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Vita e morte in senso cristiano
di Domenico Caruso - Giugno 2014
Fin dagli albori della sua storia, oltre ai bisogni essenziali di sopravvivenza, l’uomo manifestò un senso di devozione per i fenomeni atmosferici e praticò il culto degli astri e della natura, simboli della divinità. Tante civiltà a noi sconosciute, tramandate dai miti, dominarono la Terra che conta all’incirca quattro miliardi e mezzo di anni.
Si legge nella Bibbia:
«In omnibus operibus tuis memorare novissima tua, et in aeternum non peccabis» (Sir 7, 36). (“In tutte le tue azioni ricorda la fine, e così mai peccherai”).
L’esame di questa verità ci riporta ai vizi capitali e contribuisce alla nostra perfezione.
Anziché assillarci con pensieri riguardanti la morte dovremo chiederci la nostra provenienza, in quanto la risposta sulla fine si richiama alle origini e all’enigma della vita.
Il fisico e filosofo tedesco Albert Einstein (1879-1955) afferma:
«La cosa più bella con cui possiamo entrare in contatto è il mistero. E' la sorgente di tutta la vera arte e di tutta la vera scienza».
Nel terzo millennio l’interesse per le ultime realtà (escatologia), amplificato dai moderni mezzi di comunicazione, ha raggiunto ogni strato sociale.
A differenza del passato, per cui il futuro del mondo dipendeva essenzialmente dagli eventi naturali (si diceva: l’uomo propone e Dio dispone), oggi le sorti sono nelle mani dell’uomo (guerre, violenze d’ogni genere, ideologie pericolose, distruzione dell’ambiente).
Il Concilio Vaticano II, celebrato dall’11 ottobre 1962 all’8 dicembre 1965, aveva rappresentato una grande rivoluzione ecclesiastica.
Giovanni XXIII (1881-1963) che l’aveva aperto, il 24 maggio 1963 sul letto di morte, come testamento spirituale, aveva così richiamato al dovere i suoi collaboratori:
«Ora più che mai, certo più che nei secoli passati, siamo intesi a servire l'uomo in quanto tale e non solo i cattolici; a difendere anzitutto e dovunque i diritti della persona umana e non solamente quelli della Chiesa cattolica […] Non è il Vangelo che cambia: siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio […] E’ giunto il momento di riconoscere i segni dei tempi, di coglierne le opportunità e guardare lontano».
Le parole di Papa Roncalli (beatificato il 3 settembre 2000 e canonizzato il 27 aprile 2014) rispecchiano la nostra attuale inquietudine.
Essendo l’esperienza della morte identica a quella della nascita, paragoniamo il nostro corpo al bruco che, costretto dalla superbia ad una lenta rigenerazione, esce dal bozzolo del tutto trasformato:
«Non v’accorgete voi che noi siam vermi,
nati a formar l’angelica farfalla,
che vola alla giustizia senza schermi?»
(Purg. X, 124-126).
Dall’umiltà trae origine il merito della metamorfosi umana.
Nella lingua greca si distinguono due tipi di vita, con significato differente: bios (la vita biologica, che ha un inizio e una fine) e zw (la vita in senso assoluto, quella di Dio stesso, posseduta anche da Adamo prima del peccato).
Il Vangelo annuncia la liberazione delle nostre migliori energie interne al momento della morte:
«In verità, in verità vi dico: se il grano di frumento, caduto per terra, non muore, resta esso solo. Ma se muore, porta molto frutto» (Gv 12, 24).
Il significato e la conclusione della nostra esistenza risultano espressi nei Novissimi (cose ultime), sui quali ogni cristiano ha il dovere di riflettere. In passato essi erano oggetto di ampie discussioni e costituivano un deterrente al proliferare del male.
Il senso di ottimismo, derivato dal Concilio Vaticano II, ha attenuato la paura della dannazione eterna. Sono in molti a non credere all’Inferno, nonché al Diavolo al quale addebitiamo spesso la responsabilità delle nostre libere azioni.
