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I bulli e la scuola

Aperto da doxa, 20 Aprile 2018, 22:28:50 PM

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Angelo Cannata

Il risentimento non è una colpa, è un sentimento controproducente, che non giova né a chi lo prova, né a chi ne è oggetto. Non si tratta quindi di dire alla vittima che ha sbagliato perché prova risentimento. Ho detto che si tratta di educare tutti, vittime, bulli e società. Educare non significa attribuire colpe, significa cercare ciò che giova, ciò che risulta costruttivo per tutti. L'eventuale risentimento provato dalla vittima non è una cosa da reprimere, è una cosa di cui diventare consapevoli in maniera da trovare vie migliori. Se la vittima rimane ingabbiata nel proprio risentimento, ciò si verifica perché si è lasciata condizionare dalla mentalità del bullo basata sul prevalere. Cioè, il bullo ha creato un contesto in cui non conta altro che il prevalere. Se la vittima accetta questa logica, non potrà fare a meno di rimanere frustrata, perché significa che ha accettato le regole mentali imposte dal bullo. Ma il bullo ha creato quelle regole proprio per distruggere la vittima, perché sa che la vittima non è capace di prevalere. La vittima, per non farsi ingabbiare nel gioco mentale del bullo, deve individuare altre logiche in grado di contrapporsi a quella del bullo. Coltivare il risentimento significa invece far propria la logica del bullo. La vittima non deve far propria la logica del bullo. Deve individuare logiche diverse.

Non ho mai detto che il bullo non debba essere chiamato a rispondere delle sue azioni; anzi, questo può far parte proprio del processo che ho chiamato educazione, il processo educativo. Dipende poi dai modi posti in atto per chiamare il bullo a rispondere delle proprie azioni. Il percorso educativo per il bullo deve necessariamente includere la presa di coscienza di tutto ciò che gli consentirà di diventare migliore. Presa di coscienza non significa colpevolizzare, perché colpevolizzare è la via migliore per impedire a sé stessi e a tutti di risolvere i problemi. Ciò significa che il discorso da fare al bullo non è "Sei colpevole", ma "Hai commesso un danno". Sono due cose diverse. Un danno può essere commesso anche senza volerlo. A me non interessa che il bullo l'abbia fatto apposta oppure no: ciò non serve né a lui, né a me, né ad alcun altro. Ciò che serve è rendersi conto che c'è stato un danno. Se c'è stato un danno, compiuto con una certa misura di consapevolezza (consapevolezza non è uguale a colpa), vuol dire che nel bullo c'è qualcosa che funziona male. È questo che lui deve capire: in lui c'è qualcosa che funziona male e bisogna fare in modo che questo qualcosa si aggiusti. Se non gli si aggiusta ciò che gli funziona male, non serve né colpevolizzarlo, né punirlo, né fargliela pagare: resterebbe sempre uno che ha qualcosa che non gli funziona a dovere.

Jacopus

Ciao Angelo.  Le tue posizioni sul problema sono da un lato troppo generalizzanti e dall'altro troppo idealistiche. I cosiddetti bulli non sono tutti fatti della stessa pasta. Ci sono i bulli gregari e i bulli leader, ci sono i bulli vigliacchi, che appena vedono il pennacchio dei carabinieri se la fanno sotto e i bulli "duri". Ci sono bulli che provengono da ambienti familiari borghesi o anche estremamente ricchi e ci sono bulli che provengono dalle periferie e dalle borgate.
Il bullo va sicuramente fatto ragionare ma non sempre (anzi quasi mai) è disposto a seguire la voce della ragione. La sua ragione di solito tende a sminuire quello che è stato commesso (è stato uno scherzo), oppure a dire: "se lo meritava, se era davvero in gamba poteva ribellarsi...è più debole e quindi è giusto che subisca". Per non parlare dei bulli patologici, quelli che pensano che siano sempre gli altri ad attaccarli e quindi attaccano preventivamente, o quelli che hanno una percezione di sè talmente svalutata, da rendere necessario l'attacco "esterno" proprio per evitare di guardare quel sè svalutato.
Ad ogni modo la punizione è in certe situazioni doverosa, sia per salvaguardare la società, ma anche nello stesso interesse del bullo. Portarlo in una Comunità o in Carcere gli dà il senso del limite. Si rende conto, finalmente, che esiste qualcuno che si accorge della sua esistenza: paradossalmente più spesso di quello che si crede, il sistema repressivo/giudiziario da una risposta e si occupa del bullo, che precedentemente era rimasto un fastidioso rumore di fondo. Ovviamente occorre che quel sistema repressivo/giudiziario abbia del "sale in zucca" e non faccia "spaccare le pietre" ma utilizzi lo spazio del contenimento fisico per avviare un cambiamento. Credo però in sostanza che essere puniti sia un diritto degli stessi "colpevoli" o se la parola "colpevoli" non ti piace, usa "responsabili", poichè ognuno di noi deve sentirsi responsabile dei propri atti, e solo dopo si può anche discutere delle innegabili influenze della società, dei geni, della casualità, o di quant'altro.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Angelo Cannata

