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uno stato binazionale

Aperto da davintro, 05 Febbraio 2019, 18:30:03 PM

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davintro

la formula "due popoli due stati" ho l'impressione stia perdendo sempre più forza nel porsi come modello di risoluzione del conflitto arabo-israeliano. Gli insediamenti ebraici in Cisgiordania continuano a svilupparsi, o  quantomeno il governo israeliano (e forse nemmeno l'opposizione laburista) non sembra intenzionato a ridurli o smantellarli. Dall'altro lato ancora gran parte dell'opinione pubblica palestinese e le fazioni che la rappresentano non sembrano volersi rassegnare ad accantonare la speranza, magari su lunghi tempi, di veder scomparire lo stato d'Israele, e riconquistare la cosiddetta "Palestina storica" pre-1948, non accontentandosi di uno stato entro i confini del 1967, e stando così le cose gli israeliani hanno le loro ragioni nel temere la prospettiva di uno stato sui loro confini del 67 ancora capeggiato da fazioni ostili, fazioni che, anzi, potrebbero vedere rafforzata la loro fiducia nella possibilità di ottenere sempre di più, interpretando i cedimenti della controparte come un segno di debolezza di cui approfittare (come si dice, ti do un dito e tu vorrai prenderti tutto il braccio). Gaza è la conferma empirica della cosa. Il ritiro totale delle colonie ebraiche dalla striscia indetto da Sharon non è stato affatto interpretato come gesto distensivo da sfruttare per riaprire un negoziato, ma un ulteriore incentivo per proseguire la lotta armata: in breve tempo la Striscia di Gaza è diventata una continua base per il lancio di missili sul territorio israeliano ad opera di Hamas

Stando così le cose penso che lo soluzione migliore e più realistica per porre fine al conflitto sia quello di uno "stato unico binazionale", strutturato come una confederazione su base etnica con pari peso politico fra la comunità ebraica e quella araba. Ho provato, un po' per gioco, a immaginarmi uno scenario utopico che possa essere il più funzionale possibile in vista della preservazione della pace, e resto in curiosa attesa di vostre eventuali impressioni sull'idea (che sicuramente non sarà affatto originale, ma immagino già teorizzata da molti altri). Il territorio consisterebbe nell'unità dell'attuale Israele e dei territori palestinesi (Gaza e Cisgiordania). Occorrerebbe classificare giuridicamente ogni cittadino della Confederazione come ebraico o arabo (nel caso di figli di eventuali coppie miste, il figlio una volta maggiorenne dovrebbe decidere a quale delle due comunità aderire, immagino che man mano che i rancori cominceranno a diminuire coppie miste potrebbero diventare casi sempre più frequenti, ma al contempo diminuirebbero anche i motivi di tensione, favorendo da parte dei genitori la serena accettazione delle libere decisioni dei loro figli) e creare due parlamenti ben distinti, uno ebraico (immagino con sede a Tel Aviv) composto solo da membri di etnia ebraica ed eletto da cittadini della stessa stirpe, e un parlamento arabo (immagino con sede a Ramallah) composto solo da membri arabi ed eletti da cittadini arabi. Ogni legge per essere promulgata deve passare per l'approvazione di entrambi i parlamenti, nessuna esclusa. Il presidente della repubblica, incarnazione dell'unità dello stato, potrebbe essere a rotazione scelto tra la comunità ebraica e quella araba, mentre il capo del governo dovrebbe appartenere all'etnia diversa da quella a cui appartiene il capo dello stato. Il capo dello stato andrebbe eletto da entrambi i parlamenti in seduta comune, di modo che venga riconosciuta come figura stimata e riconosciuta anche dall'etnia diversa da quella di appartenenza. Anche il governo per restare in carica dovrà godere della fiducia di entrambi i parlamenti. Il punto decisivo in questo scenario è che le due principali questioni che ostacolano più fortemente la possibilità di un accordo, lo status di Gerusalemme e il "diritto al ritorno" dei profughi palestinesi nei territori che dovettero abbandonare in seguito alla guerra del 1948 verrebbero risolte in modo ottimale (furono soprattutto queste due questioni quelle su cui Arafat si impuntò facendo fallire i negoziati di Camp David nel 2000): Il problema di come spartire Gerusalemme tra due stati non si porrebbe più perché non ci sarebbe alcuna necessità di spartizione. Come capitale confederale di un unico stato, Gerusalemme resterebbe unita e aperta, patrimonio in comune fra ebrei e arabi, distinta dalle due diverse sedi dei due parlamenti etnici. Per quanto riguarda il rientro dei profughi, il motivo che oggi rende impossibile a Israele accettare il riconoscimento di tale "diritto" è il timore di stravolgere completamente i rapporti di forza demografici, lasciando che gli arabi, stante anche un maggior tasso di natalità, in breve tempo diventino anche in Israele maggioranza, e lasciando gli ebrei sempre più in minoranza, quindi sempre più deboli. Una volta che le due comunità avranno lo stesso identico peso politico, essendo rappresentate da due parlamenti aventi tale peso politico come identico e la stessa possibilità di intervenire nel processo di formazione delle leggi, i rapporti di forza demografici diverranno irrilevanti: indipendentemente dalla forza numerica delle due comunità, il loro peso politico sarà distribuito in modo eguale, cioè anche l'ostacolo principale alla risoluzione del problema del ritorno dei profughi verrà meno. Unico dovrebbe essere l'esercito e soprattutto il sistema d'istruzione, i cui programmi dovranno essere fortemente mirati all'integrazione e all'educazione al reciproco rispetto e alla reciproca conoscenza della storia e della cultura dei due popoli. Unica la costituzione, incentrata sul richiamo alla funzione di tutela e rappresentazione del popolo e della cultura ebraica e del popolo e della cultura araba di Palestina, nell'eguaglianza dei diritti e dei doveri. Per quanto riguarda il nome troverei bella la scelta del nome "Terrasanta", fermo restando la laicità dello stato, che del resto sarebbe ben tutelata dal tipo di struttura politica che ho provato a tratteggiare

