- sia una sinistra non marxista rappresentata dal PRI;
- sia una sinistra marxista, rappresentata dal PSI (moderato) e dal PCI (estremista).
Per il resto, condivido la tua analisi quando scrivi che ormai si è persa la cultura e la capacità di analisi politica del tessuto civile e sociale e gli opportuni metodi amministrativi e organizzativi delle funzioni dello Stato; e che oggi impera  un cretinismo ed una ignoranza trasversale galoppanti.
Forse non era del tutto sbagliato quanto avveniva ai tempi dei Liberi Comuni italiani, che, proprio per mantenere la propria libertà, nominavano per governarli un "Podestà Straniero" (visto che le fazioni interne miravano solo ai loro interessi privati, ed a prevalere sulle altre).

Fharenight

Davinto, parti dal presupposto che il popolo sia costituito da una massa, se non di imbecilli, certamente di incompetenti, ma non è così, anzi, oggi urge più che mai il dovere di ogni cittadino di informarsi e farsi una cultura politica proprio per poter scegliere adeguatamente sia la persona da eleggere che un programma politico, poi sarà il politico, ben preparato e capace, a portare avanti le istanze del suo elettorato e già per questo godrà di privilegi e di un lauto stipendio; per il resto deve svolgere il suo dovere: fedeltà all'elettorato. Altrimenti cadiamo nella trappola della "teoria delle élites", degli oligarchi, cioè di quei pochi eletti, ritenuti, a ragione o a torto, i soli capaci di sapere e decidere come devono andare le cose. Sinceramente io ne ho piene le scatole di questo modo di fare (per noi di subire) politica, che è poi, in effetti, quella attuale; si vedano tutte le decisioni della Ue.

Eutidemo

Caro Davintro,
siamo d'accordo "quasi" su tutto!
Ed infatti, a mio avviso, quello del "politico", pur non essendo un mestiere, "dovrebbe" indubbiamente presupporre un certa specifica formazione culturale (che gli inglesi denominerebbero "background"), come, in effetti, avveniva nei grandi partiti politici di una volta; ma, se non proprio una formazione culturale  specifica, quantomeno un minimo di cultura generale.
Tuttavia, in una democrazia liberale, non si può certo imporre il superamento di un esame, per candidarsi alle elezioni; dovrebbero essere gli elettori a sottoporre i candidati a tale esame (anche se mi rendo conto che si tratta di una visione MOLTO ottimistica e ben POCO realistica, purtroppo).
Occorre, comunque, distinguere (come dici giustamente tu) la figura dello "statista" da quella del semplice "politico", il quale "statista" deve saper prendere decisioni impopolari ma giuste, decisioni che fanno nel lungo periodo bene alla comunità, ma che la comunità potrebbe nell'immediato non capire.
Tutto ciò, però, non mi sembra avere molto a che fare con il "vincolo di mandato", giacchè sulla scheda elettorale non è mica possibile distinguere tra:
- STATISTA, che può agire per il bene della collettività, essendo per questo sciolto da qualsiasi "vincolo di mandato";
