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Le radici cancellate dell'Occidente
di Luigi Gulizia - Marzo 2015
Più e più volte sono state recentemente rivendicate, da parte delle istituzioni cattoliche, le radici cristiane dell'Europa come a porre il sigillo definitivo sull'Editto di Costantino del 313 d.C. e sul successivo Editto di Teodosio del 380 d.C. con il quale ultimo il Cristianesimo trovava il suo riconoscimento ufficiale come religione dell'Impero.
Tali veementi rivendicazioni superano, in realtà, la portata di quegli Editti perché comportano la inesorabile cancellazione storica di quelle che furono le vere radici dell'Occidente nel suo processo di formazione che, partendo dalla originaria comunione con le antiche civiltà dell'Oriente, giunse in un certo momento a spezzarne la linea di continuità.
Tutta la nostra cultura è, infatti, imbevuta dal richiamo alle matrici greco-romane come alle matrici costitutive della nostra storia e non vi è dubbio che in questo richiamo ha giocato un ruolo assolutamente preponderante lo sviluppo stesso del Cristianesimo che, discendente dal ceppo ebraico, trovò nella filosofia platonica la base ottimale per la propria teoria ereditando infine, nella sua vocazione universalistica, la visione imperiale romana.
Va, però, sottolineata la separazione che occorre fare tra Cristianesimo, in quanto religione organizzata e istituzionalizzata, e ispiratore di essa, cioè l'uomo chiamato Gesù.
Occorre fare questa separazione perché si tratta di due realtà storiche la cui coincidenza è, quanto meno, fortemente discutibile soprattutto se si tiene presente che il vero fondatore della religione cristiana fu un altro uomo di nome Paolo di Tarso meglio conosciuto come san Paolo.
E proprio perché tale premessa ci porterebbe assai lontano, bisogna restringere l'analisi ai confini del solo Cristianesimo nella sua conclamata pretesa di essere radice d'Occidente.
In realtà, allora, se andiamo a indagare gli albori della storia d'Europa, troviamo nelle sue lontane origini l'apparizione di due nuclei umani le cui culture sono profondamente simili: essi sono il nucleo celtico e il nucleo cretese o minoico.
Nulla di certo ancor oggi è possibile affermare circa la provenienza dei Celti nel momento in cui comparvero nello scenario europeo migrando da quella che sembra sia stata la localizzazione iniziale nell'Europa centrale verso l'Europa meridionale in un'epoca databile attorno al 700 a.C. Sembra, peraltro, che a quell'epoca essi avessero già alle spalle un'evoluzione lunga un millennio compiutasi tra il 3000 a.C. e il 2000 a.C. fatta di integrazione tra diverse popolazioni giunta a dar vita a un nucleo di omogenea civiltà.
Se incerte risultano le vere origini celtiche sul piano dei dati concretamente emersi nello studio storico-archeologico restando così aperte differenti ipotesi (ma questa, del resto, è la sorte comune per quasi tutte le antiche civiltà), vi sono però elementi che indicano il legame culturale con le civiltà che all'epoca popolavano la Terra e, in particolare, con quelle abitanti ad Oriente.
Per procedere su questa affermazione è indubbiamente necessario possedere una visione d'insieme su quella che fu l'antica storia del Pianeta Terra prima che si affermasse l'epoca greco-romana, preceduta dalla nascita dell'Ebraismo, come genesi di una nuova storia le cui propaggini giungono fino ai nostri giorni. Ciò in quanto la conoscenza di quell'antica storia permette di cogliere la sostanziale unità culturale che intercorreva fra tutti i popoli di ogni luogo e di ogni tempo successivamente spezzata nel momento in cui, in Occidente, si affermeranno concezioni e stili di vita in radicale contrasto con i precedenti retaggi umani.
Nelle antiche epoche, infatti, senza distinzioni di patrie si era colto il legame intimo e profondo che legava l'uomo all'intiero mondo della Natura, di cui era soltanto uno dei componenti, in un quadro cosmico nel quale erano presenti energie e leggi che occorreva indagare e rispettare se si voleva vivere in armoniosa relazione con esse.