Personalmente, in linea di principio avrei molta poca simpatia per un sistema politico così incentrato sulle divisioni etniche anziché sull'individualità dei singoli, ma occorre ammettere che una soluzione del genere sarebbe l'unica possibile per risolvere i problemi di un contesto contingente così speciale, e in casi come questi sia lecito in parte deviare un po' dai principi assoluti, per prendere pragmaticamente in considerazione i problemi del contesto particolare. Poi la speranza sarebbe che, a lungo andare, man mano che le cose prendano a funzionare sempre meglio e i rapporti tra le due comunità procedano verso la normalizzazione, diventi opportuno pensare a stemperare il peso delle differenze etniche nei meccanismi istituzionali per giungere a una più coerente fusione in un unico popolo. Ma per quello ci vorrà tempo

viator

Salve Davintro. Esposizione quasi convincente, complimenti. Tutta basata sui buoni sentimenti e realizzabilissima a condizione che palestinesi-arabi ed israeliani-ebrei possiedano una maturità socioculturale compatibile. Saprai cosa si intende per maturità sociocultutale, vero ?.

C'è - a dire il vero - un piccolo ostacolo di natura confessionale tra islamismo (poco tollerante) ed ebraismo (per nulla tollerante). Ma per quello useremo il Santo Padre come mediatore.

Io sarei per una soluzione forse altrettanto utopistica ma certo più efficiente anche se mostruosamente costosa (I soldi dovrebbero metterceli Israele (perchè avvantaggiata), gli USA (amici di Israele e pieni zeppi di ebrei facoltosi), la Gran Bretagna (fu essa - quando si comportava da padrona del mondo - a gettare le basi del bordello palestinese). Agli spiccioli per i panini potrà pensare la solidarietà almeno etnica del mondo arabo.

Si convince - a suon di due o trecento miliardi di dollari - la Turchia a rinunciare alla propria sovranità su di una porzione sudorientale del proprio territorio presso il confine con la Siria.
Si convincono - a suon di qualche decina di miliardi di dollari - i palestinesi a trasferirvisi, facendo loro capire che - diversamente - la comunità internazionale li abbandonerebbe al loro destino.

Soluzione quindi poco idealistica ma di radicale efficacia. Altro che sperare nella convivenza tra uomini di "buona volotà" !. Saluti.
Esiste una sola certezza : non esiste alcuna certezza.

anthonyi

Ciao Davintro, la proposta di mettere sullo stesso piano Palestina e Israele è irrealizzabile perché non sono sullo stesso piano, la forza di Israele, che ha l'esercito più efficiente del mondo, è tale per cui questi impone il suo ordine sia su Israele, sia sulla Palestina. In quest'ultimo caso l'imposizione è resa necessaria dal bisogno di difendere lo stato di Israele stesso.

anthonyi

Citazione di: viator il 05 Febbraio 2019, 21:52:47 PM

C'è - a dire il vero - un piccolo ostacolo di natura confessionale tra islamismo (poco tollerante) ed ebraismo (per nulla tollerante).

Ciao Viator, guarda che nel conflitto Ebrei-Palestinesi la religione non c'entra un tubo, anche perché la cultura Ebrea è laica, democratica e liberale. I cittadini di Israele di religione Islamista hanno gli stessi diritti politici degli altri.