- POLITICO "semplice", che, invece, è soggetto al "vincolo di mandato".
Peraltro, nel caso in cui si scelga di optare per il "vincolo di mandato" A COSA IL PARLAMENTARE DOVREBBE ATTENERSI, E DA COSA DOVREBBE SENTIRSI VINCOLATO?
Come dicevo, infatti casi sono due:
a) o si lascia al parlamentare di decidere in coscienza quale scelta legislativa, secondo lui, è più consona alle promesse fatte agli elettori prima delle elezioni;
b) oppure si lascia stabilire la cosa al partito di appartenenza, ed il parlamentare deve limitarsi ad obbedire.
Ma io mi chiedevo:
- CHI (in seno al partito) dovrebbe verificare che ha agito in contrasto con il programma con cui è stato eletto a maggioranza?
- DA COSA dovrebbe essere rimosso, dal suo partito o dal ruolo di parlamentare?
- COME dovrebbe essere rimosso?
Tutte domande a cui è difficle rispondere!
Personalmente, perciò, io sono contrario al "vincolo di mandato", perchè, come giustamente osservi tu, nella dinamicità delle situazioni storiche (se REALI), può talvolta rivelarsi inevitabile che un politico si trovi costretto a modificare il proprio programma elettorale iniziale per garantire il bene comune in modo più efficace che una rigida fedeltà a quel programma.
Sono un po' meno d'accordo, invece, sul fatto che il politico possa valutare a posteriori che alcuni punti di quel programma iniziale era in partenza errato e quindi cerchi di approntare delle modifiche, senza che sia sopravvenuta nessuna circostanza specifica che giustifichi il suo cammbio di orientamento; questo, secondo me, lo può fare solo dopo le successive elezioni. 
Quanto al fatto che potrebbe essere lo stesso corpo elettorale a cambiare idea rispetto al programma che aveva inizialmente sostenuto a maggioranza, in tal caso il cambiamento di idea in questione, dovrebbe essere verificato istituzionalmente attraverso nuove elezioni dello stesso corpo elettorale (anticipate); altrimenti, chi è che può stabilire che veramente il corpo elettorale ha cambiato idea rispetto al programma che aveva inizialmente sostenuto? 
Sono del tutto d'accordo con te che il vincolo di mandato sarebbe un'inutile stress che intralcerebbe il lavoro del politico che consiste nel prendere decisioni che sono razionali ma a volte impopolari.
E sono pure del tutto d'accordo con te  che regolari elezioni al termine di un intero mandato, 4 o 5 anni, sia un compromesso sufficiente tra due princìpi entrambi basilari in una democrazia matura, rappresentatività da un lato e rispetto di alcune competenze che il politico dovrebbe possedere e che potrebbero portarlo ad agire per il bene comune meglio di quanto potrebbe nell'immediato concepire la maggioranza della comunità dall'altro; e, cioè, che 4, 5 anni dovrebbero essere un periodo sufficiente perché il popolo possa rendersi contro in modo sufficientemente razionale delle competenze di chi ha eletto, un buon equilibrio che eviti gli errori estremi e tra loro opposti della demagogia e della tecnocrazia

