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I bulli e la scuola

Aperto da doxa, 20 Aprile 2018, 22:28:50 PM

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doxa

Il bullo adolescente preconizza l'adulto delinquente ? Penso di si se non viene represso con reazioni sociali, da parte della scuola, della famiglia, del gruppo dei pari; se necessario anche con la giustizia penale.

Se il bullismo deriva da una psicopatologia o dal tratto caratteriale aggressivo diventa ardua l'educazione etica.

Per la prevenzione è sufficiente la comunicazione interpersonale tramite le agenzie educative ? Nei casi difficili sono necessari anche psicologi, sociologi, assistenti sociali perché il minore disadattato è questione sociale e la sua tutela e formazione è interesse della collettività.

La crescita di un giovane in un contesto sociale, anche virtuale,  che premia l'arroganza e la sopraffazione è un grave problema che non va trascurato.

Se l'adolescente "socialmente difficile" viene emarginato, è indotto a cercare suoi simili per  non sentirsi solo, per sentirsi parte di un gruppo. Per evitare di farlo entrare in una "banda di delinquenti" il minore va tutelato, "rieducato".

doxa

 
Vi voglio far leggere un articolo  scritto da Paola Mastrocola, docente in pensione, e pubblicato sul quotidiano "Il Sole 24 Ore" lo scorso 29 aprile col titolo "Mettiamoli in castigo".  L'elaborato lega l'emergenza bullismo all'incapacità da parte degli insegnanti e dei genitori di punire i piccoli bulli, anche perché da circa 60 anni si teme o non si tollera la parola "autorità", considerata non democratica e discriminante.

[...] "E veniamo all'oggi. Al caso ormai noto del professore di Lucca, umiliato dal suo allievo che gli impone di mettergli sei e di inginocchiarsi. A cui se ne aggiungono infiniti altri: studente che minaccia la prof di scioglierla nell'acido, studentessa che scaraventa il banco in testa alla prof, padre che molla un pugno all'insegnante del figlio. E altro, linguacce, insulti, gomme forate, sfregi...
Ho inanellato questa serie di scenette, così diverse e lontane tra di loro, perché credo che siano invece straordinariamente legate, e unite da una parola cruciale: autorità.

È questa parola che non tolleriamo più, da una sessantina d'anni. Per ragioni ideologiche (l'autorità non è democratica, discrimina, colloca qualcuno in basso e qualcuno in alto), ma anche per ragioni più esterne che attengono a quel che chiamiamo progresso: perché viviamo immersi nei social, in questo universo della rete che ci attrae in modo esorbitante e morboso, e in cui nessuno ha ed è un'autorità, tutti possono dire la loro, sparare ognuno il loro pensiero, anche delirante, ignorante, volgare, offensivo, stupido. Tutti possono parlare, insegnare, scrivere, governare l'Italia. Tutti, di qualsiasi ceto, età, provenienza, etnia, ruolo, professione, cultura. A nessuno è riconosciuta alcuna superiorità: culturale, morale. Non occorre un titolo, né aver dimostrato di saper fare o di sapere qualcosa più degli altri. Occorre soltanto esserci. Farsi notare, apparire in video, essere citato, cliccato, condiviso, likato. Azzerata qualsiasi competenza. Se arrivi a essere in un video, sei. Se no, non esisti.


Visto che abbiamo in odio qualsiasi forma di autorità, abbiamo smesso di educare. Nesso causale molto stretto. Educazione e autorità, per quanto molti fatichino ad ammetterlo, sono piuttosto legate.
Abbiamo smesso di educare quando abbiamo rifiutato, consapevolmente e deliberatamente, il concetto di autorità. E l'abbiamo fermamente voluta, decisa, e perseguita con grande determinazione, questa dismissione dell'autorità. A partire dagli auctores in senso letterale: via gli autori grandi del passato, i classici e ogni ipse dixit, conta l'ultimo libro pubblicato, l'ultimo messaggino su twitter. Uno vale uno.


Certo, nei casi di bullismo tra ragazzi emerge anche il non rispetto dell'altro, l'assenza di ogni limite, il narcisistico parossismo dell'apparire e dell'occupare la scena del mondo ad ogni costo. Ma il bullismo verso gli insegnanti è altro. È disprezzo per l'autorità.
C'è un verbo che ho sentito pronunciare da un ragazzo, intervistato a proposito dell'episodio di Lucca: Non bisognerebbe permettersi, io non mi sarei permesso. Mi viene in mente che un tempo dicevamo: Ma come ti permetti? Ecco, il verbo permettere. Noi abbiamo permesso.


