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sul diritto d'autore

Aperto da davintro, 10 Dicembre 2018, 15:57:28 PM

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davintro


Il dibattito sulla recente votazione della riforma del Copyright al parlamento europeo, ha accesso i riflettori su un tema che, anche sulla base di quello che vorrebbe essere il mio percorso di vita, trovo estremamente interessante: quello del diritto d'autore, della sua tutela, dei suoi fondamenti teorici-ideologici, sulla necessità di una sua conciliazione con l'esigenza di una massima diffusione possibile della cultura, dell'informazione, dell'arte, utilizzando nuovi strumenti mediatici come internet. Le voci critiche che si sono levate contro la riforma si sono caratterizzate per la rivendicazione, a volte, per mia personale impressione, da toni eccessivamente allarmistici, di uno spazio di condivisione totalmente libero, con regolamentazioni blande, se non inesistenti, tutta finalizzata a rappresentare gli interessi dei fruitori di oggetti culturali, senza necessariamente porsi il problema di una tutela sia sul piano economico che morale degli autori di tali oggetti. Il mantra ideologico è "la cultura è un bene pubblico, appartiene a tutti, deve essere condiviso senza alcun limiti", alcuni arrivano addirittura ad auspicare, in nome di questo collettivismo estremo ideologico, una futura eliminazione del diritto d'autore in nome del totale accesso libero alla conoscenza che Internet offre. Sembra quasi che i due valori fondamentaliin campo in tale tema: creatività e condivisione rischino di entrare in conflitto reciproco: certamente un autore, nel momento in cui sceglie di pubblicare un suo lavoro, mostra in tutta evidenza di aver piacere che le sue produzioni siano diffuse, godute da più persone possibile, ma, al di là delle ovvie e sacrosante esigenze di remunerazione economiche, c'è sempre anche una condizione inerente un bisogno più profondo, che l'opera rispecchi la sua interiorità, le sue intenzioni, idee, sentimenti, cioè la sua personalità, e il diritto d'autore è chiamato a tutelare questa esigenza specificandosi anche come diritto morale all'integrità dell'opera, come diritto a impedire modifiche che snaturino il senso fondamentale del suo lavoro, trasformandolo in qualcosa di radicalmente diverso da quelle che erano le intenzioni originarie del suo autore. Questo limite alla libertà di condivisione è un fondamentale incentivo alla creatività: non sarebbe estremamente demotivante per un autore pubblicare qualcosa, sapendo che poi il frutto del suo lavoro può essere alterato e successivamente diffuso in forme radicalmente diverse se non opposte all'idea originaria con cui il lavoro era stato progettato, in modo che l'opera non sia più qualcosa di realmente esprimente la sua soggettività, senza alcun efficace strumento legale per opporsi a ciò? Riflettendo sulla possibilità di limiti alla condivisione di link sulle piattaforme online come Google o Facebook, paventato nella riforma discussa a Strasburgo, mi è venuto da pensare... siamo sicuri che eventuali limitazioni in merito abbiano solo effetti negativi in relazione alla creatività culturale e allo scambio di idee? E se proprio limiti alla condivisione finiscano per stimolare più persone a tradurre il loro bisogno di espressione, anziché in semplici e meccaniche condivisioni di link altrui, cercando un loro personale linguaggio per comunicare le proprie idee su determinati argomenti? Questa sarebbe certamente un risvolto positivo: invece che lasciar parlare qualcun altro in nostra vece, ci responsabilizziamo a esprimerci direttamente e in prima persona, con i nostri ragionamenti, le nostre parole, anziché rifugiarci nel citazionismo, nel copia-incolla delegando ad altri il compito di manifestare le nostre idee... Questo è solo un esempio, un altro lo si potrebbe trovare nella musica: ho sempre avuto l'impressione che l'abuso di cover, rivisitazioni di canzoni del passato, testimoni sempre una certa povertà creativa: anziché sperimentare ex novo, nuove forme artistiche davvero originali, si preferisce veicolare il proprio estro in rielaborazioni di cose del passato, con effetti spesso considerabili come stravolgimenti del senso presente nelle intenzioni dell'autore originario. Ecco anche qui come certi limiti alla fruizione dell'opera possano determinare un duplice effetto positivo: da un lato si difende il diritto dell'autore originaria a ritrovare la sua soggettività nell'opera prodotta, dall'altro si stimola lo spirito creativo a manifestarsi in opere davvero originali, e proprio lo stimolo all'originalità arricchisce la varietà del panorama artistico di una comunità, differenziandone il più possibile le forme espressive.