Eutidemo

Caro Baylham,
sono d'accordo con te che l'articolo in questione che esclude il vincolo di mandato è una norma saggia, da salvaguardare; ed invero, come giustamente scrivi tu,  Il principio dell'autonomia, indipendenza di ogni assemblea è strettamente correlato al fatto che le decisioni, deliberazioni siano votate dai singoli componenti dell'assemblea in piena libertà.
In effetti, almeno per ora, anche secondo me una vera e propria "democrazia diretta" (referendum a parte), è impensabile; sebbene io non escluda che ciò possa avvenire in futuro, quando il sistema di voto elettronico e di elezioni online verrà perfezionato e garantito al massimo, e, soprattutto, quando sarà possibile eseguire un trapianto massivo di cervello nella pancia dei votanti.
Quanto al riferimento alle figure giuridiche del mandante o del rappresentante per giustificare il ruolo del politico funzionario pubblico, oltre ad essere fuorvianti e mistificatorie, sono -a mio avviso- tecnicamente irrealizzabili; senza contare che il candidato eletto, deve perseguire gli interessi della NAZIONE, non dei singoli cittadini che li hanno eletti.

davintro

#23
rispondo a Fharenight

lungi da me pensare che  il popolo sia una massa di imbecilli, se lo pensassi non avrei aggiunto che il suffragio universale ogni 4 5 anni è un buon equilibrio, che anche la tecnocrazia è un errore, avrei sostenuto che tutto il potere dovrebbe essere lasciato in mano ad un'elite di presunti esperti. Il popolo non è una massa di imbecilli, è una comunità di individui DIVERSI TRA LORO, dotati di differenti inclinazioni, interessi, talenti, e la conseguenza di tale diversità è l'impossibilità per tutti di fare tutto, il fatto che non tutti sono naturalmente portati per occuparsi al meglio delle stesse cose, esiste anche chi non ha tempo e voglia di approfondire al meglio gli argomenti politicamente più rilevanti. Ovviamente informarsi è sempre meritorio, ma non si può realisticamente pensare che sia sufficiente per permettere a tutti di poter svolgere al meglio attività che non corrispondono alle nostre qualità, ai nostri studi. Esiste cioè il diritto a non voler diventare esperti di politica, perché si preferisce dedicare il proprio tempo ad altre cose, così come si è liberi di non essere interessati a diventare esperti di arte, ingegneria, medicina ecc. senza per questo dover essere considerati esseri inferiori. Noi viviamo in una società fondata sulla delega, e sulla divisione di ruoli e compiti, ed è giustissimo che sia così, perché è l'unico modo per garantire il bene di tutti rispettando le diversità, si delega cioè ad altri che sulla base di certi criteri razionali sono reputabili più bravi di noi a svolgere certe funzioni quei ruoli, così come questi altri delegheranno a loro volta ad altre persone dei compiti per cui questi sono meglio di loro ecc. Se ho mal di denti non mi curo i denti da solo, ma delego ad un professionista con alle spalle studi ed esperienze il compito di curarmi e mi fido di lui. Applicare il vincolo di mandato sarebbe come se durante un intervento ai denti io stressassi ogni 3 secondi il mio dentista lamentandomi con lui perché magari mi fa un po' male, minacciandolo di andare da un dentista concorrente, intralciando il suo lavoro, quando invece la cosa più razionale è pazientare un po' e valutare i risultati al termine dell'operazione dando tempo a un professionista per esprimersi al meglio. In politica più o meno è lo stesso, si presume che chi si candida lo faccia a ragion veduta, perché ritiene di avere in testa un programma di governo valido e razionale, poi come è ovvio e giusto che sia la delega non è assoluta, ma condizionata, e temporalmente limitata, se al termine di un mandato ritengo che l'eletto non ha svolto correttamente il suo lavoro per garantire i miei interessi, io elettore ho la piena libertà di non rivotarlo, esattamente  come se, anche dopo l'operazione, i denti continuassero a farmi male sono libero di rivolgermi a un altro dentista. Nella gran parte dei casi nella politica i candidati non sono davvero capaci di elaborare dei programmi validi e ad applicarli con coerenza, ma è un problema che si risolve attraverso un'opera di rinnovamento della classe politica, che deve diventare più razionale e competente, credo andrebbero valorizzati su scala sistematica istituti di cultura politica, i cosiddetti "think tank", scuole di partito, corsi di formazione politica, su base sociologica, economica, filosofica, geopolitica. Ma ridurre tutto al demagogico "uno vale uno", come se il mio dentista  ne sapesse come me di denti o il mio avvocato ne sapesse come me di codici penali non può essere la soluzione, affidarsi a chi ha maggiori competenze ed esperienze di noi non è elitarismo, ma umiltà e rispetto della professionalità altrui