Abbiamo permesso che i nostri figli non obbediscano. Che i nostri studenti non studino (anzi, abbiamo persino smesso di dare ordini e di imporre doveri, così il problema nemmeno esiste).


Ma non basta. Non solo non educhiamo. Abbiamo anche permesso che i media e i social dominino le nostre vite.
E tutto questo inizia dall'inizio, questo è il punto: inizia quando un bambino nasce. Il punto cruciale è la famiglia, siamo noi, che oggi siamo gli adulti. Siamo noi genitori che decidiamo, di fronte al figlio appena nato, se lasciarlo piangere o no, se dargli o no uno scapaccione, se ficcargli in mano a due anni un telefonino, se rabbonirlo e placarlo con un filmato, un cartone, un videogioco, per essere lasciati in pace. Siamo noi che decidiamo di rimproverare o lasciar correre, punire o premiare o non fare nessuna delle due cose. Siamo noi che permettiamo che i figli ci saltino in testa mentre ceniamo, parlino mentre stiamo parlando noi, urlino, distruggano oggetti, insultino la madre, il padre e la babysitter, non facciano i compiti, copino dai compagni, non aprano un libro, non si alzino per far sedere un anziano, non salutino il vicino di casa in ascensore. Siamo noi che li promuoviamo anche se non studiano, che permettiamo che facciano il chiasso più inverosimile in classe mentre stiamo facendo lezione. Noi siamo i primi a non essere rispettosi di noi stessi.


Perché abbiamo permesso tutto questo?
Credo che sia perché ci fa comodo. Per quieto vivere. Ma ancor di più per lieto vivere: goderci la vita, prenderci i nostri piaceri in santa pace. Edonismo. Troppa fatica educare, pretendere, rimproverare, punire. Poco gratificante e autolesionista. Meglio lasciar perdere. Va bene, abbiamo di conseguenza figli e allievi ormai ingestibili. Selvaggi senza regole, cavalli imbizzarriti (Susanna Tamaro ha scritto proprio pochi giorni fa un articolo stupendo su questo tema: «I ragazzi selvaggi e il tramonto dell'educazione»). Ma pazienza, gli somministriamo lo zuccherino: un video, un cartone, gli mettiamo in mano un tablet, uno smartphone, e tutto si risolve. Loro si placano, scende il silenzio e noi possiamo cenare, guardarci un film, parlare con gli amici, berci una birra, farci un aperitivo in piazza, chattare in rete.


Le conseguenze di tutto ciò le abbiamo chiamate «bullismo». Non dovremmo stupirci se uno studente prende a testate con tanto di casco da moto indosso un prof. Quel che sta succedendo è molto semplice: quei ragazzi non educati ora rivolgono la loro non-educazione contro di noi. Siamo noi le vittime. Ma siamo stai noi la causa, noi che li abbiamo privati di regole e principi, limiti e divieti. E ora non possiamo che tacere. Il professore di Lucca che non dice, non denuncia e occulta il fatto di cui è vittima, la dice lunga. Silenzio. E non è nemmeno il silenzio degli innocenti, perché noi non siamo innocenti.


Siamo noi che abbiamo creato il «bullismo». E ora ci inventiamo i modi per combatterlo. Geniale! Corsi. Convegni. Petizioni. Piattaforme dove lanciamo s.o.s. Centri anti-bullismo, associazioni, portali. Parliamo, discutiamo nei talk show. Auspichiamo leggi, provvedimenti ministeriali (da una ministra che sta rendendo obbligatorio l'uso dei telefonini in classe come strumento didattico?).
E non basta, facciamo ancora di più: ne parliamo a iosa! Occupiamo i giornali e i telegiornali, i siti, twittiamo e condividiamo, moltiplicando così a dismisura la notizia. Per esempio, a ogni edizione e riedizione di un tg, mandiamo in onda il video del prof oltraggiato. Così, se per caso qualcuno si fosse perso il video sul cellulare, se per disgrazia non fosse stato raggiunto dal solerte popolo del web, ecco che ci pensano i giornalisti, gli opinionisti, i signori del talk show.