Insomma, nella dialettica tra "creatività" e "condivisione" trovo che il primato debba andare alla prima, anzi, come ho provato a dimostrare, proprio alcuni limiti alla condivisione, possono incentivare la creatività, portandola a esprimersi in forme il più possibili personali e originali, piuttosto che a impantanarla nella modifica di qualcosa di già dato. D'altra parte mi rendo conto che interpretazioni eccessivamente repressive del diritto d'autore, che ostacolano oltre ragionevoli limiti la diffusione della cultura, finiscano con l'essere contropruducenti per la motivazione degli autori di pubblicare i loro lavori con la speranza siano il più possibili conosciuti e apprezzati. Allora la domanda che proverei a porre, anche in questa discussione oltre a me stesso sarebbe: esisterebbero dei margini di azione, a livello politico, nei quali entrambi i valori, diritto dei creativi, e diritto dei fruitori, creatività e condivisione, possano essere armonizzati?

iano

#1
Le cover appaiono a tutti come tali proprio in questi tempi di massima condivisione , mentre una volta erano facilmente confuse per originali.
Non credo che lo scopiazzare sia un danno in se' per la creatività, dato che la copia dice sempre qualcosa di nuovo e la creatività non deve essere necessariamente pura , e in effetti non lo è mai , sia che i suoi riferimenti siano prossimi , sia che siano lontani , consci o meno.
Paradossalmente a me sembra che la condivisione diffusa sia da ostacolo a questo tipo di creatività in quanto qualunque copia , indipendentemente dal suo valore intrinseco , risulterà perdente rispetto all'imprinting che tutti possediamo , conoscendo tutti l'originale.
Una canzone capolavoro di De Andre' è un rifacimento di un brano di Teleman , ignoto ai più e che al confronto suona scialbo , come fosse una cover di De Andre'.
La differenza credo sia nello spirito con cui si copia , e non nel copiare in se'.
Un LP di cover dei Rolling Stones che io comprai da ragazzo pensando fosse dei Rolling Stones rimane per me superiore agli originali , anche se sembra una bestemmia e forse lo è.
Fare queste cover dal vivo era una volta un modo di diffondere la musica , che oggi non è più necessario , ma non credo che la creatività abbia guadagnato da ciò.
A fare copie , anche solo per mestiere , si rischia di impossessarsi dello spirito dell'autore , diffondendolo se pur reinterpretato e nella reinterpretazione c'è creatività.
Quindi forse il fatto che oggi le cover non paghino , per i motivi sopra detti , lo vedo come un impoverimento per la creatività.
Mi chiedo ad esempio che fine abbia fatto lo spirito di un  " In a gadda da vida " degli Iron Butterly che sembra essersi completamente perso.
Eienstein: ''Dio non gioca a dadi''
Bohr: '' Non sei tu Albert, a dover dire a Dio cosa deve fare''
Iano: ''Perchè mai Dio dovrebbe essere interessato ai nostri giochi?''

Phil

Tema complesso e dai mille aspetti, quindi abbozzo un brainstorming:

- Sulla questione dell'autorialità, Derrida, in tempi in cui le potenzialità endemiche della tecnologia erano ancora embrionali rispetto ad ora, parlava di «disseminazione», riferendosi sia ad aspetti di mutazione semantica, sia a vicissitudini postali di "invio" (oggi diremo di condivisione). Riattualizzare quella chiave di lettura potrebbe essere un'introduzione teoretica alla dialettica autore/opera.

