Corte Costituzionale; è lecito interrompere l'accanimento terapeutico!

Aperto da Eutidemo, 26 Settembre 2019, 12:42:36 PM

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Eutidemo

Al riguardo, secondo me, occorre considerare due aspetti della questione:

I) ASPETTO GIURIDICO
Purtroppo non ho ancora avuto modo di leggere il testo per esteso  della sentenza (come ritengo sempre opportuno fare), per cui mi baso sul suo passo principale per come riportato dalla stampa:
"Non è punibile, a determinate condizioni, chi agevola l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli".

***
Dicevo che sarebbe necessario prendere visione del testo integrale, perchè il singolo passo di cui sopra, estrapolato dall'intera motivazione, può dar luogo a qualche dubbio ermeneutico; per cui mi riservo in futuro un esame più approfondito dell'intera sentenza.

***
Un punto chiaro, è che la Sentenza "de qua" non "disinnesca" minimamente il dispositivo dell'art. 580 del Codice penale, che tutt'ora considera reato "I'istigazione o l'aiuto al suicidio", bensì, prevede soltanto, al riguardo, una "causa di non punibilità"; così come la legittima difesa è una "causa di non punibilità" nel caso del reato di "omicidio volontario".
Ed è una differenza importante, perchè, in entrambi casi, la "causa di non punibilità" si verifica solo "a determinate condizioni"; come, appunto, precisa la sentenza.

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Ciò che mi risulta meno chiaro, è che, poichè mi sembra che la sentenza riguardi il caso Cappato, forse, senza scomodare la Corte Costituzionale, Cappato poteva essere scriminato dai giudici in base all'art.2 del Codice penale, il quale sancisce che: "Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato".
E, poichè, sostanzialmente, la LEGGE 22 dicembre 2017 n. 219 ha consentito, su richiesta, l'interruzione della terapia di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, "forse" Cappato poteva essere scriminato semplicemente ai sensi dell'art.2 del Codice penale; dico "forse", perchè presumo che all'epoca Cappato non procedette certo seguendo le specifiche procedure di "interruzione vita" previste da tale successiva legge.

***
In ogni caso, giova ricordare che il "DIRITTO" del paziente a voler interrompere in un qualunque momento una qualsiasi terapia "salvavita" nei suoi confronti, era già previsto da settanta anni dalla nostra stessa Costituzione; la quale, all'art.32, prevede che "Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario" contro la sua volontà, anche se finalizzato a salvargli la vita (salvo casi di salute pubblica, come in caso di epidemie, ed altre ipotesi particolari).
Tanto è vero che, se un testimone di Geova rifiuta una trasfusione, non si può mica legarlo alla sedia e praticargliela a forza; e, personalmente, ricordo un mio parente che rifiutò di sottoporsi una operazione necessaria per salvarlo, e poco dopo, infatti, morì.

