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Via Crucis 2020

Aperto da Lady Joan Marie, 10 Aprile 2020, 15:19:36 PM

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Il Tempio di Gerusalemme con la fortezza Antoniaevidenziata dal cerchio rosso


Ideale ricostruzione della fortezza (plastico). Era di forma rettangolare, mt 160 x 135. Ai lati c'erano quattro torri: tre alte 27 mt, la quarta, di 35 mt, dominava il tempio. Fu fatta costruire dal re Erode e in onore del suo patrono Marco Antonio fu detta "Antonia", al di sopra dei resti della fortezza degli ex regnanti Asmonei e denominata Baris.
La fortezza Antonia fu sede di una guarnigione romana di milites. La roccaforte fu distrutta nel 70 d. C. insieme al tempio e alla città dall'esercito romano comandato da Tito Flavio Vespasiano, figlio dell'imperatore Vespasiano e futuro imperatore Tito.

La Giudea era divenuta provincia romana, nel 6 d.C., governata dal praefectus, che  risiedeva a Cesarea Marittima, in quell'epoca capitale della provincia.

Il governatore romano andava a Gerusalemme solo nelle grandi feste ebraiche.  In quei giorni  a Gerusalemme  si stava celebrando la Pasqua (Pèsach), che ricorda la liberazione del popolo di Israele dall'Egitto e il suo esodo verso la Terra Promessa. Perciò [/size]Pilato era  in quella città  e non a Cesarea Marittima quando Gesù venne processato.

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Secondo alcuni studiosi il praetorium di cui si parla nella "Passione di Gesù" era parte della fortezza Antonia.

Il Vangelo di Giovanni narra che Gesù dal Getsemani fu condotto nella casa di Anania (o Anna), sommo sacerdote dell'ebraismo dal 6 al 15 d. C., deposto da Valerius Gratus,  procuratore imperiale romano della provincia di Giudea e di Samaria (dal 15 al 26 d. C.),  prefetto con potere di condanna a morte durante l'imperium di Tiberio.

Anche se deposto, Anania mantenne il titolo onorifico ma non effettivo di sommo sacerdote e fino alla morte rimase influente nel sinedrio. Nella carica di sommo sacerdote gli succedettero diverse persone della sua famiglia, fra i quali il genero Caifa, che fu capo del sinedrio dall'anno 18 al 36.  Fu questo che fece arrestare Gesù e ne chiese la crocifissione, secondo i vangeli di Luca e Giovanni.

Dal Vangelo di Giovanni (18, 24) "Allora Anna lo mandò (Gesù) legato a Caifa, sommo sacerdote".

Giovanni riferisce dell'interrogatorio di Gesù nella casa di Anania, ma non dice nulla del processo del sinedrio presieduto da Caifa, durante il quale Gesù fu condannato a morte. Eppure ne era a conoscenza, in quanto racconta ciò che avvenne prima e dopo: "Allora condussero Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l'alba ed essi non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua" (Gv 18, 28).

Nel pretorio c'era il governatore romano Ponzio Pilato, prefetto della Giudea dal 26 al 36 d. C. e noto per il suo ruolo nei confronti di Gesù; ne ordinò la flagellazione e la crocifissione su istigazione ebraica, anche se non era convinto delle colpe attribuite a Gesù. 

L'evangelista Matteo considera Caifa il principale responsabile della morte di Gesù.

Matteo racconta la riunione in cui viene decisa la morte del Nazareno: "Allora i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote, che si chiamava Caifa, e tennero consiglio per arrestare con un inganno Gesù e farlo morire. Ma dicevano: 'Non durante la festa, perché non avvengano tumulti fra il popolo" (26, 3 – 5).

Le guardie del sinedrio condussero Gesù nel pretorio. "Uscì dunque Pilato verso di loro e domandò: 'Che accusa portate contro quest'uomo?'. Gli risposero: 'Se non fosse un malfattore, non te l'avremmo consegnato'. Allora Pilato disse loro: 'Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge!'. Gli risposero i Giudei: 'A noi non è consentito mettere a morte nessuno'. Così si adempivano le parole che Gesù aveva detto indicando di quale morte doveva morire" (Gv 18, 29 – 32). 

Gli  Ebrei rimasero nel cortile o piccola piazza di fronte al pretorio in cui Pilato aveva la residenza privata; nel complesso edilizio c'erano  anche i pubblici uffici amministrativi ed un tribunale.



Il cortile era lastricato (= "lithostrotos" in lingua greca).  Comunemente si localizza questo luogo nell'attuale convento di Nostra Signora di Sion.

Il lastricato, secondo la tradizione, dove Gesù fu interrogato da Pilato, poi flagellato e schernito. 

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All'epoca del processo a Gesù, la Giudea non era provincia romana, bensì "federata".

Il rappresentante del proconsole di Cesarea (come era il procuratore Pilato) aveva giurisdizione politico-militare soltanto sui delitti di infedeltà a quel "foedus", mentre, per tutti gli altri, e a maggior ragione quelli di sacrilegio contro la legge mosaica, la competenza esclusiva era dell'autorità locale ebraica, e cioè del sinedrio. Infatti, quando le guardie del Sinedrio (non i soldati romani!) arrestarono Gesù, cercarono di farlo condannare da Pilato con l'accusa di sedizione contro Roma.

Pilato interrogò l'imputato, e la sua sentenza fu: "Io trovo quest'uomo immune da colpa". Anche in seguito, insistendo gli accusatori che il Nazareno si era proclamato re,  Pilato rispose: "Ma il suo regno non è di questa Terra"?
E per il presunto delitto di sedizione politica a carattere continuativo, Pilato si dichiarò incompetente per territorio e rimise la causa al tetrarca di Galilea, Erode Antipa.

L'evangelista Luca scrive che Pilato inviò  Gesù da Erode Antipa ma anche questo lo giudicò innocente e lo rimandò da Pilato, il quale ordinò la flagellazione per il Nazareno  e poi di liberarlo. Dopo questa tortura, mostra Gesù  con le ferite,  con la corona di spine sulla testa e vestito come un re.
 
Per tradizione in occasione della Pasqua ebraica il popolo poteva  graziare un condannato a morte. I condannati erano due: Gesù Nazareno e Barabba. Pilato sapeva che Gesù era molto popolare e sapeva anche che il sinedrio lo odiava per le accuse contro la maggioranza di Farisei e Sadducei.

Pilato s'illuse che ricorrendo alla volontà popolare  sarebbe riuscito  a salvare Gesù, ma la folla scelse di salvare Barabba. Pilato consente. Siede "nel tribunale" (Gv 19,13) nel litostroto, e si lava le mani in segno di rinuncia, dicendo:  "Io sono innocente del sangue di questo giusto".

E' la condanna definitiva.  Pilato consegnò Gesù ai milites romani. Le guardie del sinedrio erano alle prese con la Pasqua e non potevano fisicamente sporcarsi le mani. Gesù  viene portato via. Sulle spalle gli viene messo il patibulum ed avviato verso il Golgota.

A condannare a morte Gesù fu dunque il sinedrio e poi un gruppo di popolani, non Pilato, che sulla tabella lignea infissa sulla croce fece scrivere: " Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum (I.N.R.I.).I sinedriali gli chiesero di modificare la scritta in "preteso re" ma egli  fu irremovibile: "Quello che ho scritto, ho scritto!".

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