- Il legame fra autore ed opera, per ciò che viene prodotto oggi, ha rovesciato la classica problematica dell'"esposizione" del neofita, per cui era difficile conquistare una vetrina: ora la vetrina è aperta a tutti (internet), il problema è quello di farsi identificare come autore meritevole. Prima era difficile far sapere ciò che si faceva, esporlo; ora che quasi tutti espongono, la difficoltà è emergere, non come autore ma come autorevole (artista); e spesso è inizialmente una questione di numeri: visualizzazioni, followers, etc. iniziano a contare più delle copie vendute o mostre organizzate (e sono inoltre monetizzabili secondo i principi del marketing on line).

- Se oggi è più facile creare contenuti mediatici (canzoni, film, testi o altro), è anche molto facile copiare e condividere contro la volontà del creatore; l'impatto di questa valanga di opere, informazioni e distorsioni, è un'onda d'urto sociale non sempre facile da gestire. Qui mi viene in mente un titolo: «L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica» (W. Benjamin)

- La tecnologia invita spesso ad un'appropriazione anche attiva, una condivisione creativa, tramite le modifica e personalizzazione di ciò che viene condiviso (siamo nell'epoca della parodia, della citazione, della rivisitazione, del sincretismo, etc.). Ad esempio, youtube ha integrato da anni, nel profilo dell'utente, un editor per modificare i video da caricare. Dall'altro lato, nonostante alcuni blocchi e cancellazioni attuate per motivi di copyright, è evidente che youtube non è in grado di (o non vuole?) controllare e filtrare il flusso di video caricati quotidianamente (come se 10 poliziotti dovessero controllare 1000 ingressi a un museo), con il risultato che quello che si trova nei negozi di dischi o al cinema, si trova spesso gratis anche su youtube (e che esistano programmi per scaricare e convertire i file di youtube, per non parlare di emule e torrent, è conseguenza socialmente inevitabile, considerando che fra "guardie" e "ladri" non c'è spesso nemmeno un gap tecnologico, oltre che numerico, nettamente a vantaggio dei primi).

- Armonizzare il diritto degli autori al guadagno (detto schiettamente), quello dell'opera di restare chiusa nella sua identità originaria e incontaminata (ma chissà se un giorno avremo solo "arte open source"?) e il diritto del pubblico a fruire dell'opera (sebbene oggi fruire non sia più solo contemplare e collezionare, ma anche manipolare e far circolare), richiede una griglia di priorità "di diritto" che inevitabilmente tutelerà più qualcuno a discapito di qualcun'altro. Non credo si possa avere l'autore ricco e famoso, l'opera immacolata e condivisa, il fruitore con portafoglio pieno e libero di diventare a sua volta "autore di seconda mano", chiudendo il cerchio (o è una spirale?).

Ipazia

L'economista Mariana Mazzucato ha dimostrato nelle sue opere come gran parte dei brevetti miliardari attuali (Apple, Google, MS, Bigpharma) abbia parassitato scoperte e invenzioni di pubblico dominio prodotte da organismi governativi (soprattutto militari o similari come la ricerca spaziale) e pubbliche università. Internet ha ancor più ampliato il range delle conoscenze di pubblico dominio. Come osserva Phil, la vedo dura controllare miliardi di accessi con gli strumenti tecnici e repressivi del diritto d'autore. Dura anche sul piano ideologico, visto che i primi a violarlo sono proprio coloro che poi brevettano e mettono il cr su quello che hanno raccattato "a gratis". Il profeta barbuto le chiamava: contraddizioni del capitalismo. E tali rimangono anche nella turbopostmodernità.
pacata posse omnia mente tueri (Lucrezio)
simplex sigillum veri

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