rispondo a Eutidemo

le tue domande mettono a fuoco le problematiche e difetti del vincolo di mandato. Inevitabilmente sarebbe il partito di appartenenza il titolare per valutare il rispetto da parte di un singolo parlamentare del programma elettorale. Ma il "partito" inteso come entità collettiva  di fatto è un'astrazione, chi prende le decisioni son sempre dei singoli. Ora, il singolo o i singoli che si prendono la responsabilità di decidere se rimuovere un parlamentare sulla base del  "vincolo", o sono a loro volta dei "non eletti", e allora emerge un vulnus al principio di rappresentanza popolare, in quanto dei "non eletti" decidono della sorte di "eletti", oppure questi titolari ( ad esempio può essere il segretario, o il consiglio nazionale...) sono degli eletti come gli altri, ma allora si verificherebbe un chiaro cortocircuito, perché chi deve decidere sulla eventuale rimozione di un parlamentare sarebbero esso stesso parlamentare, e potrebbero trovarsi a giudicare loro stessi, e come è ovvio, chi avrebbe l'onestà intellettuale da autorimuoversi dalla propria carica? Il punto è che il vincolo di mandato ha senso solo all'interno di un sistema elettorale proporzionale, e le aporie in cui cade finiscono con l'essere responsabilità del proporzionale, un sistema che frappone fra elettore ed eletto un medium, il partito che diviene per gli elettori anche più importante  dei singoli parlamentari, determinando una situazione l'eletto vede la sua libertà d'azione limitata da gerarchie, che o non sono elette, oppure sono elette, ma che assumono un potere decisionale che li rende più importanti degli altri, e quindi anche meno controllabili. Ecco perché la piena rappresentatività secondo me è meglio garantita dal maggioritario, che stabilisce un legame diretto tra elettore ed eletto. Per quanto riguarda la possibilità che nel corso del mandato emerga la necessità di modificare alcune parti del programma iniziale, io mi riferivo a situazioni in cui ci sono reali fattori che determinano davvero questa necessità, è un'ipotesi che non può essere tralasciata, ed è il politico razionale che sa interpretare i mutamenti e considerare i casi di aggiornare i programmi in corso d'opera la persona più titolata a valutare la necessità, sempre per il principio delle differenti competenze tra un politico e un non-politico, sul quale mi pare fossimo più o meno d'accordo

Eutidemo

Caro Davintro,
non c'è dubbio che il "partito" inteso come entità collettiva, sia  di fatto un'astrazione, ma, secondono me, non è necessariamente vero che chi prende le decisioni debbano necessariamente essere dei singoli; ed invero, per certi tipi di decisione, il partito potrebbe e DOVREBBE esprimersi per il tramite di una "votazione interna", che, sebbene non rappresenterebbe la volontà unanime del partito, rappresenterebbe comunque la volontà della MAGGIORANZA dei suoi componenti.
E' ovvio, tuttavia,  che se tale "votazione interna" è condizionata dal potere dei Capibastone che formano le "liste", restano pur sempre di fatto dei singoli ducetti ad orientare le scelte del partito; ma questa è patologia, e non fisiologia, della politica.
***
Quanto al fatto che dei "non eletti" decidano della sorte di "eletti" (come è accaduto), questo è ancora più grave.
***
Quanto al fatto che il vincolo di mandato ha senso solo all'interno di un sistema elettorale proporzionale, a dire il vero, non sono riuscito a seguire bene il tuo ragionamento; anche perchè bisognerebbe prima capire bene di che tipo di sistema elettorale proporzionale o maggioritario stiamo parlando.
Comunque, in generale, a mio parere:
- il sistema elettorale maggioritario tende a consentire una maggiore "governabilità" del Paese, a scapito della "rappresentatività";
- il sistema elettorale proporzionale, al contrario, tende a consentire una maggiore "rappresentatività" del corpo elettorale, a scapito della "governabilità"del Paese.
Per cui non capisco proprio perché la piena rappresentatività, secondo te,  sarebbe meglio garantita dal maggioritario, che "stabilirebbe un legame diretto tra elettore ed eletto"; ed infatti, è il sistema elettorale proporzionale a garantire tale legame diretto (con tutti i vantaggi e gli svantaggi che la cosa comporta), mentre il sistema elettorale maggioritario tende a "bypassare" tale legame, per favorire (anche tramite ballottagi) il partito di maggioranza relativa, rendendola assoluta.
Ovviamente, stiamo parlando delle elezioni politiche, e non di quelle dei sindaci.
***
Infine, per quanto riguarda la possibilità che nel corso del mandato emerga la necessità di modificare alcune parti del programma iniziale, sono pienamente d'accordo; anche se, in pratica, non è molto semplice discriminare tra situazioni in cui ci siano reali fattori che determinano davvero la necessità di aggiornamento del programma, e situazioni in cui, invece, tali fattori siano soltanto soggettivamente supposti.

