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Il superamento del relativismo
di Luigi Gulizia - Aprile 2015
La cultura del Novecento ha svolto, nel suo complesso, una importante funzione civile nell’affermazione di una visione relativistica rispetto soprattutto alle dogmatiche religiose di qualunque parte.
Con estrema semplificazione parliamo di un relativismo che si è opposto alle pretese del dogmatismo religioso per eccellenza, il cristianesimo cattolico, di imporre urbi et orbi le sue presunte verità di fede con il corollario dottrinario di uno schema sociale nel quale far rientrare tutta l’esistenza di tutti gli individui.
Da questo punto di vista, dunque, il relativismo è stato un argine fondamentale verso la perniciosa influenza cattolica ricordando che qualsiasi fede metafisica poggia su semplici teoremi astratti il cui contenuto ideologico non può essere oggetto di coercizione nei confronti di quanti non condividono tali impostazioni.
E’ però venuto il momento di chiarirsi le idee in merito all’intera questione con una visione del mondo umano nella quale non vi è più posto per concezioni di tollerante equidistanza verso le diverse forme di manifestazioni delle altrui intolleranze come le varie manifestazioni religiose che fanno discendere dalle proprie presunte divinità la regolamentazione della nostra esistenza.
Da questo punto di vista, in effetti, il relativismo ha ormai esaurito ogni sua residua funzione poiché proprio lo stato di emergenza planetaria in atto riporta, con tutta la sua drammatica forza, il problema centrale dei bisogni umani e di una cultura di reciproco, solidale rispetto che affronti la divisione del mondo in sfruttatori e sfruttati.
Se crediamo che vivere abbia senso soltanto nel piacere di vivere, materiale e intellettuale, poiché, in contrario, si tratterebbe soltanto di un preludio alla morte, allora affermiamo che il ben-essere è un inalienabile diritto naturale comune che a tutti gli esseri umani va garantito appunto da quella, ancora tutta da costruire, cultura del reciproco rispetto prima accennata.
Tutto il resto sono chiacchiere, vuote chiacchiere, oziose elucubrazioni di spiriti oziosi e malati.
Fu molti secoli fa che un uomo espresse, con l’assoluta semplicità che permeava la sua anima, la considerazione che il problema umano era: “Non aver fame, non aver sete, non aver freddo”. Si chiamava Epicuro quell’uomo che richiamò vanamente i propri simili alla lineare verità materiale custodita nel corpo di ognuno.
Toccò a un altro uomo vissuto nell’Ottocento riprendere quel lontano grido messo a tacere da secoli di inaudita barbarie del “civile” “cristiano” Occidente spiegando come proprio la formazione di strutture che dividono l’umanità in ricchi e poveri assicura il benessere materiale dei primi, anche se non il loro benessere intellettuale, ma lascia privi di risorse indispensabili i secondi, gli schiavi. Comune ad ambedue le categorie è solo la mancanza di benessere intellettuale. Si chiamava Karl Marx quell’uomo che raccolse il grido di Epicuro.
Se crediamo che la dignità della vita risieda nel ben-vivere da parte di tutti, se crediamo che la dignità dell’essere umano risieda nella soddisfazione dei propri bisogni naturali senza eccezione alcuna e se crediamo che tale dignità sia collegata all’atto stesso della nascita, allora dobbiamo essere coscienti che quando tutto ciò manchi la responsabilità è solo di coloro che sono i rinnegati del nostro genere.
E’ inutile appellarsi a qualsiasi Dio trascendente e alla sua “imperscrutabile” volontà perché se davvero un tale Dio esistesse ad esso sarebbe da rivolgere un infinito disprezzo poiché sarebbe un Dio pazzo criminale da mettere in catene perché non continui a nuocere. Ma la responsabilità della degradante miseria edificata in questo Pianeta appartiene solo a una schiera di umani che definire tali appare essere una contraddizione in termini.
Tutto ciò vuol dire che quel che ci necessita senza più dilazioni è un’etica fondata sullo stesso essere umano e sui suoi bisogni naturali nella quale sia soppressa la cultura della ricchezza e del dominio e nella quale emerga, invece, la cultura del rispetto che sola può garantire la formazione di strutture sociali antitetiche alle prime.
