Capitale europea della cultura nel 2025

Aperto da doxa, 05 Gennaio 2025, 19:41:05 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

doxa

2025: quest'anno la "Capitale Europea della Cultura" è trans-frontaliera,  saranno Gorizia e Nova Gorica. Due città di confine, la prima italiana, la seconda slovena. Un sodalizio simbolico che unisce due territori vicini, storicamente separati da un confine, che oggi segna invece un cammino condiviso.

GO!2025 è il motto.

L'inaugurazione congiunta di  Gorizia e  Nova Gorica come Capitale Europea della Cultura avverrà il prossimo mese: l'8 febbraio 2025: una data simbolica,  sia perché  l'8 febbraio in Slovenia si celebra la "Giornata della cultura", legata allo scrittore France Prešeren, morto l'8 febbraio 1849,  sia perché è la data di nascita di Giuseppe Ungaretti: 8 febbraio 1849.  Questo poeta partecipò in zona alla prima guerra mondiale.

Un concatenarsi di simboli che vanno in un'unica direzione: quella di valorizzare la cultura che costruisce ponti e futuro, diventando un modello e un simbolo per l'Europa.

L'iniziativa vuole promuovere la diversità e l'integrazione. Le due città vicine offriranno arte, musica, natura e cultura.


Castello di Gorizia

Due città un tempo divise, oggi riunite dalla comune appartenenza all'unione europea.

Gorizia e Nova Gorica (questo toponimo significa "Nuova Gorizia") in precedenza separate dal confine di Stato italo-jugoslavo e poi italo-sloveno, sono di fatto unite dal 21 dicembre 2007, giorno in cui la Slovenia è entrata nell'area del "trattato di Schengen", che ha comportato la definitiva caduta delle barriere doganali e la rimozione delle recinzioni alla frontiera. Le due città sono comunque diverse, essendo il centro sloveno privo di edifici storici: l'unico edificio di rilievo del centro cittadino è la stazione ferroviaria.

segue

doxa

Oggi, 5 gennaio 2025,  nell'inserto domenicale "La lettura" del Corriere della Sera c'è un interessante articolo dello storico triestino Raoul Pupo, già docente di storia contemporanea all'università di Trieste.

L'articolo è titolato:   "La vecchia frontiera dell'Europa".
Gorizia e Nova Gorica: due città per una "Capitale della cultura".

"Gorizia è una collina. Lo dice l'originario toponimo sloveno, Gorica (si pronuncia allo stesso modo), diminutivo di gora, cioè montagna. Compare nella storia agli inizi dell'XI secolo come villaggio ai piedi di un colle sul quale una dinastia germanica erige un castello. Pian piano il castello cresce così come il villaggio, le nobili famiglie germaniche si succedono e riescono a costruirsi un bel dominio feudale, la contea di Gorizia, inserendosi abilmente nei contrasti fra il patriarca di Aquileia, i suoi riottosi vassalli, i comuni di Venezia, Padova e Treviso, il ducato d'Austria su cui dominano gli Asburgo.

La corte comitale nel Trecento accoglie letterati sia italiani che tedeschi, mentre nel Quattrocento Gorizia scampa alle scorrerie turche dirottandole verso i suoi vicini. Nell'anno 1500 però l'ultimo conte si estingue e gli Asburgo sono i più lesti a impadronirsi della contea. Per un secolo il confine con la repubblica di Venezia rimane caldo, poi arriva la pace e Gorizia vive fino a tutto l'Ottocento una tranquilla esistenza di periferia imperiale.

Alla vigilia della Grande guerra è una cittadina vivace e multilingue. Il comune è guidato dal partito liberalnazionale, italianissimo con qualche simpatia irredentista, il luogotenente imperiale è un sacerdote friulano, esponente di un movimento cattolico che raduna i contadini italofoni fedeli sudditi dell'imperatore, vescovo principe è uno sloveno, così come molti fedeli della città e tutti quelli dell'alta valle dell'Isonzo.