#137
Non ho scritto che col bullo ci si debba sedere a tavolino a ragionare. L'ho precisato di proposito:
Citazione di: Angelo Cannata il 19 Maggio 2018, 23:37:03 PMDipende poi dai modi posti in atto per chiamare il bullo a rispondere delle proprie azioni.

Ciò di cui il bullo ha bisogno non è il senso del limite, ma la percezione della dignità dell'altro. È questo il qualcosa che non funziona nella mente del bullo e che va aggiustato. Se non capisce il motivo per cui deve porsi dei limiti, non serve a niente porgli dei limiti: appena possibile tenterà di oltrepassarli.

Se è un pericolo per la società può essere opportuno bloccarlo in qualsiasi modo, ma sempre in vista di rendere possibile per lui un processo educativo. È proprio il limitarsi a bloccarlo e non fare nient'altro che gli darà la percezione che egli era sentito solo come un rumore di fondo e non come una persona da valorizzare attraverso la formazione e l'educazione. Dire che mandarlo in carcere significhi fargli vedere che ci si accorge della sua esistenza è proprio ciò che tu stesso hai scritto: un paradosso, cioè una contraddizione, difatti non è così. Il carcere può essere tutt'al più ciò che ho appena detto: un provvedimento d'urgenza in vista di trovare i modi per educare e formare il bullo. Ma in partenza il carcere è e resta comunque un fallimento del processo educativo. È come dirgli: "Noi società siamo stati talmente incapaci di darti un'adeguata educazione da averti ridotto in condizione tale che ora ti dobbiamo mandare in carcere".

Socrate78

#138
Angelo, visto che nel thread sul bullismo non se ne sta più parlando ma all'inizio si parlava anche di bullismo contro i docenti, che cosa ne pensi invece del "bullismo dal basso" attuato da studenti nei confronti di insegnanti che vengono insultati, derisi, non considerati per nulla? Ad esempio in quel caso secondo te non bisogna punire i bulli e la colpa è dell'insegnante che non riesce ad educare il gruppo a lui affidato?
Credo anche che non sia facile far comprendere un valore astratto come la dignità dell'altro, il bullo potrebbe rispondere: "Quel mio compagno o quel professore non vale niente, non merita alcun rispetto" e come faresti a fargli cambiare idea se per te i valori sono relativi? Si ritorna al discorso di prima, ognuno potrebbe avere un'idea diversa della dignità, alcuni potrebbero fondarla sul coraggio, altri sull'intelligenza, altri ancora sull'onestà, ecc.

Angelo Cannata

Vedo che vengo ancora frainteso alla grande.

Prova a rileggere tutti i messaggi che ho scritto e vedi un po' se io abbia mai detto che i bulli non debbano essere puniti. Al contrario, ho previsto espressamente questa possibilità. Ho detto inoltre che colpevolizzare non serve a niente.
Mi chiedo a cosa possa servire scrivere se viene inteso il contrario di ciò che scrivo espressamente. Ad ogni modo, proseguiamo, chissà che qualcosa arrivi.