Soltanto in questa visione stava la percezione del segreto divino su cui si fonda l'esistenza di ogni espressione materiale della Vita stessa compreso l'uomo.
La conseguenza dell'espansionismo celtico nelle diverse zone europee fu lo sviluppo di diversi altri nuclei sociali tutti discendenti dallo stesso ceppo e unificati nella stessa cultura.
Qual era, allora, questa cultura celtica che improntava di sé le nuove popolazioni europee?
Alla base di essa stava quel rapporto con la Natura, a cui abbiamo prima accennato, che induceva a studiare e comprendere le sue leggi non secondo una visione dominatrice bensì per stabilire una sincera sintonia. Secondo quest'ottica la società celtica, fatta di guerrieri che non amavano la guerra perché in essa vedevano solo uno strumento di sopravvivenza e non di conquista, prediligeva uno stile di vita fatto di grandi feste comunitarie nelle quali i racconti delle saghe storiche rinsaldava sentimenti di identità collettiva. E sempre in questa visione della Vita legata al mondo della Natura risiedeva un rapporto tra i sessi fondato su un totale riconoscimento della femminilità come manifestazione e tramite della Natura stessa all'interno del quale non poteva esservi posto per logiche di dominio o pretese di superiorità della parte maschile. Altrettanto coerentemente con l'intuizione di un ordine cosmico superiore, del quale la sessualità è la legge fondante, la cultura celtica visse il gioco degli amplessi con semplicità e libertà come semplice fenomeno rientrante in quell'ordine stesso.
I Druidi, figure identificabili come scienziati e filosofi, furono coloro che coltivarono quello studio della Natura sul quale i costumi sociali dei Celti si modellarono sviluppando il loro fortissimo amore per la vita e l'interpretazione di una unitarietà cosmica che rivive oggi attraverso le scoperte, anzi le ri-scoperte, della Fisica Quantistica.
Ma nel mondo celtico poesia e musica trovarono spazi di affascinante bellezza perché erano le dirette conseguenze di quella concezione della vita vista come una grande, eterna festa per coloro che avevano un intelletto capace di penetrare nella grande trama dell'Universo.
Le poche cose che qui abbiamo detto svelano il legame nascosto che certamente esisteva tra i Celti e le altre antiche culture che tutte avevano le medesime concezioni e, senza dubbio, forte è l'eco che giunge dall'Egitto e dall'Oriente in generale. Non sappiamo se questo legame sarà mai scoperto, ma certo le nostre radici autenticamente celtiche per una parte ci portano a sentire con nostalgia il messaggio di un mondo che comincia lentamente a riapparire nel tempo che viviamo in cui ogni cosa suona falsa.
Se ora volgiamo lo sguardo verso l'isola di Creta troviamo in questa direzione i resti di una meravigliosa civiltà che è tornata alla luce per merito dell'archeologo inglese sir Arthur Evans (1851-1941) il quale iniziò gli scavi nel 1900 restituendoci il perduto tesoro di una umanità che con i Celti condivise lo spirito gioioso della vita e fu madre di una grecità che ne perse i veri valori lungo i secoli seguiti alla sua scomparsa.
Secondo le ipotesi adombrate circa l'origine dei Cretesi sembrerebbe che sia frutto, forse, di un movimento migratorio proveniente dall'Anatolia, in Asia Minore, di popolazioni che tra il 6000 e il 2000 a.C. avrebbero avuto il loro ciclo di sviluppo portando nell'isola mediterranea il loro splendido patrimonio culturale.
Anche in questo caso, dunque, appaiono riecheggiare quegli influssi orientali che è lecito sospettare nella formazione della civiltà celtica.