Poi comincia il Novecento breve e terribile. Durante la Prima guerra mondiale Gorizia è campo di battaglia e ne esce distrutta. Attorno sorgono le alture più insanguinate del conflitto: il Sabotino, il San Gabriele, il San Michele, il Calvario. Finite le ostilità, la città viene ricostruita e semplificata. I tedescofoni se ne vanno quasi tutti. I patrioti italiani esultano, quelli sloveni, che vorrebbero l'annessione al regno jugoslavo, vanno in esilio o al confino. L'antica contea diventa provincia del regno d'Italia, ma nelle elezioni del 1921 vengono eletti quattro deputati di lingua slovena e un deputato italiano comunista: tanto basta perché dopo l'ascesa al potere di Mussolini nel 1923 la provincia venga abolita. Viene ricostituita nel 1927, quando il fascismo è diventato regime e della volontà degli elettori non si tiene più alcun conto.

La città vive così fasti e nefasti del ventennio, ben più numerosi i secondi, perché all'oppressione politica che morde tutti gli italiani si aggiunge quella nazionale, per sradicare l'identità della componente slovena della popolazione. I provvedimenti sono quelli usuali delle politiche di assimilazione forzata: divieto di insegnamento, stampa e uso pubblico della lingua slovena, penalizzazione — che vuol dire anche legnate — di quello privato, cambio di toponimi, cognomi e nomi, incarcerazione, confino o espulsione dei riottosi. Anche i modesti spiragli lasciati dalle leggi vengono riempiti dagli squadristi, che non esitano ad ammazzare un musicista per aver diretto un coro natalizio in lingua slovena autorizzato dalla questura. Qualcuno, ovviamente fra i più giovani, si ribella e aderisce al movimento clandestino irredentista jugoslavo Tigr, acronimo che sta per Trst, Istra, Gorica i Rijeka. Per il regime sono punture di spillo, anche se generano una pesantissima repressione, ma ben diversa è la situazione quando nel 1941, in piena Seconda guerra mondiale, l'Italia fascista invade la Jugoslavia assieme ai tedeschi e ne annette alcune parti.

In breve, dalla nuova provincia di Lubiana il movimento partigiano a guida comunista si estende alla contigua Venezia Giulia; agli inizi del 1943 quella goriziana è la prima provincia italiana in cui le autorità hanno perso il controllo del territorio ben prima dello sbarco alleato in Sicilia. Dopo l'8 settembre arrivano i tedeschi e gli operai del vicino cantiere di Monfalcone, assieme a soldati italiani e partigiani sloveni, li affrontano nella «battaglia di Gorizia», uno dei pochi episodi di resistenza armata dopo l'armistizio.

Durante l'occupazione nazista la pluralità della città isontina si tinge di sangue. I partigiani sloveni controllano le foreste alle spalle di Gorizia, in città si crea un Comitato di liberazione nazionale italiano; con i tedeschi collaborano non solo i fascisti ma anche le formazioni anticomuniste slovene dei domobranzi, che però con i fascisti italiani dialogano a suon di bombe e scariche di mitra; prefetto diventa un aristocratico asburgico che riesce a dialogare con tutti, ma ci rimette quasi la pelle; a un certo punto arrivano anche i marò della Decima, aumentando il tasso di conflittualità con tutti gli altri, ma vengono pesantemente sconfitti dai partigiani nella selva di Ternova.

