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Un modo innovativo di vedere l’universo
di Franco - 2004
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Quando Thomas Edison nel 1879 inventò la lampadina le azioni delle imprese del gas si abbassarono, Leonardo da Vinci studiò in segreto per decenni le macchine volanti, il famoso astronomo Simon Newcomb agli inizi del 900 sosteneva che non poteva esistere un’energia capace di far compiere grandi distanze a macchine volanti, la rivista scientifica “Nature” nel 1924 recensiva il libro del Professor Oberth sui razzi negli spazi interplanetari; e così via... nella storia dell’uomo l’elenco delle recensioni negative verso il pensiero innovativo è immenso.
Il pensiero innovativo è frenato non solo dall’ egoismo umano che porta ognuno a difendere le proprie posizioni acquisite, ma anche dalla nostra pigrizia intrinseca, e dal fatto che noi usiamo basare tutta la fisica mettendo al centro la nostra condizione di vita su questa Terra, che percepiamo tramite i nostri sensi.
Nonostante questo con un po’ di fantasia e coraggio cercherò di esporre un modo innovativo di vedere l’universo, che di conseguenza porta anche a concepire la teoria del “Tutto” da una prospettiva diversa, la quale quando sarà rivelata nella sua immensa semplicità e bellezza, il gioco infinito in cui materia ed energia si confondono in tutte le loro forme, a cominciare dalla rotazione lenta delle galassie sino alle disordinate fughe di elettroni, ci appariranno come semplici evoluzioni della struttura del “campo primordiale”.
Sicuramente non si ha qui la presunzione di riuscire dove un grande uomo di scienza come Einstein non è riuscito in venti anni di lavoro, ma forse la non solubilità del problema non risiedeva nell’essenza della teoria stessa, bensì nei mezzi per definirla, che sono la nostra fisica e la nostra matematica, e nel modo di concepire l’universo.
Non per nulla grandi uomini di scienza contemporanei come Stephen Hawking e Gerard’t Hooft nei loro ultimi studi ipotizzano per il prossimo futuro dei grandi cambiamenti nelle strutture base che reggono la nostra fisica e di la nostra matematica, le quali non sono sbagliate nella loro essenza, ma hanno il limite di essere utili solo per analizzare e rappresentare concetti vicini al nostro modo di vivere, e quindi non ancora sufficienti per rappresentare il “Tutto”.
In particolare il fisico Gerard’t Hooft ipotizza che la geometria spazio-temporale e la distribuzione della materia in essa sarebbero definite da informazioni univoche che contengono tutte le caratteristiche dell’ universo; per cui la natura in tale ipotesi scientifica viene considerata come la madre di tutti i super-computer.
La meccanica quantistica, lo studio del “caos”, e la teoria delle superstringhe già ci hanno messo sulla buona strada per “capire”; il problema è che tutta la nostra scienza è ancora troppo “divisa” per riuscire a fare il passo successivo.
Purtroppo ancora una volta il vecchio detto Latino “Dividi et impera” risulta essere vero ed attuale; infatti la nostra fisica fa un grande lavoro per “dividere” in categorie le varie stringhe energetiche che compongono l’universo ma troppo poco si concentra per capire gli scopi delle funzioni svolte da tali stringhe nel creato; tanto che una grande quantità di risorse è investita per costruire acceleratori di particelle con l’intento di scindere alcune di esse per ottenerne altre di natura “più piccola”; senza con questo capire che proprio per lo stesso paradosso che accompagnò la corsa tra “Achille e la tartaruga” noi possiamo continuare a “dividere” di tutto: segmenti, rette, stringhe energetiche ecc. all’infinito senza mai poter raggiungere la più piccola “particella” fondamentale del creato.
La strada da seguire per espandere i confini del nostro “capire” e “sapere” avrebbe probabilmente più successo se passasse attraverso l’analisi dei vari “perché” dei rapporti armonici esistenti tra le frequenze che compongono tutto il creato; consapevoli del fatto che oltre alla parte sensibile alla nostra natura, vi è una parte che non percepiamo, o meglio che solo pochi uomini dotati di particolare sensibilità riescono a percepire, e che usiamo definire come “Altrove o altre dimensioni”; le quali esistono e convivono già perfettamente “inglobate” in quella che è la nostra realtà di esseri viventi e non viventi, in questa bellissima ed armoniosa “eterna ghirlanda brillante” in cui tutto è vita e dove, come già sosteneva Einstein: “il vuoto non esiste”.
Ma cominciamo dall’inizio. La teoria del “Big-Bang”, enuncia che “Tutto” cominciò da un minuscolo puntino con densità e temperature vicine all’infinito, il quale in una frazione di secondo si è espanso dando vita all’universo primordiale, che per alcuni è un universo con un inizio ed una fine e per altri invece è un universo ciclico oscillante. Tale ipotesi definita del “Big Bang” presenta una grande quantità di lacune, che non sto qui ad elencare, non per ultimo la mancata spiegazione su cos’è la “materia oscura”; per cui tale ipotesi del “Big-Bang” potrebbe essere considerata superata.
Con ogni probabilità i fattori che più ci hanno sviato dalla visione della realtà sono riconducibili al nostro modo di concepire le “particelle” che compongono il “Tutto”, ed anche al nostro modo di concepire il tempo legato al fluire degli avvenimenti. Nell’ipotesi qui descritta di universo, concepito come un enorme computer olografico, la dimensione fisica tempo è vista come un “coefficiente di efficienza” per lo spostamento di pacchetti informatici.
Questa innovativa visione dell’universo comporta la riformulazione della sua struttura di base, dalla visione relativistica di Einstein dove il tempo interagiva direttamente con la struttura dell’universo ad una visione dove riaffiora il vecchio concetto di “etere”, messo da parte dalla “relatività”, e già utilizzato anche nella visione di universo descritta da Gregory Hodowanec in “Rhysmonic Cosmology”.
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