Creta fu ai primordi di quel mondo greco che, alcuni secoli dopo, da essa sarebbe disceso smarrendone poi, in modo definitivo, la grande eredità allorché sulla scena sarebbe apparsa in modo dominante Atene, alla quale stoltamente l'Occidente fa ascendere natali che proclama nobili con una menzogna che dura ininterrottamente da ben più di due millenni.
La civiltà cretese poggiava, in realtà, su fondamenti ben lontani da quella che sarebbe stata l'evoluzione storica conseguente all'epoca micenea che ne soppiantò il ciclo di esistenza con nuove linee di direzione.
A Creta fu accesa, in quei tempi solo apparentemente così lontani, una luce di gioiosa vitalità che procedeva sugli stessi sentieri percorsi dalla gente celtica.
La prima caratteristica del mondo minoico che risalta nello studio di quelle genti che a quel mondo appartennero è la totale assenza di spirito conflittuale non solo al suo interno, ma anche nei confronti delle altre popolazioni. A testimonianza di ciò sta l'inesistenza di fortificazioni e di altre apparecchiature da guerra che possano dimostrare tendenze belliche come quelle che saranno invece costantemente presenti nei posteriori periodi storici. Ciò non significa, tuttavia, che a Creta non si sia dovuto comunque combattere poiché occorreva difendersi sul mare dove forte era il pericolo rappresentato dai pirati. Ma, a parte questa realtà che fu l'unico motivo bellico nella vita dell'isola, l'esistenza che si conduceva in quei luoghi felici scorreva lungo i binari della pace regnante tra le comunità delle diverse città poiché mancava l'ossessione del Potere non solo nei rapporti tra esse esistenti, ma prima ancora nei rapporti umani tra uomini e donne delle singole comunità.
Come ha osservato, infatti, la scrittrice afroamericana Bell Hooks nel suo libro Tutto sull'amore: "Su questo pianeta nessuno può conoscere l'amore, finché all'ordine del giorno c'è il potere." (Bell Hooks, Tutto sull'amore, Universale Economica Feltrinelli, marzo 2003, p. 116).
Se queste parole costituiscono una verità fondamentale che contribuisce a mettere a nudo la devastazione portata nel nostro pianeta dalla cultura del dominio storicamente affermatasi in seno alla stirpe umana, allora è giusto dire che la civiltà minoica non conobbe tale cultura perché in essa viveva il culto della Natura come ordine cosmico regolato dal principio di Armonia.
Da una visione di tal genere discendeva un'esistenza imperniata sulla sessualità come libero e gioioso incontro dei corpi segnato solo dal vincolo del reciproco piacere che contribuiva ad allontanare il morbo della violenza distruttrice e incanalava le energie verso manifestazioni creative come musica e danza e ancora verso attività di carattere sportivo. Tutto questo era profondo amore per la vita come grande festa per ciò che l'Universo stesso appare agli occhi di chi sa vederne la reale essenza.
Celti e Cretesi seppero cogliere insieme l'autentico significato della vita nella sua divina semplicità.
Alla fine del ciclo della civiltà minoica subentrò l'epoca micenea e apparve la guerra come modo di vita e così continuò fino al tempo in cui Sparta e Atene dominarono la nuova scena storica della Grecia. Tuttavia non fu Sparta l'alfiere delle bandiere di guerra portate a sottomettere altre popolazioni poiché, nonostante l'immagine che ci è stata ingannevolmente tramandata, in essa era presente solo una volontà di difesa dei propri confini e non coltivava velleità egemoniche proprie di un'Atene tesa all'allargamento dei propri spazi di dominio attraverso la creazione di un impero mercantile.
Siamo nella cosiddetta fase classica della storia greca compresa tra il 490 e il 323 a.C. preceduta dalla fase arcaica compiutasi tra il 1200 e il 490 a.C., anno nel quale Roma completò la sottomissione dei regni ellenistici.