Non vedo motivo di fare differenza tra bullismo tra pari e bullismo dal basso. Mi sembra che tutto ciò che ho scritto finora si possa far valere per entrambi i casi.

Anche per quanto riguarda la dignità dell'altro, ho già detto un criterio che vale anche per questa questione: col bullo non c'è certo da sedersi a tavolino a ragionare; piuttosto ho parlato di processo educativo.

Il bullo non ha idea né della dignità dell'altro, né di tanti altri aspetti dell'umanità, proprio perché gli sono stati presentati come valori assoluti, oggettivi. Una volta che, come ho mostrato, non esistono cose oggettive che reggano in piedi, è ovvio che né il bullo né le sue vittime possono rendersi conto di cosa significhi dignità umana. Gli aspetti importanti di ciò che è umano vanno compresi in un processo educativo.
Processo educativo.
Ripeto: processo educativo.
Non una frase, non una definizione, ma un cammino ben progettato, fatto di esperienze, incontri, confronti, impegni, prove, letture, esami, lavori, studi, resoconti, ecc.
È questo l'unico modo di far capire ciò che vale dell'essere umani. Non ci sono altri modi. Non ci sono da dare formule, definizioni, dimostrazioni. Ci sono da dare cammini. La scuola infatti è un cammino, già così com'è, con tutti i difetti che ha, solo che ciò non viene capito e quindi neanche apprezzato né valorizzato. Se si fanno cammini, allora la varietà delle convinzioni che hai riferito, riguardo al fatto che altri potrebbero preferire il coraggio, altri l'intelligenza, ecc., non diventa più un problema, ma, al contrario, un arricchimento del cammino. Se invece pretendi di dare una formulazione oggettiva, con una risposta-formula, è chiaro che la molteplicità delle esperienze e delle opinioni diventa un problema, una difficoltà.

Elia

#140
Beh, Cannata, visto che per te tutto è relativo potrei rispondere che "secondo te" il mio atteggiamento sembra sarcastico, intimidatorio o da bullo, "per me" non lo è, dunque, su quale principio assoluto ti basi nel volermi redarguire? Anche il tuo "tono" nel rispondermi può sembrare sgarbato e intimidatorio e da "maestro" (non spirituale).

Comunque il "di grazia" e "Ah sì?" non hanno nessun tono o intento intimidatorio ( bisognerebbe pure considerare in quale contesto discorsivo sono inseriti), sono semplici espressioni stilistiche usate per sottolineare che già da 'almeno 50 anni' si stanno usando metodi educativi augurati dell'autrice del commento a cui mi riferivo, cioè improntati non sulla violenza e nemmeno sulla severità, e che i deludenti risultati sono sotto gli occhi di tutti. Dunque, mi sembrava di cogliere nel suo come nei vostri discorsi il voler proseguire come prima e più di prima sulla stessa falsariga. Il dialogo tra furimisti si svolge sempre con estrema correttezza, a volte però mi capita di leggere espressioni un po' piú  'audaci e sanguigne", per quale motivo vengono rilevate solo le mie resta un mistero. Più di qualcuno l'ha interpretato come espressione di malcelato maschilismo perché  i "toni un po' piú forti" sono ammessi solo tra maschi, da una donna (tra uomini) ci si aspetta arrendevolezza o almeno dolcezza e gentilezza, altrimenti la si obbliga con metodi autoritari a restare al suo posto.

"Buonismo" significa eccessiva, inopportuna o falsa bontà, permissivismo, giustificazionismo;  è  un termine negativo come lo è  "giustificazionismo" e "permissivismo" cioè metodi che insieme al buonismo sono  falliti. Per maggiore chiarezza riporto la spiegazione del dizionario online Treccani: "buonismo s. m. [der. di buono]. – Ostentazione di buoni sentimenti, di tolleranza e benevolenza verso gli avversarî, o nei riguardi di un avversario, spec. da parte di un uomo politico; è termine di recente introduzione ma di larga diffusione nel linguaggio giornalistico, per lo più con riferimento a determinati personaggi della vita politica."

Non capisco perché vi dia tanto fastidio questo termine, lo utilizzo perché lo ritengo piú  appropriato alla situazione attuale, non perché vi dà fastidio.