Ma allora vorrei esagerare: già che tutto è video, vorrei vedere non solo il video dei ragazzi che oltraggiano il professore, ma anche il video in cui si prendono le loro responsabilità, rendono conto, chiedono scusa. E pagano per quel che hanno commesso. Pubblicamente, davanti a tutti. Se ogni cosa dev'essere mediatica, lo sia anche la sanzione, non solo l'ingiuria. Non occhio per occhio, dente per dente. Ma video per video".

Angelo Cannata

È normale e giusto che non si tolleri più la parola autorità, perché le vecchie generazioni l'hanno fondata sul niente. L'articolo fa riferimento anche a "educazione", che sarebbe la cosa giusta, ma a quanto pare anche l'educazione, in questo caso, viene intesa come educazione al rispetto dell'autorità, quindi un'educazione vuota di significato.

Ciò che conta non è l'autorità, ma la capacità di offrire orientamenti; sarà questa poi a dare contenuti all'autorità, piuttosto che basarla sul nulla.

Le generazioni passate si sono servite della parola "autorità" per mascherare il loro vuoto di contenuti, la loro incapacità di educare a qualcosa che faccia crescere, che dia senso e sensi alla vita. Nell'incapacità di fare ciò, i nostri nonni, i nostri antichi maestri di scuola, i nostri antichi professori, hanno fatto ricorso a tutto ciò che serviva a nascondere la loro incapacità e i loro vuoti di contenuti validi: autorità, violenza, ordine, rispetto, stare composti, disciplina, tutte cose che avrebbero un senso se dietro possedessero dei contenuti; il problema è che dietro c'era il niente.

Che motivi ha perciò oggi un giovane per attribuire autorità ad un professore? Perché dovrebbe attribuirgli autorità? Dovrebbe attribuirgliela perché ha il titolo di professore, perché siede in cattedra, perché gli spiega la geografia?

Siamo in grado oggi di offrire a un giovane motivi validi per cui attribuire autorità ad una persona? No, non siamo in grado. Se almeno lo ammettessimo, sarebbe già una conquista, ma non avviene neanche questo. Ecco allora la reazione violenta: è reazione ad una generazione di sedicenti educatori che si ostinano a non ammettere apertamente il loro vuoto mentale, la loro mancanza di orizzonti, e in più pretendono di avere autorità.

Con questo non intendo approvare alcuna violenza: la reazione dei bulli non è soluzione del problema, è solo sintomo di una voglia di ribellarsi, frustrata dall'inutilità delle precedenti ribellioni, come quella del '68.

Ci sono allora dei passi da fare:

1) ammettere la propria mancanza di orizzonti, la propria incapacità;

2) pretendere che anche l'altro l'ammetta: io ammetto di non sapere dove andare a parare, ma devi ammetterlo anche tu, a meno che non mi sappia dimostrare che sei davvero capace di altro;

3) proporre la prospettiva di cercare insieme: né io né tu abbiamo la soluzione in tasca, che ne dici di cercarla insieme?

InVerno

Condivido l'analisi di Angelo, ciò che propone è decisamente più fedele al concetto di educazione (etimologico), ma siccome io non penso che debba essere la scuola a sobbarcarsi interamente l'educazione, ma occuparsi principalmente di istruzione (concetti antiteci per i più attenti) sarebbe il caso di tirare in ballo quelli che dovrebbero essere gli educatori per eccellenza: i genitori, che molto poco salgono sul banco degli imputati in queste vicende. Il mondo moderno non è solo il mondo dei video e della superficialità che i nostalgici dei "bei tempi andati" vogliono raccontare (elidendo dalle loro memorie tutte le bravate esibizioniste che hanno inscenato ben prima dei social) è anche il mondo della prevenzione anzichè della cura, e la prevenzione in questo caso passa anche dalle famiglie. Ma quale controllo ha la comunità sulle famiglie? Come sensibilizzarle se non attraverso spot di pubblicità progresso? La famiglia, sopratutto in Italia, è casa di una morale a parte del resto del mondo, un piccolo organismo sociale che in tanti casi si sviluppa in maniera antisociale e\o deleterea per il futuro dei pargoli, tra le mura di casa si svolgono le peggior amputazioni degli spiriti. Ha ragione Serra quando parla di famiglie in povertà che filiano, e che ti puoi aspettare? La differenza è che io parlo di povertà culturale, non economica, una questione trasversale alla "classe sociale" tanto cara al suddetto. La scuola può tradurre casi di pessima educazione in persone istrutite, ma fa molto più fatica e fallisce sempre più spesso quando la materia prima appena sfornata dalle famiglie è sempre peggiore. Ovviamente additare le famiglie significa anche additare noi stessi, ergo ce ne vediam bene, lo scarica barile passa dal 68, ai social, ai brigatisti.. non sarebbe più facile comprarsi uno specchio?
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