***
Nel caso di soggetti tenuti artificialmente   in vita grazie alla nutrizione, alla respirazione e l'idratazione artificiale, invece, fino al 2018, tale principio costituzionale non è mai stato applicato; a parte "aum aum" dai medici più intelligenti, psicologicamente "forti" e misericordiosi.
Perchè?
Fondamentalmente per tre motivi:
a)
Perchè, MOLTO "sofisticamente" ed "ipocritamente", alcuni sostenevano che la "nutrizione forzata" e simili, non erano da considerarsi una "TERAPIA" vera e propria, bensì soltanto un modo "indiretto" per tenere in vita il paziente nutrendolo in modo non naturale; rammento ancora che, nel caso di Eluana Englaro, Quagliarello diede di matto in Parlamento urlando a squarciagola "Vogliono farla morire di fame!!!" (e gli altri della sua spregevole sponda a fargli ignobile coro).
Il che dimostra come anche persone molto intelligenti ed umane (come è indubbiamente Quagliarello) , o inconsapevolmente o per mera faziosità, possano comportarsi da perfette stupide; ed invero, come io spesso ripeto, la cosa più tragica della stupidità, è che non ci consente di renderci conto di quanto siamo diventati disumani.
A ben vedere, infatti, in tutto il mondo civile, tali procedure sono state SEMPRE considerate una vera e propria TERAPIA; per ragioni tanto ovvie che sarebbe inutile enumerarle tutte (vengono immessi nel corpo farmaci ecc.).
b)
Il secondo motivo, molto più umanamente comprensibile, è che a qualsiasi medico ripugna profondamente "staccare la spina"; ma non si tratta solo del "Giuramento di ippocrate", bensì del "sistema limbico" ed "empatico" di qualsiasi essere umano (me compreso), che inibisce l'atto della soppressione fisica di un consimile.
c)
A differenza dei testimoni di Geova, e di chi, vivo e vegeto, può difendersi a calci se cercano di sottoporlo ad una terapia indesiderata, un malato di SLA, invece, non può difendersi se gli ficcano una siringa nel braccio, ed un tubo in gola e in pancia, per tenere vivo a forza il suo corpo paralizzato; per esempio, il mio amico Paolo, malato di SLA, riuscì chiaramente a manifestare il suo desiderio di fruire della legge LEGGE 22 dicembre 2017 n. 219, e di voler interrompere la nutrizione, la respirazione e l'idratazione artificiale a cui era "FORZATAMENTE" sottoposto.
Ma, con scuse e dilazioni varie, i medici che lo curavano, lo lasciarono "cuocere nel suo brodo di impotente sofferenza"; facendolo così morire naturalmente, dopo otto mesi da quando la legge 22 dicembre 2017 n. 219 era già in vigore.
Di conseguenza, poichè ritengo che l'ACCANIMENTO TERAPEUTICO (in violazione della citata legge), in determinati casi, potrebbe anche configurare il "REATO DI TORTURA" di cui all'613-bis c.p., che punisce con la reclusione da 4 a 10 anni chiunque cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, mi era venuta quasi voglia di denunciare il Primario del reparto in cui era ricoverato il mio amico Paolo; ma poi ci ho rinunciato:
- sia perchè, nel suo caso, mi sembrava che mancasse il DOLO;
- sia perchè non mi è parso che concretamente si configurassero "tutti" gli elementi della condotta criminosa di cui all'613-bis c.p.
Alcuni, però, certamente SI'!
d)
In altri casi, almeno stando a quanto mi raccontano alcuni miei amici medici, invece, un certo "dolo" c'è: in quanto "assassinare i ricoverati", secondo una "vulgata" molto diffusa di destra idiota e decerebrata, non fa certo una buona pubblicità all'Ospedale.

***
Nel paragrafo precedente, ho spiegato perchè, almeno secondo me, in un Paese "decivilizzato" dalla Controriforma, il principio costituzionale dell'art.32 della Costituzione non è mai stato concretamente applicato; e si fatica ancora oggi ad applicarlo, anche in base alla LEGGE 22 dicembre 2017 , n. 219, che, a quanto mi risulta, viene osteggiata in quasi tutti i ("santi") ospedli.
Sebbene, a ben vedere, detta legge, NON ABBIA DI FATTO INTRODOTTO NIENTE DI REALMENTE NUOVO, ma si è semplicemente limitata a fornire una (ovvia) "INTERPRETAZIONE AUTENTICA" dell'art.32 della Costituzione.
Ed infatti, l'art.1 della legge stessa, premette che essa è stata varata in applicazione dei principi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Uomo, sanciti a tutela del diritto alla dignità e all'autodeterminazione della persona malata; la quale stabilisce che "nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata".
E poi, a beneficio dei sofisti e degli ipocriti, precisa che, ai sensi dell'art.32 della Costituzione, sono SEMPRE considerati "trattamenti sanitari", e non mera "alimentazione", la nutrizione artificiale e l'idratazione artificiale.