davintro

Citazione di: Eutidemo il 14 Aprile 2017, 07:14:00 AMCaro Davintro, non c'è dubbio che il "partito" inteso come entità collettiva, sia di fatto un'astrazione, ma, secondono me, non è necessariamente vero che chi prende le decisioni debbano necessariamente essere dei singoli; ed invero, per certi tipi di decisione, il partito potrebbe e DOVREBBE esprimersi per il tramite di una "votazione interna", che, sebbene non rappresenterebbe la volontà unanime del partito, rappresenterebbe comunque la volontà della MAGGIORANZA dei suoi componenti. E' ovvio, tuttavia, che se tale "votazione interna" è condizionata dal potere dei Capibastone che formano le "liste", restano pur sempre di fatto dei singoli ducetti ad orientare le scelte del partito; ma questa è patologia, e non fisiologia, della politica. *** Quanto al fatto che dei "non eletti" decidano della sorte di "eletti" (come è accaduto), questo è ancora più grave. *** Quanto al fatto che il vincolo di mandato ha senso solo all'interno di un sistema elettorale proporzionale, a dire il vero, non sono riuscito a seguire bene il tuo ragionamento; anche perchè bisognerebbe prima capire bene di che tipo di sistema elettorale proporzionale o maggioritario stiamo parlando. Comunque, in generale, a mio parere: - il sistema elettorale maggioritario tende a consentire una maggiore "governabilità" del Paese, a scapito della "rappresentatività"; - il sistema elettorale proporzionale, al contrario, tende a consentire una maggiore "rappresentatività" del corpo elettorale, a scapito della "governabilità"del Paese. Per cui non capisco proprio perché la piena rappresentatività, secondo te, sarebbe meglio garantita dal maggioritario, che "stabilirebbe un legame diretto tra elettore ed eletto"; ed infatti, è il sistema elettorale proporzionale a garantire tale legame diretto (con tutti i vantaggi e gli svantaggi che la cosa comporta), mentre il sistema elettorale maggioritario tende a "bypassare" tale legame, per favorire (anche tramite ballottagi) il partito di maggioranza relativa, rendendola assoluta. Ovviamente, stiamo parlando delle elezioni politiche, e non di quelle dei sindaci. *** Infine, per quanto riguarda la possibilità che nel corso del mandato emerga la necessità di modificare alcune parti del programma iniziale, sono pienamente d'accordo; anche se, in pratica, non è molto semplice discriminare tra situazioni in cui ci siano reali fattori che determinano davvero la necessità di aggiornamento del programma, e situazioni in cui, invece, tali fattori siano soltanto soggettivamente supposti.

Avevo già pensato all'idea di votazioni interne a maggioranza all'interno del partito per decidere di esautorare parlamentari considerati non in linea col programma di governo. Tuttavia anche questa soluzione comporta anch'essa parecchi problemi. La maggioranza che all'interno di un partito sostiene il leader potrebbe usare questa possibilità come arma per silenziare il dibattito e il confronto con l'opposizione interna, minacciando esponenti della minoranza di indire plebisciti per rimuoverli, finendo con l'instaurare una sorta di dittatura della maggioranza. Senza contare la possibilità che a tradire il patto programmatico con gli elettori non siano singoli parlamentari isolati, bensì la stessa linea maggioritaria del partito espressa dal leader, che coincidendo con la maggioranza nella votazione interna, finirebbe sempre con l'autoassolversi, e questa sarebbe una situazione più pericolosa dal punto di vista della rappresentatività democratica rispetto al caso nel quale ad essere "infedeli" fossero qualche isolato parlamentare. Inoltre il lavoro ordinario dei parlamentari consiste nello studiare, discutere, rifinire, votare, proporre i disegni di legge, ed è un lavoro di grande responsabilità, e non credo lasci molto tempo a compiti egualmente difficili come il controllo dei comportamenti di ogni singolo parlamentare. Non si può ridurre un partito in una sorte di "grande fratello" dove ci si guarda in cagnesco, si innescano fenomeni di gelosia, invidia, minacce, ricatti, delazioni, tutti fenomeni che la possibilità di poter cacciare chi si ritiene non essere fedele al programma non potrebbe che esaltare, un partito ha bisogno di concordia, armonia tra diversità. No, la strategia più efficace per il controllo da parte del popolo dei propri eletti è quella di lasciare che sia il corpo elettorale stesso a valutare il rispetto delle esigenze dei parlamentari nelle elezioni ordinarie, dando un tempo limitato ai parlamentari per poter lavorare in tranquillità, lavoro che comprende anche la possibilità di alcune eventuali deviazioni del programma se le contingenze le richiedessero come necessarie