Angelo Cannata

Secondo me è sbagliato cercare imputati, che si tratti di genitori, di professori, o degli stessi bulli, perché risponde alla solita vecchia mentalità del colpevolizzare: si cerca un capro espiatorio e siamo tutti felici e contenti di aver trovato dove scaricare il nostro odio.

A questo metodo preferisco la mentalità dell'analisi storica, che non cerca colpevoli, ma meccanismi.

Prendiamo i genitori: che ci possono fare se nessuno ha mai insegnato loro a che cosa dovrebbero educare i loro figli? Lo stesso vale per i professori. Nessuno ha colpe e cercare colpe serve solo a distrarsi dalla ricerca dei meccanismi.

A questo punto si intuisce che ogni tipo di meccanismo è sempre circolare, si tratterà di circoli più o meno complessi, più o meno lunghi, ed è proprio per questo che non ci accorgiamo che si tratta di circoli.

Se vediamo un cerchio di ragazzi che girano e vogliamo inserirci per fare qualcosa, ha poco senso cercare chi sta all'inizio del cerchio: proprio perché è un cerchio non ha un inizio. A questo punto si fa quello che fanno tutti: ognuno sceglie un punto del cerchio in cui sia più efficace inserirsi e cerca di inserirsi.

Qui, su questo forum, si potrebbe tentare di chiarire le cause storiche di ciò, anche in questo caso scegliendo gli elementi storici del cerchio (o della linea della storia) che risultano più utili a capire la questione e dove e come sia meglio intervenire.

InVerno

Il mio non è tanto additare le famiglie esclusivamente, quanto farle entrare nel tuo cosidetto cerchio, mentre nella dialettica tipica di queste discussioni ne sono quasi sempre escluse. Non inspiegabilmente, perchè metterci mano è molto più difficile che mettere mano nella scuola, mettere mano a noi stessi, è molto più difficile che prendersela con un professore o un fantomatico meccanismo sociale senza responsabili individuali. Quando dico che bisorrebbe guardarsi allo specchio, faccio proprio riferimento al fatto che gli eventi riflettono realtà speculari e interconnesse, quindi credimi, condivido anche il tuo intervento critico.
Non ci si salva da un inferno, sposandone un altro. Ipazia

doxa

#51
Angelo ha scritto:
CitazioneÈ normale e giusto che non si tolleri più la parola autorità, perché le vecchie generazioni l'hanno fondata sul niente. L'articolo fa riferimento anche a "educazione", che sarebbe la cosa giusta, ma a quanto pare anche l'educazione, in questo caso, viene intesa come educazione al rispetto dell'autorità, quindi un'educazione vuota di significato.

Ciao Angelo, credo sia necessario distinguere tra "auctoritas" ed autoritarismo.

Il concetto di autorità comprende la legittimazione, la giustificazione ed il diritto di esercitare un potere da parte di un soggetto od una istituzione se assegnato da leggi, norme, tradizione o carisma (vedi Max Weber). Autorità e potere alle quali ci si deve assoggettare per raggiungere determinati scopi, anche se, nel caso degli insegnanti, non tutti sono capaci.

Gli studiosi di diritto distinguono tra autorità de facto e autorità de jure.

Con l'autorità de facto un individuo o  un gruppo accetta che un potere venga esercitato su di loro ed obbedisce agli ordini o ai comandi di coloro che detengono quel potere;

con l'autorità de jure l'esercizio del potere è accettato come giusto e viene giustificato da coloro nei cui confronti viene esercitato.

Per potere, in termini giuridici, si intende la capacità, la facoltà o l'autorità di agire, per  raggiungere determinati scopi, personali o collettivi.

L'attribuzione di un potere ad un soggetto o ad una istituzione comporta una corrispondente situazione giuridica soggettiva. La fonte del potere sono le leggi, le norme, i regolamenti.