II)
ASPETTO ETICO
Ciò detto sotto il profilo giuridico, che è fondamentalmente "oggettivo" (ermeneutica a parte), il profilo etico è alquanto diverso, essendo di carattere precipuamente "soggettivo"; o, almeno, così, secondo me, dovrebbe essere.
Ed infatti, per coloro che sottostanno ad una "MORALE ETERONOMA", come quella cattolica, si tratta comunque di "obbedire" ad una norma imposta "da altri", a prescindere che essi la condividano o meno; se poi la condividono pure, tanto meglio per loro!
Non mi addentrerò certo qui nel trattare del dilemma platonico: "Una cosa è buona perchè piace a Dio, ovvero piace a Dio perchè è buona?"
Io credo nella "MORALE AUTONOMA"!

***
Ciò  detto, è ovvio che, sotto il profilo etico, non c'è discussione alcuna: ciascuno decide "per sè" come meglio crede.
Potrebbe, invece, esserci discussione sul fatto che alcuni pretendano imporre ad altri la propria visione etica o religiosa; per cui, se, in determinate codizioni, taluno preferisce morire, secondo me non è lecito che un altro pretenda di tenerlo in vita a forza!

***
Però, in effetti, la cosa non è così semplice, come potrebbe apparire di primo acchito.
Ed infatti, a mio avviso, non si può neanche pretendere di costringere un medico ad interrompere le terapie necessarie a tenere in vita un malato di SLA, se questo ripugna alla sua coscienza; questo, anche se il malato, come il mio amico Paolo, lo richiede espressamente ai sensi della LEGGE 22 dicembre 2017 , n. 219.
In tal caso, però, secondo me, tale medico dovrebbe essere OBBLIGATO a consegnare il malato ad un altro medico (o Ospedale), che, al riguardo, ha una visione etica diversa dalla sua; e che provvederebbe immediatamente ad interrompere la terapia rifiutata dal paziente, ai sensi della LEGGE 22 dicembre 2017 , n. 219.
Se non lo fa, dovrebbe essere sanzionato penalmente.

***
Ed invero: "Primum non nŏcēre" è una locuzione latina che significa "per prima cosa, non nuocere", che è uno dei principi che si insegna per primo nelle facoltà di medicina; e che, secondo me, significa non è lecito tenere "forzatamente" in vita un paziente, se questo, paralizzato, sofferente e senza speranza, preferisce MORIRE!
Non il medico o il prete, ma solo il malato può liberamente disporre della sua vita!
Ovvero chi è stato designato per legge o testamento biologico in suo luogo!

anthonyi

Ciao Eutidemo, mi domando se, in relazione alla decretazione della CC di ieri, sia pertinente il titolo del topic che presenti.
L'accanimento terapeutico può essere interrotto quando si vuole perché ogni atto terapeutico deve essere accettato dal ricevente.
C'è poi l'eccezione delle terapie salvavita: idratazione, respirazione, nutrizione artificiali, riguardo alle quali mi sembra ci furono altri interventi della CC sul caso Englaro, ma comunque siamo fuori dal caso di ieri che è un caso di "assistenza all'eutanasia", nel quale cioè sono stati messi in atto interventi attivi che hanno determinato la morte in un certo modo.
Al riguardo, comunque, io concordo con le decisioni della CC che, in effetti, non fa che cercare di adeguare, il nostro diritto, al diritto di sistemi giuridici più avanzati.
C' è un punto della loro decretazione, però, che mi fa sorgere un dubbio, cioè il fatto che secondo la CC ogni caso dovrebbe essere sottoposto al parere della commissione etica, questo darebbe spazio alla continuazione di quelle stesse posizioni dogmatiche che sono nella nostra politica all'interno della commissione stessa. Sarebbe preferibile la definizione di criteri oggettivi che definiscano il diritto all'eutanasia.
Un saluto

