Sta per finire il "lock down" anche per i mafiosi "non pentiti"?

Aperto da Eutidemo, 05 Giugno 2021, 15:10:42 PM

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Eutidemo

Gli organi di informazione hanno fatto un gran rumore sulla liberazione di Brusca, il quale, almeno, è un mafioso "pentito", il quale ha consentito alla polizia di arrestare molti altri pericolosi malviventi; però, (con qualche lodevole eccezione) gli organi di informazione non si sono ancora resi ben conto che, presto, potrebbe esserci una "libera uscita" generale di più di mille pericolosissimi criminali "non pentiti".
Si tratta di 1271 detenuti, che si trovavano in "carcere a vita" (in base al cosiddetto regime dell'"ergastolo ostativo"); in quali non si sono mai "pentiti", nè hanno alcuna intenzione di farlo, nè di collaborare con la giustizia.
Tuttavia, entro non molto tempo, potremmo trovarceli tutti (o quasi) a spasso nelle pubbliche vie.
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Questo è possibile, anzi è molto probabile, perchè, come da me già accennato in un mio precedente post (1), la Corte Costituzionale  con l'ordinanza n. 97 dell'11 maggio 2021 (2), nell'esaminare le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Cassazione con l'ordinanza numero 18518/2020,  circa il regime applicabile ai condannati alla pena dell'ergastolo per reati di mafia e di contesto mafioso che non abbiano collaborato con la giustizia e che chiedano l'accesso alla liberazione condizionale,  ha sancito che la "Vigente disciplina del cosiddetto ergastolo ostativo preclude in modo assoluto, a chi non abbia utilmente collaborato con la giustizia, la possibilità di accedere al procedimento per chiedere la liberazione condizionale, anche quando il suo ravvedimento risulti sicuro!".
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Ed infatti, secondo la Corte Costituzionale, la disciplina dell'"ergastolo ostativo,  il quale vieta di liberare i boss stragisti condannati all'ergastolo, se non collaborano con la giustizia, sarebbe "in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione e con l'articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo"; questo, in quanto tale "reclusione senza fine" escluderebbe la possibilità di recuperare il detenuto nel contesto sociale, nel caso in cui gli psicologi carcerari accertino che si è ravveduto,   pur non collaborando con la giustizia per far arrestare altri mafiosi.
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Tuttavia la Consulta si è resa conto che "l'accoglimento immediato delle questioni di costituzionalità in esame, rischierebbe di inserirsi in modo inadeguato nell'attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata"; e, pertanto ha concesso al Parlamento un anno di tempo, fino al maggio 2022, per modificare la norma.
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L'ERGASTOLO OSTATIVO
Si tratta di un istituto di diritto penitenziario che è stato introdotto dopo le tragiche morti dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino; ma che essi, sostanzialmente, avevano già propugnato quando erano ancora in vita.
Checchè ne dicano alcuni, tale "strumento" ha "oggettivamente" costituito uno dei più efficaci mezzi di contrasto alla mafia; ed infatti  molti boss mafiosi, sottoposti a tale sia pur "spietata" misura, avendo la possibilità di ottenere dei benefici (che diversamente non avrebbero mai potuto avere) solo collaborando con la giustizia, si sono alla fine rassegnati ad offrire il proprio contributo sulle indagini di mafia, con la conseguenza di spezzare i legami con l'associazione criminale di provenienza.
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LE MISURE DI SICUREZZA
Prima di prospettare la mia personale critica all'ordinanza della Corte di cui sopra, secondo me è necessario tenere presente che, nella nostra Costituzione, sono previsti due tipi completamente diversi di "restrizione della libertà personale".
Ed infatti, l'art.25 della Costitizione:
- nel secondo comma prevede che nessuno può essere "punito" se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso;
- nel terzo comma prevede che nessuno può essere sottoposto a "misure di sicurezza" se non nei casi previsti da una  legge (la quale può essere entrata in vigore in qualunque momento).
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Il che significa che in Italia, così come nel resto del mondo, si possono subire delle restrizioni della libertà personale, non solo a titolo di "sanzione penale" per aver commesso un reato, ma anche a titolo di "misura preventiva", al fine di evitare che un qualche reato venga commesso in futuro; ovvero  al fine di evitare che, in futuro, si verifichino eventi i quali, pur non costituendo un reato, possono tuttavia risultare socialmente pericolosi.