Mi riferisco alla sinistra in quanto ideologia che ha improntato, pervaso e dominato su tutti gli aspetti sociali dal dopoguerra ad oggi, infiltrandosi e dettando legge dappertutto nelle istituzioni,  dalla politica all'economia, dai mass-media alla magistratura e alla scuola con i relativi metodi educativi, e in ogni ambito culturale. Chiedersi cosa c'entra la sinistra, scusa, è  banale.

Non c'è nulla di improprio in quello che ho scritto. Poi  "la vecchia mentalità di poter argomentare attraverso la violenza" (?) , scusa ma non ho capito il senso di questa frase, mi sembra fuori luogo e ubbiosa.
Dirmi che "Mostri un concetto molto povero e banale di cosa significhi "educare"" invece è  una frase molto elegante e rispettosa, ne prendo atto, quindi immagino che potrei utilizzarla anch'io. Anche se nel leggerla mi ha fatto sorridere perché  "educare" è stato il mio compito per diversi anni e non solo in ambito professionale, con buoni risultati.


Cannata, non ti accorgi della  contraddizione in cui sei caduto: ti affanni a contraddire  Sacrate78 proprio perché  vuoi stabilire un "principio assoluto": il tuo relativismo.

I pubblicani (non i ladri) e le prostitute erano considerati gli ultimi della società e disprezzati da tutti. Guarda, l'interpretazione che ha dato Socrate78 di quel detto di Gesù è  meravigliosa, scusa ma mi piace molto di più della tua: "il loro stesso peccato impediva a loro di insuperbirsi, poiché in fondo sapevano di essere molto indietro moralmente." Bellissimo! Il sentirsi umili e colpevoli è di fatti l'anticamera del pentimento. E, guarda caso, tra gli apostoli troviamo Zaccheo e Matteo, due pubblicani, e Maddalena, una prostituta; Indubbiamente pentiti.


Ogni tentativo e sforzo umano di educare di per sé è "un processo educativo", già  solo la vita per una persona che non abbia deficit cognitivi particolari è costituita da " un cammino ben progettato, fatto di esperienze, incontri, confronti, impegni, prove, letture, esami, lavori, studi, resoconti, ecc.",
lla fine del tuo metodo processuale-educativo ognuno sceglie però la meta che vuole, dunque il teppista (piú propriamente che bullo) può scegliere o continuare a scegliere la violenza.
"L'egemonia di sinistra ha creato un deserto e l'ha chiamato cultura".
(M.V.)

Angelo Cannata

Elia, chi voglia verificare come sono andate le cose può andarsi a leggere ciò che avevi scritto tu e ciò che ho scritto io: i fatti parlano da sé.