Eutidemo

Ciao Anthony, :)
hai perfettamente ragione. :)
Ed infatti ho sentito alla radio che, in un altro punto della Sentenza (che, come ho detto, ancora non ho avuto modo di leggere per esteso), i Giudici della Corte avrebbero invitato il Parlamento a varare una "nuova legge" al riguardo.
Ma, già esiste da più di un anno la LEGGE 22 dicembre 2017 , n. 219 che consente al paziente di rifiutare l'accanimento terapeutico consistente nel tenerlo forzatamente in vita tramite alimentazione, idratazione e ventilazione forzata (cosa precedentemente al 2018 NON CONSENTITA); per cui ne desumo che i Giudici della Corte abbiano invitato il Parlamento a varare una NUOVA LEGGE SUL FINE VITA, volta ad integrare la LEGGE 22 dicembre 2017 , n. 219.

***
Come avevo già rilevato, il punto della sentenza che ho avuto modo di visionare, suona alquanto ambiguo, poichè, a parte lo specifico caso Cappato, in esso:
a)
Si parla, in generale, di "chi agevola l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi,  di un paziente", il che, in effetti, come tu giustamente osservi, più che all'"interruzione di terapie salvavita", lascia proprio pensare alla "assistenza all'eutanasia"; nella quale cioè sono stati messi in atto "interventi attivi" che hanno determinato la morte in un certo modo.
b)
Però, subito dopo, si precisa che tale paziente deve essere in condizione di essere "tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile"; per cui, non si parla di un soggetto che sopravvive autonomamente, per quanto afflitto da un male terribile, bensì di un SOGGETTO NON AUTONOMO, che sopravvive solo grazie a trattamenti di sostegno vitale.

***
Visto che, però, la Corte suggerisce al Parlamento di "varare una nuova legge", io avanzerei una congettura al riguardo; per la verità poco lecita:
- non avendo io letto il testo integrale della sentenza;
- essendo io del tutto digiuno di "ars medica".
La mia "illazione" è che la Corte, pur riferendosi sempre all'ipotesi di soggetti non autonomi, in quanto tenuti in vita artificialmente:
- ritenga che la LEGGE 22 dicembre 2017 n. 219 riguardi esclusivamente l'INTERRUZIONE delle terapie di sostegno, a seguito della quale, ovviamente, il paziente muore.
- ritenga però, che, oltre a questo, dovrebbe essere legalmente consentito, da una nuova legge, di SOPPRIMERE il paziente tenuto artificialmente in vita, praticandogli una iniezione letale o qualcosa del genere.

***
Il che, però, non mi convince molto, in quanto:
a)
Secondo la legge (e la logica), NON IMPEDIRE UN ATTO CHE SI E' IN GRADO DI IMPEDIRE, EQUIVALE A PROVOCARLO; per cui:
- se, alla "bruttidio", si interrompe ad un soggetto il sostegno respiratorio artificiale;
- o se gli si spara in testa;
il risultato è esattamente lo stesso; anche se il paziente preferirebbe sicuramente il secondo metodo, mentre gli addetti alle pulizie il primo.
b)
A parte quanto sopra, benchè io sia ignaro di arte medica, quando si parla di "interruzione delle terapie di sostegno vitale", non si intende certo semplicemente "staccare i tubi" alla "bruttidio", e lasciare che il paziente soffochi per conto suo, contorcendosi nel suo letto; in tali casi, infatti, come pure prevede la  LEGGE 22 dicembre 2017 n. 219, si pratica al paziente la cosiddetta "sedazione palliativa profonda", che magari non sarà la stessa cosa di una "iniezione letale", però, almeno a mio parere di profano, le somiglia molto (per le ragioni che dirò sotto).