Socrate78

In realtà, da un punto di vista prettamente storico, gli "ebrei" di Israele non avrebbero nessun diritto reale a stare dove sono attualmente, cioè in quella porzione di terra che hanno battezzato Israele. Eh sì, è proprio così, non sono semiti!. Infatti vi siete mai chiesti da dove veramente provengono gli ebrei che nei secoli hanno popolato le terre dell'Europa orientale, la Polonia, la Germania? Essi non sono originari (almeno in massima parte) dagli ebrei che anticamente abitarono la Palestina, ma sono i discendenti dei KAZARI, una popolazione che abitava un territorio compreso tra la Polonia, l'Ucraina e la Russia occidentale, e che si convertì all'ebraismo molto tardi, nell'alto Medioevo. Gli ebrei ashkenaziti derivano proprio dai Kazari. Quindi essi NON hanno avuto nessun rapporto storico con la Palestina, l'unico legame che possono vantare è un legame di tipo mentale dovuto alla religione, ma la loro vera patria è l'EUROPA, l'Europa orientale, precisamente la Polonia, la Russia, la Germania. Etnicamente non sono semiti, capite? La vicenda storia della Diaspora ebraica, come è stata raccontata nella vulgata ufficiale, in realtà non è vera: gli antichi Romani non riuscirono a spopolare l'intera regione della Palestina dopo la distruzione del Tempio, molti ebrei rimasero (soprattutto nelle campagne) e una volta entrati in contatto con gli arabi islamici si convertirono all'Islam. Di conseguenza i palestinesi sono più ebrei dei presunti "ebrei" europei, infatti molti di loro dopo la distruzione del Tempio rimasero in quelle terre e si convertirono sì all'Islam, ma etnicamente rimasero semiti, se nell'albero genealogico si vogliono trovare gli antenati degli ebrei dell'Israele biblica bisogna paradossalmente cercarli nei Palestinesi, non negli ebrei di adesso.


sgiombo

Non solo.

Ma se anche per assurdo -ammesso  non concesso!- fossero effettivamente i discendenti di remoti abitatori della Palestina:

a) La loro stessa Bibbia afferma a chiare lettere che se ne impossessarono indebitamente con la violenza terroristica sterminando precedenti pacifici abitatori (esattamente come i sionisti hanno poi fatto realmente dopo la seconda guerra mondiale).

b) Se fosse lecito rivendicare le terre abitate dai propri veri o presunti  antenati da meno di due millenni, allora sarebbe un "casino bellico inimmaginabile" con, per esempio, Arabi, Normanni (Francesi del Nord), Aragonesi (Spagnoli del centro-sud), Angioini (Francesi del sud) che avrebbero tutti diritto di impossessarsi (esclusivamente da parte di ciascuno!) della Sicilia (e più o meno analogamente per ogni altro angolo del pianeta).

davintro

per Anthony

mi offri lo spunto per chiarire che la razionalità che trovo nella prospettiva che ho provato a esporre non starebbe tanto nelle realistiche possibilità di essere effettivamente accettata dalle parti in causa, ma dal considerarla, nell'ipotesi che davvero sia accettata, come la più valida per preservare la pace. Poi la storia insegna che non sempre le posizioni più razionali sono quelle che finiscono con l'essere realmente perseguite, ed è qui che "razionalità" e "realismo" non possono più essere considerate categorie necessariamente coincidenti.


Per Viator

Più che la Turchia, dovendo riferirmi a un paese dell'area che avrebbe senso si assumesse la responsabilità di offrire ai palestinesi un'opzione realista più o meno soddisfacente, e contemperato al diritto all'esistenza di Israele, citerei la Giordania. In fondo, prima della guerra dei 6 Giorni, al confine orientale di Israele non vi era alcuno stato palestinese, ma la Giordania, così come Gaza apparteneva all'Egitto, Prima che i nazionalisti di Fatah cominciassero intorno agli anni '60 a utilizzare il termine "palestinesi" per definire gli arabi abitanti nei territori occupati da Israele, quegli arabi erano riconosciuti a tutti gli effetti come "giordani" (e egiziani nel caso di Gaza). L'ipotesi di una confederazione tra palestinesi e regno di Giordania (magari come formula provvisoria prima di concedere progressivamente margini di autonomia sempre maggiori a un'entità politica specificatamente palestinese) potrebbe essere un'altra opzione percorribile, Israele è da anni in pace con la Giordania, e potrebbe accettare di avere come confinante uno stato retto da una monarchia moderata, capace di tenere a freno gli istinti ancora bellicosi dei loro confederati palestinesi. Ma mi pare che al momento la Giordania non abbia alcuna intenzione di accollarsi una patata bollente così scottante come uno stravolgimento statuale per integrarsi con i palestinesi e coinvolgersi in uno scenario così instabile (del resto i rapporti tra giordani e i loro "fratelli" palestinesi non sono mai stati idillici, vedi massacri di profughi palestinesi di Settembre Nero organizzati non da Israele, ma proprio dalla Giordania, che vedeva la presenza di basi armati e militanti palestinesi nel suo territorio di mal'occhio)


Le considerazioni storico-etniche esposte sono interessanti, ma penso, in fondo secondarie riguardo la questione sulla miglior strategia possibile attualmente. Ciò che conta nello sviluppo di un senso di appartenenza a un popolo e ad un territorio e nelle azioni che da questo senso di appartenenza discendono è la percezione attuale della propria identità che si esprime a livello coscienziale soggettivo, non necessariamente legati a un'oggettivo legame etnico o biologico da intendere in modo statico. Non è tanto sul sangue, ma sullo spirito, sulla coscienza degli individui che ne fanno concretamente parte, che si fonda l'unità di un popolo

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