stefano

Citazione di: Angelo Cannata il 19 Maggio 2018, 23:37:03 PMIl risentimento non è una colpa, è un sentimento controproducente, che non giova né a chi lo prova, né a chi ne è oggetto. Non si tratta quindi di dire alla vittima che ha sbagliato perché prova risentimento. Ho detto che si tratta di educare tutti, vittime, bulli e società. Educare non significa attribuire colpe, significa cercare ciò che giova, ciò che risulta costruttivo per tutti. L'eventuale risentimento provato dalla vittima non è una cosa da reprimere, è una cosa di cui diventare consapevoli in maniera da trovare vie migliori. Se la vittima rimane ingabbiata nel proprio risentimento, ciò si verifica perché si è lasciata condizionare dalla mentalità del bullo basata sul prevalere. Cioè, il bullo ha creato un contesto in cui non conta altro che il prevalere. Se la vittima accetta questa logica, non potrà fare a meno di rimanere frustrata, perché significa che ha accettato le regole mentali imposte dal bullo. Ma il bullo ha creato quelle regole proprio per distruggere la vittima, perché sa che la vittima non è capace di prevalere. La vittima, per non farsi ingabbiare nel gioco mentale del bullo, deve individuare altre logiche in grado di contrapporsi a quella del bullo. Coltivare il risentimento significa invece far propria la logica del bullo. La vittima non deve far propria la logica del bullo. Deve individuare logiche diverse. Non ho mai detto che il bullo non debba essere chiamato a rispondere delle sue azioni; anzi, questo può far parte proprio del processo che ho chiamato educazione, il processo educativo. Dipende poi dai modi posti in atto per chiamare il bullo a rispondere delle proprie azioni. Il percorso educativo per il bullo deve necessariamente includere la presa di coscienza di tutto ciò che gli consentirà di diventare migliore. Presa di coscienza non significa colpevolizzare, perché colpevolizzare è la via migliore per impedire a sé stessi e a tutti di risolvere i problemi. Ciò significa che il discorso da fare al bullo non è "Sei colpevole", ma "Hai commesso un danno". Sono due cose diverse. Un danno può essere commesso anche senza volerlo. A me non interessa che il bullo l'abbia fatto apposta oppure no: ciò non serve né a lui, né a me, né ad alcun altro. Ciò che serve è rendersi conto che c'è stato un danno. Se c'è stato un danno, compiuto con una certa misura di consapevolezza (consapevolezza non è uguale a colpa), vuol dire che nel bullo c'è qualcosa che funziona male. È questo che lui deve capire: in lui c'è qualcosa che funziona male e bisogna fare in modo che questo qualcosa si aggiusti. Se non gli si aggiusta ciò che gli funziona male, non serve né colpevolizzarlo, né punirlo, né fargliela pagare: resterebbe sempre uno che ha qualcosa che non gli funziona a dovere.
Il risentimento è umano,è impossibile non provarlo quando si subusce un'oppressione.
E' un sentimento inevitabile che fa parte della vita,fa capire all'altro il male 
che si è fatto,è utile per questo ma se dura a lungo viene rimosso e ci si ammala seriamente.
La vittima del bullismo se ne è ammalata e questo è un problema serio.

Sinceramente Angelo rimango incredulo quando nella tua risposta leggo "l'eventuale 
risentimento della vittima".Quindi secondo te è possibile che la vittima non abbia 
provato risentimento,non ne siamo sicuri.

"Se la vittima rimane ingabbiata nel proprio risentimento, ciò si verifica perché si è 
lasciata condizionare dalla mentalità del bullo basata sul prevalere"

Ma certo... Ma secondo te la vittima aveva per caso qualche via di uscita? 
Doversi tenere tutto dentro;non è proprio questo il dramma di subire un'oppressione? 
Cosa se ne puo fare la vittima di tutti questi buoni consigli che gli dai?
Non sarebbe piu "utile" capire la sua sofferenza?

Ora,tu dici che si,il bullo è chiamato a rispondere delle sue azioni
però al bullo non va detto "sei colpevole" ma "hai fatto un danno" perche
un danno si puo commetterlo anche senza volerlo,che sia fatto apposta o no non è 
utile saperlo.La parola d'ordine è "sminuire".Quindi va evitato che il bullo capisca 
l'entità del "danno":il risentimento rimosso della vittima.
La vittima diventa cosi un soggetto terzo al quale si è fatto un danno,forse per sbaglio.
Questo è quello che tu dici "chiamare il bullo a rispondere delle sue azioni".
Queste sono le basi del tuo percorso educativo.

Socrate78

In realtà anche un sentimento considerato negativo può produrre cose buone, ad esempio il risentimento della vittima può portare a ribellarsi al bullo, allo stesso modo con cui, nella storia umana, il risentimento di interi popoli verso le ingiustizie dei potenti ha portato alle rivoluzioni, con l'affermazione dei diritti dell'uomo, sia pur tra mille eccessi e violenze.

stefano

#144
Citazione di: Socrate78 il 22 Maggio 2018, 07:31:04 AMIn realtà anche un sentimento considerato negativo può produrre cose buone, ad esempio il risentimento della vittima può portare a ribellarsi al bullo, allo stesso modo con cui, nella storia umana, il risentimento di interi popoli verso le ingiustizie dei potenti ha portato alle rivoluzioni, con l'affermazione dei diritti dell'uomo, sia pur tra mille eccessi e violenze.