***
So che il Comitato di Bioetica, ha accuratamente evitato l'uso dell'espressione "sedazione terminale", perché troppo brutale (e, forse, più sincera) ed ha proposto invece proposto, molto più gesuiticamente la definizione  "sedazione palliativa profonda continua nell'imminenza della morte", per indicare la somministrazione intenzionale di farmaci, alla dose necessaria richiesta, per ridurre il livello di coscienza fino ad annullarla, al fine di alleviare o abolire la percezione di un sintomo altrimenti intollerabile per il paziente nell'imminenza della morte.

***
Ma, a parte il fatto che si tratta di una perifrasi molto eufemistica, secondo me occorre riflettere sul concetto di "VELENO", in quanto:
- si può avere un prodotto di per sè "velenoso" , in quanto idoneo e finalizzato ad uccidere anche soggetti in piena salute;
- ma si può avere anche un prodotto di per sè "non velenoso", in quanto inidoneo ad uccidere soggetti in piena salute, però perfettamente idoneo ad uccidere coloro che siano affetti da particolari patologie.
Ad esempio, per quanto ne posso capire io, somministrare MORFINA ad un soggetto già per suo conto in debito di ossigeno, può provocare una ulteriore "depressione respiratoria" che ne determina (o ne "condetermina") la MORTE, oltre che la mera SEDAZIONE!
Per cui ho il vago sospetto che la "sedazione palliativa profonda", pur non consistendo nella somministrazione di veleni veri e propri, in buona parte, però, consiste nella somministrazione di farmaci che, di per sè (quasi) innocui,  nella particolare circostanza dell'interruzione di terapie di ventilazione forzata, oltre ad avere un effetto analgesico, hanno anche un effetto "letale" come un altro qualsiasi veleno.
Però non è il mio campo, per cui le mie sono solo "illazioni". :)

***
Comunque cercherò di capire meglio cosa intendeva la Corte, quando avrò avuto modo di leggere il testo integrale della sentenza, ed averci riflettuto sopra.

Un saluto! :)
 
 

 


 

Sariputra

Dal mio punto di vista, la somministrazione, per esempio, di morfina (anche in dosi importanti..), ad un paziente molto sofferente e a fin di vita, non può considerarsi una forma ipocrita di eutanasia. I farmaci hanno tutti degli effetti collaterali sull'organismo. Spessissimo questi effetti sono negativi per la salute. Il farmaco viene usato lo stesso perché si valuta che i suoi effetti benefici superino quelli dannosi. Nel caso di un malato in così gravi e irreversibili condizioni, la somministrazione di un farmaco che può provocarne la morte, peraltro inevitabile in qualunque caso, ha degli effetti positivi, come quello analgesico, tranquillizzante, ecc. che superano il dubbio, e lo rendono di fatto inesistente, sugli effetti collaterali futuri (in quanto non c'è 'futuro' in un paziente terminale...). La terapia del dolore, per esperienza posso dire assai modestamente usata, se i sanitari (non tutti) possono evitarla (questi farmaci costano al SSN...?), soprattutto nei pazienti molto anziani, non può dunque, a mio parere, ritenersi una forma occulta di eutanasia attiva. Infatti i medici non oppongono obiezioni...cosa che invece fanno per le forme di eutanasia attiva. Già adesso l'ordine dei medici fa infatti sapere che, nel caso, dovrà essere un funzionario pubblico (magistrato?Ci vorrebbero mesi, se non anni...nel frattempo muori di tuo) che si assume la responsabilità. Il che complica tutto. Almeno stando alle prime dichiarazioni del presidente dell'ordine dei medici...La stragrande maggioranza delle persone non è come il padre di Eluana, che ne fa una battaglia di vita ( di morte in questo caso..). Preferisce 'aspettare gli eventi': soffrendo, lamentandosi, imprecando, chiedendo spiegazioni, pregando, rassegnandosi, percependo l'indennità e la pensione, ecc.
Sono tutti problemi che sorgono per effetto dei successi in campo medico, che permettono di allungare l'esistenza (?) a fronte di malattie che, in natura, costringerebbero un essere vivente alla morte in pochissimo tempo e senza tutto quel carico da novanta di sofferenza protratta nel tempo. Per non ripetere sempre la famosa e saggia storiella cinese "Fortuna, sfortuna, chi lo sa?" si potrebbe paradossalmente dire che, per voler far del bene, spesso si fa del male...E lo so ben io, che per imboccare mia madre completamente paralizzata da sei anni, a seguito di una grave forma di demenza da Corpi di Lewy, le ho accidentalmente e involontariamente provocato una grave polmonite ab ingestis che l'ha portata al decesso...Se da una parte le ho forse fatto del bene, dall'altra non l'ho fatto a me stesso, visto che il kamma di quell'azione maldestra mi tormenta spesso...
Sulla strada del bosco
Una ragazza in lacrime
Trattiene rondini nei capelli.