I tedeschi se ne vanno l'1 maggio 1945, però non scoppia la pace, bensì le terribili violenze di transizione. Sloveni e anche comunisti italiani accolgono festanti la liberazione portata dalle truppe jugoslave, i patrioti italiani no, perché la temono premessa all'annessione alla Jugoslavia di Tito e perché subito l'Ozna — la temibile polizia politica — avvia la caccia ai «nemici del popolo», come in tutta la Slovenia. Se nell'alta valle dell'Isonzo non mancano gli sloveni, sacerdoti e laici, presi di mira perché anticomunisti e sospetti di collaborazionismo e finiti nelle foibe, in città gli arrestati sono quasi tutti italiani: dai noti fascisti e collaborazionisti agli uomini delle istituzioni, agli altrettanto noti e potenzialmente fastidiosi patrioti, fino ad alcuni antifascisti non comunisti del Cln. Gli arrestati nell'Isontino sono migliaia, gli uccisi fortunatamente meno: gli elenchi oscillano fra 600 e 800 scomparsi, che in ogni caso configurano una di quelle stragi il cui trauma si conficca a fondo nella memoria collettiva. Ciò tanto più, dal momento che al ritiro delle truppe jugoslave e all'instaurazione di un'amministrazione provvisoria anglo-americana segue una fase di aspri conflitti, anche fisici, fra patrioti italiani e sostenitori della causa jugoslava. Il 15 settembre 1947 tornano finalmente i bersaglieri: gli italiani tripudiano per la «seconda redenzione» dopo quella del 1918, sloveni e comunisti assai meno, perché mentre la massa dei goriziani festeggia, c'è chi sceglie il momento per devastare negozi e abitazioni di concittadini sloveni e comunisti.
Il nuovo confine è un mostro. La stazione della Transalpina è tagliata a metà dal reticolato, in periferia la linea attraversa una stalla, lasciando la mucca da una parte e il mungitore da quell'altra. La città ha perso la maggior parte della provincia, le valli dell'Isonzo e del Vipacco hanno perso il loro centro urbano. Non si può andare avanti così. Il governo italiano decide provvidenze eccezionali. Quello jugoslavo avvia la costruzione di una città gemella, Nova Gorica. Ma il 13 agosto 1950 una massa di abitanti jugoslavi supera i posti di blocco e si riversa in città a salutare i parenti e, soprattutto, ad acquistare quei beni di consumo elementari che oltre confine non si trovano: la chiameranno 'la domenica delle scope'.

Passano dieci anni, arriva la distensione e le classi politiche locali capiscono che bisogna andare oltre. Gorizia ha avuto fortuna con i sindaci. Negli anni Sessanta è dalle amministrazioni comunali che parte la spinta al dialogo fra le due Gorizie, per affrontare i problemi comuni e spingere sui rispettivi governi. Agendo in sintonia con Trieste e con la nuova regione Friuli-Venezia Giulia, ne viene lo stimolo a realizzare quello che ben presto verrà chiamato il confine-ponte, motore di un'economia transfrontaliera che dà ossigeno a entrambe le città. Altrettanto dinamica è la cultura di frontiera, capace di guardare anche orizzonti più lontani, come fa l'Istituto per gli incontri mitteleuropei.
Il collasso della Jugoslavia disegna prospettive nuove. Per un verso facilita i contatti, per l'altro costringe Gorizia a ristrutturare un'economia largamente fondata sulla peculiarità frontaliera e sulla massiccia presenza di unità militari. Saltano però, anche materialmente, le divisioni fra le due città sorelle: i valichi di frontiera si spalancano, le garitte delle sentinelle diventano musei del confine, la piazza della Transalpina collega e non divide più le due Gorizie. I sindaci continuano a darsi da fare ed è soprattutto grazie a loro che in questo mese di gennaio 2025 Gorizia e Nova Gorica diventano assieme Capitale europea della cultura.

Ci saranno feste, concerti, spettacoli. Ci saranno prove di integrazione del territorio e dei servizi. Speriamo ci siano anche momenti forti di riflessione comune e serena su un passato che sereno non è stato per niente. Nel mondo che sembra nuovamente compiacersi delle divisioni e degli atti di forza, c'è urgenza di mostrare come anche il buio della storia può venire illuminato. È tempo allora di andare oltre il confronto rispettoso delle reciproche memorie dolenti per proporre ai più giovani la storia intera di una comunità articolata che solo nella prospettiva europea trova la sua autentica dimensione".

Discussioni simili (5)