Per quanto riguarda il discorso maggioritario-proporzionale, ritengo che il maggioritario sia più rappresentativo da un certo punto di vista (diverso da quello che tu hai esposto e che comunque comprendo), in quanto un sistema in cui un candidato vince prendendo anche un solo voto in più dell'avversario stimola ogni candidato a presentarsi agli elettori con un'idea di maggioranza di governo già concordata con degli alleati, cosicché l'elettore sa già PRIMA delle elezioni che il voto che da contribuirà a formare un determinato governo e non un altro, è già consapevole del tipo di governo che contribuisce con il voto a creare, e il suo voto sarà certamente più consapevole. Il sistema è più rappresentativo perché con il maggioritario l'elettore non sceglie solo il parlamentare, ma anche la maggioranza di governo, chi vince governa, chi perde sta all'opposizione, e non a caso dal '94 in poi grazie ad una legge elettorale prevalentemente maggioritaria gli elettori scegliendo una coalizione già delineata, Polo, Ulivo, sceglievano anche il governo (anche se l'avvento dei 5stelle, che ha interrotto la logica bipolare ha di molto complicato le cose). Invece con il proporzionale si indicano solo i partiti, che dopo le elezioni sono liberi di formare maggioranze di governo in molti casi impreviste e malvolute dagli elettori che a quei partiti hanno espresso consenso. cioè la formazione della maggioranza di governo viene determinata dai partiti e non più direttamente dagli elettori come invece è nel maggioritario. Nella prima repubblica (proporzionale) accadeva che un cattolico antifascista, che in linea coi suoi valori votava DC, vedeva DOPO il voto il suo partito costretto ad accordi di governo con i neofascisti del MSI, oppure un uomo di destra che votava PLI, vedeva il suo partito entrare in una maggioranza di governo comprendente partiti di sinistra  come quello socialista. Non solo nel maggioritario la volontà popolare si esprime oltre che nel programma anche nella scelta della persona chiamata ad interpretarlo (invece delle liste bloccate dei partiti), ma di fatto anche nell'indicazione della maggioranza di governo