Giusto socrate68, hai centrato il porblema.
Se il risentimento della vittima trovasse la sua via per la ribellione
allora succederebbe una piccola rivoluzione,il bullo magari si prenderebbe due o tre
belle legnate molto educative.Purtroppo questo non succede quasi mai,
ma se anche succedesse qui ci sarebbe AngeloCannata che 
direbbe che alla violenza non si risponde mai con la violenza,e che
"la vittima, per non farsi ingabbiare nel gioco mentale del bullo,
deve individuare altre logiche in grado di contrapporsi a quella del bullo"
E' cosi o no?

Jacopus

Prego tutti i partecipanti a questa discussione di centrare gli interventi sull'argomento e sulle idee proposte, evitando di alludere in modo negativo su alcuni iscritti in modo generalizzante e privo di ogni arricchimento al dibattito. Grazie.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

stefano

Chiedo scusa per l'allusione negativa.Non credo di aver offeso Angelo Cannata ma riconosco che sarebbe stato meglio
rivolgere direttamente a lui le mie critiche e casomai alludere positivamente a Socrate78 con il quale
su questo argomento sono d'accordo.

Elia

Un nuovo caso di violenza tra le aule scolastiche.
Articolo tratto da Tarantobuonasera.it  

Taranto mercoledì 23 maggio 2018

Picchiato un professore al rione Tamburi di Taranto dal padre di un alunno.

"Un professore in servizio in una scuola media del rione Tamburi è stato picchiato dal padre di uno studente per il quale era stata proposta una sospensione di cinque giorni.

Il genitore si è presentato a scuola e ha chiesto di parlare con il docente del figlio. Poco dopo ha aggredito l'insegnante colpendolo con schiaffi e pugni. Collaboratori scolastici e altri professori sono intervenuti in difesa del malcapitato e il genitore si è allontanato. Una denuncia è stata presentata alla Polizia di Stato. Lo studente sarebbe stato proposto per la sospensione dopo che si era rivolto in modo minaccioso verso il docente che gli aveva intimato di non picchiare i compagni di classe."

Se questa è la nuova moda proposta dal lassismo culturale temo che studenti e genitori frustrati ci stiano prendendo gusto e che il fenomeno assumerà un andamento peggiorativo nel prossimo futuro.
Persino i delinquenti ora guardano la scuola non piú come istituzione culturale volta alla crescita intellettuale e morale dell'individuo e quindi al miglioramento della qualità della vita personale e sociale in tutti i suoi aspetti, bensì come palestra e trampolino di lancio per la legge della giungla: usare la prepotenza e la forza fisica per annientare l'altro. Una scuola che prepari i giovani al mondo del lavoro... (sì, a quello mafioso!)
Un modello di semianalfabeta non pensante; piu si va avanti e più i piccoli  "mostri" crescono, nel frattempo che crescono non sanno  articolare un ragionamento che abbia un minimo di senso logico.

Segno dei tempi che cambiano  (in peggio).

Circa 20 anni fa invece un' insegnante mi raccontò che il figlio adolescente di un noto personaggio della mala locale si comportava da bullo a scuola prevaricando i compagni e rispodendo a suon di parolacce a docenti e bidelli approfittando del fatto di "essere il figlio di",  il che incuteva un certo timore.
Un giorno però un insegnante lo riprese con parole dure e il bulletto rispose che avrebbe riferito tutto al padre.
 il giorno seguente il padre (noto boss della città, anni '70, 80, epoca  in cui nasce, arriva al suo apice e poi muore-almeno in gran parte-  la delinquenza organizzata pugliese) si presentò dal docente per chiedere spiegazioni,  il prof spiegò nei minimi particolari il comportamento del ragazzo, tra l'altro poco incline allo studio. Bene, sapete quale fu la reazione del boss? Chiese scusa a insegnanti e bidelli, si impegnò a far in modo che il figlio imparasse a comportarsi bene e a STUDIARE, e infine disse: "Da delinquente ho fatto una vita da inferno e ne ho viste di tutti i colori. Non voglio che anche mio figlio segua le mie stesse orme. Voglio per lui una vita diversa, una vita migliore. Quindi, tenetemi informato sul comportamento di mio figlio." Salutò  con molto garbo e andò via.
Non so quale processo educativo questo padre adottò nei confronti del figlio (non credo usò  metodi di raffinata pedagogia), ma dal giorno successivo il ragazzo pare che mise la testa a posto,  si diplomò e non seguì le orme del padre.
"L'egemonia di sinistra ha creato un deserto e l'ha chiamato cultura".
(M.V.)