paul11

ciao Sariputra
Un medico dovrebbe essere  un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni.
Sono d'accordo su quello che scrivi,bisogna lasciare che la natura faccia il suo corso senza far soffrire ancora di più.
Mi spiace per te e tua madre; so che è difficile, ma non devi avere sensi di colpa, semplicemente era destino che qualcosa prima o poi accadesse. Le hai portato affetto, rispetto, questo è ciò che importa.

Eutidemo

Ciao Sariputra. :)
Dipende "di che cosa" si sta morendo. :(
Ad esempio, a mio padre, che stava morendo di cancro al fegato, i medici in un primo tempo si rifiutavano di somministrargli la morfina, poichè dicevano che, avendogli il cancro provocato problemi di respirazione, la morfina lo avrebbe potuto uccidere; poi, alla fine, gliela diedero e lui, subito dopo, morì. :(
E' chiaro che sarebbe morto comunque, ma, in base a quanto mi dissero, la morfina, se non fu addirittura la causa "determinante" della sua morte, fu almeno una causa "concomitante"; in altre tipologie di cancro, invece, non avrebbe avuto tale effetto collaterale.
Non sono medico e non ricordo bene, ma mi pare che mi dissero che la morfina può provocare una depressione respiratoria, per cui, nel caso di determinate affezioni (cancerogene o meno), può risultare più letale del cianuro; per cui, il concetto di VELENO, va valutato in concreto, e non in astratto!
Il che, a quanto mi dicono, vale anche per altri "sedanti terminali".

***
Ciò detto, sono perfettamente d'accordo con te che quando scrivi: "...nel caso di un malato in così gravi e irreversibili condizioni, la somministrazione di un farmaco che può provocarne la morte, peraltro inevitabile in qualunque caso, ha degli effetti positivi, come quello analgesico, tranquillizzante, ecc. che superano il dubbio, e lo rendono di fatto inesistente, sugli effetti collaterali futuri (in quanto non c'è 'futuro' in un paziente terminale...)."
Ma, a quel punto, se comunque il paziente deve morire, non vedo una gran differenza tra un analgesico letale e una iniezione letale; la quale, almeno, agisce SICURAMENTE subito.
La distinzione mi sembra un po' ipocrita!

***
Quanto al fatto che alcuni medici facciano differenza tra un analgesico letale (nei casi in cui, di fatto, lo è o può esserlo) e una iniezione "dichiaratamente" letale, a ben vedere, ciò non è solo frutto di ipocrisia, bensì dipende anche da come funziona il nostro sistema limbico; il quale, "fortunatamente", ci rende riluttanti a sopprimere un nostro consimile.
Per cui, psicologicamente:
- un conto è praticare sedativi analgesici, letali o meno che possano di fatto risultare nel caso di specie;
- un altro contro, invece, è praticare una iniezione letale vera e propria.
Tanto è vero che, sebbene io -razionalmente- ritenga molto migliore e più logica la seconda soluzione, probabilmente mi sentirei più tranquillo con la mia coscienza (e i miei pregiudizi) a praticare la prima.