Ecco perché un relativismo come quello che finora si è presentato in veste di pensiero tollerante non ha più spazio ed ha anzi fornito specularmene il pretesto per il mantenimento di uno status quo comodo alle istituzioni di un Potere sfruttatore interessato a tacciare di intolleranza chiunque non sia funzionale alla propria organizzazione di disumano dominio.
Occorre, quindi, smascherare la falsa etica di proclamata origine divina da qualunque parte proclamata perché la vera ed unica etica proviene solo dall’uomo nel momento in cui mette piede su questa terra acquistando allora l’inalienabile diritto di ben vivere con ogni fibra del proprio essere.
Solo una tale etica, umana e non divina, riporta il rispetto della vita di ognuno e distrugge al tempo stesso le menzogne di folli visionari che hanno nefastamente plasmato la nostra storia fornendo appoggio, e ritraendo appoggio, alla preesistente proprietà privata primo strumento di dominio dell’uomo sull’uomo e morbo generatore di una guerra infinita condotta contro l’essere umano da altri uomini accompagnati dal loro Dio personale.
Diciamo, dunque, che non è più lecito difendere un relativismo ormai morto e sepolto sotto l’attacco di chi vuole continuare a mantenere la schiavitù nel nostro mondo perché esiste la verità lungamente conculcata dei nostri corpi e delle nostre anime congiunte che attende di rivedere la luce sottraendosi alle nere tenebre dell’Inferno terrestre creato dai nemici del genere umano.
Occorre spezzare le Tavole della Legge partorite dalla lucida follia di quanti hanno visto il loro fiabesco Dio tra rovi ardenti o cadendo da cavallo o rivelato da “angeliche” apparizioni (i vari Mosè, Paolo e Maometto): occorre non la rivelazione di un qualunque dio, ma la rivelazione finalmente dell’uomo a se stesso e la sua scrittura di Tavole della Legge umane fondate esclusivamente sui propri bisogni.
Solo allora chiuderemo l’Inferno e riapriremo il Paradiso, qui ed ora.
Il relativismo è morto e, più vivo che mai, risuona il motto di Voltaire contro il cosiddetto cristianesimo: “Schiacciate l’infame”.
Aderiamo con infinita passione alla rivolta espressa in quel motto, ma ne allarghiamo l’orizzonte gridando: “Schiacciamo tutti gli infami”. Siamo sicuri che il grande Voltaire approverebbe.
Luigi Gulizia
Luigi Gulizia è nato a Catania il 31 luglio 1946 e lì ha vissuto i primi dieci anni della sua vita, prima di trasferirsi con la famiglia a Cagliari, poi a Voghera e infine a Milano, dove ha conseguito la laurea in Giurisprudenza con una tesi in Diritto Internazionale: "La giurisdizione civile italiana e lo straniero".
Nel ׳69 ha iniziato la sua attività lavorativa con la casa editrice Rizzoli e, dopo la laurea, è entrato nel settore bancario lavorando per la Banca Commerciale Italiana.
Ha insegnato Diritto ed Economia Politica svolgendo anche una decennale attività redazionale per la Rivista di Diritto ed Economia della Tramontana editrice. Per la stessa casa editrice è stato consulente editoriale e con essa ha pubblicato l’opera "Moneta e Credito" nel 1978.
Ha fondato la rivista culturale "Sottoscala" e avviato una società di consulenza multidisciplinare per piccole e medie imprese.
Nel settore bancario, dopo molteplici e diversificate esperienze, si è occupato per un ventennio di Borsa e Finanza.
Ha collaborato con la rivista “Alchimie”, e da acuto analista socio-politico e saggista , ha pubblicato con Caravaggio editore “L’anello spezzato della storia” e “La caduta di Eros”, e con la CSA editrice “Primo Potere”, “Paganesimo scientifico ed etica pagana” , “La lunga notte della sinistra italiana” e "Dossier Germania". www.luigigulizia.it
Libri pubblicati da Riflessioni.it
RIFLESSIONI SUL SENSO DELLA VITA 365 MOTIVI PER VIVERE |
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