L'autoritarismo, invece, anche se deriva dal lemma "autorità" si distingue da questa per l'abuso di autorità nei confronti di persone o istituzioni. L'autoritarismo induce a tendenze antidemocratiche, a rapporti sociali basati sulla gerarchia e l'oppressione (vedi Theodor Adorno). L'autoritarismo è tratto caratteristico delle negative personalità autoritarie.  
Ovviamente l'abuso di potere infrange le libertà individuali, ma quando è necessario non lo considero in modo negativo.

Un ultimo elemento da tener presente è la "gerarchia", che vige ovunque, nell'ambito militare, nel lavoro, nella scuola, nelle istituzioni religiose, ecc.,  come reciproco rapporto di supremazia e subordinazione tra uffici e tra le persone .

Angelo Cannata

Citazione di: altamarea il 04 Maggio 2018, 17:55:38 PMIl concetto di autorità comprende la legittimazione, la giustificazione ed il diritto di esercitare un potere da parte di un soggetto od una istituzione se assegnato da leggi, norme, tradizione o carisma (vedi Max Weber). Autorità e potere alle quali ci si deve assoggettare per raggiungere determinati scopi, anche se, nel caso degli insegnanti, non tutti sono capaci.
Il problema che suscita la protesta sta in quel "deve": perché io devo assoggettarmi a un'autorità che non sa verso dove educarmi? Le autorità stabilite per leggi, norme o tradizioni dimostrano in continuazione di non sapere verso dove educarmi, quindi perché io dovrei sottomettermi ad esse?
L'autorità derivante dal carisma non è più un dovere, perché il carisma viene spontaneamente riconosciuto dalle persone e quindi sono liete di sottomettersi ad esse. Ecco così la gioventù-gregge che si sottomette volentieri al cantante rock o fa la fila per comprare l'i-phone.

Dunque è chiaro che nessuna forma di autorità funziona, né quelle stabilite da leggi o tradizioni, né quelle che l'industria impone per ridurre la gente a gregge di consumatori.

Prima di individuare un'autorità qualsiasi bisogna individuare verso dove si deve andare. Una volta individuate le direzioni, sarà logico accettare come autorità coloro che hanno maggiori capacità di aiutare tutti a procedere in quelle direzioni. Ma oggi queste direzioni condivise non esistono e così non può esistere accettazione di autorità alcuna.

doxa

Angelo, la tua opinione sul concetto di autorità mi sorprende, perché penso al tuo retaggio culturale di tipo religioso cristiano, invece mi sembra che dimostri un'ideologia da ex sessantottino. :)  

Lo  Stato democratico come entità politica sovrana è basato  sullo stato di diritto, poiché il bisogno di legittimazione del potere centrale necessita  del consenso popolare.  L'autorità legittima è quella dello Stato, fondato sul consenso dei cittadini tramite il voto parlamentare.

Posso concordare con la tua opinione se ti riferisci all'autorevolezza e non all'autorità.
Anche se linguisticamente deriva da "autorità" , l'autorevolezza è diversa dall'autoritarismo , è una condizione di superiorità morale che gli altri riconoscono e che li induce ad obbedire spontaneamente, nella maggior parte. In tal caso, però,  non bisogna confondere la necessaria autorità con l'auspicata autorevolezza, in questo caso dei docenti, quelli capaci di insegnare e che sanno far amare ai discenti la disciplina che insegnano.

Nello stato di diritto c'è la ragione della distinzione tra auctoritas e potestas: questa  evoca l'idea di una forza materiale esterna, che è in grado di costringere all'obbedienza i suoi destinatari.

Angelo Cannata

La critica che ho espresso nei confronti dell'autorità vale contro qualsiasi cosa che non aiuti a vivere un orientamento di vita che faccia crescere. Difatti il fenomeno del bullismo è solo una sfaccettatura di una crisi generale che li fa rivoltare non solo contro i professori, ma anche contro gli oggetti, sia materiali che che astratti, e anche contro sé stessi. In questo senso, trattandosi di una crisi molto grave, non esistono cose o persone in grado di legittimarsi. C'è una sofferenza che investe l'intera esistenza e di fronte a questa sofferenza non importa che chi ci vada di mezzo sia l'autorità o qualsiasi altra cosa. Di fronte alla sofferenza il diritto ad esistere di qualsiasi cosa o persona entra in crisi.