***
Proprio per tale motivo, forse hai ragione anche quando dici che "accompagnare la morte" di un malato terminale con la cosiddetta "sedazione palliativa profonda" può provocare meno ritardi e resistenze psicologiche nei medici che se essi fossero costretti a praticare una "iniezione letale"; ed infatti, anche considerando la nefasta influenza della Chiesa Controriformistica in Italia, prima che la Commissione Etica lo consentisse, passerebbero mesi o anni.


***

Quanto al fatto di tua madre, mi dispiace molto; e ti capisco benissimo, perchè anche io tutt'ora provo un senso di colpa ad aver forzato i medici a praticare a mio padre iniezioni di morfina.

Sbagliamo entrambi a nutrire sensi di colpa...ma penso sia umano!




Un saluto! :)

anthonyi

Ciao Eutidemo, il caso di tuo padre è significativo, dal punto di vista giuridico avrebbe potuto anche essere considerato come omicidio. Ed è probabilmente una situazione non eccezionale nella quale viene in qualche modo favorita la fine dell'agonia di un malato terminale.
Naturalmente è un altro caso particolare e problematico del fine vita, differente dal caso Dj Fabo che non era per nulla in fin di vita e che senza il veleno svizzero chissà per quanti anni avrebbe continuato a vivere e a soffrire.

Eutidemo

Ciao Anthonyi. :)
Anche questa volta, condivido in pieno quello che hai scritto.
Tuttavia, sia per l'omicidio che per il suicidio, oltre all'aspetto "formale", occorre considerare anche quello "sostanziale".

***
Ed infatti, sempre mio padre, che era medico, mi raccontava che, durante la seconda guerra mondiale, se venivano portati negli ospedali da campo dei soldati in fin di vita, i medici e gli infermieri non potevano certo impiegare tempo e farmaci per loro; ed infatti, l'uno e gli altri, dovevano essere necessariamente impiegati per salvare i feriti che avevano qualche speranza di sopravvivenza.
Per cui, o per "omissione" o per "azione", i primi venivano tecnicamente "uccisi"; ma mai nessun medico venne incriminato per questo!
Così come non si negò mai un funerale cristiano, a tutti quei piloti che, nella prima guerra mondiale, per non morire bruciati, si sparavano in testa; vedi, al riguardo, il mio topic su Francesco Baracca.
Per cui, laddove viene in qualche modo "favorita" la fine dell'agonia di un malato terminale, anche se "tecnicamente" potrebbe configurarsi il reato di "omicidio", ovvero di "aiuto al suicidio", in realtà nessun medico è mai stato incriminato per questo; non si può mica uccidere chi, praticamente, è già morto.

***
Il caso di Fabo non l'ho seguito, ma, da come lo descrivi, era completamente diverso; ed infatti, se è vero, come tu dici, che lui non era per nulla in fin di vita e che senza il veleno svizzero chissà per quanti anni avrebbe continuato a vivere e a soffrire, allora scattava sicuramente il dispositivo dell'art. 580 del Codice penale, che tutt'ora considera reato "l'aiuto al suicidio".
E, a ben vedere, la Corte ha ribadito la piena vigenza di tale reato, concedendo a Cappato soltanto la "causa di non punibilità"; circa la ricorrenza della quale, però, bisognerebbe leggere tutta l'intera...che non riesco ancora a trovare.

