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Ombre e penombre

di Rita Farneti
Febbraio 2017

 

In una lettura di Spinoza fatta da I. Spano viene fatto cenno alle “passioni tristi”.
Non si allude a vissuti come senso di “impotenza” e “disgregazione” ma, piuttosto, si sottolinea il disagio di questo nostro tempo del vivere, assumendo come unica (attuale ed incalzante) la concettualizzazione dello “sterminio dell’altro” e della “scomparsa del soggetto”(1).
Ogni dimensione del secolo, secondo Bauman, è “attraversata da forti instabilità, da una sorta di fluidità”(2).
Siamo sempre più deprivati della possibilità di relazioni vere, di scambi autentici, di incontri alimentati da una reciprocità benevola, genuina, che possano dare sostanza al nostro cammino.
Capita, invece, sempre più spesso di somministrarci, forse anche reciprocamente inocularci, il veleno del precario in un quadro in bilico fra la ossessività di un biasimo intransigente, rinuncia ormai ritualizzata e paralisi verso qualunque tipo di sfida...
L’alternanza di precario mai consolidabile e di consolidato (ma ormai troppo poroso ed inaffidabile) innesca la sensazione che per sconfiggere la condizione di stallo, erosiva e corrosiva, occorra traghettare in un impegno assunto come credibile. Non ingabbiati in anticipo in vestiti buoni per il domani senza esser certi che possano adattarsi all’oggi.
Tanto più che la speranza appare consumabile in quella quantità omeopatica nella quale viene usualmente percepita.
Se “un senso pervasivo di impotenza e incertezza” ci costringe a vivere il mondo come una minaccia, alla quale bisogna rispondere armando i nostri figli (Benasayag e Schmit 4) (e in realtà dovremmo forse interrogarci se davvero ci comportiamo come non ci fosse alcuna crisi), al tempo stesso siamo paralizzati, angosciati. Tendiamo sempre più spesso ad assumere una posizione rinunciataria, quasi a difendere quello che (non) sappiamo (più) di avere.(Pulcini 3).
L’angoscia erode la fiducia del futuro: l’impressione neanche tanto vaga è che navighiamo a vista, al timone la paura di incontrare qualcosa che non ci sarebbe agevole controllare, “circoscrivere e toccare”(7)
Il nostro precario si presenta connotato di cupezza, pronto, come un ronzino zoppo, a disarcionarci dalla (pur necessaria) necessità di avere fede nel progredire dell’esperienza di vita.
Acquista sempre più territori una brutalità che “identifica la libertà con il dominio di sé, del proprio ambiente, degli altri.”
In ragione di una logica paradossale per cui tutto “deve servire a qualcosa”(3), il che aumenta la nostra infelicità.
Per S. Freud la infelicità dell’essere umano era causata dalla “forza schiacciante della natura, dal nostro corpo fragile e dall’inadeguatezza delle istituzioni”(5): da questo erano regolate le relazioni fra umani.
La rassegnazione alle prime due pungolava alla comprensione della terza: se la nostra vita non fosse soggetta alle restrizioni della cultura, davvero potremmo gioire? Per il medico viennese, illustre psicoanalista, duplice ero lo scopo per il quale si era costituita la cosiddetta civiltà: proteggere l’uomo da se stesso e portarlo a consociarsi.
Ma se non ci sentiamo (ciononostante) felici, a nostro agio, riusciamo a formarci una qualche idea del motivo della nostra infelicità e, soprattutto, abbiamo la possibilità di verificare se in tempi anteriori i nostri simili siano invece stati toccati dalla felicità e quale ruolo nell’acquisizione della medesima abbiano giocato le condizioni della civiltà (degli umani)?
Ora la posta in gioco sembra essere “la centralità del soggetto e della soggettività, i processi sociali di identificazione del sé e la capacità di azione politica dell’individuo.”
L’accento cade sull’aspetto antropologico dei processi di globalizzazione, che non smobilitano solo attuali equilibri fra istanza politica ed istanza economica ma anche e sempre più brutalmente erodono i perimetri dei confini fra ambiti di scelte politiche ed ambiti di scelte personali.
Manca il valore simbolico e intrinsecamente politico del dono, “espressione di un individuo che sa trasformare la coscienza della debolezza nella creazione di un legame” (p. 77).(6), ma soprattutto manca la cura del mondo, innescata da “una soggettività che tolleri di risiedere nella negazione, riconoscendosi come un qualcosa di incompleto e vulnerabile”.
Trasformerebbe, per dirla con Pulcini, l’individuo dei nostri giorni in un soggetto compiutamente e consapevolmente relazionale, tanto responsabile quanto solidale, capace di prendersi cura del mondo come dimensione dell’inter-esse comune.”

 

Rita Farneti

 

Ombre e penombre Di Rita Farneti

 

Bibliografia

  1. I. Spano, Lo “sterminio dell’altro“ e “la scomparsa del soggetto”. The extermination of the other and the disappearance of the human being. in Atti del Convegno Padova 6-7-8 settembre 2012, a cura di D. Capozza e I. Testoni)

  2. www.recensionifilosofiche.it

  3. www.feltrinellieditore.it/opera/opera/lepoca-delle-passioni-tristi-1/

  4. M. Benasayag, G. Schmit, L’epoca delle passioni tristi, Feltrinelli, Milano, 2004

  5. www.giornalecritico.it/PDF/ValentinaSperotto-Freud-Disagio.pdf

  6. www.recensionifilosofiche.it/swirt/globalizzazione/dandrea-pulcini.htm

  7. www.laccentodisocrate.it/Pulcini17.html                     

 

In sintesi - Rita Farneti, psicologa e psicoterapeuta, vive a Ravenna. Già consulente del Centro per lo Studio della Fisiopatologia del Climaterio e della Postmenopausa del Policlinico S. Orsola Malpighi di Bologna (1986-1992), collaboratrice esterna Dipartimento di Scienze dell’Educazione Università degli Studi di Padova Facoltà di Psicologia (1995-2003), giudice non togato al Tribunale di Sorveglianza di Bologna (1999-2000), ha partecipato nel gruppo di lavoro dell’Ordine degli Psicologi della Toscana alla stesura del Documento programmatico RSA (2009-2010). Docente e formatore degli operatori  sulla relazione di aiuto (anziani, migrantes, malati oncologici) per Enti ed associazioni del territorio ravennate, è autrice di pubblicazioni nazionali ed internazionali. Redattrice di Geragogia.net (1998-2011), dal 2013 al 2015 ha collaborato con l’Università Popolare di Firenze e con il C.S.C.P di Firenze. Dal 2015  collabora come redattrice e conferenziera con il Garden Club di Ravenna ed è consulente  per enti Istituzionali sull’identità di genere femminile.


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