COVID 19 Contagio sul lavoro:è davvero una "probatio diabolica"?

Aperto da Eutidemo, 18 Maggio 2020, 07:16:44 AM

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Eutidemo


COVID 19 - Contagio sul lavoro: è davvero una "probatio diabolica"?
Ho già trattato, in generale, la questione dei "rischi" che corrono gli imprenditori, in quanto responsabili civilmente e penalmente degli eventuali  contagi da COVID 19 contratti dai propri dipendenti sul luogo di lavoro.
https://www.riflessioni.it/logos/attualita/covid19-contagio-responsabilita-del-datore-di-lavoro-onere-della-prova/new/#new
Qui, però, ritengo opportuno focalizzare l'attenzione un aspetto particolare, sul quale non mi ero particolarmente soffermato; cioè sulle modalità "concrete" della prova di una eventuale "colpevolezza" dell'imprenditore.


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Ed infatti, nel mio precedente TOPIC, sulla scorta della  Circolare n. 13/2020 dell'INAIL, avevo ricordato  che, "astrattamente", la problematica della "prova" del "nesso causale" si articola differentemente a seconda di:
- attività lavorative che comportano una condizione di specifico ed elevato rischio di contagio da COVID19 (personale sanitario ed altre categorie elencate nella circolare), per le quali vige la "presunzione semplice"  di averlo contratto sul luogo di lavoro;
- attività lavorative che, di per sè, non comportano una condizione di specifico ed elevato rischio di contagio da COVID19 (ad esempio, personale impiegatizio ecc.), per le quali non vige la "presunzione semplice" di averlo contratto sul luogo di lavoro, per cui sul dipendente grava l'"onere della prova" di aver effettivamente contratto il contagio sul luogo di lavoro, e non altrove.
Trattando la questione in generale, non mi ero particolarmente soffermato su tale aspetto concreto; cosa che, quindi, mi accingo a fare adesso.


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Al riguardo, nei dibattiti, sento dare per scontato che, nel secondo caso, si sarebbe in presenza di una vera e propria ""probatio diabolica", in quanto risulterebbe "impossibile" dimostrare che il contagio non sia stato contratto altrove; magari sull'autobus per raggiungere il luogo di lavoro, o, al limite, anche a casa propria.
Il che, invece, non è affatto vero.


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Ed infatti:


1)
Uno studio pubblicato su 'PNAS' da ricercatori dell'università di Cambridge nel Regno Unito e da loro colleghi tedeschi, ha dimostrato che, analizzando i genomi virali completi, sequenziati dopo essere stati isolati da malati di COVID19, si  possono ricostruire i passaggi dell'epidemia, identificando diverse varianti genetiche del virus;  per cui, "entro certi limiti", si può capire "dove" è stato contratto il contagio.


2)
In ogni caso, a livello meramente "logico", solo per fare un esempio:
- se un operaio è l'unico ad ammalarsi in un reparto di cento persone, mentre, invece, si sono verificati parecchi casi di contagio nella palestra dove si reca dopo il lavoro, è ragionevole presumere che il virus se lo sia preso in palestra, e non sul luogo di lavoro (anche se su tale luogo le misure ANTICOVID19 risultassero carenti);
- se, invece, in un reparto di cento persone, più della metà contraggono il contagio, è ragionevole presumere che il virus se lo siano preso sul luogo di lavoro, e non altrove (anche se su tale luogo le misure ANTICOVID19 fossero tutte perfettamente regolari).
Non ci vuole mica Sherlock Holmes!