Nell’esposizione del Padre Nostro, il Catechismo della Chiesa Cattolica riporta:
«Il Regno di Dio … è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo» (Rm 14, 17).
Gli ultimi tempi, nei quali siamo, sono quelli dell’effusione dello Spirito Santo. Pertanto è ingaggiato un combattimento decisivo tra la carne e lo Spirito: Solo un cuore puro può dire senza trepidazione alcuna: Venga il tuo Regno». (1)
«Finis coronat opus»: è la fine che corona l’opera.
Mentre, da un lato, la separazione dell’anima dal corpo rappresenterà uno strappo violento, dall’altro la visione del Cristo Risorto arrecherà un’ineffabile letizia. Allora risuonerà per sempre il giudizio sul nostro destino determinato dalla condotta terrena.
Illuminata dalla Luce divina, l’anima vedrà la qualità della propria vita e si collocherà nel luogo che le spetta.
Paolo avverte: «Ubi est, mors, victoria tua? ubi est, mors, stimulus tuus? Stimulus autem mortis peccatum est: virtus vero peccati lex».(2)
(Dov'è, o morte, la tua vittoria? Dov'è, o morte, il tuo pungiglione? Il pungiglione della morte è il peccato e la potenza del peccato è la legge).
L’Apostolo delle genti sottolinea ancora il misterioso passaggio tra la vita presente e quella eterna:
«Così anche la risurrezione dei morti: si semina nella corruzione, si risorge nell’incorruttibilità; si semina nello squallore, si risorge nello splendore; si semina nell’infermità, si risorge nella potenza; si semina un corpo naturale, risorge un corpo spirituale».(3)
Conseguenza della disubbidienza di Adamo, con la morte il fedele si ricongiunge a Cristo dando inizio ad una nuova vita.
Lo conferma Paolo: «Come a causa di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e attraverso il peccato la morte, e così la morte dilagò su tutti gli uomini per il fatto che tutti peccarono …».(4)
Questa visione cristiana della morte si lega in modo indissolubile alla risurrezione. Il fenomeno, in generale, si può leggere in un altro mio lavoro.(5)
La nostra vita si sviluppa in due sensi: nel biologico (esteriore e mortale) e nel personale (interiore ed eterno). Il missionario del Vangelo, Paolo, sostiene:
«Se anche il nostro uomo esteriore cade in sfacelo, il nostro uomo interiore si rinnovella di giorno in giorno»(6) (2 Cor 4, 16).
Per il teologo ungherese Ladislaus Boros «la morte è il luogo obiettivamente privilegiato della consapevolezza, della libertà, dell’incontro con Dio e della decisione circa il destino eterno».
Chi cerca la fama e la felicità in questo mondo difficilmente raggiungerà la perfezione. Quando i discepoli si avvicinarono a Gesù per sapere chi era il più grande nel Regno dei Cieli, «Egli, chiamato a sé un fanciullo, lo pose in mezzo a loro e disse: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i fanciulli, non entrerete nel regno dei cieli. Chi dunque si farà piccolo come questo fanciullo, questi sarà il più grande nel regno dei cieli”» (Mt 18, 2-4).
Lev Tolstoj (1828-1910) asserisce: «La semplicità è la principale condizione della bellezza morale».
Anche sulla Terra l’umiltà viene premiata, come dimostra la nota storia dei tre doni della morte, tratta dalle Fiabe di Beda il Bardo della scrittrice britannica J. K. Rowling: Tre fratelli, al tramonto, percorrevano una strada tortuosa e solitaria interrotta da un pericoloso fiume. Essendo dotati di arti magiche bastò poco che gli stessi, agitando le loro bacchette, costruissero un ponte. Ma il passo venne sbarrato da una figura incappucciata, la morte, che faceva perire nel fiume chi osava attraversarlo. Questa finse di congratularsi con i fratelli per l’abilità dimostrata e, come premio, li invitò a chiedere un dono. Così il maggiore ottenne una bacchetta più potente ricavata da un sambuco vicino, il secondo il potere di richiamare in vita i cari defunti rappresentato da una pietra raccolta nel fiume ed il terzo - il più modesto - qualcosa che lo rendesse invisibile. Perciò all’ultimo, malvolentieri, la morte dovette consegnargli il suo mantello. Il primo fratello, raggiunto un villaggio, si servì della bacchetta per uccidere un mago rivale, ma - a sua volta - un altro mago nella notte, saputo il fatto, gli rubò l’oggetto magico e gli tagliò la gola. Il secondo, tornato a casa, usò la pietra per richiamare in vita la ragazza che avrebbe voluto sposare, la quale divenne triste e fredda non appartenendo più a questo mondo. Allora l’innamorato si tolse la vita per starle vicino.