Come ho già detto sopra, con ciò non intendo legittimare alcuna forma di violenza; il mio scopo è solo un tentativo di individuare i meccanismi che la provocano.

stefano

Citazione di: Angelo Cannata il 04 Maggio 2018, 10:30:31 AMÈ normale e giusto che non si tolleri più la parola autorità, perché le vecchie generazioni l'hanno fondata sul niente. L'articolo fa riferimento anche a "educazione", che sarebbe la cosa giusta, ma a quanto pare anche l'educazione, in questo caso, viene intesa come educazione al rispetto dell'autorità, quindi un'educazione vuota di significato. Ciò che conta non è l'autorità, ma la capacità di offrire orientamenti; sarà questa poi a dare contenuti all'autorità, piuttosto che basarla sul nulla. Le generazioni passate si sono servite della parola "autorità" per mascherare il loro vuoto di contenuti, la loro incapacità di educare a qualcosa che faccia crescere, che dia senso e sensi alla vita. Nell'incapacità di fare ciò, i nostri nonni, i nostri antichi maestri di scuola, i nostri antichi professori, hanno fatto ricorso a tutto ciò che serviva a nascondere la loro incapacità e i loro vuoti di contenuti validi: autorità, violenza, ordine, rispetto, stare composti, disciplina, tutte cose che avrebbero un senso se dietro possedessero dei contenuti; il problema è che dietro c'era il niente. Che motivi ha perciò oggi un giovane per attribuire autorità ad un professore? Perché dovrebbe attribuirgli autorità? Dovrebbe attribuirgliela perché ha il titolo di professore, perché siede in cattedra, perché gli spiega la geografia? Siamo in grado oggi di offrire a un giovane motivi validi per cui attribuire autorità ad una persona? No, non siamo in grado. Se almeno lo ammettessimo, sarebbe già una conquista, ma non avviene neanche questo. Ecco allora la reazione violenta: è reazione ad una generazione di sedicenti educatori che si ostinano a non ammettere apertamente il loro vuoto mentale, la loro mancanza di orizzonti, e in più pretendono di avere autorità. Con questo non intendo approvare alcuna violenza: la reazione dei bulli non è soluzione del problema, è solo sintomo di una voglia di ribellarsi, frustrata dall'inutilità delle precedenti ribellioni, come quella del '68. Ci sono allora dei passi da fare: 1) ammettere la propria mancanza di orizzonti, la propria incapacità; 2) pretendere che anche l'altro l'ammetta: io ammetto di non sapere dove andare a parare, ma devi ammetterlo anche tu, a meno che non mi sappia dimostrare che sei davvero capace di altro; 3) proporre la prospettiva di cercare insieme: né io né tu abbiamo la soluzione in tasca, che ne dici di cercarla insieme?

Stiamo parlando di scuola pubblica quindi nel parlare di autorità sarebbe giusto dire o intendere "autorità democratica".Sottostare a un'autorià democratica è io credo il primo passo indispensabile per avviare un rapporto educativo, lo studente dovrà avere prima di tutto l'umiltà di accettare regole che valgono per tutti,gia questo in se è educativo.Quello che oggi manca è appunto l'umiltà necessaria per il rispetto delle regole.Un tempo (prima del'68) era diverso anzi l'opposto ma oggi è cosi.Se prima il problema era l'autoritarismo,la necessità di piu democrazia,oggi il problema è la mancanza di rispetto per le autorità democratiche.Quando i signori studenti e i signori genitori si degneranno di accettare che il rispetto per un isegnante prescinde dal loro "gradimento" o dalle loro valutazioni,che la sua autorità è già determinata dalla legge dell'uguaglianza democratica,solo allora potrà avviarsi un vero rapporto educativo e solo allora si potrà dire se questo è piu o meno valido. Cercare soluzioni al di fuori di questo semplice ma indispensabile accordo tra le parti mi sembra un impresa impossibile oltre che velleitaria.Se si cercano nuovi orizzonti questi ognuno dovrebbe cercarseli per conto suo liberamente,la scuola si occupa solo della formazione all'apprendimento.Credo che ognuno di noi abbia un proprio orizzante culturale e non vedo come si possano riunire tutti questi orizzonti in un unico orizzonte valido per tutti e comunque tutto questo non può avere niente a che fare con l'educazione scolastica.Oltretutto questa fantomatica unificazione,questo "decidere dove andare",richiederà molto tempo durante il quale lo studente potrà ritenere un insegnante incapace di "offrire orientamenti" e negargli ogni rispetto.Pretendere che l'insegnante abbia doti extra come condizione perche gli sia "concessa" autorità è,io credo,la cosa piu sbagliata e umanamente ingiusta.Se ne sono gia viste le conseguenze negli anni 70 quando studenti estremisti 
(antidemocratici) si sentivano cosi importanti da decidere quali fossero gli insegnanti a cui attribuire autorità e quali invece andassero bastonati.Non è cosi che funzionano le cose,l'apprendimento richiede umiltà e rispetto: anche se l'insegnante non è un genio,anche se non è un maestro di vita,anche se si limita a insegnare la storia o la geografia (che non è poco),anche se non è "capace a farsi rispettare",quell'insegnante va rispettato,a tutti i costi,perche è un insegnante di una scuola democratica,ma anche perche è semplicemente una persona coi suoi limiti e i suoi problemi (se non sbaglio stiamo parlando di una scuola fatta di esseri umani).