Eutidemo

Caro Davintro,
non hai tutti i torti.
Ed infatti, nel caso di votazioni interne a maggioranza all'interno del partito per decidere di esautorare parlamentari considerati non in linea col programma di governo, la maggioranza che all'interno di un partito sostiene il leader potrebbe usare questa possibilità come arma per silenziare il dibattito e il confronto con l'opposizione interna, minacciando esponenti della minoranza di indire plebisciti per rimuoverli, finendo con l'instaurare una sorta di dittatura della maggioranza. 
Sottoscrivo parola per parola.
***
VINCOLO DI MANDATO
Così come anche sottoscrivo che potrebbe essere la stessa linea maggioritaria del partito (espressa dal leader), a tradire il patto programmatico con gli elettori; come, di fatto, è accaduto con la maggioranza PD, la quale, tradendo le promesse elettorali, aveva varato unilateralmente la RIFORMA COSTITUZIONALE, mentre singoli parlamentari isolati, per rispettare tali promesse, si erano dissociati dalla linea del partito.
Per cui, come peraltro ho già detto, sono d'accordo sul fatto che, SENZA VINCOLO DI MANDATO, la strategia più efficace per il controllo da parte del popolo dei propri eletti, sia quella di lasciare che sia il corpo elettorale stesso a valutare il comportamento dei propri eletti, alle previste scadenze elettorali; lasciando liberamente ad essi anche la possibilità di alcune eventuali deviazioni del programma se le contingenze le richiedessero come necessarie.
***
RAPPRESENTATIVITA'
Ora ho capito in che senso intendi il concetto di "rappresentativita", cioè nel senso che con un sistema maggioritario,  l'elettore sa già PRIMA delle elezioni che il voto che da contribuirà a formare un determinato governo e non un altro; ma, secondo la Costituzione, noi non dobbiamo eleggere il GOVERNO, bensì i componenti del PARLAMENTO, il quale sarà lui, poi, in un certo senso, ad "eleggere" il GOVERNO.
I nostri "rappresentanti" sono i parlamentari, e NON i membri del Governo; i quali non solo possono benissimo non essere nostri rappresentanti eletti (Renzi non lo aveva eletto nessuno), ma, anche qualora lo fossero, non agiscono in rappresentanza degli elettori, bensì di quelle che ritengono le esigenze del Paese.
Il POTER LEGISLATIVO è una cosa diversa dal POTERE ESECUTIVO, sebbene essi interagiscano tra di loro molto strettamente.
Per cui, secondo me, il sistema elettorale che garantisce meglio la "rappresentatività" (del Parlamento, e NON del Governo), è quello proporzionale; con adeguate soglie di sbarramento per garantire la governabilità.
***
GOVERNABILITA'
Con una legge elettorale prevalentemente maggioritaria, invece, potendo gli elettori scegliere una coalizione già delineata, si privilegia indubbiamente la GOVERNABILITA'; che è una cosa diversa dalla RAPPRESENTATIVITA', ma egualmente necessaria.
Però, purtroppo, senza vincolo di mandato (che sembra non piaccia ad entrambi), spesso accade che il frazionamento in partiti e gruppi parlamentari diversi, avviene esattamente nello stesso modo che con un sistema elettivo proporzionale; l'unica differenza è che, con un sistema elettivo proporzionale "ce lo sai da prima" che in Parlamento ti ritroverai più di un parito, mentre, un sistema elettivo maggioritario, dopo esserti illuso che in parlamento ci sarebbero stati al massimo due o tre schieramenti (in effetti dovrebbero essere solo due), te ne ritrovi in campo una VENTINA.
Per l'esattezza, 19:
http://www.camera.it/leg17/46
:D  :D  :D

paul11

#27
Si sta dimenticando che la forma proporzionale della rappresentanza fu imposta e voluta dai vincenti della Seconda Guerra Mondiale agli Stati perdenti. per essere chiari fu l'USA che impose a Giappone, Germania e Italia, seppur connotate da forme istituzionali diverse una STABILITA' politica che impedisse a risorgenti nazismi, fascismi e quant'altro, il PCI italiano era il più forte partito comunista occidentale, di togliere quella stabilità politica .
Il sistema proporzionale è tipico di democrazie in nascita, non in quelle mature.

Non serve a nulla credere che sia più rappresentativo il candidato nel sistema proporzionale se poi sono i soliti a governare.. La vera democrazia passa per l 'alternanza di governo(oggi vince la sinistra e domani la destra alternando i ruoli di governo e di opposizione, di esecutivo e di controllo istituzionale) e non per la Democrazia Cristiana che ha imperato per decenni con monocolori o governi di coalizione.
Oggi il proporzionalismo e addirittura controindicato perchè esistono partiti "personali", fondati sul leader politico e i fuoriusciti da un partito nel proporzionale prolificano quella moltitudine di partiti che non servono a nulla concretamente.
Nel maggioritario si vota una linea politica impersonata da un leader e dal suo partito, quindi è più chiaro il rapporto rappresentatività e governabilità e non un'antitesi.
E' altrettanto chiaro che i partiti hanno dibattiti interni che si formalizzano in un congresso, con diverse mozioni: chi vince ha la segreteria di partito, la linea politica vincente.