Così la morte ebbe la rivincita sui primi due e non sul terzo, che era invisibile. E quando quest’ultimo divenne vecchio consegnò il mantello al figlio, ben lieto di andare finalmente a trovare la vecchia amica morte.
Il racconto, apparso nella saga di Harry Potter del secolo scorso, riafferma nel campo spirituale la verità di Dante post - mortem:
Ben più folta la Schiera Alta sarebbe
nella delizia eterna celestiale,
se lo Spiritual Dono che s’ebbe
l’uomo seguisse più che il materiale!
(Dalla Terra al Cielo - VI, 88-91).
L’uomo ricevette da Dio due doni, l’anima (la vita stessa) e la materia: ma ben meschino e triste apparirebbe colui che questa a quella preferisse!
Da un breve esame delle principali credenze umane riguardo al sacro troviamo:
la morte come illusione nelle religioni monistiche - che tendono alla riduzione della pluralità degli esseri a un unico principio - (l’Induismo, il Buddismo e le religioni estremorientali); la morte come valore e parte integrante della vita, una creatura di Allah (l’Islam); la morte come qualcosa di innaturale, un problema, la causa di un cattivo uso della libertà umana (l’Ebraismo e il Cristianesimo).
Fra tutte le religioni il Cristianesimo risulta la migliore, in quanto ha vinto la morte, pur legittimandone il timore. Gesù nel Getsemani (Orto degli ulivi) pregò:
«Padre, se vuoi, allontana da me questo calice» […] E il suo sudore divenne come gocce di sangue che cadevano a terra. (Lc 22, 42/44)
Ma il terzo giorno risorse e come attesta san Paolo ai primi credenti: «Eravate infatti tenebre, ma ora siete luce nel Signore: comportatevi da figli della luce - il frutto della luce è ogni sorta di bontà, di giustizia e di sincerità - scegliendo ciò che Dio gradisce» (Ef 5, 8-10).
Concludo con il pensiero del famoso poeta e filosofo libanese Kahlil Gibran (1883-1931): Allora Almitra domandò: «Ora vorremmo chiederti della morte».
Ed egli disse: «Voi vorreste conoscere il segreto della morte.
Ma come potrete scoprirlo, se non cercandolo nel cuore della vita?
Il gufo, i cui occhi notturni sono ciechi al giorno, non può svelare il mistero della luce. Se davvero volete conoscere l’essenza della morte, spalancate il vostro cuore al corpo della vita. Poiché la vita e la morte sono una cosa sola, proprio come un’unica cosa sono il fiume e il mare.
Nel fondo delle vostre speranze e dei vostri desideri sta la tacita consapevolezza di ciò che è oltre la vita; e come il seme che sogna sotto la neve, il vostro cuore sogna la primavera …» (Da Il Profeta).
Domenico Caruso
Da: Domenico Caruso, “Storie, memorie e riflessioni” - ilmiolibro.it - Gruppo Editoriale L’Espresso - Roma, 2013
NOTE
1)
Catechismo … op. cit., Libreria Editrice Vaticana - 1992 al n.2819.
2) Prima lettera ai Corinzi - 15, 55-56.
3) Ibidem - 15, 42-44.
4) Lettera ai Romani - 5, 12.
5) D. Caruso, Il dolore, la morte & la speranza - Il trittico dell’uomo - Il mio libro, Gruppo Ed. L’Espresso, 2012.
6) Seconda Lettera ai Corinzi - 4, 16.
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