Quale futuro per le scienze? L'esistenzialismo e la sociologia di F. Ferrarotti.

Aperto da PhyroSphera, 17 Novembre 2024, 12:54:44 PM

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PhyroSphera

Sono passati pochi giorni dalla morte di Franco Ferrarotti, ritenuto il padre della sociologia italiana.
Io me lo ricordo soprattutto come l'autore di un resoconto sulla figura del filosofo Nicola Abbagnano, testo che contiene anche un inizio di ritrattazione.
Difatti il Ferrarotti, da studente e ricercatore in volontaria estraneità ai dettami della filosofia della esistenza a teorico delle forme e fondamenti del potere contemporaneo, da sostenitore dello schema dialettico marxista a critico dell'integralismo razionale, tracciava la parabola discendente del positivismo sociale non solo in Italia, con l'inevitabile apertura a una prassi scientifica non più isolata né separata dalla indicazione esistenziale della singolarità della esistenza umana.

La sociologia, quale disciplina mediana fra tutte le scienze incluse nel tentativo positivista di dedurre un sapere in base al solo dato, ha di fronte a sé questa nuova prospettiva: rompere il quadro che la vede asservita alla fisica (tramite la cosiddetta fisica sociale) ed evitare che il complesso delle scienze venga assunto a discapito della irripetibilità della persona, della individualità di ciascun gruppo sociale, nonché della unicità della misteriosa originarità che lo stesso studio sociologico incontra a partire dalle proprie premesse e senza poterne decifrare: ciò che in filosofia è dicibile l'Assoluto.

Il pensiero sociologico positivista con Ferrarotti andava:
– dall'atomismo fisico sociale (di matrice ottocentesca), che vede ciascun elemento sociale quale ente materiale, fisicamente cioè;
– alla operazione apparentemente impossibile di coniugare la prospettiva sociale marxista, basata su un giudizio non una contemplazione (proletari versus borghesi), con la scienza sociologica propriamente detta, che invece deve rimettersi alla mera osservazione dei fatti.
Come ciò potesse accadere, lo spiega la storia della politica che racconta l'operazione di imposizione-costruzione sociale di Stalin e degli stalinisti, il funzionamento della quale era rigidamente omologato ai termini del giudizio marxiano. Si trattò in pratica di creare una dinamica sociale, anche nello stesso Occidente tramite provocazioni più o meno occulte, dominata dal contrasto di proletariato e borghesia, la quale lo scienziato doveva quindi non solo descrivere ma interpretare secondo prassi marxista... utilizzando appunto l'idea positivista.
Tale idea, non senza l'opposizione di Abbagnano stesso che influenzava decisivamente la diffusione della sociologia in Italia (era lui nonostante tutto l'ideatore dei Quaderni di sociologia, pubblicazione peraltro diretta proprio da Ferrarotti), si scontrava con le necessità delle ricerche che allargavano gli orizzonti oltre la razionalità della società, base quest'ultima della politica sociale marxista.

Io ebbi a che fare con F. Ferrarotti. Oltre alle tipiche occasioni, mi capitò in una libreria. Mi sorprese a valutare libri, tra cui uno proprio di N. Abbagnano, restando colpito da una mia espressione. Potetti sùbito comprendere che era assalito dai rimorsi per averne disatteso le raccomandazioni. Inoltre mi rese edotto circa lo smarrimento di un discorso importante. Il suo volto era eloquente e io comunicai a mia volta: si liberi dall'intrico e ammasso delle sue colpe e vedrà che ricorderà.
Riapparso codesto discorso in suddetto resoconto, io vi riconobbi leggendo il pensiero del filosofo e dell'uomo Abbagnano. Mentre questi però aveva assunto per riferimento epistemologico di base la dimensione antropologica, Ferrarotti partiva da una assolutizzazione della dimensione sociologica. L'invito originario del filosofo a fronte delle difficoltà del dopoguerra sotto egida americana: cambiare anche tutto purché restare italiani, si trasformava, nell'iter del sociologo positivista, da azione a favore della libera sopravvivenza di un gruppo umano in inazione per favorire l'obbedienza a un'idea di società estranea, quella della rivoluzione antioccidentale della estrema sinistra politica. Per farla breve: il perseverare incontrava il proprio opposto, dal comunismo fino al degenerare del nazionalismo in nazismo passando per un nazionalsocialismo rovesciato. Tempo dopo l'incontro in libreria, aggirandomi per Roma e nel timore di tanta catastrofe, mi ero pure recato alla stessa università dove quel discorso si era tenuto e non evitavo di invitare alcuni studenti a rinfrescare la memoria del loro professore, anche a costo di sembrare "troppo strano".

Scriveva il prof. Ferrarotti:
«È forse venuto il tempo per una riconsiderazione serena di quel nesso fra esistenza, progetto, ricerca sociale che non ha nulla di artificioso o di occasionale, ma che al contrario si lega necessariamente all'insieme del pensiero di Abbagnano come suo sbocco necessario.»
Non fosse questo tempo ancora venuto, bisognerebbe inventarlo, per tutte quelle culture che sono sotto scacco dal disastroso tentativo positivista di conduzione-costruzione dei saperi scientifici. Senza forse.


MAURO PASTORE

PhyroSphera

Ho fatto delle aggiunte al testo, che altrimenti sarebbe stato meno o difficilmente comprensibile. Inoltre ho ben definito alcuni tempi, che diversamente davano apparenza di altra successione di eventi (quella esatta: prima l'incontro con gli universitari di Roma, poi l'apparizione del resoconto in libreria).
Mi scuso col lettore per l'eventuale disagio e spero in una buona discussione.

MAURO PASTORE 

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