Ad esempio se un "pazzo" uccide una, o più persone, ai sensi dell'art.85 c.p. non può certo essere assoggettato ad alcuna "sanzione penale",  in quanto ha commesso gli omicidi in uno "stato di completa incapacità d'intendere e di volere"; tuttavia, non può neanche essere lasciato libero di andarsene a spasso, ad uccidere altre persone, per cui viene "rinchiuso" fino a che non guarisce (e, se non guarisce, per il resto della sua vita).
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Il mio è un esempio un po' rozzo e semplicistico, tanto per rendere l'idea; tuttavia, di fatto, il concetto è proprio questo.
Ed infatti la "sanzione penale" ha una funzione precipuamente "retributiva" e "rieducativa" per il detenuto, mentre la "misura di sicurezza" ha una funzione precipuamente "preventiva" a tutela della collettività.
Per cui, anche se un detenuto ha scontato la sua pena, o anche se si è ravveduto, non è detto che lo si possa far uscire dal carcere, se la ciò può risultare "pericoloso" per la collettività.
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Ed infatti, la durata delle misure di sicurezza è "indeterminata nel massimo"; quindi può durare "per sempre"; cioè non cessa sino a che non viene a mancare l'elemento essenziale della pericolosità del reo.
Tuttavia, questa "indeterminatezza" viene definita relativa, in quanto, in genere, consiste in controlli periodici di un magistrato di sorveglianza; in passato era presente un riesame del giudice dopo un minimo di tempo previsto indicativamente dalla legge, ma questo sistema è stato abbandonato dopo la sentenza n.110/74 della Corte Costituzionale.
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CRITICA ALL'ORDINANZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE
Ciò premesso, se mi è concesso di azzardare (molto presuntuosamente) una prima interpretazione critica  della citata recente ordinanza n. 97 dell'l'11 maggio 2021,  la Corte Costituzionale, secondo me, ha fatto un po' di "confusione", sia pur voluta, cosciente e consapevole, tra il primo e il secondo comma dell'art.25 della Costituzione.
E, cioè, tra i principi regolatori:
- delle "pene", le quali hanno precipuamente una funzione "remunerativa", una funzione "dissuasiva" e una funzione "rieducativa" per il criminale;
-  delle "misure di sicurezza", le quali, invece,  hanno precipuamente la funzione  di assicurare, appunto, la "sicurezza" della collettività, possibilmente in concorso, ma, eventualmente, anche "a prescindere" dalle funzioni di cui sopra.
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Ed infatti, a pag.10 della citata ordinanza, troviamo scritto: "Il regime normativo censurato comprimerebbe in misura intollerabile la funzione "rieducativa" della "pena", in contrasto con l'art. 27, terzo comma della Costituzione"; il che, secondo me, sarebbe senz'altro vero se il regime in questione potesse effettivamente considerarsi una "pena" (aggiuntiva), invece di una "misura di sicurezza".
La quale, come sopra detto, può prescindere dalle caratteristiche e dalle funzioni della pena; tra le quali il "recupero sociale" del detenuto.
Anche se so che questa è una cosa molto controversa!
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Tuttavia la stessa Corte costituzionale, nella ordinanza in esame,  ha riconosciuto che le opzioni legislative in materia di tutela della "sicurezza pubblica" sono da considerarsi insindacabili, purché improntate a "ragionevolezza"; in tal senso anche la sentenza n. 223 della stessa Corte.
E poi testualmente, la Corte osserva: "Ciò che non farebbe difetto nel caso in considerazione. In particolare, non sarebbe affatto arbitraria la presunzione che, nel contesto mafioso, l'atteggiamento non collaborativo sia dovuto alla volontà di non recidere i rapporti con l'ambiente di provenienza; per cui, indipendentemente dall'attualità di quei rapporti, andrebbe comunque prevenuto il rischio di un loro ripristino, che potrebbe inverarsi nel caso di liberazione di soggetti portatori di una pericolosità criminale tanto elevata."