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In nessuno dei due casi, secondo me, il datore di lavoro risulterebbe necessariamente responsabile delle lesioni subite dal dipendente, in quanto:


a)
Nel primo caso il contagio è stato presumibilmente contratto altrove (in palestra), per cui, visto che esso non è dipeso dalla carenza delle misure ANTICOVID19 dell'azienda:
- il titolare potrà sicuramente essere sanzionato per il mancato rispetto dei protocolli di sicurezza:
- ma non potrà essere ritenuto responsabile di un contagio contratto al di fuori del luogo di lavoro.


b)
Nel secondo caso, invece, il contagio è stato presumibilmente contratto in azienda, ma, se esso non è dipeso dalla carenza delle misure ANTICOVID19:
- il titolare non potrà essere sanzionato per il mancato rispetto dei protocolli di sicurezza, avendoli scrupolosamente rispettati tutti:
- non potrà neanche essere ritenuto responsabile di un contagio contratto sul luogo di lavoro, essendo esente da colpa.


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Al riguardo, invero, occorre sempre ricordare che la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 20364 del 26 luglio 2019:
- in primo luogo ha ribadito la portata  dell'art. 2087 c.c., il quale prevede che: "L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro";
- in secondo luogo, però, a scanso di equivoci o fraintendimenti,  ha chiarito che l'articolo 2087 c.c. non pone affatto un'ipotesi di "responsabilità oggettiva" del datore di lavoro, ovvero una norma portatrice di un "obbligo assoluto" di rendere l'ambiente di lavoro "del tutto privo di rischi"; il che sarebbe ovviamente "impossibile", soprattutto nel caso di un virus "insidioso" come il COVID19.


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Allora il datore di lavoro non risulterebbe mai responsabile delle lesioni subite dal dipendente in conseguenza del contagio di COVID19 contratto in azienda?
Certo che sì!


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Ed infatti, occorre considerare una terza ipotesi, e, cioè:
- che in un reparto di cento persone, più della metà contraggono il contagio, per cui è ragionevole presumere che il virus se lo siano preso sul luogo di lavoro, e non altrove (salvo prova contraria);
- che su tale luogo le misure ANTICOVID19 non erano affatto tutte perfettamente regolari, il che aggrava l'indizio che che il virus se lo siano preso sul luogo di lavoro.


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In tale caso, invero, la "probatio", almeno ai fini "civili" ex art.2729 c.c., non sarebbe affatto così "diabolica" come molti vanno dicendo, in quanto il datore di lavoro potrà essere abbastanza facilmente ritenuto responsabile del contagio contratto dai suoi dipendenti sul luogo di lavoro:
- sia per il rilevante numero dei contagiati nello stesso reparto dell'azienda, che lascia presumere che si siano contagiati lì;
- sia perchè il mancato rispetto delle misure di sicurezza in tale reparto,  lascia presumere che il contagio sia appunto addebitabile proprio a tale carenza.


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In  ai fini "penali", invece,
- il titolare potrà sicuramente essere sanzionato ex art.650 del Codice Penale, per non aver osservato un protocollo legalmente prescritto dall'Autorità per ragione d'igiene, essendo tale infrazione facilmente verificabile (anche se nessuno dei suoi dipendenti si ammalasse).
- risulterà invece molto difficile per il PM fornire la prova "al di là di ogni ragionevole dubbio" della sua colpevolezza "penale" (art. 533 c.p.p.).


CONCLUSIONE
Concludendo, quindi, la prova della colpevolezza dell'imprenditore, non è affatto necessariamente  "diabolica"; ma, come per qualsiasi altro onere probatorio, la sua facilità o difficoltà dipende dalle circostanze.
Ed invero:
- se una vergine contrae l'HIV al suo primo rapporto sessuale, è abbastanza facile individuare il colpevole;
- se, invece, a contrarre l'HIV è una prostituta, individuare il colpevole diventa un tantino più difficile.
E così è per tutte le cose, COVID19 compreso.


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In ogni caso  se gli imprenditori seguiranno scrupolosamente tutte le prescrizioni ANTICOVID19, è quasi impossibile che possano venire perseguiti:
- sia penalmente;
- sia civilmente.
Per cui, secondo me:
- non dovrebbero affatto soverchiamente preoccuparsi;
- dovrebbero invece alacremente occuparsi a predisporre tutte le misura di sicurezza previste (a tutela loro e dei loro dipendenti.


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