stefano

Citazione di: InVerno il 03 Maggio 2018, 15:06:40 PM
Si possono valutare diversi aspetti del rapporto tra l'Italia e il Duce (essendo che è pure uscito un film a riguardo di recente), ma mi pare un po da "anime belle " - come dicono alcuni - meravigliarsi che certi aspetti di una nazione facciano parte di un certo folklore, da ambo le parti. Ci sono ossessionati che conservano lapidi del fascio in giardino, e altri che fanno pentolacce con il Duce, lunatici, esibizionisti, camerati.. Al netto di tutto questo che mi sembra fisiologico in una cultura antitetica al fascismo e con un grosso trauma alle spalle, alcuni trovano escamotages per riportare sul piano del reale una discussione completamente irrilevante, come la figura di un leader defunto il secolo scorso. A che pro? Perchè i giornalisti danno pane ai pesci e me ne compiaccio, ma altrimenti?
Scusa InVerno ma qui si parla di bambini e di educazione.Se alcuni tengono in giardino reliquie del Duce sono fattacci loro,se alcuni vanno in piazza a spaccare la testa al fantoccio del Duce è gia diverso ma a dire il vero non me ne meraviglierei molto,ma se qualcuno ci mette in mezzo i bambini,se si porta loro in piazza a giocare alla pentolaccia col fantoccio del Duce allora non solo mi meraviglio ma mi scandalizzo,si puo forse non essere scandalizzati?Tutto il resto passa in secondo piano,ma non sono d'accordo sull'irrilevanza della discussione sul piano politico,non si tratta di riminiscenze di un passato ormai superato ma di un equivoco ancora presente e che ancora lo sarà finche ci saranno veri comunisti nel nostro paese.Infatti,è inutile nasconderlo,per loro la festa della liberazione non puo essere che la festa del fallimento,la cosiddetta "resistenza tradita".(Qui però si va fuori tema)

Jacopus

Come ho già scritto, il bullismo degli adolescenti è un fenomeno che ha molte cause. Nel proseguo di questa discussione però ci si è soffermati su un aspetto che considero piuttosto importante e che provo a scindere chirurgicamente dal resto degli interventi.
Da un lato c'è il partito "Cannata-Inverno", che sottolinea l'importanza che ogni autorità sia legittimata sul campo, che si trasformi in autorevolezza/carisma in grado di veicolare il consenso in comportamento maturo, responsabile e non-violento. Dall'altro c'è il partito "Socrate-Stefano" che indica invece la necessità di sottomettersi comunque al ruolo dell'autorità, indipendentemente da come esso viene esercitato (sto semplificando e intervenite se non vi riconoscete in questa semplificazione).
Credo che la polarizzazione su una sola di queste due visioni sia in fondo sbagliata. Non posso accettare un ruolo di autorità sviluppato in modo violento, insensato, incompetente, senza rispetto delle regole e senza rispetto per i sottoposti ma non posso neppure mettere continuamente alla gogna chi di quel potere è stato investito secondo procedure riconosciute valide: il professore ha vinto un concorso, così come un poliziotto o un giudice e tutti, bene o male, sono o dovrebbero essere valutati e monitorati da meccanismi di controllo sulle loro attività.
Esiste un margine operativo per poter dire che, nonostante si pensi di aver subito una ingustizia, quella ingiustizia proviene da una fonte di autorità, che essendo esercitata da un essere umano può anche "sbagliare". Anche da questa accettazione nasce la coesione sociale e nasce ancor di più la capacità degli esseri umani, non di essere accomunati a dei "pecoroni", ma semplicemente di vivere in società, poichè nessuna società complessa che io conosca è organizzata in modo orizzontale, ma sempre in modo gerarchico e attraverso ripartizioni asimettriche di potere. Mettere sempre in discussione questa ripartizione asimmetrica di potere è un gioco senza fine, poichè ognuno di noi ha idee diverse, diverse idee di ripartizione del potere e delle risorse e si troveranno sempre delle ragioni per contestare il potere.
Occorre però contestarlo "ragionevolmente", utilizzando quella che i greci chiamvano "phronesis" e i romani "prudentia".
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