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Il che, nonostante le ampie e  argomentate motivazioni  successivamente addotte dalla Corte (sulle quali per ragioni di spazio sono costretto a sorvolare), a me suona alquanto contraddittorio;  sebbene in linea con l'orientamento CEDU, così come espresso dalla Corte di Strasburgo nella sentenza "Viola contro Italia".
In tale sentenza, infatti, sulla cui falsariga si muove l'ordinanza della nostra Corte qui in commento, si sostiene che considerare la collaborazione con le autorità quale unica dimostrazione possibile della dissociazione del condannato conduce a trascurare gli altri elementi che permettono di valutare i progressi compiuti dal detenuto;  ciò, in quanto, secondo la CEDU, "non è escluso che la dissociazione con l'ambiente mafioso possa esprimersi in modo diverso dalla collaborazione con la giustizia".
Ma, secondo me, è qui "che casca l'asino".
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Ed infatti, a mio parere:
1)
Si può -forse- disquisire teoricamente circa "l'aspetto soggettivo" evidenziato dalla due Corti; e, cioè, sul fatto che non si possa escludere a priori "che la dissociazione con l'ambiente mafioso possa esprimersi in modo diverso dalla collaborazione con la giustizia" (cosa di cui, però, personalmente dubito molto).
2)
Non si può,  però, disquisire, nè teoricamente nè praticamente, circa "l'aspetto oggettivo" della questione, che è stato completamente ignorato dalla due Corti; e, cioè, che, quale che sia l'intento dissociativo che (si presume) sia stato interiormente e soggettivamente maturato dal detenuto, se costui non collabora con la giustizia (essendo quindi inserito nel "programma protezione testimoni"), una volta uscito di galera, e/o dal regime del 41 bis ci penserà la Mafia a riassorbirlo "d'ufficio" nei suoi ranghi.
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Ed infatti, cosa che le due Corti evidentemente non considerano, è che, al momento dell'"affiliazione", al mafioso viene chiaramente spiegato che: "Semel sacerdos, semper sacerdos: tu eris sacerdos in aeternum" (cioè, che dovrà restare mafioso per sempre, fino alla morte, che lui lo voglia o no).
Il che vuol dire che un mafioso che esce di galera, al di fuori della protezioni testimoni (non avendo collaborato), non ha oggettivamente alcuna alternativa se non rientrare nei ranghi della Mafia ; o meglio, l'unica alternativa che ha, è quella di far ammazzare se stesso e/o i propri familiari.
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Pertanto, secondo me, nel caso di specie:
- non si tratta tanto della legittimità o meno di presumere "iuris et de iure" la "pericolosità" o meno del detenuto di mafia che non si pente e collabora;
- quanto, piuttosto, di presumere "iuris et de iure" che, se non lo fa, che lui lo voglia o meno, resterà comunque, di fatto, un "pericoloso" mafioso.
Per cui, se lo si mette fuori (o, comunque, si allenta in guinzaglio del 41 bis), oltre che la sua, si mette in pericolo la "sicurezza" dell'intera collettività.
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Ne consegue, quindi, che, poichè il cosiddetto "ergastolo ostativo" non costituisce tanto una "pena" che debba "retribuire" e "rieducare" il detenuto , quanto, piuttosto, una "misura di sicurezza" a tutela della collettività, secondo me, l'ordinanza della Corte Costituzionale deve considerarsi del tutto aberrante!
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L'unico modo per eluderne i devastanti effetti, pertanto, secondo me, non può che consistere in una nuova normativa che rimarchi la natura di "misura di sicurezza" di tale regime; ricollegandola, soprattutto, all'aspetto dell'"incardinamento oggettivo" del detenuto mafioso all'interno dell'organizzazione mafiosa, che può essere "oggettivamente scardinato" solo se, e soltanto se, lui collabora con la giustizia.
Ma non è certo un compito facile, per il nostro Legislatore!
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(1)
Le "funzioni della pena", in generale, e nel caso Brusca:
https://www.riflessioni.it/logos/attualita/le-'funzioni-della-pena'-in-generale-e-nel-caso-brusca/
(2)
Ordinanza della Corte Costituzionale n. 97 dell'11 maggio 2021
https://www.giurisprudenzapenale.com/wp-content/uploads/2021/05/pronuncia_97_2021.pdf


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