Un saluto!  :)

Eutidemo

Come in altri campi, ho rilevato che, anche in relazione alla cosiddetta EUTANASIA, molte persone tendono ad omologare e confondere situazioni e condotte diverse; e, per _nescienza_ medica, forse anche io.
Ed infatti, secondo me, occorre distinguere tra:

A)
Malati TERMINALI, solitamente per CANCRO, i quali, sia pure all'ultimo stadio, possono però considerarsi VITALMENTE AUTONOMI, praticamente fin quasi all'ultimo respiro; intendo dire che costoro non sono tenuti in vita artificialmente, tramite alimentazione, respirazione e idratazione forzata,ma sono soggetti solo a terapie di sostegno ed analgesiche.
In tal caso, a parte la maggiore o minore _"intensità"_ delle terapie di cui sopra, la cui interruzione, di per sè, non determina in alcun modo la morte del paziente, per non farlo soffrire, essendo lui consenziente, l'unica opzione è di sopprimerlo tramite una iniezione letale, preceduta da un'iniezione sedativa
Il che, a seconda delle modalità di tale tipo di intervento, che è comunque ATTIVO, può configurare:
- o l'art. 580 del Codice penale, che tutt'ora considera reato "I'istigazione o l'aiuto al suicidio";
- ovvero addirittura l'art. 575 Codice penale, cioè un vero e proprio "omicidio".
In queste fattispecie, infatti, la LEGGE 219/17 non opera in alcun modo.

B)
Malati NON TERMINALI, che, però NON SONO VITALMENTE AUTONOMI; intendo dire coloro che, se sono tenuti in vita artificialmente, tramite alimentazione, respirazione e idratazione forzata, potrebbero continuare a (soprav)vivere per anni.
In tal caso, a parte la maggiore o minore _"intensità"_ delle terapie di cui sopra, la loro interruzione, di per sè, determina automaticamente la morte del paziente; ovviamente accompagnata da terapie sedative.
In tal caso, in effetti, il paziente (ovvero chi ne ha la legale rappresentanza) ha il <<DIRITTO>> di pretendere dai medici l'interruzione di tali terapie, sia in base all'art.32 della Costituzione, sia in base alla legge 219/17, la quale, finalmente, ne ha fornito una indiscutibile INTERPRETAZIONE AUTENTICA.
Cioè, il medico ha diritto all'"obiezione di coscienza" (fatti suoi), ma, MI DEVE TOGLIERE LE MANI DI DOSSO, SE IO RIFIUTO LE SUE "NON GRADITE" CURE. >:(
Lo dice la Costituzione e la legge (oltre che il buon senso)
 

***
E qui veniamo al NOCCIOLO della questione, in quanto:

- in base alla normativa sopra citata, la mera INTERRUZIONE della terapia di "vita artificiale" (che, _"latu sensu"_, può considerarsi "OMISSIVA" in quanto il medico _omette_ di porre una condotta che "salverebbe" il paziente), non comporta alcuna conseguenza penale per il medico stesso, in quanto scriminato "ex lege";

- diversamente, se, invece di limitarsi ad interrompere la terapia di "vita artificiale" (accompagnando la morte con procedure sedative) , il medico pratica al paziente una INIEZIONE LETALE (preceduta da procedure sedative), "de iure condito" si configura senz'altro o l'art. 580 del Codice penale, che tutt'ora considera reato "I'istigazione o l'aiuto al suicidio",  ovvero addirittura l'art. 575 Codice penale, cioè un vero e proprio "omicidio"

***
Se ho ben individuato il NOCCIOLO della questione, "forse" la CORTE COSTITUZIONALE, nella sentenza in questione, intendeva semplicemente dire che, poichè non impedire un evento che si ha la facoltà di impedire (proseguendo la terapia di vita artificiale), equivale a provocarlo direttamente, in sostanza non c'è nessuna differenza tra il causare la morte del paziente interrompendo la terapia, ovvero nel sopprimerlo con una inezione letale o tramite veleno.

Ed invero, non ha alcun senso scriminare la condotta omissiva, e non quella attiva, se l'effetto è lo stesso.

Eutidemo

Sansone morì suicida, e, sempre nella BIBBIA, in Siracide 30,17 si legge: "Meglio la morte che una vita amara, il riposo eterno, piuttosto che una malattia cronica." 

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