stefano

#58
Scusami Jacopus se ti riprendo un po "severamente" ma ho gia detto che qui si dovrebbe parlare non di autorità in modo generico ma di autorità democratica.Senza questo aggettivo il mio discorso non ha senso.
Mi dispiace se non posso rispondere ora per intero al tuo post per mancanza di tempo.Lo farò piu avanti,ci tenevo solo a sottolineare questo "dettaglio"

Elia

#59
Angelo Cannata mi sorprende che proprio tu sostieni che dietro l'autorità ci sia il vuoto; ma come, l'autorità della Chiesa ha il vuoto dentro? L'autorità dello stesso insegnamento di Cristo, è vuoto di contenuto? Non nego che in passato abbiamo peccato di autoritarismo, ma su due pilastri è sorta la nostra civiltà: Cristianesimo e Illuminismo. Da queste due fonti ricchissime di contenuti si è nutrita l'autorità. Un'autorità ricca di contenuti ha saputo educare e creare fior di personalità, di artisti e letterati in tutti gli ambiti del sapere umano, dalla politica alla letteratura, dalla scienza allo sport. Quali sono le grandi personalità attuali da prendere a modello?
Quell'educazione al rispetto del prossimo a prescindere dall'importanza del singolo individuo ma per il valore stesso dovuto alla persona. Quel senso di autorità  mista ad affetto che fecero ispirare a Camillo Sbarbaro questi versi: " Padre, se anche tu non fossi il mio padre , se anche fossi a me un estraneo, per te stesso
egualmente t'amerei...".
Direi piuttosto il contrario, che l'autorità nasce sul contenuto, anzi fa da contenitore laddove c'è il contenuto. Infatti dal '68 in poi, si sono abbattuti diversi contenuti ed è svanita l'autorità. Oggi dunque non vi è autorità perché sono venuti a mancare i contenuti. Il fulcro del problema educativo attuale sta proprio in questo: riempire nuovamente o no la nostra esistenza di contenuti?
Se vi sono contenuti va da sé che questi debbano essere fissati mediante l'autorità che indica il verso dove andare.  Le autorità stabilite per leggi, norme o tradizioni hanno (o dovrebbero avere) questo scopo: educare, orientare verso un vivere civile condiviso per diventare uomini e donne, e non abbandonarsi in balia dell'istinto e della prevaricazione. Confondi la personalità che incute rispetto derivante dal carisma che questa possiede, ma si tratta di un aspetto comunicativo dotato di nobiltà e fermezza che alcune persone posseggono ed è riferita alla singola persona capace di carisma. Allora dovrebbero essere rispettate soltanto le persone dotate di carisma?  Tuttavia si può mancare di rispetto anche alla persona carismatica; gli adolescenti sono bravi in questo. Dunque il rispetto deve andare oltre, è  un principio e un valore che deve essere inculcato. Si deve avere lo stesso rispetto per la personalità carismatica come per la persona fragile e che non trasmette nulla. Il tuo ragionamento è intriso di giustificazionismo. Inoltre non si tiene conto che non tutti comprendono sempre o allo stesso modo determinati contenuti e dunque neppure la persona carismatica sarà in grado di trasmetterli. Ci sarà sempre chi vorrà  rifiutare, eludere quei valori non percepiti tali. Pertanto l'autorità serve a questo, a richiamare tutti al rispetto delle regole. Il mafioso poco si fa convincere dal carisma e continua nei suoi loschi affari, sarà l'autorità a fermarlo, che lo voglia o meno.
"L'egemonia di sinistra ha creato un deserto e l'ha chiamato cultura".
(M.V.)

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