In epoca coeva alla fase arcaica, e quindi tra il 1250 e il 1200 a.C., era avvenuta la fondazione della prima religione in assoluto della storia umana, l'Ebraismo mosaico, che aveva operato la totale separazione dell'uomo rispetto a un Dio la cui immagine era la sete stessa del Dominio e del Potere. Era il primo anello rotto in una cultura umana che, fino a quel momento e dovunque, aveva visto la inscindibile unità divina della vita cosmica e dell'uomo come parte di questa realtà.
Nel 428 a.C., in epoca classica, nasceva ad Atene Platone la cui filosofia spiritualistica operò una seconda scissione tra materia e spirito svalutando la prima, e quindi il corpo, rispetto al secondo visto come verità assoluta. L'uomo fu diviso per la seconda volta con la negazione dei valori della fisicità corporale.
Più tardi toccherà ad Aristotile, nato a Stagira nel 384 a.C. e allievo di Platone, completare l'opera di incarcerazione dell'essere umano attraverso lo sviluppo di una filosofia che, tutto volendo vedere sotto un aspetto rigidamente razionale e classificatorio, finirà con il determinare l'incapacità di comprendere il legame intimo che tutto unisce fondando una cultura nella quale i vari aspetti della vita risultano separati tra di loro, così accecando occhi e anima.
Il Cristianesimo ereditò dal suo ceppo di discendenza, l'Ebraismo di Mosè, quella separazione tra uomo e dio base delle concezioni mosaiche. Dalla filosofia platonica riprese la separazione tra materia e spirito e sull'aristotelismo poggiò le sue visioni teoriche nel segno del dogma che afferma l'indiscutibilità delle proprie asserzioni.
L'uomo diviso è il prodotto occidentale di una tale cultura che più di morte si nutre che non di vita e il cui unico scopo è il Potere con i suoi corollari di guerra e la negazione di un Eros seppellito sotto l'ambizione delle ricchezze mercantili dove niente ha valore se non il Denaro, come feticcio dal volto di vampiro, eternamente assetato di sangue umano.
Ma le nostre vere, autentiche radici non sono in tutto ciò perché, anche se cancellate, sono in quelle due, antiche civiltà celtica e minoica il cui messaggio dimenticato è che la Vita è semplice piacere di vivere sotto la legge del grande Eros cosmico.
Se vogliamo riprenderci le nostre esistenze è indispensabile e urgente riscoprire ciò che le menzogne storiche hanno rubato al patrimonio genetico che ci appartiene per diritto di natura e così riappropriarci delle luminose energie vitali che una volta cantavano su questa Terra.
Luigi Gulizia
Luigi Gulizia è nato a Catania il 31 luglio 1946 e lì ha vissuto i primi dieci anni della sua vita, prima di trasferirsi con la famiglia a Cagliari, poi a Voghera e infine a Milano, dove ha conseguito la laurea in Giurisprudenza con una tesi in Diritto Internazionale: "La giurisdizione civile italiana e lo straniero".
Nel ׳69 ha iniziato la sua attività lavorativa con la casa editrice Rizzoli e, dopo la laurea, è entrato nel settore bancario lavorando per la Banca Commerciale Italiana.
Ha insegnato Diritto ed Economia Politica svolgendo anche una decennale attività redazionale per la Rivista di Diritto ed Economia della Tramontana editrice. Per la stessa casa editrice è stato consulente editoriale e con essa ha pubblicato l’opera "Moneta e Credito" nel 1978.
Ha fondato la rivista culturale "Sottoscala" e avviato una società di consulenza multidisciplinare per piccole e medie imprese.
Nel settore bancario, dopo molteplici e diversificate esperienze, si è occupato per un ventennio di Borsa e Finanza.
Ha collaborato con la rivista “Alchimie”, e da acuto analista socio-politico e saggista , ha pubblicato con Caravaggio editore “L’anello spezzato della storia” e “La caduta di Eros”, e con la CSA editrice “Primo Potere”, “Paganesimo scientifico ed etica pagana” , “La lunga notte della sinistra italiana” e "Dossier Germania". www.luigigulizia.it
Libri pubblicati da Riflessioni.it
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