paul11

#148
...sono tutti colpevoli gli attori..........
La pulsione è naturale, il sentimento lo si impara. I miti insegnavano il bene e il male, il giusto lo sbagliato; la nonna le raccontava, oggi i genitori non ascoltano i figli, li riempiono di  giochi per senso di colpa. Un bambino ascolta i genitori fino a 12 anni circa e poi guarda solo gli esempi. Quando sono adolescenti è troppo tardi per chiedere ai figli perchè non parlano, visto che i genitori prima non parlavano a loro. Dialogo fra incoumunicanti.
Oggi è la letteratura che insegna il bene e il male il giusto e 'ingiusto, l'amore, la noia, il disagio.......

La formazione è la costruzione della personalità e a nessuno oggi gliene frega nulla.
Se i sentimenti non si sono formati su simboli di bene e male, accade che non viè risonanza fra psiche e gesto.
Non avere maturato i sentimenti significa averne impoverito il vocabolario,così il giovane disagiato si trova incomunicabile con i genitori e cerca amici con immaturi vocabolari sentimentali.Il bullo agisce per gesti proprio perchè è analfabeta di sentimenti, così come coloro che scambiano il corteggiamento con uno stupro.

La scuola istruisce al massimo, non forma. Istruire significa passare concetti mentali da testa a testa, non formare personalità.
Oggi lo studente italiano è quello che capisce meno un testo scritto. significa che legge ,ma non comprende ciò che legge.

I professori dovrebbero avere un "patentino" di preidoneità per insegnare, Devono avere carisma, passione e trascinare gli studenti. Classi al di sopra dei 15 studenti sono impraticabili dal punto di visto di una formazione, è impossibile seguirli ad uno ad uno classi superiori a i15 che arrivano a 30 e oltre,

La scuola pubblica è la programmazione di insensate scelte  a cominciare dai ministeri.
la scuola è il luogo dell'occupazione sindacale degli insegnanti secondo graduatorie fantasmagoriche.
Lo Stato deve formare, per Costituzione, un uomo o un donna fino ai 18 anni di età.
Invece oggi si praticano test perdendo i temi.Nei temi scritti usciva la personalità, nei test, si cerca solo la prestazione.

allora:
quando si hanno genitori che non formano dialogando con i figli almeno fino ai 12 anni, formandoli nei sentimenti;
quando la scuola diventa il luogo per occupare delle persone chiamate insegnanti nella quasi totalità non sono "maestri" di vita, incapaci di comunicazione di carisma, di passione per le loro tematiche di insegnamento.
quando uno Stato invece di formare uomini e donne, crea degli analfabeti di sentimenti e di istruzione e serve come luogo per dar lavoro a personale definito "insegnanti";
quando i genitori fanno i sindacalisti dei propri figli ,a cui interessa solo che i figli passino gli esami

ci meritiamo la società che ne sortisce, compresi degli analfabeti di sentimenti, che reagiscono in gesti privi di buon senso, proprio perchè analfabeti di sentimenti, poveri di vocabolari, perchè se poco sai poco pensi e solo il gesto fisico diventa linguaggio. Così la fidanzatina non vuole più saperne, la si incendia, così come un migrante.Si è incapaci di comunicare con un insegnante anche fosse il proprio disprezzo, non si parla essendo analfabeti di parole e sentimenti e si agisce con il linguaggio che rimane ,la violenza del gesto.

Ci aspetta un meraviglioso futuro...............vedremo i figli dei bulli di oggi..............

Eutidemo

Si, sono tutti un po' colpevoli :(
Soprattutto un ministro dell'interno che, nel ruolo di bullo, ci si crogiola :D....dando un cattivo esempio ai bambini :(

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