Eutidemo

Caro Paul11,
storicamente, non hai tutti i torti; ed invero, il sistema proporzionale è più tipico delle  democrazie in nascita, che di quelle mature.
Ciò non toglie, però, che, quando quelle "troppo mature" rischiano di "andare a male", il sistema elettorale proporzionale è forse quello più adatto ad evitare il rischio di una "democratura" leaderistica, fondata sull'istrionismo carismatico del demagogo di turno.
Negli ultimi 23 anni c'è stata una certa alternanza tra opposti poli (si fa per dire); ma non mi sembra proprio che i risultati siano stati particolarmente ragguardevoli.
Anzi!
Tu dici che nel maggioritario si vota una linea politica impersonata da un leader e dal suo partito, e, quindi è più chiaro il rapporto rappresentatività e governabilità; ed invece, secondo me, è solo una forzatura, perchè, visto che attualmente non esiste un leader un partito che possano avere una maggioranza sufficiente, i casi sono due:
- o si formano delle coalizioni pre-elettorali, che poi si sfaldano (alla faccia della governabilità);
- oppure si deve ricorrere ad un "maggioritario spinto", con ballottaggio e premio di maggioranza, per cui al potere potrebbe ritrovarsi anche chi ha solo il 25% dei consensi nel Paese ((alla faccia della rappresentatività).
E' difficile trovare una via di mezzo!
BUONA PASQUA  :)

davintro

sono d'accordo con l'ultimo post di Paul 11

so benissimo che nella nostra democrazia parlamentare si elegge il parlamento e non il governo, ma scindere i due poteri riferendo la rappresentatività popolare solo al primo rischia di essere un discorso che cade nel formalismo. Nella concreta sostanzialità delle cose il lavoro del parlamento sta proprio nel sostegno e nel controllo all'attività di governo tramite lo strumento delle fiducie o sfiducie. Occorre che ci sia una coerenza tra il lavoro delle due strutture ed è necessario che un elemento più forte di rappresentanza popolare sia presente anche nell'indicazione di governo. Personalmente sono favorevole ad introdurre l'obbligo per ogni lista elettorale di indicare nel simbolo il nome del candidato premier che la lista si impegnerà nel futuro parlamento a sostenere. Questo non sarebbe per forza in contrasto con la centralità del parlamento, non sono per l'obbligo di sciogliere le camere ed indire elezioni anticipate quando cade un governo, la maggioranza parlamentare resterebbe cioè libera nel corso della legislatura di cambiare idea riguardo il sostegno ad un governo nel caso ritenesse che il governo devia in modo troppo netto dal programma elettorale. Ma il punto è che quando eleggo un parlamentare non eleggo solo un individuo, ma eleggo anche un progetto, un programma di governo, cose da applicare in sede governativa. Ed è del tutto astratto pensare che si possa scindere l'indicazione consapevole di un programma dall'indicazione di una maggioranza di governo fatta di forze disponibili a sostenere quel programma, dalla seconda dipende la realizzazione della prima, non si può realizzare un programma senza una coerente maggioranza governativa. Se io voglio votare un partito perché ha in programma la legalizzazione dell'eutanasia non mi basta sapere che quel partito ha effettivamente in programma quel punto, ma ho diritto alla garanzia che gli eletti di quel partito che contribuisco a mandare in parlamento non facciano alleanze di governo con partiti conservatrici contrari alla legalizzazione, altrimenti c'è un chiaro tradimento della fiducia elettorale. Questo non è demagogico leaderismo, io penso che la democrazia parlamentare sia il modello politico migliore possibile, ma vorrei che la rappresentatività sia più consapevole in senso concreto, e questo vuol dire consapevolezza dei modi con cui il parlamento andrà ad agire in reale coordinamento con il governo, rappresentatività nella applicazione di un programma di governo